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N. 260 SENTENZA 1 - 11 dicembre 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro - Rapporti di lavoro con fondazioni lirico-sinfoniche - Deroga
  alla disciplina dei contratti a tempo determinato posta  con  norma
  autoqualificata di interpretazione autentica. 
- Decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni  urgenti  per  il
  rilancio dell'economia) - convertito, con modificazioni,  dall'art.
  1, comma 1, della legge 9 agosto 2013,  n.  98  -  art.  40,  comma
  1-bis. 
-   
(GU n.50 del 16-12-2015 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Marta CARTABIA; 
Giudici :Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  40,  comma
1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni  urgenti
per  il  rilancio  dell'economia),  convertito,  con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 9  agosto  2013,  n.  98,  promosso
dalla Corte d'appello di Firenze nel  procedimento  vertente  tra  la
Fondazione Teatro Maggio Musicale Fiorentino e M.M.G.  con  ordinanza
del 18 settembre 2014, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 2014
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  53,  prima
serie speciale, dell'anno 2014. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 10  giugno  2015  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 18 settembre 2014, iscritta al n.  234  del
registro ordinanze 2014, la Corte d'appello di Firenze  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 40,  comma  1-bis,
del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, prospettando la violazione
degli artt. 3, primo comma, e 117, primo comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    La norma impugnata prevede che  «L'articolo  3,  comma  6,  primo
periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010,  n.  64,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta  nel
senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in  soggetti
di diritto privato, non si applicano le  disposizioni  di  legge  che
prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come  conseguenza
della violazione delle norme in materia di stipulazione di  contratti
di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi
contratti». 
    La Corte  d'appello  fiorentina  espone  di  dover  decidere  sul
gravame che  la  Fondazione  Teatro  Maggio  Musicale  Fiorentino  ha
proposto contro la sentenza pronunciata dal  Tribunale  ordinario  di
Firenze, in funzione di giudice del lavoro, nella controversia che ha
contrapposto l'appellante a M.M.G., «tersicorea di fila  con  obbligo
di solista», lavoratrice della fondazione in virtu' di «34  contratti
temporanei a partire dal 3.6.1997 e poi reiterati negli anni,  (altri
7) anche nel corso del giudizio stesso». 
    Il  giudice  di  primo  grado,  con  la  sentenza  impugnata,  ha
dichiarato la nullita' del termine apposto al contratto del 9 gennaio
2001, ha accertato che tra le parti si era instaurato, dal 9  gennaio
2001, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con  inquadramento
della ricorrente nel sesto e poi nel  quinto  livello  del  contratto
collettivo nazionale, e ha condannato la fondazione, in base all'art.
32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al  Governo
in materia di  lavori  usuranti,  di  riorganizzazione  di  enti,  di
congedi,  aspettative  e  permessi,  di  ammortizzatori  sociali,  di
servizi   per   l'impiego,   di   incentivi    all'occupazione,    di
apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'  misure  contro  il
lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro  pubblico  e  di
controversie di lavoro), al pagamento dell'indennita' onnicomprensiva
di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale, con rivalutazione
monetaria e interessi legali. 
    Tale decisione si fonda sull'illegittimita' dell'apposizione  del
termine a un contratto carente di una «reale, coerente  e  dimostrata
esigenza di temporaneita'». 
    La Corte  d'appello,  investita  del  gravame  della  fondazione,
afferma, in primo luogo,  la  natura  privatistica  dei  rapporti  di
lavoro intercorsi tra le parti. 
    Da tale affermazione  discende  l'infondatezza  del  richiamo  al
divieto di stabilizzazione vigente nell'ambito  del  lavoro  pubblico
(art. 36 del decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165,  recante
«Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche»). 
    Sulla  scorta  di  tale  rilievo  e   della   giurisprudenza   di
legittimita'  in  tema  di  contratti  a  termine  delle   fondazioni
lirico-sinfoniche (fra le molte, Corte di cassazione, sezione lavoro,
sentenza 12 marzo 2014, n. 5748), la Corte rimettente conclude che le
statuizioni del Tribunale resistono alle doglianze dell'appellante. 
