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N. 243 SENTENZA 5 - 19 maggio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego  pubblico  -  Dipendenti civili e militari dello Stato, degli
 enti  pubblici  non  economici,  delle  Ferrovie  dello   Stato,   ex
 dipendenti O.N.M.I. trasferiti agli enti locali - Trattamento di fine
 rapporto  -  Indennita'  integrativa  speciale - Omessa previsione di
 meccanismi legislativi di computo - Regione Sicilia -  Computo  nella
 indennita'   di   buonuscita   dell'indennita'   di  contingenza  con
 decorrenza 1› gennaio 1985 - Identita' di natura e di funzione  delle
 indennita'  di  fine rapporto in esame - Necessita' di un'equivalenza
 dei  trattamenti  di  fine  lavoro  nel  pubblico  impiego  -  Natura
 retributiva  dell'indennita'  integrativa  speciale  Irragionevolezza
 delle disparita' sostanziali nell'ambito  dei  settori  del  pubblico
 impiego  ed  altresi'  internamente  a ciascuno di essi - Lesione del
 principio di proporzionalita' della retribuzione rispetto  al  lavoro
 prestato  -  Lesione  del principio di sufficienza della retribuzione
 alle necessita' di vita del lavoratore e  della  propria  famiglia  -
 Esclusione,  perche' incongrua, di una pronunzia additiva della Corte
 - Esigenza di  una  graduale  eliminazione  delle  differenze  tra  i
 settori  del lavoro dipendente pubblico e privato - Determinazione di
 idonei meccanismi, atti a realizzare l'equivalenza  delle  indennita'
 di  fine  rapporto, riservata al legislatore nell'ambito delle scelte
 di politica economica e secondo moduli  improntati  al  principio  di
 gradualita'  -  Necessita'  di  un tempestivo intervento in materia -
 Illegittimita' costituzionale - Inammissibilita' - Non fondatezza.
 
 (Combinati disposti dell'art. 1, terzo comma, lettere    b)  e    c),
 della  legge  27  maggio  1959,  n.  324  (Miglioramenti economici al
 personale statale in attivita' ed in quiescenza), con gli artt.  3  e
 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico
 delle  norme  sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti
 civili e militari dello Stato); con gli artt. 13 e 26 della legge  20
 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici
 e del rapporto di lavoro del personale dipendente) e con gli artt. 14
 della   legge  14  dicembre  1973,  n.  829  (Riforma  dell'Opera  di
 previdenza  a  favore  del  personale  dell'Azienda  autonoma   delle
 Ferrovie  dello  Stato)  e  21  della  legge  17  maggio 1985, n. 210
 (Istituzione dell'Ente "Ferrovie dello Stato"; art. 22 della legge  3
 giugno  1975,  n.    160  (Norme per il miglioramento dei trattamenti
 pensionistici e per il collegamento alla dinamica salariale); art.  3
 della  legge  7  luglio  1980,  n.  299  (Conversione  in  legge, con
 modificazioni, del d.-l. 7 maggio 1980, n. 153, concernente norme per
 l'attivita' gestionale e finanziaria degli enti locali per il  1980);
 art. 4 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento
 di  fine  rapporto  e  norme in materia pensionistica); art. 19 della
 legge regione Sicilia 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina  dello  stato
 giuridico  ed  economico del personale dell'amministrazione regionale
 per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla  normativa
 concernente lo stesso personale)).
 
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
(GU n.22 del 26-5-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 3 e 38 del
 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032 (Approvazione del testo  unico  delle
 norme  sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili
 e militari dello Stato); dell'articolo 1, terzo  comma,  lettera  b),
 della  legge  27  maggio  1959  n.  324  (Miglioramenti  economici al
 personale  statale  in  attivita'  ed  in  quiescenza),   nel   testo
 sostituito  dall'articolo 1, primo comma, della legge 3 marzo 1960 n.
 185; degli articoli  13  e  26  della  legge  20  marzo  1975  n.  70
 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di
 lavoro  del  personale  dipendente);  dell'articolo  3  della legge 7
 luglio 1980 n. 299 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L.
 7 maggio 1980, n. 153, concernente norme per l'attivita' gestionale e
 finanziaria degli enti locali per l'anno 1980); dell'articolo 4 della
 legge 29 maggio 1982 n.  297  (Disciplina  del  trattamento  di  fine
 rapporto  e  norme  in materia pensionistica); dell'articolo 14 della
 legge 14 dicembre 1973 n. 829 (Riforma  dell'Opera  di  previdenza  a
 favore  del  personale  dell'Azienda  autonoma  delle  ferrovie dello
 Stato); dell'articolo 21, quarto comma, della legge 17 maggio 1985 n.
 210 (Istituzione dell'ente "Ferrovie dello Stato"); dell'articolo  22
 della  legge  3  giugno  1975  n. 160 (Norme per il miglioramento dei
 trattamenti  pensionistici  e  per  il  collegamento  alla   dinamica
 salariale);  dell'articolo  1,  terzo  comma,  lettere b) e c), della
 legge 27 maggio 1959 n. 324  (Miglioramenti  economici  al  personale
 statale   in  attivita'  ed  in  quiescenza),  nel  testo  sostituito
 dall'articolo 1, primo comma,  della  legge  3  marzo  1960  n.  185;
 nonche' degli articoli 3, 37 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032
 (Approvazione   del   testo   unico  delle  norme  sulle  prestazioni
 previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello  Stato)
 e  dell'articolo 19 della legge della Regione Sicilia 15 giugno 1988,
 n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed  economico  del  personale
 dell'Amministrazione  regionale per il triennio 1985-1987 e modifiche
 ed integrazioni alla  normativa  concernente  lo  stesso  personale),
 promossi  con  ordinanze  emesse  il  17  ottobre  1989 dal Tribunale
 amministrativo  regionale  della  Puglia,  l'8  novembre   1990   dal
 Tribunale  amministrativo  regionale dell'Abruzzo, Sezione distaccata
 di Pescara, il 5 marzo 1990 dal  Tribunale  amministrativo  regionale
 del Lazio, il 19 febbraio 1991 dal Tribunale amministrativo regionale
 della  Sicilia,  il  28  novembre  1990  dal Tribunale amministrativo
 regionale della Lombardia, il 13 giugno 1991 dal Pretore di Roma,  il
 4  giugno  1991  dalla  Corte  di cassazione, il 15 novembre 1991 dal
 Consiglio di Stato, il 6 novembre 1991 dal  Tribunale  amministrativo
 regionale  della  Sicilia,  Sezione  distaccata  di  Catania,  il  13
 dicembre 1991 dal Consiglio  di  Stato  e  il  7  febbraio  1992  dal
 Tribunale  amministrativo regionale della Sicilia, Sezione distaccata
 di Catania, rispettivamente iscritte ai nn. 5, 66, 89, 389, 448 e 688
 del  registro  ordinanze  1991  e  ai nn. 50, 140, 245, 585 e 666 del
 registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica  nn. 5, 8, 9, 23, 27 e 46, prima serie speciale, dell'anno
 1991 e nn. 7, 13, 20, 42 e 43, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli  atti  di  costituzione  di  Tarsia  Giacomo,  Iacobelli
 Marcella  ed  altri, di Basola Nemes Carla Maria, di Archetti Rosa ed
 altri, di Munafo' Trifiro' Marina,  di  Ceraldi  Franco  ed  altri  e
 dell'I.N.A.D.E.L.  nonche'  gli atti di intervento del Presidente del
 Consiglio dei Ministri e della Regione Sicilia;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  18  novembre  1992  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  gli  avvocati Franco Agostini per Tarsia Giacomo, Iacobelli
 Marcella ed altri, Fabio Lorenzoni  per  Basola  Nemes  Carla  Maria,
 Carlo  Rienzi  per  Archetti  Rosa  ed  altri,  Francesco Mobilia per
 Munafo' Trifiro' Marina, Edoardo Ghera e Luciano Ventura per  Ceraldi
 Franco ed altri, Giuseppe La Loggia per l'I.N.A.D.E.L. e gli Avvocati
 dello  Stato  Gaetano  Zotta  e  Giuseppe Stipo per il Presidente del
 Consiglio dei ministri e per la Regione Sicilia;
                           Ritenuto in fatto
 1. - Il Tribunale amministrativo regionale della Puglia con ordinanza
 del 17 ottobre 1989 (r.o. n. 5 del  1991),  quello  dell'Abruzzo  con
 ordinanza  dell'8  novembre  1990 (r.o. n. 66 del 1991), quello della
 Lombardia con ordinanza del 28 novembre 1990 (r.o. n. 448 del  1991),
 il Consiglio di Stato con ordinanza del 15 novembre 1991 (r.o. n. 140
 del  1992)  e  il  Tribunale  amministrativo regionale della Sicilia,
 sezione distaccata di Catania, con  ordinanza  del  7  febbraio  1992
 (r.o.  n.  666  del  1992), hanno sollevato questione di legittimita'
 costituzionale delle norme  che  escludono  l'indennita'  integrativa
 speciale  dalla  retribuzione da assumere come base di calcolo per la
 determinazione dell'indennita' di buonuscita spettante  al  personale
 civile  e  militare  dello  Stato.  I  giudici  remittenti denunziano
 l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  che  tale   disciplina
 determina  rispetto  al regime generale vigente per il lavoro privato
 in  virtu'  dell'articolo  2120  cod.  civ.,  nel  testo   modificato
 dall'articolo 1 della legge 29 maggio 1982 n. 297, (che stabilisce il
 carattere   omnicomprensivo   della   retribuzione   computabile  nel
 trattamento  di  fine  rapporto),  nonche'  rispetto  alla  normativa
 applicabile   ad  altre  categorie  di  dipendenti  pubblici  (ed  in
 particolare ai dipendenti degli enti locali per effetto dell'articolo
 3 della legge 7 luglio 1980 n. 299, secondo cui, a  decorrere  dal  1
 gennaio  1974,  l'indennita'  integrativa speciale corrisposta a tale
 personale e' da computare nell'indennita'  premio  di  servizio).  In
 collegamento  con  la  dedotta  lesione del principio di uguaglianza,
 viene  denunziata  anche  la  violazione   dell'articolo   36   della
 Costituzione,  in  ragione  della  natura retributiva dell'indennita'
 integrativa speciale, e della natura  di  retribuzione  differita  da
 riconoscersi  al  trattamento  di  fine servizio, quale che ne sia la
 denominazione, la disciplina, i meccanismi di provvista finanziaria e
 il soggetto erogatore.
    In talune ordinanze viene fatto riferimento anche all'articolo  38
 della   Costituzione,   in   ragione   della  funzione  previdenziale
 dell'indennita' di buonuscita.
    Le   disposizioni  legislative  investite  da  tali  censure  sono
 rappresentate dall'articolo 1, terzo comma, lettera b) della legge 27
 maggio  1959  n.  324  e  successive   modificazioni   (secondo   cui
 l'indennita' integrativa speciale non e' computabile agli effetti del
 trattamento   di  quiescenza,  di  previdenza  e  dell'indennita'  di
 licenziamento) e dagli articoli 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n.
 1032, che,  nel  definire  la  "base  contributiva"  da  prendere  in
 considerazione  per  la  determinazione dell'indennita' di buonuscita
 spettante al personale statale, ne escludono l'indennita' integrativa
 speciale, dato che vi comprendono solo lo stipendio,  la  paga  o  la
 retribuzione  annui, nonche' alcuni assegni specificatamente indicati
 e gli altri assegni e indennita' previsti dalla legge come  utili  ai
 fini  del  trattamento  previdenziale.   L'ordinanza del Consiglio di
 Stato  del  15  novembre  1991  (r.o.  n.    140  del  1992)  estende
 l'incidente   anche   alla   lettera   c)   del  citato  terzo  comma
 dell'articolo 1, legge n. 324 del 1959 e all'articolo 37  del  citato
 d.P.R.  n.  1032 del 1973 in ragione dell'esclusione - determinata da
 tali norme - dell'indennita' integrativa speciale dalla contribuzione
 previdenziale prevista in funzione dell'indennita' di buonuscita.  2.
 - Questione analoga e' stata sollevata dai  Tribunali  amministrativi
 regionali  del  Lazio  con ordinanza del 5 marzo 1990 (r.o. n. 89 del
 1991), da quello della Sicilia con ordinanza  del  19  febbraio  1991
 (r.o.  n. 389 del 1991) e dal Consiglio di Stato con ordinanza del 13
 dicembre 1991 (r.o. n. 585 del 1991), in relazione all'indennita'  di
 anzianita'   prevista  per  i  dipendenti  degli  enti  pubblici  non
 economici a norma dell'articolo 13 della legge 20 marzo 1975  n.  70.
