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N. 120 SENTENZA 3 - 5 giugno 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Elezioni - Cause di incompatibilita' - Incompatibilita' tra la carica
  di parlamentare e quella di sindaco di un  Comune  con  popolazione
  superiore ai 20.000 abitanti - Mancata previsione  -  Irragionevole
  disparita' di trattamento rispetto a  tutte  le  altre  ipotesi  di
  incompatibilita'  ex  lege  per   il   sindaco   -   Illegittimita'
  costituzionale in parte qua - Assorbimento degli ulteriori  profili
  di censura. 
- Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 63. 
- Costituzione, artt. 3 e 51 (artt. 67 e 97). 
(GU n.24 del 12-6-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli  63  e
70 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle
leggi sull'ordinamento degli enti  locali),  promosso  dal  Tribunale
ordinario di Napoli nel procedimento vertente tra Boccellino Giovanni
ed altri e Nespoli Vincenzo ed altro, con ordinanza del 14 marzo 2012
iscritta al n. 262 del registro ordinanze  2012  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  47,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24  aprile  2013  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - In  un  giudizio  promosso  (con  ricorso  depositato  il  5
dicembre 2011) da cittadini elettori nei  confronti  del  Sindaco  di
Afragola - per accertare la sussistenza in capo a questo della  causa
di incompatibilita' tra  tale  carica  e  quella  di  senatore  della
Repubblica italiana e dichiararne  la  decadenza  dalla  prima  -  il
Tribunale ordinario di Napoli, prima sezione  civile,  con  ordinanza
emessa il 14 marzo  2012,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 63 del  decreto  legislativo  18  agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti
locali), «in combinato disposto con l'art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000,
nella parte in cui il suddetto articolo 63, nel sancire le  cause  di
incompatibilita', non prevede l'incompatibilita'  tra  la  carica  di
parlamentare e  quella  di  Sindaco  di  un  Comune  con  popolazione
superiore ai  20.000  abitanti,  non  consentendo  cosi'  l'esercizio
dell'azione popolare, per la lesione degli articoli 3, 51,  67  e  97
della  Costituzione  nonche'  del  principio  di  ragionevolezza   in
riferimento agli artt. 1, 2, 3 e 4 della L.  n.  53/1960  [recte:  n.
60/1953]  come  dichiarati   costituzionalmente   illegittimi   dalla
sentenza n. 277 del 2011 della Corte Costituzionale». 
    Il rimettente espone che l'elezione a sindaco del  convenuto  era
avvenuta nella tornata elettorale del 13  e  14  aprile  2008  e  nel
successivo turno di ballottaggio del 28 e  29  aprile  2008  (ed  era
stata convalidata l'11 giugno 2008),  mentre  il  medesimo  rivestiva
anche la carica di parlamentare nazionale in quanto eletto al  Senato
della Repubblica nella  XVI  legislatura,  in  data  13  aprile  2008
(proclamato il 24 aprile 2008, con convalida in data 1° luglio 2008),
con conseguente contemporanea assunzione delle due cariche. 
    Cio' premesso - esaminato il quadro normativo vigente in tema  di
incompatibilita'  tra   cariche   pubbliche   e   di   modalita'   di
contestazione e di accertamento, in  particolare  con  riguardo  alle
cariche di parlamentare e di sindaco -, il Collegio  rileva  che  nel
decreto  legislativo  n.  267  del  2000,  tra  le  disposizioni  che
prevedono le cause  di  ineleggibilita'  ed  incompatibilita',  anche
sopravvenute,  non  si  rinviene  alcuna  previsione   che   sancisca
l'ineleggibilita' del parlamentare a sindaco e l'incompatibilita' tra
le due cariche, giacche' un riferimento ai  profili  di  interferenza
tra dette cariche si trova solo nell'art.  62,  che  disciplina  (con
previsione coincidente a quella contenuta nell'art. 7 del decreto del
Presidente  della  Repubblica  30  marzo  1957,   n.   361,   recante
«Approvazione del testo  unico  delle  leggi  recanti  norme  per  la
elezione della Camera dei deputati», e negli artt. 2 e 5 del  decreto
legislativo 20 dicembre 1993, n.  533,  recante  «Testo  unico  delle
leggi recanti norme per l'elezione del Senato della  Repubblica»)  il
diverso caso in cui la accettazione della candidatura a  parlamentare
comporta la decadenza dalla  carica  di  sindaco  di  un  Comune  con
popolazione superiore a 20.000 abitanti. 