    Il giudice d'appello, nel condividere l'apprezzamento del giudice
di prime cure, ribadisce che la  ricorrente  e'  stata  assunta  allo
scopo di «assicurare l'espletamento  della  ordinaria  programmazione
del Teatro senza riferimento a specifici spettacoli  e  anche  al  di
fuori dell'impegno originariamente preventivato». 
    Alla conversione del contratto a termine  in  contratto  a  tempo
indeterminato si frappone  l'ostacolo  della  norma  impugnata,  che,
sotto  la  parvenza  interpretativa,   interviene   -   con   valenza
retroattiva - a privare del diritto alla stabilizzazione del rapporto
di lavoro quei soggetti che gia'  avevano  conseguito  una  pronuncia
favorevole. 
    Tali considerazioni, ad avviso della Corte rimettente, confermano
la rilevanza della questione. 
    In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  la  Corte  d'appello
argomenta che la  disciplina  censurata  si  indirizza  a  un  numero
ristretto  di   lavoratori   «ben   individuabili   nominativamente»,
discriminati senza alcuna giustificazione rispetto  alla  generalita'
dei lavoratori del settore privato, che beneficiano della tutela piu'
ampia prevista, in  materia  di  contratti  a  termine,  dal  decreto
legislativo 6 settembre 2001,  n.  368  (Attuazione  della  direttiva
1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES). 
    La  norma  impugnata  non  attribuisce  alla  legge  che  intende
interpretare  (decreto-legge  30  aprile   2010,   n.   64,   recante
«Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attivita' culturali»
e convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29
giugno 2010, n. 100) un senso riconducibile  alle  possibili  letture
del  testo  originario  e  vanifica  l'affidamento  ragionevole   dei
consociati,    avvalorato    dall'orientamento     costante     della
giurisprudenza di legittimita'. 
    Tali caratteristiche pongono la norma in antitesi con i  principi
di  eguaglianza  e  di  ragionevolezza  e  concorrono  a  configurare
un'ingerenza indebita  del  potere  legislativo  nell'amministrazione
della  giustizia,  in  mancanza  di  motivi  imperativi   d'interesse
generale, incompatibili con il carattere privato delle fondazioni. 
    2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto di respingere, in quanto infondata, la  questione
di legittimita' costituzionale. 
    La difesa dello Stato replica  che  la  disciplina  impugnata  ha
natura interpretativa, in quanto isola una delle  varianti  di  senso
(il divieto generale di  stabilizzazione  dei  rapporti  irregolari),
coerente con la finalita' di contenere la spesa  pubblica  e  con  le
peculiarita'  di   un   settore   contraddistinto   da   un'attivita'
stagionale. 
    A dire dell'Avvocatura generale dello Stato, la  norma  censurata
rinviene la sua ragion d'essere nella spiccata impronta pubblicistica
delle   fondazioni   lirico-sinfoniche,   sovvenzionate   in   misura
prevalente dallo Stato e dagli enti locali, qualificabili, anche alla
luce della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 153 del  2011),
come organismi nazionali di diritto pubblico. 
    Non si  potrebbe  istituire,  pertanto,  alcun  raffronto  tra  i
rapporti di lavoro instaurati dalle fondazioni e i rapporti di lavoro
che intercorrono con gli imprenditori privati. 