 Le  norme  che  in  questo settore escludono l'indennita' integrativa
 speciale dal computo dell'indennita' di  anzianita'  e  che  pertanto
 vengono   sottoposte   al   vaglio   della  Corte  sono  diversamente
 individuate nelle tre ordinanze  di  rimessione.    I  due  Tribunali
 amministrativi  regionali,  infatti, denunziano gli articoli 13 e 26,
 terzo comma, della suddetta legge n. 70 del 1975 (la  prima  di  tali
 norme commisura l'indennita' di anzianita' all'ultimo stipendio annuo
 complessivo  e  la  seconda,  secondo l'interpretazione che ne da' la
 giurisprudenza del Consiglio di Stato,  stabilisce  che  l'indennita'
 integrativa speciale e' corrisposta ai dipendenti degli enti pubblici
 non  economici  "nella misura e con le forme vigenti per il personale
 civile dello Stato").   Il  Tribunale  amministrativo  regionale  del
 Lazio,  peraltro,  coinvolge  nella  censura  anche: a) l'articolo 4,
 della legge 29 maggio 1982 n. 297,  nella  parte  in  cui  esclude  i
 dipendenti pubblici dall'applicazione della nuova disciplina generale
 del  trattamento  di  fine  rapporto, pur dichiarata applicabile, dal
 quarto comma del medesimo articolo 4, "a tutti i rapporti  di  lavoro
 subordinato  per  i  quali  siano  previste  forme  di  indennita' di
 anzianita', di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate  e  da
 qualsiasi  fonte disciplinate"; b) l'articolo 3, della legge 7 luglio
 1980 n. 299 che ha  riconosciuto  la  computabilita'  dell'indennita'
 integrativa   speciale   nel  trattamento  di  fine  servizio  per  i
 dipendenti degli enti locali e  non  anche  per  tutti  i  dipendenti
 pubblici.   Nella citata ordinanza del Consiglio di Stato, invece, la
 censura e' rivolta alle medesime norme che disciplinano  l'indennita'
 integrativa  speciale  e  l'indennita' di buonuscita per il personale
 dello Stato (articolo 1 della legge n. 324 del 1959 e articoli 3 e 38
 del d.P.R. n. 1032  del  1973)  ritenute,  dalla  giurisprudenza  del
 Consiglio   di   Stato,   valevoli   anche   per  la  disciplina  dei
 corrispondenti istituti nel settore del  parastato.    3.  -  Analoga
 questione  e'  stata sollevata dal Pretore di Roma, con ordinanza del
 13 giugno 1991 (r.o. n. 688 del 1991), con riferimento all'indennita'
 di buonuscita corrisposta dall'O.P.A.F.S. -  Opera  di  Previdenza  e
 Assistenza  per  i  Ferrovieri  dello  Stato - al personale dell'Ente
 Ferrovie  dello  Stato.    La  censura,  in  questo   caso,   investe
 congiuntamente l'articolo 14 della legge 14 dicembre 1973 n. 829, che
 regola  la determinazione dell'indennita' di buonuscita in questione,
 e l'articolo 21, quarto comma, della legge 17  maggio  1985  n.  210,
 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, secondo cui "fino a quando
 non   sara'   disciplinato   l'assetto   generale   del   trattamento
 previdenziale e pensionistico dei lavoratori dipendenti, rimane fermo
 il trattamento in atto".  4. - Analoga questione e'  stata  sollevata
 dalla  Suprema  Corte  di  Cassazione con ordinanza del 4 giugno 1991
 (r.o. n. 50 del 1992) con riferimento al  personale  gia'  dipendente
 dell'O.N.M.I.  e  trasferito, dopo la soppressione di tale ente, alle
 dipendenze di enti locali. La questione attiene,  piu'  precisamente,
 alla  liquidazione  di  quella parte del trattamento di fine servizio
 che corrisponde alla durata del rapporto di impiego con l'O.N.M.I.  e
 riguarda  soltanto  il personale collocato a riposo prima della legge
 27 ottobre 1988 n. 482 (che, all'articolo  6,  ha  disposto,  per  il
 personale  in oggetto, la ricongiunzione della complessiva anzianita'
 maturata presso l'ente di  provenienza  ai  fini  della  liquidazione
 dell'indennita'   premio   di  servizio).     I  profili  prospettati
 nell'ordinanza,  peraltro,  sono  riferiti   alla   generalita'   dei
 dipendenti  pubblici  il cui trattamento di buonuscita non prevede il
 computo dell'indennita' integrativa speciale.   Le  norme  impugnate,
 infatti,  sono  rappresentate,  congiuntamente:  a) dall'articolo 22,
 della legge  3  giugno  1975  n.  160,  che  assoggetta  l'indennita'
 integrativa   speciale,   a   partire   dal   1  gennaio  1974,  alla
 contribuzione  previdenziale,  senza  peraltro  farne  conseguire  la
 computabilita' per il calcolo del trattamento previdenziale stesso, e
 cioe' per il calcolo dell'indennita' di buonuscita; b) dal gia' detto
 articolo  3,  della  legge n. 299 del 1980, che, dall'assoggettamento
 dell'indennita' integrativa speciale alla contribuzione previdenziale
 fa  invece  discendere  la  computabilita'  di  essa  ai   fini   del
 trattamento  di  fine  servizio,  ma solo per i dipendenti degli enti
 locali e non anche per  tutti  i  dipendenti  pubblici.    5.  -  Con
 ordinanza  del  6  novembre  1991  (r.o. n. 245 del 1992), infine, il
 Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione  distaccata
 di Catania, denunzia l'illegittimita' dell'esclusione dell'indennita'
 integrativa   speciale  dal  computo  dell'indennita'  di  buonuscita
 corrisposta ai dipendenti della Regione siciliana collocati a  riposo
 prima  del  1  gennaio 1985.   La norma impugnata e' rappresentata in
 questo caso dall'articolo  19  della  legge  regionale  siciliana  15
 giugno  1988  n.  11  che  elimina  tale  esclusione,  ma  solo per i
 dipendenti collocati a riposo  dopo  tale  data.  Il  giudice  a  quo
 ritiene  che  tale  discriminazione  temporale  sia  ingiustificata e
 quindi in contrasto con l'articolo 3 in collegamento  con  l'articolo
 36 della Costituzione.  6. - Gli argomenti esposti nelle ordinanze di
 rimessione e nelle difese degli ex dipendenti costituiti nel giudizio
 davanti a questa Corte sono in gran parte comuni.  I giudici a quibus
 sono  consapevoli che questa Corte si e' gia' pronunziata su analoghe
 questioni  (sentenza n. 220/1988; ordinanze nn. 639, 869, 915, 1070 e
 1072 del 1988; 419/1989; 143, 189, 217, 218,  402  e  491  del  1990)
 dichiarandole   inammissibili   o   manifestamente  inammissibili  ed
 affermando che rientra nella discrezionalita' legislativa disporre in
 merito alla determinazione della base retributiva da computare per  i
 trattamenti  di fine rapporto nonche' in merito ai modi e alla misura
 di tali trattamenti.   Talune  delle  ordinanze  di  rimessione,  (in
 particolare  quella del Consiglio di Stato del 15 novembre 1991, r.o.
 n. 140 del 1992), esprimono la richiesta di un  superamento  di  tale
 impostazione, osservando che il riconoscimento della discrezionalita'
 legislativa  nella  regolamentazione  di  una determinata materia non
 puo' mai valere a precludere il vaglio di costituzionalita' volto  ad
 accertare  che  il legislatore, nell'esercizio della discrezionalita'
 che gli compete, non abbia superato i limiti  o  violato  i  principi
 posti dalla Costituzione.
    Tutte  le  ordinanze,  peraltro,  ricordano  e sottolineano quanto
 enunciato gia' nella sentenza  n.  220/1988,  e  cioe'  che  appariva
 "ormai  indilazionabile  un intervento legislativo volto a ricondurre
 verso una disciplina omogenea i trattamenti di quiescenza nell'ambito
 dell'impiego pubblico. Anche se  giustificabili  alla  stregua  delle
 singole  disposizioni, dalle quali risulta, il sistema gia' soffre di
 sperequazioni sostanziali, che toccano le diverse categorie.
    L'accentuazione frazionistica  attraverso  la  prosecuzione  dello
 spezzettamento   normativo,   conseguente   ad  interventi  parziali,
 limitati e particolari, potrebbe condurre a valutazioni globali della
 normativa,  che,  sulla   base   dell'accentuazione   del   carattere
 irrazionale delle singole componenti, imporrebbero una valutazione di
 illegittimita' della normazione complessiva".
    Tale  monito  era stato poi reiterato con le ordinanze nn. 419 del
 1989, 143, 189, 217, 218,  402  e  491/1990,  nelle  quali  la  Corte
 rivolgeva  un  "pressante  invito  al legislatore di procedere ad una
 sistemazione organica della materia che  realizzi  l'omogeneita'  dei
 trattamenti".
    Queste sollecitazioni - rilevano i giudici a quibus - sono rimaste
 inascoltate  dal legislatore, sicche' si impone ora una pronunzia che
 elimini le disomogeneita' che  la  Corte  stessa  ha  riconosciuto  e
 denunziato.
    7.  -  Svolgendo il tema della dedotta violazione del principio di
 uguaglianza i  giudici  remittenti  negano  che  la  possibilita'  di
 istituire  un  raffronto  tra l'indennita' di buonuscita spettante al
 personale  dello  Stato,  l'indennita'  di  anzianita'  spettante  ai
 dipendenti  degli enti pubblici non economici, l'indennita' premio di
 servizio spettante ai dipendenti locali  e  il  trattamento  di  fine
 rapporto  spettante  ai dipendenti privati sia preclusa dalla diversa
 natura  di  tali  istituti  ovvero  dalla   diversita'   della   loro
 disciplina,  o  dalla diversita' dei rapporti di lavoro ai quali essi
 si collegano.   Con riferimento  alla  pretesa  natura  previdenziale
 dell'indennita'   di   buonuscita  e  al  conseguente  meccanismo  di
 alimentazione (mediante contributi parzialmente posti a carico  dello
 stesso   lavoratore)  e  di  erogazione  (da  parte  di  un  istituto
 previdenziale), si  osserva  che  tale  profilo  non  puo'  valere  a
 legittimare una differenza di trattamento tra impiegati dello Stato e
 impiegati  degli  enti locali, posto che anche l'indennita' premio di
 servizio spettante a questi ultimi presenta gli stessi  caratteri  ed
 e'  erogata  da  un  istituto  previdenziale sulla base di contributi
 posti, per una quota, a carico del lavoratore.
    La stessa Corte costituzionale - si afferma -  ha  successivamente
 disatteso  tale  impostazione, allorquando, con le sentenze nn. 763 e
 821 del 1988, ha dichiarato illegittime talune norme  che  regolavano
 l'indennita'  premio  di  servizio  corrisposta  dall'I.N.A.D.E.L. in
 maniera  deteriore  rispetto  alla  disciplina   dell'indennita'   di
 buonuscita  corrisposta  dall'E.N.P.A.S..  Non  si  comprenderebbe  -
 rileva in particolare la Corte di cassazione - la ragione per cui  la
 parificazione  tra  la  posizione  dei dipendenti degli enti locali e
 quella dei dipendenti dello Stato non debba essere attuata anche  nel
 senso  opposto,  eliminando  cioe'  quelle disposizioni che negano ai
 dipendenti statali (e a quelli ad essi assimilati)  diritti  inerenti
 al  trattamento  di  fine  rapporto  che  sono  invece  accordati  ai
 dipendenti pubblici iscritti all'I.N.A.D.E.L.   Il  medesimo  profilo
 viene invece ritenuto inconferente per cio' che riguarda l'indennita'
 di  anzianita' spettante al personale degli enti pubblici economici a
 norma dell'articolo 13 della legge n. 70 del 1975. Le ordinanze e  le
 difese  che si riferiscono a tale comparto sottolineano, infatti, che
 la suddetta indennita'  di  anzianita',  esattamente  alla  pari  del
 trattamento  di  fine  rapporto previsto per i lavoratori privati, e'
 corrisposta dallo stesso datore  ed  e'  posta  integralmente  a  suo
 carico,  sicche'  non  sarebbe in alcun modo possibile dubitare della
 totale identita' dei due istituti.
    Piu' in generale le ordinanze di  rimessione  (ed  in  particolare
 quelle   del   Consiglio   di   Stato)  sostengono  che  la  funzione
 previdenziale eventualmente attribuibile all'indennita' di buonuscita
 non varrebbe comunque a negarne la natura di retribuzione  differita,
 ormai  riconosciuta - anche dalla Corte costituzionale - come propria
 di tutti i trattamenti di fine rapporto. I quali sono connotati -  e'
 vero - da notevoli diversita' di regolamentazione - in relazione alla
 diversita'  delle  loro  origini  storiche,  peraltro  superata dalla
 successiva  evoluzione  legislativa  -  ma  tutti  rappresentano,  in
 realta' il risultato dell'accantonamento di una quota di retribuzione
 (presso  lo  stesso  datore di lavoro ovvero presso un apposito ente:
 un'ipotesi, quest'ultima, che l'articolo  2123  prevedeva  del  resto
 anche  per il rapporto di lavoro privato) da corrispondere una tantum
 al momento della cessazione del rapporto per sopperire alle  esigenze
 che  a  tale evento si collegano. E la previsione, per alcuni di tali
 trattamenti di fine rapporto, di meccanismi di stampo previdenziale -
 ovvero basati su  versamenti  contributivi  ad  un  ente  esterno  al
 rapporto  di  lavoro  -  e'  un  dato che attiene alla strumentazione
 prescelta per la realizzazione finanziaria dell'istituto, ma a  nulla
 vale per differenziarne la funzione o per escluderne la comune natura
 di  retribuzione  differita.  In  argomento l'ordinanza del Tribunale
 amministrativo regionale del Lazio (r.o. n. 89 del 1991) ricorda  che
 cio'   e'   stato   rilevato  dalla  stessa  Corte,  con  l'esplicita
 affermazione che "tra le indennita' di fine rapporto  possono  bensi'
 sussistere differenze di dettaglio inerenti alle peculiarita' proprie
 di  ciascuna,  ma  nella  sostanza esse sono analoghe ed omogenee per
 finalita' da realizzare sicche'  la  loro  disciplina  sostanziale  e
 fondamentale non puo' essere differente" (sentenza n. 763/1988).
    Ne'  potrebbe  valere,  al  fine di legittimare o comunque rendere
 insindacabili le denunziate disparita'  di  trattamento,  addurre  la
 diversita' dei rapporti di lavoro ai quali si collegano i trattamenti
 posti a raffronto. Tale argomento - rilevano i giudici a quibus - non
 puo'  evidentemente  essere  speso  rispetto alla comparazione con il
 premio di servizio corrisposto  dall'I.N.A.D.E.L.,  dal  momento  che
 pubblico  impiego  statale,  pubblico impiego alle dipendenze di enti
 pubblici non economici e pubblico impiego  alle  dipendenze  di  enti
 locali non presentano, nei reciproci confronti, alcuna differenza che
 sia  idonea  a giustificare la disparita' in esame. Ed anzi lo stesso
 legislatore  -  osserva  la  difesa  privata  nel  giudizio  promosso
 dall'ordinanza  del  Pretore  di  Roma  (r.o.  n. 688 del 1991) - con
 l'articolo 4 della legge quadro sul pubblico impiego (n. 93 del 1983)
 ha inteso imporre espressamente il criterio  dell'omogeneizzazione  e
 della   perequazione  come  principio  fondamentale  dell'ordinamento
 legislativo dello Stato.
    Ma - si afferma in talune ordinanze (ed in particolare  in  quella
 emessa  dal  Consiglio  di Stato il 13 dicembre 1991, r.o. n. 585 del
 1992) - il raffronto all'interno  del  pubblico  impiego  -  che  pur
 rivela  gia'  di  per  se'  la denunziata discriminazione a danno dei
 dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici -  non  e'
 sufficiente.
    Il  quadro  di riferimento da assumere, per accertare se esiste un
 trattamento previsto in via generale ed ordinaria rispetto  al  quale
 quello   riservato   a  tali  due  categorie  e'  ingiustificatamente
 deteriore, e' rappresentato dall'intero mondo del lavoro, sia privato
 che pubblico, atteso che la  nostra  Costituzione  non  consente,  in
 alcuna  sua  norma,  di  affermare una diversita' strutturale o tanto
 meno ontologica tra rapporto  di  lavoro  privato  e  pubblico.    E'
 indiscutibile - osserva il giudice amministrativo - che la disciplina
 dei   singoli   rapporti   di   lavoro   speciali  sia  rimessa  alla
 discrezionalita'  del  legislatore,  ma   appunto   l'uso   di   tale
 discrezionalita'  solleva  dubbi di costituzionalita' nella misura in
 cui  si  discosti  dal  quadro  generale  di  riferimento  attraverso
 eccezioni  ingiustificatamente  deteriori. E il quadro di riferimento
 "ordinario",  nel  senso  sopra  accennato,  in  relazione  al  quale
 giudicare  della eccezionalita' di un trattamento, e' costituito, nel
 settore giuslavoristico allargato, da: 1) riconoscimento del  diritto
 ad  un  trattamento  di  fine rapporto considerato quale retribuzione
 differita; 2) inclusione nel concetto di  retribuzione  di  qualsiasi
 meccanismo  economico atto a salvaguardare la retribuzione stessa dai
 danni prodotti dall'inflazione.   In talune  ordinanze  e  in  talune
 difese private (in particolare in quella svolta nel giudizio relativo
 all'indennita' di buonuscita erogata dall'O.P.A.F.S., r.o. n. 688 del
 1991)  si  osserva  che  anche  qui si e' in presenza di un principio
 generale enunciato dallo stesso legislatore anche se poi dallo stesso
 contraddetto: il gia' ricordato quarto comma  dell'articolo  4  della
 legge  n.  297  del  1982,  infatti, enuncia la validita' della nuova
 disciplina del trattamento di fine rapporto per "tutti i rapporti  di
 lavoro  subordinato per i quali siano previste forme di indennita' di
 anzianita', di fine lavoro, di buonuscita, comunque denominate  e  da
 qualsiasi  fonte disciplinate".  Una formulazione questa - si osserva
 - dalla quale si evince chiaramente la volonta'  del  legislatore  di
 affermare  un principio di validita' generale, applicabile a tutte le
 categorie di rapporti, privati  e  pubblici;  sicche'  il  successivo
 sesto  comma,  secondo  cui resta ferma la disciplina legislativa del
 trattamento  di  fine  servizio  dei  dipendenti   pubblici,   appare
 rappresentare   una   contraddizione  interna  non  razionale  e  non
 giustificabile.
    La piena legittimita' di una comparazione con  la  disciplina  del
 trattamento di fine rapporto applicabile al settore privato viene poi
 sostenuta   dalle  ordinanze  concernenti  i  dipendenti  degli  enti
 pubblici non economici (ed in particolare dalla citata ordinanza  del
 Tribunale  amministrativo  regionale  del Lazio, r.o. n. 89 del 1991)
 sotto lo specifico e gia' menzionato profilo della piena identita' di
 struttura tra l'indennita' di anzianita' di cui all'articolo 13 della
 legge n. 70 del 1975  e  il  trattamento  di  fine  rapporto  di  cui
 all'articolo  2120  cod.  civ.    Infine,  l'argomento della presunta
 diversita' tra impiego pubblico e lavoro privato  viene  giudicato  a
 priori  inidoneo a giustificare il trattamento deteriore riservato ai
 dipendenti dell'ente Ferrovie dello Stato, il  cui  rapporto  -  come
 sottolineano l'ordinanza del Pretore di Roma e la difesa svolta dalle
 parti  private  nel  conseguente  giudizio  - ha natura privatistica.
 Talune ordinanze affrontano anche la tesi secondo cui  la  diversita'
 di  disciplina  tra  il  regime I.N.A.D.E.L. ed il regime applicabile
 agli  altri  dipendenti   pubblici   sarebbe   collegata   al   fatto
 (espressamente  enunciato nell'articolo 3 della legge n. 299 del 1980
 e richiamato dalla sentenza  n.  220/1988)  che  nel  primo  di  tali
 comparti  l'indennita'  integrativa  speciale  e'  assoggettata  alla
 contribuzione cosiddetta previdenziale, mentre negli altri non lo e'.
 Al  riguardo  viene  affermato  (in  particolare  nell'ordinanza   di
 rimessione  della  Cassazione,  r.o.  n.  50  del  1992) che, a norma
 dell'articolo 22 della legge n. 160 del 1975 l'indennita' integrativa
 speciale spettante agli impiegati dello Stato (e quindi anche  quella
 spettante  a  tutti i dipendenti pubblici) e' stata assoggettata alla
 contribuzione cosiddetta previdenziale  a  decorrere  dal  1  gennaio
 1974.  Ne' puo' ritenersi che il citato articolo 22 concerne soltanto
 la contribuzione relativa agli assegni familiari: l'articolo 12 della
 legge n. 153 del 1969, cui tale norma fa riferimento,  detta  infatti
 prescrizioni  che  sono  state sempre ritenute di valenza generale, e
 cioe' applicabili a qualunque forma di contribuzione, ed in tal senso
 - riferisce il giudice a quo  -  l'articolo  22  e'  stato  di  fatto
 applicato  dalle  amministrazioni  interessate.    Diversa  e' invece
 l'argomentazione svolta su questo punto dal Consiglio di  Stato,  con
 l'ordinanza  del 15 novembre 1991 (r.o. n. 140 del 1992). Premessa la
 natura  incontestabilmente  retributiva  dell'indennita'  integrativa
 speciale  e premesso altresi' il principio che la retribuzione cui fa
 riferimento l'articolo 36,  primo  comma  della  Costituzione  e'  la
 retribuzione  lorda,  comprensiva cioe' degli oneri tributari e delle
 contribuzioni previdenziali, sia per la parte gravante sul lavoratore
 che per quella facente carico all'Amministrazione, il giudice  a  quo
 afferma  che le norme impugnate appaiono in contrasto con il suddetto
 articolo 36, primo comma, proprio  per  il  fatto  di  escludere  che
 l'indennita'  integrativa speciale sia maggiorata della contribuzione
 previdenziale  a  carico  dell'Amministrazione   oltreche'   per   la
 conseguenziale  riduzione  della  retribuzione  globale  che cosi' si
 determina  con  riferimento  alla  misura  del  trattamento  di  fine
 servizio.
    Infine,  nell'ordinanza di rimessione del Pretore di Roma (r.o. n.
 688 del 1991) si pone in  rilievo  che  l'esclusione  dell'indennita'
 integrativa speciale dal computo del trattamento di fine servizio non
 puo'   essere   considerata   alla   stregua   di   una   di   quelle
 differenziazioni di dettaglio che legittimamente (perche'  rientranti
 nella incensurabile discrezionalita' legislativa) possono registrarsi
 nella disciplina di istituti analoghi ma inseriti in regimi normativi
 molto diversificati tra loro, quali sono quelli che regolano le varie
 categorie  di  rapporti  di  lavoro  pubblico e privato. Infatti - si
 osserva - l'eliminazione, dal trattamento accantonato  e  corrisposto
 in  via  differita,  di  una  voce  retributiva  a  carattere fisso e
 permanente, espressamente intesa a conservare  il  potere  d'acquisto
 reale  dei salari e degli stipendi e che, progressivamente, e' venuta
 a rappresentare una quota sempre maggiore, quando non  maggioritaria,
 della  retribuzione effettiva - si risolve anche, necessariamente, in
 una violazione del principio di proporzionalita'  della  retribuzione
 (differita) con la qualita' e quantita' del lavoro prestato.
   Tale  rilievo  viene  poi  posto  in relazione all'evoluzione della
 disciplina   legislativa   dell'indennita'    integrativa    speciale
 (ripercorsa  in  modo  particolarmente  analitico nelle difese che in
 questo giudizio hanno svolto gli  ex  dipendenti  dell'ente  Ferrovie
 dello  Stato):  quest'ultima  si  e'  venuta  sempre  piu' omologando
 all'indennita'  di  contingenza   corrisposta   ai   privati,   cosi'
 evidenziando  l'irrazionalita' della diversita' delle relative disci-
 pline per quanto concerne la computabilita' nei trattamenti  di  fine
 servizio  (dei  quali,  in  parallelo,  e' venuta progressivamente ad
 evidenziarsi l'identita' di natura e funzione, pur  nella  diversita'
 delle  articolazioni  normative).   8. - Nei giudizi davanti a questa
 Corte, esclusi quelli relativi alle ordinanze iscritte ai nn.  245  e
 666  del  1992,  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato   dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato
 richiamando, per quanto riguarda le questioni relative all'indennita'
 di   buonuscita,  le  numerose  pronunzie  di  inammissibilita'  gia'
 intervenute  sul  punto.  Con  riferimento,  invece,  alle  questioni
 attinenti  all'indennita'  di anzianita' di cui all'articolo 13 della
 legge n. 70 del 1975, l'Avvocatura sostiene che vale anche  per  essa
 il  medesimo  giudizio  di  inammissibilita'  "essendo  di  esclusiva
 competenza del legislatore determinare, in relazione  alla  struttura
 complessiva  della  retribuzione e dei trattamenti di fine rapporto e
 pensionistici,  nell'ambito  di   ciascun   sistema   retributivo   e
 previdenziale,  la  misura  dei  vari  tipi  di  indennita' dovute al
 dipendente  al  termine  del  rapporto  di  lavoro  e   non   essendo
 comparabile,  a  detto  fine,  la posizione dei dipendenti degli enti
 pubblici di cui alla legge n. 70 del 1975, con quella dei  dipendenti
 privati,  ne'  con  quella  dei dipendenti iscritti all'I.N.A.D.E.L.,
 appartenendo essi a sistemi differenziati".  Nel merito, l'Avvocatura
 ha sostenuto che la questione di legittimita' costituzionale in esame
 e'  da  considerare  infondata  per  difetto  della  identita'  delle
 posizioni  dei  dipendenti  pubblici  e  privati che hanno diritto al
 trattamento di fine rapporto, avuto riguardo sia  alla  eterogeneita'
 dei  rapporti,  sia  alla  diversita'  strutturale  degli istituti in
 questione.
    Ne'  potrebbe  essere  validamente  operato   un   raffronto   con
 l'indennita'  di  fine servizio corrisposta dall'I.N.A.D.E.L. ai suoi
 iscritti, perche' la struttura stessa dei due  sistemi  previdenziali
 e' diversa e non confrontabile.  Ricorda l'Avvocatura che la Corte ha
 piu'  volte  affermato che ai fini dell'articolo 3 della Costituzione
 e'  determinante,  per  impedire  una  valutazione  comparativa,   la
 diversita' strutturale delle indennita' raffrontate. Pur apparendo le
 stesse  equivalenti  sia  per  finalita',  che  per struttura, non e'
 tuttavia possibile istituire il raffronto  per  la  diversita'  della
 regolamentazione  dei  rapporti  cui  esse  accedono. Invero, come e'
 stato rilevato con la  sentenza  n.    26/1980,  "non  sussiste,  sia
 riguardo  al  trattamento  economico  in  attivita'  di servizio, sia
 riguardo  al  sistema  contributivo  preordinato  al  trattamento  di
 quiescenza, quella parita' di situazioni che e' il presupposto per la
 valutazione   della   legittimita'   costituzionale,  in  riferimento
 all'articolo 3 della Costituzione, di una diversita' di  disciplina".
 Ed  infatti  "la  dedotta  valutazione  comparativa  non  puo' essere
 limitata a singole disposizioni dei due  diversi  sistemi,  anche  se
 possa  risultare  una  diversita'  di trattamento, in quanto le norme
 particolari considerate non possono essere  avulse  dal  sistema  cui
 ineriscono".
    Quanto  poi  la  disciplina  del  trattamento di fine rapporto sia
 differente, tanto da impedire qualsiasi possibilita' di raffronto fra
 l'indennita'  di  fine  servizio  corrisposta  dall'I.N.A.D.E.L.,   e
 l'indennita'  di  anzianita' corrisposta dall'ente pubblico datore di
 lavoro, risulta evidente - secondo l'Avvocatura -  se  solo  si  pone
 mente ai seguenti fattori: a) la diversa natura delle due indennita',
 quella  dell'I.N.A.D.E.L.,  avente  fini previdenziali, e la seconda,
 avente natura retributiva; b) nel sistema I.N.A.D.E.L. il  lavoratore
 contribuisce   con   l'ente   locale  ad  accantonare  le  somme  che
 costituiranno la provvista per il pagamento  dell'indennita',  mentre
 nel regime della legge n. 70 del 1975 l'indennita' di anzianita' e' a
 totale carico dell'ente datore di lavoro; c) nel sistema I.N.A.D.E.L.
 e'  appunto  l'ente previdenziale a dover corrispondere l'indennita',
 essendo  l'obbligo  dell'ente  locale  assolto  con   il   versamento
 periodico  dei relativi contributi; nel secondo caso e' l'ente datore
 di lavoro debitore dell'indennita' di anzianita'.
    Che poi il trattamento di fine  servizio  dell'impiego  privato  e
 quello  degli  impiegati  degli enti pubblici di cui alla legge n. 70
 del 1975 siano strutturalmente diversi e  non  confrontabili  fra  di
 loro,   e'   dimostrato  non  soltanto  dal  fatto  che  l'indennita'
 integrativa  speciale  ha  natura  previdenziale,  ma   anche   dalla
 circostanza  che  nell'impiego  privato l'indennita' di anzianita' e'
 costituita da quote di retribuzione accantonate dal datore di  lavoro
 e  indicizzate  secondo  le disposizioni di cui alla legge n. 297 del
 1982, mentre quella spettante agli impiegati  pubblici  in  questione
 viene  attribuita  sulla  base  dell'ultimo stipendio percepito dagli
 interessati  all'atto  della  cessazione  del  servizio.  Il  che  e'
 certamente  un  vantaggio  di  notevole  consistenza,  che  e'  arduo
 valutare e quantificare per  raffrontarlo  col  trattamento  di  fine
 servizio   dell'impiego  privato.     In  relazione  alla  ipotizzata
 violazione dell'articolo 36 della Costituzione, l'Avvocatura  osserva
 che  l'indennita' integrativa speciale, ha natura previdenziale e non
 retributiva, diversamente da quanto accade invece per la  contingenza
 nell'impiego  privato.    Sicche',  anche a voler condividere la tesi
 secondo  cui  la  retribuzione  differita  rappresenta  nel   vigente
 ordinamento costituzionale un'entita' fatta oggetto, sul piano morale
 e   su   quello   patrimoniale,   di   particolare  protezione,  deve
 considerarsi che l'indennita'  integrativa  speciale  non  ha  natura
 retributiva.  Sarebbe  poi  abbastanza  problematico  ritenere che il
 mancato computo della medesima nell'indennita'  di  anzianita'  possa
 essere  in  contrasto con il precetto costituzionale posto a presidio
 della  sufficienza  del  corrispettivo  da  lavoro  subordinato   "ad
 assicurare  a  se  e  alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa",
 quando ci si trova di fronte alla corresponsione  di  una  somma  una
 tantum   per   le   ben   note  finalita'  previdenziali.     Secondo
 l'Avvocatura,  infine,  le  questioni  poste   dalle   ordinanze   di
 rimessione   appaiono   in   contrasto   con   l'articolo   81  della
 Costituzione, in quanto tendono  ad  integrare  una  norma  di  legge
 (articolo  14  della  legge  n.  829  del 1973), imponendo ad un ente
 pubblico nuove e maggiori spese senza la indicazione  dei  mezzi  per
 farne fronte.
    9.  -  Nel giudizio promosso dall'ordinanza della Cassazione (r.o.
 n. 50 del 1992) si e' costituito  l'I.N.A.D.E.L.,  chiedendo  che  la
 questione  sia  dichiarata  inammissibile e richiamando a tal fine le
 pronunzie  di  questa  Corte  nn.  220  del  1988  e  402  del   1990
 (quest'ultima  relativa proprio al personale dell'O.N.M.I. transitato
 alle dipendenze di altri enti).
    L'Istituto ricorda che, dovendo  il  legislatore  disciplinare  il
 trattamento   di  fine  rapporto  (dato  che  esso  era  diverso  per
 l'O.N.M.I. e per gli enti locali), e' stato disposto dall'articolo  9
 della  legge  23  dicembre 1975, n. 698 che esso debba computarsi con
 due distinti calcoli: per il periodo di  servizio  presso  l'O.N.M.I.
 sulla  base del regolamento organico per il trattamento di quiescenza
 del relativo personale (che non prevedeva il computo  dell'indennita'
 integrativa speciale), e per il periodo di servizio presso l'ente lo-
 cale,   sulla  base  del  trattamento  I.N.A.D.E.L.  vigente  per  il
 personale degli enti locali presso cui i dipendenti ex O.N.M.I. erano
 stati trasferiti.  Tale disciplina - osserva l'I.N.A.D.E.L. - rientra
 nella  legittima  discrezionalita'  del  legislatore  riguardo   alla
 disciplina  dei  vari  e  diversi rapporti di impiego pubblico. E' da
 rilevare, del resto, che il  fatto  che  l'  ex  dipendente  O.N.M.I.
 transitato  presso  un  ente  locale  abbia  diritto  a  due  diversi
 trattamenti previdenziali per il periodo di servizio prestato  presso
 l'ente  locale;  e  il  fatto  che  il  trattamento relativo al primo
 servizio sia diverso da quello che  gli  sarebbe  spettato  se  fosse
 stato  dipendente statale o da ente locale, altro non concretizza che
 un trattamento diverso di due situazioni giuridiche diverse.
    10.  -  Nel  giudizio  promosso  con  l'ordinanza  del   Tribunale
 amministrativo  regionale  della Sicilia del 6 novembre 1991 (r.o. n.
 245 del 1992), relativa al personale di quella regione e' intervenuto
 il Presidente della Giunta della Regione siciliana,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura Generale dello Stato, sostenendo la manifesta
 infondatezza della questione e ricordando, a tal fine,  che,  secondo
 la costante giurisprudenza di questa Corte, "non puo' contrastare con
 il  principio  di  uguaglianza un differenziato trattamento applicato
 alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi  nel  tempo,
 perche' lo stesso fluire di questo costituisce di per se' un elemento
 diversificatore  in  rapporto a situazioni concernenti sia gli stessi
 soggetti come gli altri componenti dell'aggregato sociale"  (sentenze
 nn.  138/1977  e  138/1979;  la Corte si era del resto pronunziata in
 senso  conforme, in precedenza, con le sentenze nn. 57/1973 e 92/1975
 ed il medesimo  indirizzo  e'  stato  poi  ribadito  con  la  recente
 ordinanza  n.  395/1990).    11.  - I giudizi relativi alle ordinanze
 iscritte ai nn. 5, 66, 448, 89 e 389 del registro ordinanze 1991 sono
 stati da ultimo chiamati all'udienza pubblica del 19  novembre  1991.
 All'esito  della discussione, la Corte, con ordinanza istruttoria del
 16 dicembre 1991 - ritenuta la necessita' di accertare - mediante una
 comparazione complessiva delle indennita' di  fine  rapporto  vigenti
 nei  vari  settori  del lavoro subordinato - l'incidenza sostanziale,
 negli   ultimi   cinque   anni,   della   inclusione   o   esclusione
 dell'indennita'  integrativa  speciale nel calcolo dell'indennita' di
 fine rapporto prevista in ciascun settore, in relazione alle  diverse
 discipline  di  tali  indennita',  nonche'  all'eventuale variare nel
 tempo della incidenza percentuale della indennita' integrativa  sulla
 retribuzione  complessiva  -  dispose che la Presidenza del Consiglio
 dei ministri, anche tramite i  ministri  competenti  e  l'I.S.T.A.T.,
 fornisse  alla  Corte  costituzionale  le informazioni necessarie per
 accertare: a) quale e' attualmente e  quale  sia  stata  in  ciascuno
 degli  ultimi  cinque  anni  l'incidenza  percentuale dell'indennita'
 integrativa speciale sulla retribuzione complessiva (omnicomprensiva)
 dei dipendenti civili e militari dello Stato ai quali si  applica  il
 regime  E.N.P.A.S.,  nonche' per i dipendenti degli enti pubblici non
 economici soggetti alla disciplina di cui alla legge 20  marzo  1975,
 n.  70;  b)  quale e' attualmente e quale sia stato in ciascuno degli
 ultimi  cinque  anni,  per  i   lavoratori   cessati   dal   servizio
 (distintamente per i lavoratori del settore privato o il cui rapporto
 sia  comunque  di  diritto privato, per coloro ai quali si applica il
 regime E.N.P.A.S., per coloro ai quali si applica la legge  20  marzo
 1975, n. 70 e per coloro ai quali si applica il regime I.N.A.D.E.L.),
 il rapporto medio tra l'ammontare complessivo del trattamento di fine
 rapporto,  diviso  per  il  numero  degli  anni  di servizio presi in
 considerazione per il calcolo di esso, e l'ultima retribuzione  annua
 omnicomprensiva.
    La  Presidenza  del  Consiglio  ha  trasmesso  in  piu' riprese le
 risposte che alcune delle Amministrazioni interessate avevano fornito
 al quesito. In particolare, il Dipartimento per la funzione  pubblica
 ha   comunicato   una  relazione  tecnica  sugli  effetti  finanziari
 derivanti dall'inclusione dell'indennita'  integrativa  speciale  nel
 computo   dell'indennita'   di   buonuscita  del  personale  iscritto
 all'E.N.P.A.S.  e  alle  altre  gestioni  previdenziali   interessate
 (O.P.A.F.S.  e  I.P.O.S.T.)  e  del personale degli enti pubblici non
 economici. Dal Ministero di grazia  e  giustizia  sono  pervenute  le
 risposte relative al personale degli uffici notificazioni, esecuzioni
 e protesti nonche' al personale degli archivi notarili e al personale
 dell'amministrazione   penitenziaria.  Le  prime  due  risposte  sono
 peraltro limitate  alla  parte  del  quesito  relativa  all'incidenza
 percentuale  dell'indennita'  integrativa speciale sulla retribuzione
 complessiva. Dalla  prima,  che  riguarda  personale  inquadrato  nei
 livelli  dal  V  al  VII, si evince che tale incidenza e' pari ad una
 quota che - a seconda degli anni e dei livelli - va dal 46 al 64  per
 cento.  Dalla  seconda,  che  riguarda  personale  con  qualifica  di
 dirigente o di funzionario,  si  ricava  che  la  suddetta  incidenza
 percentuale  e' pari al 19-20 per cento per i dirigenti, mentre per i
 funzionari e' variata negli anni dal 45  al  36  per  cento.  Per  il
 personale  dell'amministrazione  penitenziaria,  infine, l'indennita'
 integrativa speciale rappresenta in  media  il  57  per  cento  della
 retribuzione  mentre  per  lo  stesso personale il rapporto medio tra
 l'ammontare complessivo del trattamento di fine rapporto  e  l'ultima
 retribuzione  annua omnicomprensiva e' del 3,1 per cento.  L'Istituto
 Nazionale di Statistica  ha  riferito  di  non  essere  in  grado  di
 rispondere  al  quesito  sulla  base  dei  dati in suo possesso ed ha
 aggiunto  che,  per  fornire  le  informazioni   richieste,   sarebbe
 necessaria  l'esecuzione  di  un'indagine  e  di elaborazioni ad hoc,
 ovvero, in alternativa, la costruzione di un modello simulativo.
    Il Ministro del tesoro,  insieme  alla  prospettazione  di  alcune
 valutazioni  giuridiche in ordine alle questioni sottoposte all'esame
 della  Corte,  ha  comunicato  i  dati,  riferiti  al  complesso  dei
 dipendenti iscritti all'E.N.P.A.S. e all'I.N.A.D.E.L. e ai dipendenti
 del  parastato,  concernenti  l'incidenza percentuale, anno per anno,
 dell'indennita'  integrativa  speciale   sulla   retribuzione   lorda
 omnicomprensiva  e al rapporto esistente tra la quota del trattamento
 di fine rapporto  riferibile  ad  un  anno  di  servizio  e  l'ultima
 retribuzione annua lorda omnicomprensiva.
                        Considerato in diritto
    1. - Le questioni sottoposte all'esame della Corte dalle ordinanze
 in  epigrafe  sono  analoghe  o connesse: i relativi giudizi pertanto
 possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
    Esse, pur partendo da diverse  angolazioni  normative,  hanno  per
 oggetto  la  esclusione  della  indennita'  integrativa  speciale dal
 trattamento di fine  rapporto  percepito  dai  dipendenti  (civili  e
 militari)  dello  Stato  e  degli  enti  pubblici  non economici, dai
 dipendenti delle Ferrovie dello Stato, nonche'  dagli  ex  dipendenti
 dell'O.N.M.I.  trasferiti  agli  enti  locali dopo la soppressione di
 tale organismo. Aspetti particolari presenta la  questione  sollevata
 dal  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Sicilia  -  Sezione
 distaccata di Catania, con ordinanza del 6 novembre 1991 (r.o. n. 245
 del 1992) con la quale viene  impugnato  l'articolo  19  della  legge
 Regionale  siciliana  15 giugno 1988 n. 11, che dispone, a favore dei
 dipendenti della Regione, il computo, nella indennita' di buonuscita,
 dell'indennita' di contingenza  o  di  altra  analoga  indennita'  in
 godimento all'atto della cessazione dal servizio, ma solo a decorrere
 dal 1 gennaio 1985, con esclusione, quindi, di coloro il cui rapporto
 sia  cessato  prima  di  tale data. Salvo quest'ultima questione, che
 sara' esaminata in seguito, tutte le  altre  censure  possono  essere
 valutate   congiuntamente  perche'  pongono  in  sostanza  un  comune
 problema.   2. - Sostengono i giudici  a  quibus  che  all'indennita'
 integrativa  speciale - introdotta con la legge 27 maggio 1959 n. 324
 a favore di tutti i dipendenti pubblici - e' da riconoscere,  per  la
 sua  funzione  di adeguamento della retribuzione al costo della vita,
 natura retributiva, al pari della indennita' di contingenza  prevista
 per  i dipendenti privati. Nonostante cio', essa non e' calcolata ne'
 nel trattamento di fine rapporto dei  dipendenti  civili  e  militari
 dello  Stato  (indennita' di buonuscita) ne' in quello dei dipendenti
 degli enti non economici di cui  alla  legge  20  marzo  1975  n.  70
 (indennita'  di  anzianita'):  essa invece viene computata - in forza
 dell'articolo 3 della legge 7 luglio 1980 n.  289  -  nell'indennita'
 premio  di  servizio  corrisposta  ai  dipendenti  degli  enti locali
 iscritti all'I.N.A.D.E.L., nonche' - sotto  forma  di  indennita'  di
 contingenza  -  nel  trattamento  di  fine  rapporto  dei  dipendenti
 privati.
    Muovendo  da  tali  premesse  tutti  i  giudici  remittenti  hanno
 prospettato a questa Corte il dubbio sulla conformita' a Costituzione
 delle  varie  norme  che  nei  diversi  ordinamenti  escludono  o non
 ricomprendono l'indennita' integrativa  speciale  nel  calcolo  delle
 indennita'  di  fine rapporto dei dipendenti statali e parastatali, e
 cio' sia con riferimento all'articolo 3 della Costituzione -  per  la
 disparita'  di  trattamento  che in tal modo si determina rispetto ai
 dipendenti pubblici e privati per i quali tale computo e' previsto  -
 sia  con  riguardo  all'articolo  36  della  Costituzione  -  per  la
 violazione dei  principi  di  proporzionalita'  e  sufficienza  della
 retribuzione  -  in  ragione della natura retributiva dell'indennita'
 integrativa speciale e della natura  di  retribuzione  differita  del
 trattamento  di  fine  rapporto.  Con  riferimento  al  principio  di
 uguaglianza i giudici negano che  la  possibilita'  di  istituire  un
 raffronto tra l'indennita' di buonuscita spettante al personale dello
 Stato,  l'indennita' di anzianita' spettante ai dipendenti degli enti
 pubblici non economici, l'indennita' premio di servizio spettante  ai
 dipendenti  degli  enti  locali  e  il  trattamento  di fine rapporto
 spettante ai dipendenti privati, sia preclusa dalla  differente  loro
 disciplina  o  dalla  diversita'  dei  rapporti di lavoro ai quali si
 collegano. Piu' in generale, le ordinanze  di  remissione  sostengono
 che    la    funzione    previdenziale   eventualmente   attribuibile
 all'indennita' di buonuscita  non  verrebbe  comunque  a  negarne  la
 natura di retribuzione differita ormai riconosciuta - anche da questa
 Corte  - come propria di tutti i trattamenti di fine rapporto, ne' la
 comune funzione economico-sociale. Inoltre, l'ordinanza di rimessione
 della Corte di cassazione ravvisa un particolare motivo di violazione
 del principio di uguaglianza nel fatto che  per  i  dipendenti  dello
 Stato  l'indennita'  integrativa  speciale, pur non essendo computata
 nell'indennita' di buonuscita,  sarebbe  assoggettata  alla  relativa
 contribuzione, a norma dell'articolo 22, secondo comma, della legge 3
 giugno 1975 n. 160.
    Oltre  ai  parametri sopraindicati, invocati da tutte le ordinanze
 di rimessione, le questioni sollevate  hanno  assunto  a  riferimento
 anche  l'articolo  38  della  Costituzione, in ragione della funzione
 previdenziale dell'indennita' di buonuscita; gli articoli 1, 4  e  35
 della  Costituzione, che assicurano ad ogni attivita' lavorativa pari
 tutela e dignita', e gli articoli 97 e  98  della  Costituzione,  che
 tutelano    l'efficienza    e   la   funzionalita'   della   pubblica
 amministrazione.
    I giudici a quibus si dichiarano consapevoli che questa  Corte  si
 e'  gia' espressa su analoghe questioni dichiarandole inammissibili o
 manifestamente   inammissibili,   in   quanto   rientrerebbe    nella
 discrezionalita'  legislativa  disporre in merito alla determinazione
 della base  retributiva  da  computare  per  i  trattamenti  di  fine
 rapporto;  essi  tuttavia  fanno  riferimento  alla esigenza espressa
 dalla Corte nella sentenza n. 220/1988 -  e  ribadita  da  successive
 ordinanze - di ricondurre verso una disciplina omogenea i trattamenti
 di  quiescenza  nell'ambito  dell'impiego pubblico e, constatato come
 tale esigenza non abbia ancora trovato  soddisfazione,  chiedono  una
 pronunzia nel merito atta ad eliminare la rilevata disomogeneita'.
    Di conseguenza, quasi tutte le ordinanze di remissione prospettano
 una pronunzia che dichiari la illegittimita' delle norme impugnate (e
 precisamente  l'articolo 1, terzo comma, lettere b) e c), della legge
 27 maggio 1959 n. 324 nel testo  sostituito  dall'articolo  1,  primo
 comma,  della  legge 3 marzo 1960 n. 185; gli articoli 3, 37 e 38 del
 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032; l'articolo 22 della legge  3  giugno
 1975  n.  160;  l'articolo  3  della  legge 7 luglio 1980 n. 299; gli
 articoli 13 e 26 della legge 20 marzo 1975 n. 70; l'articolo 4  della
 legge  29  maggio  1982 n. 297; l'articolo 14 della legge 14 dicembre
 1973 n. 829; l'articolo 21, quarto comma, della legge 17 maggio  1985
 n.  210)  nella  parte  in cui non prevedono o escludono l'indennita'
 integrativa speciale dal computo dell'indennita'  di  buonuscita  dei
 dipendenti  statali  o  dell'indennita'  di anzianita' del parastato.
 L'articolo 4 della legge 29 maggio 1982 n. 297  e'  invece  impugnato
 nella parte in cui esclude i dipendenti pubblici dalle nuove norme in
 materia di trattamento di fine rapporto. Infine le ordinanze r.o. nn.
 140/1992,   688/1991   e  666/1992  impugnano  per  intero  le  varie
 disposizioni sopra ricordate.   3.  -  Come  ricordano  i  giudici  a
 quibus,  questa  Corte  ha  gia'  preso  in  esame  la  questione ora
 sottoposta al suo giudizio e,  con  la  sentenza  n.  220/1988,  l'ha
 dichiarata inammissibile, sia con riferimento all'articolo 3 che agli
 articoli   36   e  38  della  Costituzione,  reputando  rimessa  alla
 discrezionalita' del legislatore la determinazione della  base  utile
 ai  fini dei trattamenti di quiescenza.  La Corte ha comunque in tale
 occasione   rilevato   che   per   effetto   del   mancato    computo
 dell'indennita'  integrativa  speciale nella buonuscita si era creata
 una "discrasia .. tra retribuzione complessiva dei dipendenti statali
 e retribuzione utile ai fini della determinazione dell'indennita'  di
 buonuscita",  e  che  - per quanto riguarda le sollevate questioni di
 legittimita' costituzionale  -  appariva  "ormai  indilazionabile  un
 intervento  legislativo  volto  a  ricondurre  verso  una  disciplina
 omogenea  i  trattamenti  di  quiescenza   nell'ambito   dell'impiego
 pubblico".  Ha  ancora  aggiunto  che  "il  sistema  gia'  soffre  di
 sperequazioni sostanziali che toccano le  diverse  categorie"  e  che
 interventi  che  si esaurissero in provvedimenti parziali, limitati e
 particolari,  accentuando  il  carattere  irrazionale  delle  singole
 componenti,    avrebbero    potuto   imporre   una   valutazione   di
 illegittimita' della normazione complessiva.
    Con la sentenza n. 763/1988, la Corte ha ribadito e precisato  che
 "la  permanenza  e  la  continuazione  del  carattere  irrazionale di
 singole  componenti,  in  una  valutazione  globale  della  normativa
 avrebbe   potuto   imporre   una   declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale di disposizioni difformi e violatrici dei diritti  dei
 lavoratori".  Con  l'ordinanza n. 419/1989, la Corte ha avvertito che
 permaneva "pressante" l'invito gia' rivolto al legislatore, indicando
 - in relazione ai problemi di carattere economico  che  si  sarebbero
 aperti - la strada di interventi generali da realizzare gradualmente.
 Ulteriori  inviti  (o  moniti)  sono stati rivolti al legislatore con
 l'ordinanza n. 143/1990 e poi ancora con le ordinanze nn.  189,  217,
 218,  402  e  491  dello  stesso  anno.    La  Corte  non ritiene - a
 differenza di quanto sostenuto e richiesto  dall'Avvocatura  Generale
 dello  Stato  -  di dover continuare a pronunziare altre decisioni di
 inammissibilita' fondate  sul  rispetto  della  discrezionalita'  del
 legislatore,  ne' di esprimere ulteriori moniti. Permanendo, infatti,
 ed essendosi anzi aggravato, per il decorrere del tempo, lo stato  di
 irrazionalita'   e  le  sperequazioni  chiaramente  denunziate  dalla
 sentenza n. 220/1988, una pronunzia che ancora una  volta  rimettesse
 il   superamento   di  queste  situazioni,  che  incidono  su  valori
 costituzionali, all'intervento del legislatore - inutilmente a  lungo
 sollecitato  -  non potrebbe non apparire - come e' stato rilevato in
 dottrina - come abdicazione alle funzioni del giudice delle  leggi  e
 non   potrebbe   non  risolversi  nella  protezione  non  gia'  della
 discrezionalita' del legislatore, ma della sua inerzia.
    4.  -  Ne'  ad  una  pronunzia  di  inammissibilita'  diversamente
 motivata,   o   addirittura   di  infondatezza,  possono  indurre  le
 considerazioni  espresse  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 riferite,  per  un  verso,  alla peculiare natura delle indennita' di
 fine rapporto in questione, che indurrebbe ad escludere la violazione
 dell'articolo 3 della Costituzione; per altro verso, alla natura  non
 retributiva  dell'indennita'  integrativa  speciale, che porterebbe a
 ritenere  insussistente  la   violazione   dell'articolo   36   della
 Costituzione.  Per quanto riguarda la natura delle indennita' di fine
 rapporto  occorre  innanzitutto  ricordare  l'evoluzione  subi'ta nel
 tempo da questo istituto - originariamente  inteso  e  regolato  come
 premio  alla  fedelta' del dipendente - sino all'attuale affermazione
 della sua natura retributiva con funzione previdenziale.  Nel settore
 del lavoro privato questa evoluzione si e' compiuta gia' per  effetto
 dell'articolo   9   della  legge  15  luglio  1966  n.  604  e  della
 giurisprudenza della Corte a partire dalla sentenza n. 75/1968 -  che
 hanno  portato  a riconoscere il diritto all'indennita' di anzianita'
 in  tutti  i  casi  di  cessazione   del   rapporto   di   lavoro   e
 indipendentemente  dai  motivi  di  risoluzione  dello stesso - ed e'
 stata ulteriormente confermata dai successivi  interventi  innovativi
 (legge  29  maggio  1982  n.  297) che, introducendo un meccanismo di
 computo per quote, consentono di sottolineare la proporzionalita' del
 trattamento di fine rapporto alle  attivita'  effettivamente  svolte.
 Piu' complessa e' stata l'evoluzione della natura delle indennita' di
 fine  rapporto nel pubblico impiego, per la coesistenza di discipline
 differenziate,  alcune  delle  quali  fondate  su   un   sistema   di
 contribuzione  e  sulla  erogazione  delle  indennita'  da  parte  di
 apposite strutture amministrative. Cosi' mentre per  l'indennita'  di
 anzianita' corrisposta al personale degli enti pubblici non economici
 dallo stesso soggetto datore di lavoro e a totale suo carico e' stato
 agevole  il  riconoscimento  della  natura  retributiva  (sentenza n.
 220/1988), e' prevalsa per un certo tempo la tendenza  ad  attribuire
 natura  previdenziale  alle  indennita'  di fine rapporto degli altri
 dipendenti pubblici. Ma anche su questo  terreno  profonda  e'  stata
 l'evoluzione    dell'istituto,    determinata   dall'intervento   del
 legislatore e stimolata dalla giurisprudenza costituzionale,  con  la
 progressiva  erosione della rilevanza e della portata dei vari indici
 che inducevano ad escludere la natura retributiva della indennita' di
 buonuscita e della indennita' premio di servizio.
    Tale evoluzione, per quest'ultima indennita',  e'  particolarmente
 messa  in  luce  dalle  sentenze  nn.  471/1989  e 319/1991, le quali
 riconoscono  che  essa,  come  indennita'  di   fine   rapporto,   ha
 definitivamente   acquisito  natura  di  retribuzione  differita  con
 funzione previdenziale, secondo un paradigma ribadito successivamente
 dalle sentenze nn. 63 e 439 del 1992 e 99/1993.
    Quanto  alla  natura  dell'indennita' di buonuscita dei dipendenti
 statali, la piu' recente giurisprudenza, pur  rilevandone  spesso  le
 particolarita'  di disciplina rispetto ad altri istituti analoghi, ha
 abbandonato l'iniziale orientamento propenso a  riconoscere  ad  essa
 natura solo previdenziale ed e' pervenuta a ricondurla alla categoria
 generale dei trattamenti di fine rapporto.
    Invero,  non  puo'  negarsi  che  la  natura  retributiva  propria
 dell'indennita' di fine rapporto permane e vale  quali  che  siano  i
 soggetti  tenuti  ad  erogare  il  trattamento (il medesimo datore di
 lavoro o un terzo), quale che  sia  il  meccanismo  di  alimentazione
 della  provvista  (contributi  o  accantonamenti)  quali  che siano i
 soggetti su cui grava l'onere contributivo in senso lato  (il  datore
 di  lavoro,  il lavoratore o entrambi).  Il soggetto erogatore non ha
 alcun rilievo in ordine alla identificazione  della  natura  e  della
 funzione   giuridico-sociale   che   il  trattamento  svolge  per  il
 lavoratore  stesso:  tale  profilo,  infatti,  riguarda  il  soggetto
 investito  del  potere-dovere  di  gestire  i  fondi di risparmio che
 l'istituto determina.
    Ne'  ha  rilievo  il  fatto  che  la  provvista  avvenga  mediante
 contributi  o accantonamenti: l'assoluta equivalenza funzionale delle
 due forme e' dimostrata dall'articolo 2123  del  codice  civile,  che
 autorizza  il  datore  di  lavoro ad adempiere in tutto o in parte ai
 suoi obblighi in materia di indennita' di anzianita' facendo  ricorso
 a  forme  di previdenza equivalenti.   Infine non ha rilievo il fatto
 che i contributi siano tutti o parte a carico del datore  di  lavoro:
 quale  che  ne  sia  l'imputazione contabile, l'onere contributivo fa
 parte del costo del lavoro, per cui cio' che  il  datore  versa  come
 contributo  non  lo  da'  come  retribuzione corrente e il lavoratore
 riceve  in  meno  come  retribuzione  corrente  cio'  che  serve   ad
 alimentare  il  suo  futuro  trattamento di fine rapporto.  Pertanto,
 anche per i dipendenti dello Stato - e non solo del parastato -  deve
 essere  confermata  la  natura di retribuzione differita con funzione
 previdenziale della indennita' di  fine  rapporto:  funzione  che  e'
 quella  di  far  superare  al  lavoratore  le  difficolta' economiche
 conseguenti al venir meno del  trattamento  retributivo  per  effetto
 della cessazione del rapporto di lavoro.
    5.  - La giurisprudenza di questa Corte, sulla base della asserita
 diversita' di natura e di disciplina delle varie indennita'  di  fine
 rapporto,  ha  per lungo tempo affermato che esse non erano utilmente
 raffrontabili in vista del controllo sul rispetto  del  principio  di
 eguaglianza  (v.  ancora  la  sentenza  n.  220/1988 e l'ordinanza n.
 135/1988, ma anche le  significative  eccezioni  rappresentate  dalle
 sentenze nn. 115/1979 e 110/1981).
    Piu'  recentemente,  peraltro,  la  stessa Corte, riconoscendo con
 sempre maggiore determinazione la raggiunta sostanziale  omogeneita',
 quanto a natura e funzione, delle indennita' in questione, ha ammesso
 la possibilita' di istituire tra di esse confronti e comparazioni. In
 particolare,  con  riguardo  alla  indennita'  premio di servizio e a
 quella di buonuscita, la sentenza n. 763/1988, dopo aver sottolineato
 come,  nonostante  le   differenze   di   dettaglio   inerenti   alle
 peculiarita' proprie di ciascuna, esse fossero ormai divenute - anche
 in   seguito   a   interventi   legislativi   e   per  effetto  della
 giurisprudenza - analoghe ed omogenee per finalita' da realizzare, ha
 valutato   nel   merito   l'eccepita   disparita'   di    trattamento
 relativamente  alla  disciplina  dei  presupposti  per  conseguire le
 indennita',  ritenendola costituzionalmente illegittima perche' priva
 di adeguata e razionale giustificazione. Il medesimo orientamento  e'
 stato  successivamente  ribadito  con le decisioni nn. 821/1988, 63 e
 439 del 1992.
    Nell'ambito di una impostazione  piu'  generale,  la  sentenza  n.
 99/1993,  ponendo  espressamente in evidenza la loro comune natura di
 retribuzione differita, ha ritenuto comparabili tutti  i  trattamenti
 di  fine  rapporto,  sia  nella  sfera  del settore pubblico, sia tra
 questa e quella del settore privato. Questa sentenza  registra  cosi'
 quel  piu' ampio processo di assimilazione che tende ormai a permeare
 l'intero assetto del rapporto di lavoro dipendente, come dimostra  il
 d.P.R. 3 febbraio 1993 n. 29 che, in attuazione della delega disposta
 dall'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992 n. 421 ha avviato la c.d.
 privatizzazione  del  rapporto  d'impiego  pubblico, stabilendo che i
 rapporti di lavoro dei  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche
 sono  disciplinati dalle disposizioni delle sezioni II e III, capo I,
 titolo II del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di
 lavoro nell'impresa, in quanto compatibili  con  la  specialita'  del
 rapporto  e  il  perseguimento  degli  interessi generali nei termini
 definiti  dal  decreto  medesimo.   Il   fatto   che   tale   decreto
 contestualmente disponga che, in attesa di una nuova regolamentazione
 contrattuale  della materia, resti ferma per i dipendenti pubblici la
 disciplina vigente in materia di trattamenti di  fine  rapporto,  non
 smentisce  la  nuova  impostazione,  dal  momento  che  riguarda  una
 disposizione transitoria: in particolare, non contraddice il rilevato
 processo  di  generale  omogeneizzazione   della   natura   di   tali
 trattamenti.
    Si puo' quindi, in definitiva, affermare che le indennita' di fine
 rapporto, nonostante le diversita' di regolamentazione, costituiscono
 ormai,  una  categoria  unitaria  connotata  da identita' di natura e
 funzione e dalla generale applicazione a qualunque tipo  di  rapporto
 di  lavoro  subordinato  e  a  qualunque  ipotesi  di  cessazione del
 medesimo.
    I rilievi espressi, pertanto,  dalla  Avvocatura  dello  Stato  in
 ordine  alla non invocabilita' dell'articolo 3 della Costituzione per
 la non  comparabilita'  dei  trattamenti  di  fine  rapporto  qui  in
 discussione, non hanno fondamento.
    6.   -   Parimenti   non   condivisibili  sono  le  deduzioni  che
 l'Avvocatura   ha   formulato   per   sostenere    l'inapplicabilita'
 dell'articolo  36  della  Costituzione, argomentando che l'indennita'
 integrativa speciale, non ha  natura  retributiva  ma  previdenziale,
 sicche'  la  sua  esclusione  non  potrebbe porsi in contrasto con il
 precetto  costituzionale  posto  a  presidio  della  sufficienza  del
 corrispettivo del lavoro subordinato.
    La  premessa di tale argomentazione e' invero priva di fondamento,
 non essendovi ormai  dubbio  che  l'indennita'  integrativa  speciale
 abbia evidente carattere retributivo.
    Anche  questa indennita', istituita con la legge n. 324 del 1959 a
 favore di tutti i dipendenti del settore  pubblico,  ha  subi'to  nel
 corso  degli  anni  una profonda trasformazione. Concepita in origine
 come elemento contingente ed esterno  alla  retribuzione,  esente  da
 qualsiasi  ritenuta,  compresa  quella  erariale, e non concorrente a
 formare reddito complessivo ai fini dell'imposta  complementare,  non
 cedibile,  non pignorabile, non computabile ai fini di quiescenza, di
 previdenza  e di indennita' di buonuscita, corrisposta infine solo in
 relazione al periodo di  lavoro  realmente  effettuato,  l'indennita'
 integrativa  speciale ha assunto nel tempo caratteristiche nettamente
 diverse.
    Cio' e' avvenuto a seguito di una serie di interventi legislativi,
 quali quelli ricordati in diverse ordinanze di rimessione, che, ferma
 rimanendo la funzione di  adeguamento  della  retribuzione  al  costo
 della  vita,  hanno soppresso tutti i connotati enunziati nella legge
 originaria, con l'unica esclusione della sua non computabilita' nella
 indennita' di buonuscita.
    Gli  effetti  di  questo  processo  sono  stati   recepiti   dalla
 giurisprudenza  di  questa Corte che, con la sentenza n. 115/1990, ha
 affermato la pignorabilita',  sequestrabilita'  e  cedibilita'  della
 stessa non essendovi "dubbio che l'indennita' integrativa speciale e'
 da   considerare  un  elemento  della  retribuzione  complessiva  del
 pubblico dipendente cosi' come l'indennita' di contingenza lo e'  per
 i dipendenti privati".
    7.  -  Tutto  cio'  premesso,  occorre  ora  valutare  l'effettiva
 esistenza della lesione  dei  parametri  costituzionali  invocati  da
 parte dei giudici remittenti.
    La  rilevata identita' di natura e di funzione delle indennita' di
 fine rapporto  in  esame  esclude  -  in  ragione  del  principio  di
 uguaglianza  stabilito  dall'articolo  3  della Costituzione - che le
 varieta' di struttura e di disciplina che esse  presentano  nei  vari
 settori  del  lavoro  subordinato  possano  tradursi in sperequazioni
 sostanziali,  salvo  che  queste  ultime  non   siano   razionalmente
 collegabili  a  specifiche diversita' delle situazioni regolate, tali
 da giustificare una diversa considerazione delle esigenze alle  quali
 si riferisce la funzione economico-sociale dell'istituto.
    Mentre  nel  campo  del  lavoro  privato  il  disegno  di graduale
 unificazione e di equiparazione dei trattamenti di fine rapporto  per
 tutte le categorie di lavoratori e' stato portato a compimento con la
 legge  n.  297  del  1982 ed in particolare con l'articolo 5 di detta
 legge, nell'ambito del  pubblico  impiego  continuano  a  sussistere,
 nonostante  i  numerosi  interventi  correttivi della Corte, sistemi,
 meccanismi e strutture differenti da settore a settore.
    E' di  competenza  del  legislatore  valutare  l'opportunita'  del
 mantenimento   di  sistemi  differenziati  nell'ambito  del  pubblico
 impiego, ma  tale  discrezionalita'  incontra  un  primo  limite  nel
 principio  di  uguaglianza,  nel  senso  che,  nonostante  le diverse
 articolazioni normative, i trattamenti di fine  lavoro  del  pubblico
 impiego debbono comunque essere equivalenti, essendo essi, come si e'
 rilevato  piu' sopra, omogenei per natura e finalita' da realizzare e
 non essendo ipotizzabile, tra i vari settori  del  pubblico  impiego,
 diversita'   sostanziali   tali  da  giustificare  una  differenziata
 considerazione delle esigenze sottese a tali finalita'. Ma e'  subito
 da  precisare  che,  se  il  vincolo  che il principio di uguaglianza
 impone al legislatore di osservare riguarda  l'equivalenza  dei  vari
 trattamenti  di fine lavoro, anche la valutazione comparativa diretta
 a vagliare il rispetto o meno di  tale  principio  deve  analogamente
 riferirsi soltanto ai risultati complessivi dei vari meccanismi e non
 puo'  invece limitarsi a singole disposizioni, avulse dalla specifica
 disciplina in cui ciascuna di esse si colloca (sentenza n. 220/1988).
    Un  secondo  limite alla discrezionalita' del legislatore discende
 dalla rilevata comune natura retributiva delle indennita' in oggetto,
 nel senso che la disciplina di esse non puo' essere tale da ledere il
 principio di proporzionalita' rispetto alla quantita' e qualita'  del
 lavoro,  ne'  il  principio  di sufficienza rispetto alle particolari
 esigenze di vita che tali indennita' sono dirette a fronteggiare.
    8. - Con riferimento ad entrambi i parametri costituzionali  sopra
 accennati  -  quello  dell'articolo  3  e  quello  dell'articolo 36 -
 l'inclusione o meno dell'indennita' integrativa speciale  nella  base
 di calcolo dei trattamenti di fine lavoro presenta aspetti peculiari,
 che dipendono dai caratteri e dalla funzione di tale indennita' e che
 pongono  il  problema  in  termini diversi rispetto a qualunque altra
 differenza normativa inerente alle modalita'  di  determinazione  dei
 trattamenti stessi.
    Occorre  considerare,  al  riguardo,  che l'indennita' integrativa
 speciale e' una voce retributiva che, per come e' stata regolata,  ha
 avuto  la  caratteristica di crescere nel tempo non solo in cifra, ma
 anche, nella generalita' dei casi, in  rapporto  al  complesso  della
 retribuzione,  specialmente in ragione dei processi inflattivi che si
 sono verificati nell'ultimo ventennio. E' cosi' accaduto che la quota
 di retribuzione rappresentata dall'indennita' integrativa speciale e'
 divenuta sempre maggiore con il passare degli anni (e questo  -  come
 si  dira' - e' stato particolarmente evidente per le retribuzioni dei
 livelli  bassi  e  medi).  Cio'  ha   comportato   che   l'esclusione
 dell'indennita'  integrativa speciale dal computo delle indennita' di
 fine  rapporto  ha  provocato  effetti  di  depauperamento  di   tali
 indennita'  sempre  maggiori e non piu' compensati - nel paragone con
 la disciplina dei trattamenti di fine lavoro di altri settori  ed  in
 particolare   nel   paragone  con  l'indennita'  premio  di  servizio
 corrisposta dall'I.N.A.D.E.L. - da altri piu' favorevoli  fattori  di
 calcolo,  quali,  in  particolare,  quello  relativo alla quota della
 retribuzione annuale da moltiplicare per  il  numero  degli  anni  di
 servizio.    L'equilibrio  che  prima  poteva  ipotizzarsi tra i vari
 trattamenti nonostante la  diversita'  dei  relativi  sistemi  si  e'
 quindi  progressivamente  alterato  -  ed  e'  destinato ad alterarsi
 sempre di piu' con il passare del tempo - senza che a questo fenomeno
 corrisponda alcuna razionale giustificazione ed in particolare  senza
 che   abbiano   subi'to   modificazione   alcuna   quelle   eventuali
 "peculiarita'"  dei  vari  rapporti  di  impiego,  che  potevano,  in
 ipotesi,  giustificare  le  differenze  iniziali,  allorquando queste
 ultime erano ancora configurabili come differenze di dettaglio.
    9. - La sperequazione tra i diversi settori del  pubblico  impiego
 che  si  e'  venuta  in  tal  modo  a  determinare  e  ad  aggravarsi
 progressivamente si riproduce poi anche all'interno di  ciascuno  dei
 settori  nei  quali  l'indennita' integrativa speciale e' esclusa dal
 computo del trattamento  di  fine  lavoro,  poiche'  tale  esclusione
 incide  sulle  retribuzioni  piu'  basse  in misura proporzionalmente
 maggiore di quanto essa non incida sulle retribuzioni piu' alte.
    Infatti,   l'indennita'   integrativa   speciale   maturata   fino
 all'entrata   in  vigore  del  d.P.R.  1  febbraio  1986  n.  13,  e'
 corrisposta in misura sostanzialmente uguale, in cifra, per  tutti  i
 dipendenti  pubblici,  quale  che  sia  il  loro livello retributivo,
 mentre con tale  decreto  e'  stata  prevista,  per  gli  adeguamenti
 successivi  alla  sua  entrata  in  vigore,  una  indicizzazione solo
 parziale  della  parte  di  retribuzione  eccedente  un   determinato
 ammontare-base,   uguale  per  tutti,  che  viene  invece  rivalutato
 integralmente. Cio' implica  che  l'indennita'  integrativa  speciale
 costituisce,  per  i livelli piu' bassi, una quota della retribuzione
 complessiva molto piu' alta (attualmente  tale  quota  supera  talora
 anche  la  meta')  di  quella che essa rappresenta per i livelli piu'
 elevati,  come  bene  e'  evidenziato  dai  risultati   dell'indagine
 istruttoria gia' riferiti al paragrafo 11 della narrativa in fatto. E
 ne   consegue,   automaticamente,  che  l'esclusione  dell'indennita'
 integrativa speciale depaupera  i  trattamenti  di  fine  lavoro,  in
 rapporto  alla  retribuzione complessiva, in misura proporzionalmente
 maggiore per i livelli retributivi piu' bassi rispetto a quelli  piu'
 alti, per i quali operano incisivi meccanismi di compensazione.
    La  disciplina in esame, pertanto, produce non soltanto disparita'
 sostanziali tra l'uno e l'altro  settore  del  pubblico  impiego,  ma
 anche  disparita'  interne  a  ciascun  settore; e queste ultime sono
 particolarmente irragionevoli  e  particolarmente  ingiuste,  perche'
 volte a danno delle categorie meno abbienti.
    10.  -  Con  riferimento  al  principio di proporzionalita' di cui
 all'articolo 36 della Costituzione, va ricordato quanto  gia'  si  e'
 detto  e cioe' che l'indennita' di fine rapporto - proprio in ragione
 della sua funzione e della sua natura -  e'  sempre  rapportata  alla
 retribuzione  e  alla durata del rapporto e quindi, attraverso questi
 due parametri, alla quantita' e alla qualita' del lavoro.
    L'esclusione dell'indennita' integrativa speciale  dalla  base  di
 calcolo del trattamento di fine lavoro, proprio per le gia' accennate
 caratteristiche  di  tale  indennita',  fa  si'  che  il rapporto tra
 trattamento  di  fine  lavoro   e   retribuzione   vada   riducendosi
 automaticamente  con il passare del tempo, senza che cio' corrisponda
 ad una riduzione della qualita' o  della  quantita'  del  lavoro.  Ne
 consegue  una  lesione  del  principio  di proporzionalita' stabilito
 dall'articolo 36. Cio' e' stato gia' rilevato da questa Corte con  la
 sentenza  n. 142/1980, secondo cui l'esclusione della contingenza dal
 computo dell'indennita' di anzianita' spettante ai lavoratori privati
 (esclusione disposta dal decreto-legge n. 12  del  1977,  convertito,
 con  modificazioni,  nella  legge n. 91 del 1977), anche se nel breve
 periodo non arrecava offesa in  misura  censurabile  al  criterio  di
 proporzionalita'  stabilito  dall'articolo 36 della Costituzione, con
 il progredire del tempo, in difetto di congrue compensazioni, avrebbe
 rischiato di determinare squilibri piu' gravi di quelli in  atto,  il
 che   avrebbe  obbligato  il  legislatore  a  por  mano  ad  adeguati
 bilanciamenti al fine di evitare offesa non solo agli  articoli  3  e
 36, ma anche all'articolo 38 della Costituzione.
    Piu'  in  generale,  infatti, occorre considerare che l'indennita'
 integrativa speciale e' uno strumento per adeguare  il  valore  reale
 della  retribuzione  alle  variazioni  del  valore reale della moneta
 cagionate dall'inflazione.  Tale  adeguamento  -  in  qualunque  modo
 attuato   -   e'   essenziale   per   conservare   il   rapporto   di
 proporzionalita',garantito  dall'articolo  36,  tra  retribuzione   e
 quantita'  e  qualita'  del  lavoro, posto che tale rapporto richiede
 ovviamente di essere riferito ai valori  reali  di  entrambi  i  suoi
 termini.  L'adeguamento  delle retribuzioni alle variazioni del costo
 della vita puo' essere perseguito con una molteplicita' di strumenti:
 ma se - e nella misura in cui - la legge o la contrattazione  abbiano
 scelto  la  via  degli  adeguamenti automatici, obliterarli significa
 ledere    il    rapporto   di   proporzionalita'   costituzionalmente
 necessitato.
    11. - Il principio di sufficienza assume un autonomo  rilievo  per
 le  retribuzioni  piu'  basse,  in  relazione alle quali l'indennita'
 integrativa speciale - riferita come  essa  e'  alle  variazioni  del
 costo  della  vita  -  assolve anche ad una ineliminabile funzione di
 conservare alla retribuzione reale quella capacita' di assicurare  al
 lavoratore  e  alla  sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa che
 costituisce il secondo e piu' strettamente cogente criterio stabilito
 dall'articolo 36 della Costituzione.
    Questa  considerazione  induce   a   rilevare   che   l'esclusione
 dell'indennita'  integrativa speciale dall'indennita' di buonuscita o
 dall'indennita' di anzianita' e' potenzialmente idonea ad incidere  -
 per   le   retribuzioni   piu'  basse  -  sullo  stesso  criterio  di
 sufficienza,  rapportato  alle  specifiche  e  gia'  dette   funzioni
 "previdenziali"   che   tale  istituto  retributivo  e'  deputato  ad
 assolvere.     12.  -  Le  considerazioni   svolte   dimostrano   che
 l'esclusione in toto dell'indennita' integrativa speciale dal calcolo
 dei   trattamenti   di  fine  rapporto  qui  in  discussione  produce
 sostanziali e ingiustificabili sperequazioni  e  impedisce  il  pieno
 rispetto   dei   principi  costituzionali  della  proporzionalita'  e
 sufficienza  della  retribuzione,   anche   differita,   del   lavoro
 dipendente.  Di conseguenza le norme legislative dalle quali consegue
 tale esclusione - e cioe' i combinati disposti dell'articolo 1, terzo
 comma,  lettere  b)  e  c), della legge 27 maggio 1959 n. 324 con gli
 articoli 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032; con gli articoli
 13 e 26 della legge 20 marzo 1975 n. 70 e con gli articoli  14  della
 legge  14 dicembre 1973 n. 829 e 21 della legge 17 maggio 1985 n. 210
 -  debbono  essere  dichiarate  costituzionalmente  illegittime   per
 contrasto   con   gli   articoli  3  e  36  della  Costituzione,  con
 l'assorbimento delle altre censure.   Tale  dichiarazione  non  puo',
 peraltro,  tradursi  in  una  pronunzia  meramente  caducatoria, come
 sembra  invece  auspicare  il  Tribunale   amministrativo   regionale
 dell'Abruzzo (r.o. n. 66 del 1991): anche a prescindere dai dubbi che
 potrebbero   sorgere   circa   il   rispetto   dei  limiti  effettivi
 dell'impugnativa, decisiva in contrario e' la considerazione che  una
 simile  pronunzia, colpendo il globale sistema di calcolo dei diversi
 trattamenti di fine rapporto, paralizzerebbe la stessa corresponsione
 delle indennita' attualmente dovute, cosi' determinando gravi lesioni
 degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione.
    L'adeguamento alla legalita' costituzionale non si  puo'  ottenere
 neppure - al contrario di quanto ritiene la maggior parte dei giudici
 a quibus - mediante una pronunzia additiva di questa Corte alla quale
 consegua  un puro e semplice inserimento dell'indennita' in questione
 nella base di computo del trattamento di fine  rapporto.  Una  simile
 operazione   compenserebbe  lo  squilibrio  gia'  evidenziato,  ma  -
 rimanendo  invariate  tutte  le  altre  modalita'  di  calcolo  delle
 indennita'  di  fine  rapporto,  come pure le discipline attinenti ai
 contributi a carico dei lavoratori  e  dei  datori  di  lavoro  -  ne
 potrebbe  creare  altri, anche se in direzione opposta, nei confronti
 di entrambi i settori del lavoro subordinato qui addotti come termini
 di comparazione e cioe' sia nei confronti del lavoro privato, sia nei
 confronti del pubblico impiego alle  dipendenze  degli  enti  locali.
 L'indennita'   di   buonuscita   e  l'indennita'  di  anzianita'  del
 parastato,   infatti,   sono   calcolate   sulla   base   dell'ultima
 retribuzione (che e' di regola la piu' alta), mentre  il  trattamento
 di  fine  rapporto  regolato dalla legge n. 297 del 1982 si determina
 sulla base delle  retribuzioni  concretamente  percepite  durante  il
 servizio,  sia  pur  rivalutate  di anno in anno in base ad una quota
 dell'indice ISTAT.  L'ipotesi di soluzione in esame, quindi,  farebbe
 si'  che  nell'impiego  statale  e  parastale  l'indennita'  di  fine
 rapporto sarebbe tutta calcolata sull'ultima retribuzione comprensiva
 dell'ultima indennita' integrativa speciale, con evidente, notevole e
 non giustificato vantaggio rispetto al settore privato.
    Ma uno squilibrio verrebbe a determinarsi anche rispetto al regime
 I.N.A.D.E.L., nel quale l'indennita' integrativa speciale e' compresa
 nella base di calcolo  dell'indennita'  premio  di  servizio  secondo
 l'ammontare  raggiunto  nell'ultimo  anno  del  rapporto, ma la quota
 della retribuzione annua che viene computata  e'  inferiore,  essendo
 pari  ad  un  quindicesimo  dell'ottanta  per  cento,  anziche' ad un
 dodicesimo dell'ottanta per cento, come e' per l'impiego statale o ad
 un dodicesimo  del  cento  per  cento,  come  e'  per  l'impiego  nel
 parastato.  Il  maggior favore sarebbe poi ancor piu' evidente per il
 regime gestito per l'O.P.A.F.S., in  cui  il  numero  degli  anni  di
 servizio  per  il quale va moltiplicata la quota retributiva annua e'
 aumentato di un quinto rispetto agli anni di servizio effettivo.
    Orbene non appare congruo che  una  pronunzia  che  intenda  porre
 rimedio  ad  una  violazione del principio di uguaglianza, crei a sua
 volta disuguaglianze, sia pure di segno opposto. E comunque un simile
 risultato non sarebbe conforme a quell'indirizzo di  omogeneizzazione
 che invece la Corte ha chiesto al legislatore di seguire.
    13. - Escluso, pertanto, il ricorso alla ipotesi ora esaminata, ed
 esclusa  altresi' la caducazione integrale della normativa impugnata,
 al fine di ricondurre quest'ultima a piena  conformita'  ai  principi
 costituzionali   occorre   invece   che  il  computo  dell'indennita'
 integrativa speciale nel calcolo dei  trattamenti  di  fine  rapporto
 avvenga  in modo da assicurare - insieme al rispetto del principio di
 proporzionalita' e di  sufficienza  -  una  effettiva  e  ragionevole
 equivalenza nel risultato complessivo, senza la quale continuerebbe a
 sussistere  - sia pure in forma diversa - una ulteriore situazione di
 squilibrio.   Simile risultato non  puo'  essere  perseguito  se  non
 approntando - tenendo conto della diversita' dei sistemi di gestione,
 alimentazione ed erogazione - appositi meccanismi idonei a realizzare
 l'equivalenza  delle indennita' di fine rapporto qui considerate: non
 solo quindi all'interno del settore del pubblico impiego,  ma  anche,
 in  prospettiva,  nei confronti del lavoro privato, in considerazione
 del ricordato processo  di  assimilazione  in  corso,  delineato  dal
 decreto  legislativo  n. 29 del 1993 e della esigenza di una graduale
 eliminazione delle differenze che ancora  si  registrano  tra  i  due
 settori  del  lavoro  subordinato  e  che non trovino giustificazione
 nella specialita'  delle  situazioni.    La  determinazione  di  tali
 meccanismi  spetta  al legislatore anche in vista dell'adozione delle
 scelte  di  politica  economica  necessarie  al   reperimento   delle
 indispensabili   risorse   finanziarie.      E'   riservato   al  suo
 discrezionale  apprezzamento   -   nel   rispetto   del   canone   di
 ragionevolezza e degli altri principi costituzionali - di determinare
 i   livelli  sui  quali  attestare  la  perequazione  tra  i  diversi
 trattamenti, in relazione ai  vari  elementi  che  li  costituiscono,
 tenendo in debito conto i contributi e gli accantonamenti posti dalla
 legge  a  carico  dei  lavoratori,  in  rapporto a quelli corrisposti
 dall'amministrazione, e, piu' in generale, equilibrando e compensando
 vantaggi e svantaggi che emergono dalle  vigenti  normative  riguardo
 alle  modalita'  di  calcolo  delle  indennita'  (retribuzione  base,
 divisore applicato, numero delle annualita'  da  computare,  e  cosi'
 via).
    Detti  meccanismi  di  riequilibrio  e  di  compensazione dovranno
 essere modellati in modo tale  da  perseguire  anche  l'obiettivo  di
 uniformare   i   trattamenti   di   fine   lavoro   ai   principi  di
 proporzionalita' e  di  sufficienza  di  cui  all'articolo  36  della
 Costituzione,   considerando   la   rimarcata   diversa  valenza  che
 l'esclusione dell'indennita' integrativa speciale ha avuto ed ha  nei
 confronti  di coloro che sono collocati ai livelli meno elevati della
 scala retributiva, rispetto a coloro che si  trovano  piu'  in  alto.
 Pertanto,  le  compressioni  nel  computo dell'indennita' integrativa
 speciale nel trattamento di fine  rapporto  che  siano  eventualmente
 indispensabili  al  fine  di realizzare la perequazione, non potranno
 incidere sulle posizioni dei soggetti meno retribuiti,  per  i  quali
 occorre  comunque  evitare che si verifichino pregiudizi al principio
 della sufficienza della retribuzione e  alla  funzione  previdenziale
 dell'indennita' di fine rapporto.
    Si  tratta,  infine,  come gia' detto, di superare tendenzialmente
 gli squilibri che esistono  nei  trattamenti  di  fine  rapporto  tra
 lavoratori pubblici e privati.
    Stante  la  necessaria  valutazione  di  tutti  i  principi  e gli
 interessi in gioco, la complessiva omogeneizzazione delle prestazioni
 di fine rapporto  potra'  richiedere  di  essere  realizzata  secondo
 moduli  improntati  al  principio  di  gradualita' (cfr., tra le piu'
 recenti, le decisioni nn. 419 del 1989; 101, 260, 401 e 422 del 1990;
 119 del 1991) nei quali trovino adeguata considerazione  la  concreta
 disponibilita'  dei  mezzi  finanziari, e l'esigenza di perequare con
 priorita' - anche in relazione a situazioni pregresse - i trattamenti
 corrispondenti alle retribuzioni piu' basse per  le  quali  l'attuale
 situazione normativa lede il principio della sufficienza e pregiudica
 l'effettivita'  della  funzione  previdenziale.    14. - Pertanto, la
 dichiarazione di  incostituzionalita'  colpisce  le  norme  impugnate
 nella   parte   in   cui   non   prevedono   meccanismi   di  computo
 dell'indennita' integrativa speciale nei trattamenti di fine rapporto
 considerati.  Tali  meccanismi  saranno  realizzati  dal  legislatore
 secondo  scelte  discrezionali  che  rispettino  i  principi indicati
 specificamente  nel  paragrafo  precedente.    Questa   dichiarazione
 comporta  il  riconoscimento  della titolarita' - in capo ai soggetti
 interessati - del diritto  ad  un  adeguato  computo  dell'indennita'
 integrativa   speciale   ai   fini   della  determinazione  del  loro
 trattamento  di  fine  rapporto.   Spetta   pero'   al   legislatore,
 determinando la misura, i modi e i tempi di detto computo, rendere in
 concreto   realizzabile   il   diritto  medesimo.     Poiche'  dunque
 l'intervento del legislatore - in forza della presente  dichiarazione
 di  illegittimita'  costituzionale  -  e'  necessario per reintegrare
 l'ordine costituzionale violato,  esso  deve  avvenire  con  adeguata
 tempestivita'.   Considerato   che   lo   stesso  legislatore  dovra'
 provvedere  al  reperimento  e  alla   destinazione   delle   risorse
 occorrenti  a  far fronte agli oneri finanziari che ne conseguono, la
 predisposizione  dei  suddetti  meccanismi di omogeneizzazione dovra'
 essere avviata in  occasione  della  prossima  legge  finanziaria,  o
 comunque   nella  prima  occasione  utile  per  l'impostazione  e  la
 formulazione di scelte globali della politica di bilancio.
    Naturalmente ove  cio'  non  avvenisse,  oppure  se  i  tempi  del
 graduale  adeguamento  alla legalita' costituzionale si prolungassero
 oltre ogni ragionevole limite, ovvero, se i principi enunciati  nella
 presente   decisione   risultassero   disattesi,   questa  Corte,  se
 nuovamente investita del  problema,  non  potrebbe  non  adottare  le
 decisioni a quella situazione appropriate.
    15.  -  Individuata  nel  combinato  disposto  delle  disposizioni
 sopraindicate la fonte diretta delle violazioni cosi' riconosciute le
 censure riferite alle altre norme impugnate - e cioe' articolo 37 del
 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032, articolo 22 legge 3 giugno  1975  n.
 160,  articolo  3  legge  7  luglio  1980 n. 299, articolo 4 legge 29
 maggio 1982 n. 297 - vanno dichiarate inammissibili.
    16. - Deve infine  essere  dichiarata  non  fondata  la  questione
 concernente  l'articolo  19 della legge regionale siciliana 15 giugno
 1988 n. 11, sollevata dal Tribunale  amministrativo  regionale  della
 Sicilia,  Sezione  distaccata di Catania, (r.o. n. 245 del 1992), che
 lamenta il contrasto di quest'ultima con l'articolo 3 in collegamento
 con l'articolo 36 della  Costituzione,  perche',  nell'introdurre  il
 computo,   nella   indennita'   di   buonuscita,  dell'indennita'  di
 contingenza o di altra analoga indennita' in godimento all'atto della
 cessazione dal servizio, fa decorrere  l'applicazione  del  beneficio
 dal  1  gennaio  1985, senza alcun riferimento ai rapporti pregressi.
 La questione cosi' proposta riguarda pertanto non  la  disparita'  di
 trattamento  tra  diverse categorie di lavoratori subordinati, ma tra
 lavoratori appartenenti alla medesima categoria, il  cui  trattamento
 sia differenziato soltanto in ragione della data della cessazione dal
 servizio.
    Questa Corte ha piu' volte statuito in casi analoghi che "non puo'
 contrastare   con   il  principio  di  uguaglianza  un  differenziato
 trattamento applicato  alla  stessa  categoria  di  soggetti,  ma  in
 momenti  diversi  nel  tempo,  perche'  lo  stesso  fluire  di questo
 costituisce di per se' un elemento  diversificatore"  (cfr.,  tra  le
 tante,  le pronunzie nn. 504 del 1988; 190, 272, 395 del 1990, etc.).
 D'altra parte nel caso presente la data del 1 gennaio 1985  non  puo'
 ritenersi  arbitraria  o comunque incongrua, dal momento che coincide
 con il termine di  decorrenza  del  nuovo  ordinamento  giuridico  ed
 economico  del personale improntato al principio della contrattazione
 collettiva, inaugurato con la legge regionale 29 ottobre 1985 n. 41 e
 di cui la legge impugnata  costituisce  attuazione  per  il  triennio
 1985-1987.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
     1)   Dichiara   L'illegittimita'   costituzionale  dei  combinati
 disposti dell'articolo 1, terzo comma, lettere b) e c),  della  legge
 27  maggio  1959 n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale
 in attivita' ed in quiescenza) con gli articoli 3 e 38 del d.P.R.  29
 dicembre 1973 n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle
 prestazioni  previdenziali  a favore dei dipendenti civili e militari
 dello Stato); con gli articoli 13 e 26 della legge 20 marzo  1975  n.
 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto
 di lavoro del personale dipendente) e con gli articoli 14 della legge
 14  dicembre  1973  n. 829 (Riforma dell'Opera di previdenza a favore
 del personale dell'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato) e  21
 della  legge  17  maggio 1985 n. 210 (Istituzione dell'ente "Ferrovie
 dello Stato"), nella parte in cui non prevedono, per i trattamenti di
 fine rapporto ivi  considerati,  meccanismi  legislativi  di  computo
 dell'indennita'  integrativa  speciale  secondo i principi ed i tempi
 indicati in motivazione;
     2)  Dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
 costituzionale  dell'articolo  22  della  legge  3 giugno 1975 n. 160
 (Norme per il miglioramento dei trattamenti pensionistici  e  per  il
 collegamento  alla dinamica salariale), dell'articolo 3 della legge 7
 luglio 1980 n. 299 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L.
 7 maggio 1980 n. 153, concernente norme per l'attivita' gestionale  e
 finanziaria  degli  enti  locali  per l'anno 1980), e dell'articolo 4
 della legge 29 maggio 1982 n. 297 (Disciplina del trattamento di fine
 rapporto e norme in materia pensionistica), sollevate in  riferimento
 agli  articoli  3,  36  e  38  della  Costituzione,  dalla  Corte  di
 cassazione e dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con  le
 ordinanze indicate in epigrafe;
     3)   Dichiara   non   fondata   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale dell'articolo 19 della legge  regionale  siciliana  15
 giugno  1988 n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del
 personale dell'Amministrazione regionale per il triennio 1985-1987  e
 modifiche  ed  integrazioni  alla  normativa  concernente  lo  stesso
 personale), sollevata, in riferimento agli  articoli  3  e  36  della
 Costituzione  dal  Tribunale  amministrativo regionale della Sicilia,
 Sezione distaccata di Catania, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 5 maggio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 19 maggio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0540