    Richiamate analiticamente le argomentazioni contenute nella sopra
citata sentenza di questa Corte n. 277 del 2011,  nel  respingere  le
eccezioni del convenuto di inammissibilita' del ricorso  per  difetto
di giurisdizione e decadenza dall'azione, il Tribunale osserva, da un
lato, che - se va considerato che l'incompatibilita' tra la carica di
parlamentare e quella di sindaco, enucleata da  detta  sentenza,  non
ricade direttamente sull'ambito applicativo del  decreto  legislativo
n. 267 del 2000, ove e' disciplinata l'azione popolare - non puo' non
considerarsi che la mancata possibilita' di esercitarla,  conseguente
a questa assenza  normativa,  determinerebbe  una  disarmonia  ed  un
disequilibrio del sistema, cosi' da causare una sperequazione tra  il
diritto di elettorato  passivo  rispetto  al  diritto  di  elettorato
attivo, «atteso che la valutazione di una incompatibilita'  ricadente
su  due  diverse  cariche  elettive  (parlamentare  e   sindaco)   si
troverebbe ad essere parzialmente sottratta all'ordinario sistema  di
accertamento e contestazione previsto per una delle  due  (sindaco)»;
laddove, comunque, la domanda proposta in giudizio non verterebbe  in
materia coperta dalla riserva di autodichia di cui all'art. 66 Cost.,
giacche'  «la  qualita'  di  parlamentare  non  e'  in  nessun   caso
suscettibile di subire riflessi giuridici, diretti o indiretti, dalla
decisione che l'A.G.O. e' tenuta ad assumere nel  merito  dell'azione
popolare esperita in relazione alla carica  di  Sindaco».  Dall'altro
lato, il Tribunale rileva che  secondo  il  consolidato  orientamento
della Suprema Corte, l'azione elettorale si colloca su  un  piano  di
assoluta autonomia rispetto alla  delibera  consiliare  di  convalida
dell'elezione, involgendo posizioni di diritto soggettivo perfetto; e
che pertanto i pieni poteri  di  cognizione  del  giudice  ordinario,
comprendenti anche quello di correggere il risultato delle  elezioni,
non  sono  influenzati  da  eventuali  provvedimenti  del   consiglio
comunale, ne' il relativo procedimento amministrativo  puo'  incidere
sulla proponibilita' dell'azione giudiziaria, che prescinde sia dalla
esistenza  di  un  deliberato  consiliare   sia   dalla   correlativa
impugnativa di esso. 
    Escluso che la censurata lacuna normativa possa essere colmata in
via di applicazione estensiva o analogica, ovvero di  interpretazione
costituzionalmente orientata (atteso  il  principio  di  tassativita'
delle cause di ineleggibilita' e di incompatibilita'), il  rimettente
osserva, dunque, come la mancata previsione nel  decreto  legislativo
n. 267 del 2000 della  incompatibilita'  (legislativamente  prevista,
sia pure in altra legge, in ragione della richiamata sentenza n.  277
del 2011) tra la carica di sindaco di un Comune con  piu'  di  20.000
abitanti  e  di  parlamentare,  non  consentendo   tra   l'altro   la
utilizzabilita' dell'azione popolare, si ponga in contrasto:  a)  con
l'art. 3 Cost.,  «sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  per  la
violazione del principio generale secondo cui un  soggetto  non  puo'
assumere  e  mantenere  durante  il  proprio  mandato  la  carica  di
parlamentare  e  di  sindaco  tra  le  quali  e'  stata  sancita  una
incompatibilita' ex lege ex artt. 2, 3 e 4  della  legge  n.  60/1953
come dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza n.  277
del 2011 della Corte Costituzionale,  senza  che  sia  consentito  ai
cittadini elettori di sottoporre questa situazione  al  vaglio  della
giurisdizione ordinaria ai sensi dell'art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000,
come previsto per tutte le altre ipotesi di incompatibilita'  dettate
ex  lege  per  il  Sindaco»;  e  con  il  «principio  di  eguaglianza
specificamente sancito in materia elettorale dall'art. 51 Cost.»;  b)
con l'art. 67 Cost., «nella  parte  in  cui  viene  in  evidenza  una
possibile   contrapposizione   d'interessi   tra   enti   locali,   e
segnatamente  tra  Comuni  aventi  una  rilevante   popolazione,   ed
organizzazione  statuale  nazionale,  con  conseguente   vulnus   del
principio di liberta' di mandato» e di  imparzialita'  nell'esercizio
delle funzioni; c) con l'art. 97 Cost., atteso che  il  cumulo  degli
uffici di sindaco  di  un  Comune  con  rilevante  popolazione  e  di
parlamentare    nazionale    puo'     ripercuotersi     negativamente
sull'efficienza  e  imparzialita'  delle   funzioni   cumulativamente
esercitate, come ripetutamente affermato dalla Corte (di cui cita  le
sentenze n. 143 del 2010, n. 44 del 1997 e n. 235 del 1988). 
    2. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
concluso per la  declaratoria  di  inammissibilita'  della  sollevata
questione, in ragione del fatto  che  -  prevista  dall'art.  62  del
decreto legislativo n. 267 del 2000 la decadenza (azionabile ai sensi
del successivo art.  70)  dalle  cariche  elettive  ricoperte  per  i
sindaci dei Comuni con popolazione superiore ai 20 mila abitanti ed i
presidenti di Provincia che accettino la  candidatura  a  deputato  o
senatore - il rimettente muoverebbe dall'erroneo presupposto  che  la
mancata previsione nell'impugnato art. 63 della incompatibilita'  tra
le cariche de quibus precluderebbe la possibilita' per  il  cittadino
di far valere la decadenza in  oggetto.  La  difesa  erariale  rileva
viceversa  che,   nel   caso   in   esame,   le   conseguenze   della
contemporaneita' dell'incarico parlamentare  con  quello  di  sindaco
sarebbero gia' previste e disciplinate con la decadenza, che ben puo'
essere fatta valere (come  e'  stata  concretamente  esercitata)  con
l'azione prevista dal citato art. 70. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale ordinario di Napoli,  prima  sezione  civile  -
chiamato a pronunciarsi su una azione popolare promossa da  cittadini
elettori nei confronti del Sindaco  di  Afragola,  per  accertare  la
sussistenza in capo ad esso  della  causa  di  incompatibilita'  (per
contemporanea assunzione all'esito delle rispettive elezioni tenutesi
entrambe nel mese di aprile del 2008) tra tale  carica  e  quella  di
senatore della Repubblica italiana e dichiararne la  decadenza  dalla
prima - censura dell'articolo 63 del decreto  legislativo  18  agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti
locali), «in combinato disposto con l'art. 70 del D.Lgs. n. 267/2000,
nella parte in cui il suddetto articolo 63, nel sancire le  cause  di
incompatibilita', non prevede l'incompatibilita'  tra  la  carica  di
parlamentare e  quella  di  Sindaco  di  un  Comune  con  popolazione
superiore ai  20.000  abitanti,  non  consentendo  cosi'  l'esercizio
dell'azione popolare, per la lesione degli articoli 3, 51,  67  e  97
della  Costituzione  nonche'  del  principio  di  ragionevolezza   in
riferimento agli artt. 1, 2, 3 e 4 della L.  n.  53/1960  [recte:  n.
60/1953]  come  dichiarati   costituzionalmente   illegittimi   dalla
sentenza n. 277 del 2011 della Corte Costituzionale», «nella parte in
cui non prevedono l'incompatibilita' tra la carica di parlamentare  e
quella di sindaco di  Comune  con  popolazione  superiore  ai  20.000
abitanti». 
    Secondo il rimettente - escluso che la censurata lacuna normativa
possa  essere  colmata  nel  giudizio  a  quo  mediante  applicazione
estensiva  o  analogica,  ovvero  interpretazione  costituzionalmente
orientata,  stante  il  principio  di  tassativita'  delle  cause  di
ineleggibilita' e di incompatibilita' -, la norma impugnata  si  pone
in contrasto: a) con gli articoli 3 e 51 della  Costituzione,  «sotto
il profilo della ragionevolezza,  per  la  violazione  del  principio
generale secondo cui  un  soggetto  non  puo'  assumere  e  mantenere
durante il proprio mandato la carica di parlamentare e di sindaco tra
le quali e' stata sancita una incompatibilita' ex  lege  [...]  senza
che  sia  consentito  ai  cittadini  elettori  di  sottoporre  questa
situazione  al  vaglio  della  giurisdizione   ordinaria   ai   sensi
dell'art.70 del D.Lgs. n. 267/2000, come previsto per tutte le  altre
ipotesi di incompatibilita' dettate ex lege per il Sindaco»; e con il
«principio  di  eguaglianza   specificamente   sancito   in   materia
elettorale»; b) con l'art. 67 Cost., «nella parte  in  cui  viene  in
evidenza una possibile contrapposizione d'interessi tra enti  locali,
e segnatamente  tra  Comuni  aventi  una  rilevante  popolazione,  ed
organizzazione  statuale  nazionale,  con  conseguente   vulnus   del
principio di liberta' di mandato» e di  imparzialita'  nell'esercizio
delle funzioni; c) con l'art. 97 Cost., atteso che  il  cumulo  degli
uffici di sindaco  di  un  Comune  con  rilevante  popolazione  e  di
parlamentare    nazionale    puo'     ripercuotersi     negativamente
sull'efficienza  e  imparzialita'  delle   funzioni   cumulativamente
esercitate. 
    2. - L'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel  presente
giudizio in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio  dei
ministri, eccepisce l'inammissibilita' della sollevata questione,  in
ragione di una dedotta erroneita' della  premessa  da  cui  muove  il
rimettente, secondo cui la mancata previsione (nell'impugnato art. 63
della  incompatibilita')  tra  le  cariche  de  quibus   verrebbe   a
precludere  la  possibilita'  per  il  cittadino  di  far  valere  la
decadenza in oggetto. Il rimettente, infatti, non avrebbe considerato
che le conseguenze della contemporaneita' dell'incarico  parlamentare
con quello di sindaco sarebbero gia' previste e disciplinate, con  la
specifica decadenza sancita dal precedente art. 62, che ben  potrebbe
essere fatta valere con l'azione popolare. 
    2.1. - L'eccezione non e' fondata. 
    Essa si basa sull'assunto (privo di fondamento normativo) in base
al  quale   il   rimettente   (anziche'   proporre   l'incidente   di
costituzionalita') avrebbe dovuto applicare per la definizione  della
fattispecie  sottoposta  al  suo  giudizio  il  rimedio  disciplinato
dall'art. 62 del decreto legislativo  n.  267  del  2000  (azionabile
anch'esso con la generale azione di cui all'art. 70, la quale dunque,
in tesi,  non  rimarrebbe  preclusa  al  cittadino  elettore).  Detto
articolo dispone che, «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 7
del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361,  e
dall'articolo 5 del decreto legislativo 20  dicembre  1993,  n.  533,
l'accettazione della candidatura a deputato o senatore  comporta,  in
ogni caso, per i sindaci dei  comuni  con  popolazione  superiore  ai
20.000 abitanti e per i presidenti delle province la decadenza  dalle
cariche elettive ricoperte». Dalla lettura  dell'inequivoco  disposto
normativo emerge viceversa con  chiarezza  che  la  norma  richiamata
dalla  difesa  dello  Stato  regola  gli  effetti   derivanti   dalla
accettazione di una candidatura a parlamentare nazionale da parte  di
colui il quale (all'atto della candidatura medesima) sia gia' sindaco
di un grande Comune (ovvero presidente di Provincia). 
    E' vero che la previsione della  decadenza  dalla  carica  locale
gia' rivestita in  ragione  della  semplice  candidatura  (svincolata
nella  sua  immediata  operativita'  da  qualunque  incidenza   della
successiva elezione alla  carica  nazionale)  risulta  finalizzata  a
realizzare in anticipo (ed «in ogni caso») l'effetto preclusivo di un
eventuale cumulo di cariche. Ed e' altrettanto vero che -  rammentato
che   costituisce    principio    costantemente    affermato    dalla
giurisprudenza costituzionale quello  secondo  cui  la  eleggibilita'
costituisce la regola,  mentre  la  ineleggibilita'  rappresenta  una
eccezione; sicche' le norme che  disciplinano  quest'ultima  sono  di
stretta interpretazione, analogamente a quanto avviene per  le  cause
di incompatibilita', introducendo le une e le  altre  limitazioni  al
diritto di elettorato  passivo  (sentenza  n.  283  del  2010)  -  il
censurato art. 63 si  riferisce  a  fattispecie  di  incompatibilita'
affatto differente rispetto a quella regolata dal richiamato all'art.
62, che quindi costituisce  norma  inconferente  e  non  applicabile.
Cio', a meno di non attribuire ad essa (con opzione  ermeneutica  che
smentirebbe radicalmente il menzionato consolidato  orientamento)  un
generale effetto decadenziale derivante  dalla  mera  candidatura  al
Parlamento nazionale (non caratterizzato dal  peculiare  rapporto  di
priorita' temporale tra la carica locale gia' rivestita e quella  cui
il soggetto aspira), cosi' estendendone inammissibilmente la  portata
limitativa del diritto di elettorato passivo anche  alla  fattispecie
che  ha  dato  origine  al  giudizio  a  quo,  in  cui  (secondo   la
prospettazione, non contestata) le cariche  oggetto  del  contenzioso
sono state conseguite pressoche' contemporaneamente, e comunque senza
che si sia verificata in  concreto  il  presupposto  richiesto  dalla
disposizione evocata di una accettazione da parte del convenuto della
candidatura alle elezioni  del  Senato,  intervenuta  in  un  momento
successivo alla  elezione  del  medesimo  a  Sindaco  del  Comune  di
Afragola. 
    La sottolineata eterogeneita' delle fattispecie porta pertanto ad
escludere che le lamentate conseguenze della  contemporaneita'  della
assunzione dell'incarico parlamentare con quello di sindaco avrebbero
potuto essere ovviate dal rimettente attraverso  il  rimedio  di  cui
all'art. 62 del d.lgs. n. 267 del 2000. 
    2.2. - Non assume, inoltre, rilevanza ai fini della decisione del
presente  scrutinio  quanto  sancito  dall'art.  13,  comma  3,   del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge  14  settembre  2011,  n.  148,  il  quale
prevede che, «Fermo restando quanto previsto dalla  legge  20  luglio
2004, n. 215, e successive modificazioni, le cariche di deputato e di
senatore, nonche' le cariche di governo di cui all'articolo 1,  comma
2, della citata  legge  n.  215  del  2004,  sono  incompatibili  con
qualsiasi  altra  carica  pubblica  elettiva  di  natura  monocratica
relativa ad organi di governo di enti pubblici  territoriali  aventi,
alla data di indizione delle elezioni  o  della  nomina,  popolazione
superiore  a  5.000  abitanti,   fermo   restando   quanto   previsto
dall'articolo 62 del testo unico di cui  al  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267. Le incompatibilita' di cui al primo  periodo  si
applicano a decorrere dalla data di indizione delle elezioni relative
alla prima legislatura parlamentare successiva alla data  di  entrata
in vigore del presente decreto. [...]». Come evidenziato dallo stesso
rimettente, la  espressa  posticipazione  alla  prossima  legislatura
della operativita' della nuova  previsione  di  incompatibilita'  del
parlamentare successivamente eletto sindaco rende la nuova  normativa
priva di incidenza,  ratione  temporis,  sulla  sollevata  questione;
laddove  le   eventuali   problematiche   derivanti   dalla   duplice
regolamentazione  della  medesima  materia  troveranno  evidentemente
soluzione nei giudizi a  quibus  secondo  le  generali  regole  della
successione di leggi nel tempo. 
    Altrettanto e' a dirsi quanto alle vicende di fatto  sopravvenute
rispetto    alla    proposizione    dell'odierno     scrutinio     di
costituzionalita',  quali  la  cessazione  del  mandato  parlamentare
ricoperto dal convenuto a seguito della intervenuta conclusione della
XVI legislatura:  infatti,  secondo  la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte, tali mutamenti non sono idonei ad esplicare effetti sul
giudizio incidentale, in quanto questo, una volta iniziato in seguito
ad ordinanza di rinvio del giudice rimettente, non e' suscettibile di
essere influenzato da successive  vicende  di  fatto  concernenti  il
rapporto dedotto nel processo che lo ha  occasionato,  come  previsto
dall'art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, nel testo approvato il 7 ottobre  2008  (sentenze  n.
274 del 2011 e n. 227 del 2010). 
    3. - Nel merito, la questione e' fondata. 
    3.1. - Va premesso che - sebbene  formalmente  risulti  censurato
l'art. 63 del decreto legislativo  n.  267  del  2000  «in  combinato
disposto con l'art. 70» dello stesso testo unico degli enti locali  -
nella sostanza, per il rimettente, la  denunciata  impossibilita'  di
avvalersi dell'azione popolare in  mancanza  di  una  previsione  che
sancisca l'incompatibilita' tra le cariche de quibus, non deriva  dal
dettato dell'art. 70  (che,  quale  norma  processuale,  in  se'  non
produce alcuno dei vizi lamentati, trattandosi di un generale rimedio
giurisdizionale, utilizzabile per rimuovere tutti i casi in cui siano
state  violate  le  regole  di  ineleggibilita',  incompatibilita'  e
incandidabilita' previste dall'intero capo  II  del  titolo  III  del
decreto legislativo n. 267 del 2000), ma costituisce un mero  effetto
della lacuna normativa che il  rimettente  ravvisa  sussistere  nella
incompleta previsione, appunto, dell'art. 63, richiedendo di colmarla
attraverso l'estensione ad essa del dictum di cui  alla  sentenza  n.
277 del 2011. 
    3.2. - Cosi' individuato il thema decidendum, anche  in  rapporto
al petitum formulato dal rimettente (che, depurato  dai  richiami  di
valenza meramente argomentativa, va individuato  nella  richiesta  di
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 63  del  decreto
legislativo  n.  267  del  2000,  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'incompatibilita' tra la carica di parlamentare e quella di  sindaco
di un Comune con popolazione superiore ai  20.000  abitanti),  questa
Corte rileva, in primo luogo, che nella specie la sollevata questione
risulta diretta  ad  accertare  non  se  debba  essere  (ri)affermata
l'incompatibilita' tra  l'ufficio  di  parlamentare  nazionale  e  la
carica di sindaco di un Comune di grandi dimensioni.  Piuttosto  (una
volta riconosciuta, con la sentenza n. 277 del 2011,  tale  causa  di
incompatibilita' attraverso la dichiarazione  di  incostituzionalita'
diretta a rimediare ad una omissione presente  nel  plesso  normativo
delle leggi sulle incompatibilita' parlamentari) che tale  previsione
- ove si presenti rispetto  ad  una  fattispecie  che  il  rimettente
(mediante motivazione non implausibile ne' contestata) afferma essere
regolata dal differente sistema di leggi sull'ordinamento degli  enti
locali, che deve trovare applicazione nel giudizio a quo  in  ragione
della domanda azionata dai cittadini elettori - venga formalmente  ad
essere estesa anche a questo,  stante  la  eadem  ratio  fondata  sul
naturale carattere bilaterale della causa di incompatibilita', attesa
la medesima necessita' di rimediare ad una omissione,  gia'  ritenuta
incostituzionale dalla Corte rispetto ad altra legge (sentenza n.  67
del 2012). 
    Orbene, nella sentenza n. 277 del 2011 - premesso che  l'art.  7,
primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della  Repubblica
30 marzo 1957, n. 361 (Testo unico delle leggi recanti norme  per  la
elezione  della  Camera  dei  deputati),  sancisce  che:  «Non   sono
eleggibili: [...] c) i sindaci dei Comuni con  popolazione  superiore
ai 20.000 abitanti»; e  che,  a  sua  volta,  l'art.  5  del  decreto
legislativo 2 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi  recanti
norme per l'elezione del Senato della Repubblica), dispone che: «Sono
eleggibili a senatori gli elettori che,  al  giorno  delle  elezioni,
hanno compiuto il quarantesimo anno di  eta'  e  non  si  trovano  in
alcuna delle condizioni d'ineleggibilita' previste dagli articoli  7,
8, 9 e 10 del testo unico delle leggi recanti  norme  per  l'elezione
della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 30 marzo 1957,  n.  361»  -  questa  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1,  2,  3  e  4  della
legge 15 febbraio 1953, n.  60,  recante  le  regolamentazione  delle
«Incompatibilita'   parlamentari»   (censurati   in   quanto    nulla
disponevano, in termini di incompatibilita', per il caso  in  cui  la
identica causa di ineleggibilita' fosse  sopravvenuta  rispetto  alla
elezione  a  parlamentare),  nella  parte  in   cui   non   prevedono
l'incompatibilita' tra la carica di parlamentare e quella di  sindaco
di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti. 
    Trattandosi  in  quel  contesto  decisionale  di  «verificare  la
coerenza di un sistema in cui, alla non  sindacabile  scelta  operata
dal legislatore  (che  evidentemente  produce  in  se'  una  indubbia
incidenza sul libero esercizio del diritto di elettorato passivo)  di
escludere  l'eleggibilita'  alla  Camera   o   al   Senato   di   chi
contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non
si accompagni la previsione di una causa di incompatibilita'  per  il
caso in cui la stessa carica sopravvenga  rispetto  alla  elezione  a
membro del Parlamento  nazionale»,  questa  Corte  ha  innanzi  tutto
sottolineato, sotto il profilo sistematico, che la valutazione  della
mancata previsione della causa di incompatibilita'  in  oggetto  deve
muoversi non solo  sul  versante  della  diversita'  di  ratio  e  di
elementi distintivi propri', per causa ed  effetti,  delle  cause  di
ineleggibilita' rispetto  a  quelle  di  incompatibilita'  (le  prime
tradizionalmente intese a limitare lo jus ad officium,  onde  evitare
lo strumentale insorgere di fenomeni di captatio benevolentiae  e  di
metus publicae potestatis; le altre incidenti sullo jus  in  officio,
per scongiurare l'insorgere di conflitti di  interessi:  sentenze  n.
288 del 2007 e n. 235 del 1988). 
    Deve, viceversa, essere condotta - in ossequio alla  esigenza  di
ricondurre il sistema ad una razionalita' intrinseca altrimenti  lesa
- alla stregua di un criterio piu' propriamente teleologico, nel  cui
contesto   va   evidenziato   «il   naturale   carattere   bilaterale
dell'ineleggibilita'»,  il  quale  inevitabilmente  «finisce  con  il
tutelare,  attraverso  il  divieto  a   candidarsi   in   determinate
condizioni, non solo la carica per la quale l'elezione  e'  disposta,
ma anche la carica, il cui esercizio e' ritenuto incompatibile con la
candidatura in questione» (sentenza n. 276 del 1997). 
    Ed ha  quindi  affermato,  in  primo  luogo,  che  «tale  profilo
finalistico  non  puo'   trovare   attuazione   se   non   attraverso
l'affermazione della necessita' che il  menzionato  parallelismo  sia
assicurato, allorquando  il  cumulo  tra  gli  uffici  elettivi  sia,
comunque,  ritenuto  suscettibile  di  compromettere  il  libero   ed
efficiente espletamento della carica, ai sensi del combinato disposto
degli artt. 3 e 51 Cost. (sentenza n.  201  del  2003)»;  in  secondo
luogo, che - poiche' in ultima analisi le cause di ineleggibilita'  e
di incompatibilita' si pongono  quali  strumenti  di  protezione  non
soltanto del mandato elettivo, ma  anche  del  pubblico  ufficio  che
viene ritenuto causa di  impedimento  del  corretto  esercizio  della
funzione rappresentativa - il potere discrezionale del legislatore di
introdurre (o mantenere) dei temperamenti alla esclusione  di  cumulo
tra le due cariche «trova un limite nella necessita' di assicurare il
rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni,  con  la
conseguente incostituzionalita' di previsioni  che  ne  rappresentino
una sostanziale elusione (sentenza n. 143 del 2010)». 
    Sulla base di tali argomentazioni, anche nella specie va ribadito
che, in assenza di una causa normativa (enucleabile all'interno della
legge impugnata ovvero dal piu' ampio sistema in  cui  la  previsione
opera)  idonea  ad  attribuirne   ragionevole   giustificazione,   la
previsione della non compatibilita' di un munus pubblico rispetto  ad
un altro preesistente, cui non si accompagni, nell'uno e  nell'altro,
una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione  della
naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilita' e di
incompatibilita', che vengono ad incidere necessariamente su entrambe
le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche  a  prescindere
dal dato temporale dello svolgimento dell'elezione. 
    Tanto   piu',   allorquando   «la   regola    della    esclusione
"unidirezionale" viene in concreto fatta dipendere, quanto  alla  sua
effettiva operativita',  dalla  circostanza  -  meramente  casuale  -
connessa alla cadenza temporale delle relative tornate elettorali  ed
alla  priorita'  o  meno  della  assunzione  della  carica   elettiva
"pregiudicante" a tutto vantaggio della posizione  del  parlamentare;
da  cio'  la  lesione  non  soltanto  del  canone  di  uguaglianza  e
ragionevolezza ma anche della stessa liberta' di elettorato attivo  e
passivo» (sentenza n. 277 del 2011; nonche' sentenza n. 67 del 2012). 
    3.3 - Pertanto,  la  sussistenza  di  un'identica  situazione  di
incompatibilita' derivante dal cumulo tra la carica  di  parlamentare
nazionale e quella di sindaco di Comune con popolazione  superiore  a
ventimila abitanti - in assenza di un peculiare  motivo  (enucleabile
all'interno  delle  disposizioni  impugnate  ovvero  nel  piu'  ampio
sistema in  cui  esse  operano)  idoneo  ad  attribuirne  ragionevole
giustificazione ed a prescindere  dal  momento  di  assunzione  delle
cariche medesime - porta (stante l'assoluta identita' di ratio)  alla
declaratoria di illegittimita' costituzionale della mancata specifica
previsione di tale incompatibilita' nella norma impugnata. 
    3.4.  -  Restano  assorbiti  gli  ulteriori  profili  di  censura
formulati dal rimettente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  63  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali), nella parte in cui  non  prevede
l'incompatibilita' tra la carica di parlamentare e quella di  sindaco
di un Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                       Paolo GROSSI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI