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N. 228 SENTENZA 24 settembre - 6 ottobre 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Accertamento delle imposte sui redditi  -  Presunzioni  basate  sulle
  movimentazioni bancarie - Disciplina per i lavoratori autonomi. 
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di
  accertamento delle imposte sui redditi), art. 32, comma  1,  numero
  2), secondo  periodo,  come  modificato  dall'art.  1,  comma  402,
  lettera a), numero  1),  della  legge  30  dicembre  2004,  n.  311
  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e  pluriennale
  dello Stato - legge finanziaria 2005). 
-   
(GU n.42 del 8-10-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Sabino CASSESE; 
Giudici  :Giuseppe  TESAURO,  Paolo   NAPOLITANO,   Giuseppe   FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,
  Sergio MATTARELLA, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  32,  comma
1, numero 2), secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973,  n.  600
(Disposizioni comuni in materia di  accertamento  delle  imposte  sui
redditi), come modificato dall'art. 1, comma 402, lettera a),  numero
1), della legge  30  dicembre  2004,  n.  311  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2005), promosso dalla  Commissione  tributaria  regionale
per il Lazio nel procedimento vertente tra D.R. ed altra, in  proprio
e nella  qualita'  di  associati  dello  "Studio  legale  Delfino"  e
l'Agenzia  delle  entrate,  Direzione  provinciale  di  Viterbo,  con
ordinanza del 10  giugno  2013,  iscritta  al  n.  238  del  registro
ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2013. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'11 giugno  2014  il  Giudice
relatore Giancarlo Coraggio. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 giugno 2013  la  Commissione  tributaria
regionale  per  il  Lazio  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in  materia  di
accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall'art. 1,
comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30  dicembre  2004,  n.
311  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005). 
    Oggetto del giudizio sono tre avvisi di  accertamento  emessi  in
relazione all'anno d'imposta  2004,  in  relazione  ai  quali  vi  e'
l'accertamento del maggiore imponibile ai fini IRPEF  e  IRAP  basato
sulla disposizione di cui all'art. 32, comma 1, numero 2), del d.P.R.
n.  600  del  1973,  nel  testo  risultante  dopo  le   modificazioni
introdotte dall'art. 1 della legge n. 311 del 2004. 
    La disposizione censurata  cosi'  recita:  «I  dati  ed  elementi
attinenti  ai  rapporti  ed  alle  operazioni  acquisiti  e  rilevati
rispettivamente a norma del numero 7) e dell'articolo 33,  secondo  e
terzo comma, o acquisiti ai sensi dell'articolo 18, comma 3,  lettera
b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n.  504,  sono  posti  a
base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli  artt.  38,
39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne  ha  tenuto  conto
per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno
rilevanza allo stesso fine;  alle  stesse  condizioni  sono  altresi'
posti come ricavi o  compensi  a  base  delle  stesse  rettifiche  ed
accertamenti,  se  il  contribuente  non  ne   indica   il   soggetto
beneficiario e sempreche' non risultino dalle scritture contabili,  i
prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti
od operazioni». 
    2.- Le censure del giudice rimettente investono la seconda  parte
della norma. 
    Rileva il giudice a quo che l'art. 1 della legge n. 311 del 2004,
inserendo nel corpo di tale parte della  disposizione  le  parole  «o
compensi», ha esteso ai lavoratori autonomi l'ambito operativo  della
presunzione in base alla quale le somme prelevate dal conto  corrente
(cosi'  come  quelle  su  questo  versate)   costituiscono   compensi
assoggettabili a tassazione, se non  sono  annotate  nelle  scritture
contabili  e  se  non  sono  indicati  i  soggetti  beneficiari   dei
pagamenti. 
    La disposizione censurata, se applicata agli  anni  d'imposta  in
corso o anteriori  alla  novella  legislativa,  comporterebbe  per  i
contribuenti  professionisti  un  onere  probatorio  imprevedibile  e
impossibile  da  assolvere,  in  contrasto  con   l'art.   24   della
Costituzione e con il principio di tutela dell'affidamento richiamato
dall'art.  3,  comma  2,  della  legge  27  luglio   2000,   n.   212
(Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente). 
    Essa violerebbe, altresi', l'art. 3 Cost., alla luce di  entrambe
le letture di cui la norma  e'  passibile:  la  prova  contraria  che
incombe sul contribuente o  richiederebbe  necessariamente  anche  la
giustificazione  causale  dei  prelevamenti,  cosi'   imponendo   «un
adempimento aggiuntivo rispetto a quello rappresentabile  sulla  base
di una lettura piana del testo normativa»; oppure dovrebbe  ritenersi
soddisfatta «con la mera  indicazione  del  beneficiario,  divenendo,
pero', tanto irrazionale quanto inutile sul  piano  dell'accertamento
dei maggiori redditi». 
    La disposizione, se applicata a prelevamenti anteriori alla  data
di entrata in vigore della legge n. 311 del 2004, lederebbe, inoltre,
l'art. 111 Cost., in quanto con la legge  del  2004  sarebbero  stati
introdotti  effetti  «a  sorpresa»  a  vantaggio  dell'Agenzia  delle
entrate e a danno dei contribuenti, con violazione del  principio  di
parita' delle parti. 
    Infine, la presunzione in base alla quale le somme prelevate  dal
conto corrente costituiscono  compensi  assoggettabili  a  tassazione
violerebbe il principio di capacita' contributiva di cui all'art.  53
Cost., oltre che l'art. 3 Cost., e cio' in quanto per il  reddito  da
lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni  logicopresuntive  tra
costi e ricavi  tipiche  del  reddito  d'impresa  e  il  prelevamento
sarebbe un «fatto oggettivamente estraneo all'attivita' di produzione
del reddito professionale». 
    3.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, instando per la declaratoria di manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale. 
    La disposizione impugnata,  in  primo  luogo,  non  lederebbe  il
principio di capacita' contributiva di cui all'art. 53 Cost. 
    L'art. 1 della legge n. 311 del 2004,  con  riferimento  all'art.
32, comma 1, numero 2), del d.P.R.  n.  600  del  1973,  si  sarebbe,
infatti, limitato a chiarire un dato  gia'  insito  nella  precedente
formulazione della norma, espressamente sancendo che  la  presunzione
di imponibilita' delle operazioni di addebito/prelevamenti si applica
anche ai lavoratori autonomi. D'altro canto, tale presunzione sarebbe
ispirata dalla volonta' del legislatore di valorizzare l'analisi,  da
parte dell'ufficio accertatore, della maggiore  capacita'  di  spesa,
comunque manifestata e non giustificata dal lavoratore autonomo, e di
correlare tale maggiore capacita' con le ulteriori operazioni  attive
anch'esse effettuate presuntivamente  "in  nero",  nell'ambito  della
specifica attivita' esercitata. 
    Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, inoltre,
il fondamento economico-contabile sotteso al  meccanismo  presuntivo,
che si basa per le imprese prevalentemente sull'acquisto e vendita di
beni, sarebbe configurabile anche per i lavoratori autonomi. Infatti,
anche  per  esercitare  attivita'  professionali  sarebbe  necessario
l'acquisto di beni o comunque di  servizi  per  rendere  prestazioni,
anche di natura complessa. 
    Sussisterebbero, quindi, entrambi i presupposti  di  legittimita'
costituzionale delle presunzioni in  materia  fiscale,  e  cioe'  che
l'indice noto da cui si desume il  fatto  ignoto  sia  «concretamente
rivelatore di ricchezza» (sentenza n. 283 del 1987) e che  il  «nesso
inferenziale risponda a regole di comune esperienza» (sentenza n. 109
del 1967). 
    Secondo la difesa dello Stato, peraltro, la norma  potrebbe  -  e
dovrebbe - essere interpretata nel senso che soltanto  movimentazioni
di  un  certo  importo  possono  assumere  valenza  presuntiva,  come
confermato dalla prassi applicativa dell'Amministrazione  finanziaria
e,  in  particolare,  dalla  circolare  19  ottobre  2006,  n.   32/E
dell'Agenzia delle  entrate,  Direzione  centrale  accertamento.  Del
resto,  la  presunzione  de  qua  avrebbe  una  ragionevole  funzione
deterrente  mirando  a  indurre  i  professionisti,  al  pari   degli
imprenditori,  a  prestare  particolare  attenzione  a  una  coerente
rispondenza tra movimenti  bancari,  compresi  i  prelievi  in  conto
corrente, e registrazioni contabili. 
    Non sussisterebbe, inoltre, il denunciato contrasto con l'art. 24
Cost. e con il  principio  di  tutela  dell'affidamento.  E  cio'  in
considerazione del «diritto vivente» consolidato in  anni  successivi
all'entrata in vigore della disposizione de qua, secondo cui la  tesi
contraria all'applicabilita' della presunzione de qua ai  redditi  da
lavoro autonomo prima della modifica introdotta dalla  legge  n.  311
del 2004 - pur essendo in  astratto  sostenibile,  facendo  leva  sul
termine  «ricavi»  -  avrebbe  dato  adito  a   forti   sospetti   di
incostituzionalita'. 
    Proprio alla luce di  tale  consolidata  giurisprudenza  sarebbe,
infine, da escludere la denunciata violazione  dell'art.  111  Cost.,
tenuto  conto  dell'applicabilita'  della  presunzione  in  esame  ai
percettori di reddito da lavoro autonomo gia' in epoca anteriore alla
modifica di cui alla legge  n.  311  del  2004.  Non  sarebbe  quindi
ravvisabile un «ribaltamento dell'onere  della  prova,  avvenuto  con
legge  successiva  [...]  idoneo  a  provocare   degli   effetti   "a
sorpresa"», come erroneamente paventato dal giudice a quo. 
    4.- In data 21  maggio  2014  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha depositato memoria, sostanzialmente ribadendo le  proprie
argomentazioni ed insistendo sulla giustificazione della  presunzione
in esame,  la  quale  mirerebbe  a  reprimere  l'evasione  tanto  del
professionista che acquista beni o  servizi  in  nero  e  quanto  del
fornitore del professionista stesso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 giugno 2013  la  Commissione  tributaria
regionale  per  il  Lazio  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in  materia  di
accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall'art. 1,
comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30  dicembre  2004,  n.
311  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005). 
    La norma dispone che i dati ed elementi  trasmessi  su  richiesta
(ex art. 32, comma 1, numero 7, del d.P.R. n. 600 del 1973), rilevati
direttamente (ex art. 33, commi 1 e 2, del d.P.R. n.  600  del  1973)
ovvero nei controlli relativi alle imposte sulla produzione o consumo
[ex art. 18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26  ottobre
1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative  concernenti
le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni  penali
e amministrative)]  sono  posti  a  base  delle  rettifiche  e  degli
accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del medesimo d.P.R.
n. 600 del 1973, salvo che il contribuente dimostri che ne ha  tenuto
conto nella determinazione dei redditi o che essi non hanno rilevanza
a tal fine. Prevede, poi, che i prelevamenti o gli  importi  riscossi
nell'ambito delle  predette  operazioni  sono  posti  come  ricavi  o
compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti (e sono  quindi
assoggettabili a tassazione), se il  contribuente  non  ne  indica  i
soggetti beneficiari  e  sempreche'  non  risultino  dalle  scritture
contabili. 
    La presunzione disciplinata da  tale  ultima  parte  della  norma
nella sua originaria formulazione (limitata ai «ricavi»)  interessava
unicamente gli imprenditori, l'art. 1 della legge  n.  311  del  2004
(inserendo anche i «compensi») ne ha poi esteso l'ambito operativo ai
lavoratori autonomi. 
    1.1.- La  questione  sollevata  si  articola  in  due  gruppi  di
censure: uno  -  comprensivo  della  seconda  (artt.  3  e  24  della
Costituzione) e della quarta censura (artt. 3 e 53 Cost.) - avente ad
oggetto l'estensione della inversione della prova e della presunzione
de qua ai compensi dei lavoratori  autonomi;  l'altro  -  comprensivo
della prima (art. 24 Cost.) e della terza censura (art. 111 Cost.)  -
avente ad oggetto l'applicazione retroattiva della norma agli anni di
imposta precedenti all'entrata in vigore della legge n. 311 del 2004. 
    Con riferimento al primo gruppo di censure, il giudice rimettente
argomenta la violazione del principio di  capacita'  contributiva  di
cui all'art. 53 Cost., oltre che dell'art. 3 Cost., rilevando che per
il  reddito  da  lavoro  autonomo  non  varrebbero  le   correlazioni
logicopresuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito  d'impresa  e
il   prelevamento   sarebbe   un   «fatto   oggettivamente   estraneo
all'attivita' di produzione  del  reddito  professionale»,  idoneo  a
costituire un «mero indice generale  di  spesa».  Inoltre,  la  norma
censurata sarebbe «irrazionale» qualunque sia la lettura ad essa data
tra  quelle  possibili:  o  la  prova  contraria   che   incombe   al
contribuente potrebbe ritenersi soddisfatta «con la mera  indicazione
del beneficiario, divenendo, pero', tanto irrazionale quanto  inutile
sul piano dell'accertamento dei maggiori redditi» oppure  -  seguendo
quanto sostenuto  dall'Amministrazione  finanziaria  -  richiederebbe
necessariamente anche la giustificazione  causale  dei  prelevamenti,
cosi'  imponendo  «un  adempimento  aggiuntivo  rispetto   a   quello
rappresentabile sulla base di una lettura piana del testo normativo». 
    Con  riferimento  al  secondo  gruppo  di  censure,  il   giudice
rimettente sostiene che la disposizione impugnata, se applicata  agli
anni  d'imposta  in  corso  o  anteriori  alla  novella  legislativa,
comporterebbe per i contribuenti professionisti un  onere  probatorio
imprevedibile e impossibile da assolvere, in contrasto con l'art.  24
Cost. e con il principio di tutela dell'affidamento, richiamato anche
nell'art 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni
in materia di statuto dei  diritti  del  contribuente),  nonche'  con
l'art. 111 Cost. per violazione del principio di parita' delle parti. 
    1.2.-  A  parere  del  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri
sussisterebbero entrambi i presupposti di legittimita' costituzionale
delle presunzioni in materia fiscale richiesti  dalla  giurisprudenza
di questa Corte, e cioe' che l'indice noto da cui si desume il  fatto
ignoto sia «concretamente rivelatore di ricchezza» (sentenza  n.  283
del 1987) e che il nesso inferenziale risponda  a  regole  di  comune
esperienza (sentenza n. 109  del  1967).  Del  resto,  il  fondamento
economico-contabile  sotteso   al   meccanismo   presuntivo   sarebbe
configurabile anche per i lavoratori autonomi, posto  che  anche  per
esercitare attivita' professionali sarebbe necessario  l'acquisto  di
beni o di servizi, al fine di rendere prestazioni,  anche  di  natura
complessa. 
    Non sussisterebbe, poi, il denunciato  contrasto  con  l'art.  24
Cost. e con il principio di tutela dell'affidamento o con l'art.  111
Cost., in considerazione del «diritto vivente»  consolidato  in  anni
successivi all'entrata in vigore della disposizione de  qua,  secondo
cui l'applicabilita' della presunzione  in  esame  ai  percettori  di
reddito da lavoro autonomo derivava, gia' anteriormente alla modifica
di cui alla legge n. 311 del 2004, da un'interpretazione  conforme  a
Costituzione della disposizione censurata. 
    2.- In via preliminare, va  rilevata  la  inammissibilita'  della
seconda censura, sollevata con riferimento agli artt. 3 e  24  Cost.,
alla  luce  del  carattere   alternativo   e   ancipite   della   sua
formulazione. 
    Il giudice rimettente ha infatti sostenuto la natura  irrazionale
della norma e la sua portata lesiva del diritto di  difesa  basandosi
sulla doppia e alternativa  interpretazione  che  della  disposizione
puo' essere data, senza sciogliere tale alternativa e senza porre  le
due interpretazioni in rapporto di subordinazione logica. L'omissione
conferisce carattere  ancipite  alla  prospettazione  della  censura,
oltre a rendere  perplessa  la  motivazione  sulla  rilevanza,  cosi'
determinando l'inammissibilita' della questione sollevata, sulla base
della costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n.
280 del 2011 e n. 355 del 2010). 
    3.- Nel merito  la  questione  e'  fondata  in  riferimento  alle
censure di cui agli artt. 3 e 53 Cost., con conseguente  assorbimento
di quelle relative agli artt. 24 e 111 Cost. 
    4.-  Anche  se  le  figure  dell'imprenditore  e  del  lavoratore
autonomo sono per molti versi affini nel  diritto  interno  come  nel
diritto comunitario, esistono specificita' di quest'ultima  categoria
che inducono  a  ritenere  arbitraria  l'omogeneita'  di  trattamento
prevista dalla disposizione censurata, alla  cui  stregua  anche  per
essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe ad un  costo
a sua volta produttivo di un ricavo. 
    Secondo tale doppia correlazione, in assenza  di  giustificazione
deve ritenersi che  la  somma  prelevata  sia  stata  utilizzata  per
l'acquisizione,  non  contabilizzata  o  non  fatturata,  di  fattori
produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti
a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati. 
    Il fondamento economico-contabile di  tale  meccanismo  e'  stato
ritenuto da questa Corte (sentenza n. 225 del 2005) congruente con il
fisiologico andamento dell'attivita'  imprenditoriale,  il  quale  e'
caratterizzato dalla necessita' di continui investimenti  in  beni  e
servizi in vista di futuri ricavi. 
    L'attivita' svolta dai  lavoratori  autonomi,  al  contrario,  si
caratterizza per la preminenza dell'apporto del lavoro proprio  e  la
marginalita' dell'apparato organizzativo.  Tale  marginalita'  assume
poi differenti gradazioni a seconda  della  tipologia  di  lavoratori
autonomi, sino a divenire quasi assenza  nei  casi  in  cui  e'  piu'
accentuata la natura intellettuale dell'attivita' svolta, come per le
professioni liberali. 
    4.1.- Si aggiunga che la non ragionevolezza della presunzione  e'
avvalorata dal fatto che gli  eventuali  prelevamenti  (che  peraltro
dovrebbero essere anomali rispetto al  tenore  di  vita  secondo  gli
indirizzi dell'Agenzia delle entrate)  vengono  ad  inserirsi  in  un
sistema  di  contabilita'  semplificata   di   cui   generalmente   e
legittimamente si avvale  la  categoria;  assetto  contabile  da  cui
deriva la  fisiologica  promiscuita'  delle  entrate  e  delle  spese
professionali e personali. 
    4.2.- Peraltro,  l'esigenza  di  combattere  un'evasione  fiscale
ritenuta rilevante nel  settore  trova  una  risposta  nella  recente
produzione normativa sulla tracciabilita' dei  movimenti  finanziari.
Si pensi, da ultimo, al decreto del Ministro dello sviluppo economico
24 gennaio 2014 (Definizioni e ambito di applicazione  dei  pagamenti
mediante carte di debito), che ha dato attuazione all'art. 15,  comma
4, del decreto-legge  18  ottobre  2012,  n.  179  (Ulteriori  misure
urgenti per la crescita del Paese),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, alla  cui  stregua
dal 1° gennaio 2014 vi e' l'obbligo - sia pure sprovvisto di sanzioni
- di  accettare  pagamenti,  di  importo  superiore  a  trenta  euro,
effettuati con carte di debito in favore di imprese e  professionisti
per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi. 
    La tracciabilita' del danaro, oltre ad essere  uno  strumento  di
lotta al riciclaggio di capitali di provenienza illecita, persegue il
dichiarato  fine  di  contrastare  l'evasione  o  l'elusione  fiscale
attraverso la limitazione dei pagamenti effettuati in contanti che si
possono prestare ad operazioni "in nero". 
    5.- Pertanto nel caso di specie  la  presunzione  e'  lesiva  del
principio di ragionevolezza  nonche'  della  capacita'  contributiva,
essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da  conti
correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati
ad un investimento nell'ambito della propria attivita'  professionale
e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 32,  comma  1,
numero 2), secondo periodo, del d.P.R.  29  settembre  1973,  n.  600
(Disposizioni comuni in materia di  accertamento  delle  imposte  sui
redditi), come modificato dall'art. 1, comma 402, lettera a),  numero
1), della legge  30  dicembre  2004,  n.  311  (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2005), limitatamente alle parole «o compensi». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2014. 
 
                                F.to: 
                     Sabino CASSESE, Presidente 
                    Giancarlo CORAGGIO, Redattore 
                Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2014. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                    F.to: Gabriella Paola MELATTI