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DECRETO-LEGGE 4 marzo 1976, n. 31

Disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie.

note:
Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 30 aprile 1976, n. 159 (in G.U. 04/05/1976, n.116).
(Ultimo aggiornamento all'atto pubblicato il 10/05/1988)
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Testo in vigore dal:  6-3-1976 al: 4-5-1976
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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Ritenuta la necessità e l'urgenza di emanare disposizioni penali in materia di infrazioni valutarie;
Sentito il Consiglio dei Ministri;

Sulla

proposta del Ministro per la grazia e giustizia, di concerto con il Ministro per il tesoro, con il Ministro per le finanze e con il Ministro per il commercio con l'estero; Decreta:

Art. 1


Chiunque, senza l'autorizzazione prevista dalle norme in materia valutaria, esporta con qualsiasi mezzo fuori del territorio dello Stato valuta nazionale o estera, titoli azionari o obbligazionari, titoli di credito, ovvero altri mezzi di pagamento è punito con la multa dalla metà al triplo del valore dei beni esportati.
Chiunque costituisce fuori del territorio dello Stato, a favore proprio o di altri, disponibilità valutarie o attività di qualsiasi genere senza l'autorizzazione prevista dalle norme in materia valutaria, è punito con la multa dalla metà al triplo del valore delle disponibilità valutarie o attività illecitamente procurate.
Nei casi previsti dai commi precedenti, se il valore dei beni esportati ovvero delle disponibilità o attività supera complessivamente cinque milioni di lire, la pena è della reclusione da uno a sei anni e della multa dal doppio al quadruplo del valore predetto.
La pena è aumentata se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di tre o più, ovvero se nel reato sono concorsi amministratori ovvero dipendenti di aziende o istituti di credito.
La pena è aumentata sino al doppio se per il documento che ne potrebbe derivare all'economia nazionale, il fatto assume carattere di particolare gravità.
Nel caso di condanna, fermo quanto disposto dall'art. 240, secondo comma, del codice penale, è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto, ovvero il prodotto o il profitto.
Nei casi previsti dal presente articolo, il delitto tentato è equiparato a tutti gli effetti a quello consumato.