    Inoltre, i  ragguardevoli  disavanzi  di  esercizio  del  settore
integrano  «razionali  e  congrue  motivazioni  di  spiccato  rilievo
pubblicistico», idonee a giustificare l'introduzione di  un  assoluto
divieto di conversione dei contratti a termine in contratti  a  tempo
indeterminato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte  d'appello  di  Firenze  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 40, comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno
2013, n. 69 (Disposizioni urgenti  per  il  rilancio  dell'economia),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  9
agosto 2013, n. 98, e denuncia il contrasto della norma impugnata con
gli artt. 3, primo comma, e 117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950  ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    La norma censurata, che dichiara di interpretare l'art. 3,  comma
6,  primo  periodo,  del  decreto-legge  30  aprile   2010,   n.   64
(Disposizioni  urgenti  in  materia   di   spettacolo   e   attivita'
culturali), convertito, con modificazioni, dall'art. 1 comma 1, della
legge 29 giugno 2010, n. 100, vieta  di  convertire  i  contratti  di
lavoro a termine delle fondazioni lirico-sinfoniche  in  contratti  a
tempo indeterminato, in  conseguenza  delle  violazioni  delle  norme
sulla stipulazione dei contratti, sulle proroghe e sui rinnovi. 
    Con  particolare  riguardo  alla   fattispecie   di   illegittima
apposizione del termine  al  primo  contratto,  la  Corte  rimettente
ravvisa una portata retroattiva della disciplina, dietro  lo  schermo
dell'enunciata   natura   interpretativa,   e   assume    che    tale
retroattivita'  contravvenga  ai  principi  di   eguaglianza   e   di
ragionevolezza (art. 3, primo comma, Cost.) e leda il  diritto  a  un
processo equo, consacrato anche dalla fonte convenzionale. 
    La normativa impugnata, carente di motivi imperativi  d'interesse
generale, frustrerebbe l'affidamento legittimo dei  consociati  e  si
tradurrebbe in un'arbitraria ingerenza nell'esercizio della  funzione
giurisdizionale,    discriminando,    senza    alcuna     ragionevole
giustificazione,  i  lavoratori  delle  fondazioni  lirico-sinfoniche
rispetto agli altri lavoratori del settore privato. 
    2.- Sul presente giudizio non incide la nuova disciplina in  tema
di contratti a  tempo  determinato  delle  fondazioni  di  produzione
musicale, introdotta dal decreto legislativo 15 giugno  2015,  n.  81
(Disciplina organica  dei  contratti  di  lavoro  e  revisione  della
normativa in tema di mansioni, a  norma  dell'articolo  1,  comma  7,
della legge 10 dicembre 2014, n. 183). 
    Per effetto dell'art. 57, tale disciplina (artt. 23, comma  3,  e
29,  comma  3)  si  applica  soltanto  dal  25  giugno  2015,  giorno
successivo a quello della pubblicazione del  decreto  nella  Gazzetta
Ufficiale della  Repubblica  italiana,  e  pertanto  non  concerne  i
diritti sorti nel vigore della normativa antecedente. 
    Le novita' normative non dispiegano alcuna influenza sul giudizio
in corso, ne' alterano i termini della questione. La Corte rimettente
non deve, dunque, rinnovare la valutazione di rilevanza (sentenza  n.
205 del 2015, con riguardo alle  novita'  apportate,  con  una  norma
transitoria di identico tenore,  dal  coevo  decreto  legislativo  15
giugno 2015, n.  80,  recante  «Misure  per  la  conciliazione  delle
esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1,
commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183»). 
    3.- La questione e' fondata. 
    4.- La norma impugnata deve essere esaminata in  una  prospettiva
diacronica, in ragione dei molteplici interventi legislativi  che  si
sono succeduti. 
    4.1.- Occorre prendere le mosse dall'art. 3, comma 6, del d.l. n.
64 del 2010, come convertito, che  al  primo  periodo  cosi'  recita:
«Alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione  in
soggetti di diritto privato, continua  ad  applicarsi  l'articolo  3,
quarto e quinto  comma,  della  legge  22  luglio  1977,  n.  426,  e
successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro
instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato
e al periodo anteriore alla data di entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368». 
    L'art. 3 della  legge  22  luglio  1977,  n.  426  (Provvedimenti
straordinari  a  sostegno  delle  attivita'  musicali),  cui  si   fa
riferimento nel d.l. n. 64 del 2010, vietava «i rinnovi dei  rapporti
di lavoro che, in base a  disposizioni  legislative  o  contrattuali,
comporterebbero  la  trasformazione  dei  contratti  a   termine   in
contratti a tempo indeterminato» (terzo comma) e sanciva la  nullita'
di diritto delle assunzioni attuate in  violazione  di  tale  divieto
(quarto comma). 
    La legge n. 426 del 1977 ha come retroterra  l'assetto  normativo
che attribuiva la personalita' giuridica  di  diritto  pubblico  agli
enti di prioritario  interesse  nazionale  chiamati  ad  operare  nel
settore musicale (art. 5, primo comma, della legge 14 agosto 1967, n.
800, in  tema  di  «Nuovo  ordinamento  degli  enti  lirici  e  delle
attivita' musicali»). 
    Tale diverso assetto da'  conto  delle  deroghe  alla  disciplina
generale, racchiusa nella legge 18 aprile 1962,  n.  230  (Disciplina
del  contratto  di  lavoro   a   tempo   determinato),   cosi'   come
successivamente  modificata,  e,  in  particolare,  della  scelta  di
sottrarre gli enti lirici all'applicazione dell'art. 2 della legge n.
230 del 1962, in tema di proroghe  e  rinnovi  (Consiglio  di  Stato,
sezione sesta, decisione 23 marzo 1998, n. 352). 
    Nel 2010 il legislatore si muove  in  un  contesto  profondamente
mutato. 
    Il decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367  (Disposizioni  per
la trasformazione degli enti che  operano  nel  settore  musicale  in
fondazioni di diritto privato) ha disposto  la  trasformazione  degli
enti di prioritario interesse  nazionale,  che  operano  nel  settore
musicale, in  fondazioni  di  diritto  privato  (art.  1)  e  a  tali
fondazioni  ha  conferito  una  «personalita'  giuridica  di  diritto
privato» (art. 4). La scelta di assoggettare i rapporti di lavoro dei
dipendenti delle fondazioni alle disposizioni del codice civile  e  a
una regolamentazione di matrice contrattuale (art. 22,  comma  1)  e'
coerente con le nuove previsioni, efficaci a partire  dal  23  maggio
1998 (art. 1 del decreto-legge 24  novembre  2000,  n.  345,  recante
«Disposizioni  urgenti  in  tema  di  fondazioni  lirico-sinfoniche»,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  26
gennaio 2001, n. 6). 
    Il d.l. n. 64 del 2010,  in  un  disegno  complessivo  improntato
all'esigenza di razionalizzare la spesa, ha dettato,  per  un  verso,
disposizioni di  carattere  generale,  innovando  la  disciplina  dei
contratti a tempo determinato delle fondazioni, e, per  altro  verso,
disposizioni legate alla  situazione  contingente  e  alle  questioni
controverse, insorte nella transizione dal regime di diritto pubblico
a quello eminentemente privatistico. 
    Quanto al primo  profilo,  il  legislatore,  pur  confermando  la
necessita' di un concreto  riferimento  dei  contratti  di  scrittura
artistica a specifiche attivita' artistiche espressamente programmate
(art.  3,  comma  6,  secondo  periodo),   delinea   una   disciplina
derogatoria per i contratti  a  tempo  determinato  delle  fondazioni
lirico-sinfoniche  e  le  dispensa  dall'osservare  le   disposizioni
dell'art. 1, commi 01 e 2, del decreto legislativo 6 settembre  2001,
n. 368 (Attuazione della direttiva  1999/70/CE  relativa  all'accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e
dal CES), che individuano nel contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro e sanciscono  per
l'apposizione del termine, a pena  di  inefficacia,  l'obbligo  della
forma scritta (art. 3, comma 6, terzo periodo). 
    Per quel che attiene al secondo aspetto, rilevante  nel  presente
giudizio, il legislatore si propone di fugare  i  dubbi  che  avevano
accompagnato l'approdo delle fondazioni al regime privatistico. 
    Tali dubbi erano, peraltro, circoscritti entro un arco  temporale
che, dalla trasformazione degli enti lirici in  soggetti  di  diritto
privato (23 maggio 1998), si estendeva  fino  all'entrata  in  vigore
delle nuove regole sui contratti a tempo determinato, introdotte  con
il d.lgs. n. 368 del  2001  e  finalizzate  a  evitarne  l'abuso,  in
attuazione della direttiva comunitaria. 
    La norma ha come orizzonte un periodo delimitato, come si  desume
dal dettato letterale, che opera  un  riferimento  circostanziato  ai
rapporti  di  lavoro,  instaurati  dopo   la   trasformazione   delle
fondazioni in soggetti di diritto privato, e  «al  periodo  anteriore
alla data di entrata in vigore del decreto  legislativo  6  settembre
2001, n. 368». 
    Per tale periodo, entro cui la transizione  delle  fondazioni  al
regime privatistico si e' compiuta, ma non ha ancora visto la luce la
nuova disciplina dei contratti a tempo determinato (d.lgs. n. 368 del
2001), il legislatore ribadisce la perdurante vigenza delle norme sui
rinnovi, dettate dalla legge  n.  426  del  1977,  funzionali  a  una
regolamentazione  pubblicistica,  altrimenti  superata,  senza   tale
disposizione espressa,  dall'applicazione  delle  regole  del  codice
civile. 
    4.2.- L'art. 40, comma 1-bis, del decreto-legge n. 69  del  2013,
censurato nel presente giudizio, e' stato introdotto  nella  fase  di
conversione ed e' il  frutto  di  un  emendamento  delle  commissioni
riunite in sede referente (emendamento n. 40.3). 
    La norma, che ricalca la previsione gia' inserita  nell'art.  11,
comma 19, ultimo periodo, del decreto-legge  8  agosto  2013,  n.  91
(Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il  rilancio
dei beni e delle  attivita'  culturali  e  del  turismo),  nel  testo
anteriore alla conversione, con modificazioni, disposta dall'art.  1,
comma  1,   della   legge   7   ottobre   2013,   n.   112,   propone
l'interpretazione autentica dell'art. 3, comma 6, primo periodo,  del
d.l. n. 64 del 2010. 
    Il legislatore statuisce, per le fondazioni lirico-sinfoniche, un
divieto assoluto di stabilizzazione  del  rapporto  di  lavoro  «come
conseguenza della violazione delle norme in materia  di  stipulazione
di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo
dei medesimi contratti». 
    Come emerge dai lavori  parlamentari  e,  in  particolare,  dalla
relazione illustrativa del disegno di legge di conversione  (A.S.  n.
1014, XVII Legislatura) del d.l. n. 91 del  2013,  il  cui  art.  11,
comma  19,  ultimo  periodo,  e'  l'antesignano  della   norma   oggi
impugnata,  l'esigenza  di  introdurre   una   norma   interpretativa
scaturisce da una  «giurisprudenza  estesa  su  tutto  il  territorio
nazionale»,  che  ha  inteso  in  senso  restrittivo  il  divieto  di
stabilizzazione  sancito  nel  2010,  limitandolo  alle  ipotesi  dei
rinnovi. Il legislatore imputa alla giurisprudenza di avere travisato
il senso  del  d.l.  n.  64  del  2010,  «che  intendeva  evitare  la
stabilizzazione dei rapporti di lavoro». 
    Confliggerebbe, dunque, con tale  ratio  legis  l'interpretazione
restrittiva,  che,  gia'  prima  dell'intervento   della   norma   di
interpretazione, aveva ricevuto l'avallo  della  Corte  nomofilattica
(Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze  30  luglio  2013,  n.
18263, e 26 maggio 2011, n. 11573,  che  inaugurano  un  orientamento
conforme, riferito alla norma interpretata ed espresso, fra le molte,
pur dopo l'entrata in vigore della norma interpretativa, da Corte  di
cassazione, sezione lavoro, sentenze 19 maggio  2014,  n.  10924,  12
maggio 2014, n. 10217, 27 marzo 2014, n.  7243,  20  marzo  2014,  n.
6547, 12 marzo 2014, n. 5748). 
    5.- Nel sancire che il divieto di  conversione  dei  contratti  a
tempo  determinato  in  contratti  a  tempo  indeterminato   non   e'
circoscritto alla materia dei  rinnovi  e  a  quella  connessa  delle
proroghe, ma investe ogni  ipotesi  di  «violazione  delle  norme  in
materia  di  stipulazione  di  contratti  di  lavoro  subordinato   a
termine», la norma impugnata non enuclea una plausibile  variante  di
senso dell'art. 3, comma 6, primo periodo, del d.l. n. 64 del 2010  e
dell'art. 3, quarto e quinto comma, della legge n. 426 del 1977. 
    La norma, oggetto di  interpretazione,  contiene  un  riferimento
specifico ai rinnovi dei contratti a termine. Secondo il  significato
proprio delle parole, che e' canone ermeneutico essenziale  (art.  12
delle disposizioni sulla legge in generale),  il  vocabolo  "rinnovo"
evoca un concetto diverso rispetto a quello  dell'illegittimita'  del
termine, apposto al primo contratto. 
    Se  il  rinnovo  attiene  alla  successione   dei   contratti   e
all'aspetto dinamico del rapporto negoziale, la questione  scrutinata
nel giudizio principale verte su un vizio genetico,  che  inficia  il
contratto sin dall'origine. 
    Non a caso, il legislatore  esclude  ogni  equiparazione  tra  il
rinnovo e l'illegittimita' originaria del  termine  nella  disciplina
dei contratti a tempo  determinato.  "Rinnovo"  e'  termine  tecnico,
riscontrabile  in  tutta  la  legislazione  sui  contratti  a   tempo
determinato, e approda inalterato fino agli sviluppi piu' recenti. 
    L'autonomia  concettuale  dei  rinnovi  traspare  da  una  trama,
variegata e coerente, di disposizioni, i cui fili  essenziali  legano
la legge n. 230 del 1962, che disciplina la materia  all'art.  2,  al
d.lgs.  n.  368  del  2001,  che  al  tema  delle  proroghe  e  della
successione dei contratti dedica gli artt. 4 e 5, e,  da  ultimo,  si
allacciano al d.lgs. n. 81 del 2015, che menziona  le  proroghe  e  i
rinnovi all'art. 21. 
    Anche la disamina  della  disciplina  di  settore  conferma  tale
autonomia   concettuale   e   dimostra   che   e'    proprio    nella
regolamentazione  delle  proroghe  e  dei  rinnovi  che  risiede   la
peculiarita' dei  contratti  a  tempo  determinato  nelle  fondazioni
lirico-sinfoniche. 
    L'intero assetto normativo e' attraversato  da  questi  principi,
che caratterizzano il corso della sua complessa evoluzione e  trovano
significativi elementi di conferma dapprima  nell'art.  3,  quarto  e
quinto comma, della legge n. 426  del  1977,  tributaria  del  regime
pubblicistico degli enti lirici, nell'art. 22, comma 2, del d.lgs. n.
367  del  1996,  che  esonera  le  fondazioni,  oramai  privatizzate,
dall'osservanza delle disposizioni dell'art. 2 della legge n. 230 del
1962 sulle proroghe e sui rinnovi, in seguito nell'art. 11, comma  4,
del  d.lgs.  n.  368  del  2001,  che,  su  impulso  della  direttiva
comunitaria, riproduce tale disposizione derogatoria nell'innovare la
disciplina dei contratti a tempo determinato. 
    Anche l'art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 81 del  2015,  ribadisce,
con riguardo alle proroghe  e  alle  successioni  dei  contratti,  la
disciplina  derogatoria  dei  contratti  a  tempo  determinato  nelle
fondazioni lirico-sinfoniche. 
    Si puo' dunque affermare che la disciplina censurata  attribuisce
alla disposizione del d.l. n. 64 del  2010  un  contenuto  precettivo
dissonante  rispetto   al   significato   della   parola   "rinnovi",
accreditato da una  costante  elaborazione  della  giurisprudenza  di
legittimita'. 
    Non si puo' ritenere, pertanto, che la norma  interpretativa  sia
servita  al  legislatore,  per  emendare  un'imperfezione  del  testo
originario, ripristinando il significato autentico della disposizione
interpretata, o che abbia risolto contrasti  interpretativi,  forieri
di incertezze rilevanti. 
    6.- La  disposizione  impugnata,  che  non  interferisce  con  il
divieto di stabilizzazione nelle ipotesi di  proroghe  e  di  rinnovi
illegittimi, opera in una latitudine circoscritta e riguarda la  sola
ipotesi della violazione delle norme sull'illegittima apposizione del
termine. 
    La  norma  impugnata  lede,  in  pari  tempo,  l'affidamento  dei
consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali
dell'autorita'  giudiziaria  (sentenza   n.   209   del   2010,   per
l'indissolubile legame che unisce tali valori dello stato di diritto,
posti in risalto  anche  dall'ordinanza  di  rimessione  della  Corte
fiorentina). 
    L'affidamento, nel caso di specie, risultava  corroborato  da  un
assetto normativo  risalente,  imperniato  sulla  distinzione  tra  i
rinnovi e le fattispecie di illegittimita' originaria del contratto a
tempo determinato, e da una  giurisprudenza  che  gli  stessi  lavori
parlamentari menzionano e che la legge interpretativa consapevolmente
ribalta, ripercuotendosi sui giudizi in corso e su vicende non ancora
definite. 
    La disciplina impugnata, priva di un appiglio  semantico  con  la
norma oggetto di interpretazione, lede, inoltre, l'autonomo esercizio
della funzione giurisdizionale, in quanto e' suscettibile di definire
i giudizi in corso, travolgendo gli effetti delle pronunce gia' rese. 
    L'illegittimita'   costituzionale   della   norma,   in    quanto
retroattiva, si coglie anche sotto un distinto e  non  meno  cruciale
profilo. 
    Nell'estendere il divieto di conversione del  contratto  a  tempo
determinato oltre i  confini  originariamente  tracciati,  includendo
anche  l'ipotesi  di  un  vizio  genetico  del  contratto   a   tempo
determinato, la norma pregiudica un aspetto fondamentale delle tutele
accordate dall'ordinamento ai rapporti di lavoro, in un contesto gia'
connotato in  senso  marcatamente  derogatorio  rispetto  al  diritto
comune. 
    Del resto, con riguardo ai lavoratori dello spettacolo, la  Corte
di giustizia ha valorizzato il ruolo della "ragione  obiettiva"  come
mezzo adeguato a prevenire gli abusi nella stipulazione dei contratti
a tempo determinato e come punto di equilibrio  tra  il  diritto  dei
lavoratori   alla   stabilita'   dell'impiego   e   le   irriducibili
peculiarita' del settore (sentenza  26  febbraio  2015,  nella  causa
C-238/14, Commissione contro Granducato di Lussemburgo, che  riprende
le affermazioni della sentenza della Corte di giustizia, 26  novembre
2014, nelle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13  e  C-418/13,
Mascolo ed altri). 
    7.- Restano assorbite le censure di violazione dell'art. 3 Cost.,
per  asserita  disparita'  di  trattamento  tra  i  lavoratori  delle
fondazioni lirico-sinfoniche e i lavoratori del settore privato. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  40,  comma
1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni  urgenti
per  il  rilancio  dell'economia),  convertito,  con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98,  nella  parte
in  cui  prevede  che  l'art.  3,  comma  6,   primo   periodo,   del
decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma  1,  della  legge  29  giugno  2010,  n.  100,  si
interpreta nel senso che alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla
loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si  applicano
le  disposizioni  di  legge  che  prevedono  la  stabilizzazione  del
rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle  norme  in
materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  Costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2015. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2015. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI