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N. 406 SENTENZA 21 - 29 ottobre 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Previdenza  e  assistenza-  Regione  Lombardia- Settori di competenza
 regionale- Presunta violazione- Istituzione presso la Presidenza  del
 Consiglio  dei  Ministri  di  un  comitato nazionale per le politiche
 dell'handicap- Composizione- Mancato riconoscimento dell'apporto  dei
 rappresentanti  regionali  come  vera  e istituzionale partecipazione
 all'attivita' del comitato - Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 41, sesto comma).
 
 Previdenza e assistenza - Regione Lombardia - Attribuzioni di comuni,
 comunita' montane e UU.SS.LL. - Portatori di handicaps -
 Comunita'-alloggio  e  centri   socio-riabilitativi   -   Poteri   e
 competenze  amministrativo-funzionali regionali - Presunta violazione
 -  Difetto  di   motivazione   -   Inammissibilita'   -   Equilibrata
 soddisfazione   dei   diversi  interessi  afferenti  al  governo  del
 territorio - Non fondatezza.
 
 (Legge 5 febbraio 1992, n. 104, artt. 10, primo comma, e 40,  secondo
 comma; legge 5 febbraio 1992, n. 104, artt. 4, 10, terzo
 e  sesto comma, 11, secondo comma, 18, quarto comma, 19, e 40, primo
 e secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 97, 117 e 118).
(GU n.46 del 4-11-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 10,  commi
 primo, terzo e sesto, 11, 18, comma quarto, 19, 40 e 41 della legge 5
 febbraio  1992,  n.  104,  recante:  "Legge-quadro  per l'assistenza,
 l'integrazione sociale  e  i  diritti  delle  persone  handicappate",
 promosso  con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 18 marzo
 1992, depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 30
 del registro ricorso 1992;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore
 Ugo Spagnoli;
    Uditi  l'avv.  Giuseppe  Franco Ferrari per la Regione Lombardia e
 l'avv. dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    Con ricorso notificato il 18 marzo 1992, la Regione  Lombardia  ha
 chiesto  alla  Corte  di  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
 degli artt. 4, 10, commi primo, terzo e sesto, 11, 18, comma  quarto,
 19,  40  e  41 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge- quadro per
 l'assistenza,  l'integrazione  sociale  e  i  diritti  delle  persone
 handicappate),  per  contrasto  con  gli artt. 117, 118, 3 e 97 della
 Costituzione.
    La ricorrente, in particolare, lamenta la violazione  degli  artt.
 117  e 118 Cost. da parte del comma primo dell'art. 10 (secondo cui i
 comuni, i loro consorzi e unioni, le comunita' montane  e  le  unita'
 sanitarie  locali, nell'ambito delle competenze in materia di servizi
 sociali loro attribuite dalla legge 8 giugno 1990,  n.  142,  possono
 realizzare,  con  le proprie ordinarie risorse di bilancio, comunita'
 alloggio e centri socio-riabilitativi per  persone  con  handicap  in
 situazione  di  gravita')  e  del  comma  terzo del medesimo articolo
 (secondo cui gli stessi enti possono contribuire,  mediante  appositi
 finanziamenti,   previo   parere   della   Regione  sulla  congruita'
 dell'iniziativa rispetto ai programmi regionali, alla realizzazione e
 al sostegno di comunita'-alloggio e  centri  socio-riabilitativi  per
 persone  handicappate  in  situazione  di gravita', promossi da enti,
 associazioni,  fondazioni,  istituzioni  pubbliche  di  assistenza  e
 beneficenza  (I.P.A.B.),  societa'  cooperative  e  organizzazioni di
 volontariato  iscritte  negli  albi  regionali).  Tali   disposizioni
 ignorerebbero  la potesta' legislativa e amministrativa delle Regioni
 in materia di beneficenza pubblica;  la  seconda  di  esse,  inoltre,
 consentirebbe  l'aggiramento  della funzione programmatoria regionale
 in quanto il parere della Regione ivi previsto  sarebbe  obbligatorio
 ma non vincolante.
    Il  comma  sesto del medesimo art. 10 (per il quale l'approvazione
 dei progetti  edilizi  presentati  da  soggetti  pubblici  o  privati
 concernenti  immobili  da  destinare  alle  comunita'  alloggio ed ai
 centri  socio-riabilitativi,  con  vincolo  di  destinazione   almeno
 ventennale  all'uso  effettivo  dell'immobile  per gli scopi previsti
 dalla legge, ove localizzati in aree vincolate o a diversa  specifica
 destinazione,   costituisce   variante   del  piano  regolatore)  nel
 prevedere  una  variante  automatica  allo   strumento   urbanistico,
 eluderebbe  la potesta' legislativa e amministrativa delle Regioni in
 materia urbanistica, in contrasto con gli artt. 117 e  118  Cost.,  e
 urterebbe  contro  il  principio di ragionevolezza, con cio' violando
 anche gli artt. 3 e 97 Cost.
    La riserva di competenza regionale disposta dagli artt. 117 e  118
 Cost.  sarebbe invasa anche dall'art. 11 - limitatamente, in realta',
 al comma secondo -  perche'  attribuisce  alla  commissione  centrale
 istituita   presso   il  Ministero  della  Sanita'  (art.  8  decreto
 ministeriale 3 novembre 1989) il  compito  di  esprimere  il  proprio
 parere  anche sui singoli provvedimenti di rimborso delle spese per i
 soggiorni all'estero collegati ad interventi di cura presso centri di
 altissima  specializzazione,  autorizzati  dalle  Regioni  ai   sensi
 dell'art. 7 del citato decreto ministeriale.
    L'art. 18 (limitatamente, in realta', al comma quarto, secondo cui
 i  rapporti  dei comuni, dei loro consorzi, delle comunita' montane e
 delle unita' sanitarie locali con i diversi  enti  ed  organismi  che
 svolgono  attivita'  idonee a favorire l'inserimento e l'integrazione
 lavorativa di persone  handicappate,  sono  regolati  da  convenzioni
 conformi  allo  schema  tipo  approvato  con decreto del Ministro del
 lavoro e previdenza  sociale,  di  concerto  con  il  Ministro  della
 sanita'  e  con  il  Ministro  per gli affari sociali) violerebbe gli
 artt. 117 e  118  Cost.  per  il  fatto  di  imporre  schemi-tipo  di
 provenienza  ministeriale  per  la  disciplina di rapporti relativi a
 materie   attribuite   alla  potesta'  legislativa  e  amministrativa
 regionale.
    Gli artt. 4 e 19, nel demandare  gli  accertamenti  relativi  alla
 sussistenza,    alla   natura,   all'entita'   e   alle   conseguenze
 dell'handicap - anche agli effetti del collocamento  obbligatorio  al
 lavoro  -  alle  commissioni mediche di cui all'art. 1 della legge 15
 ottobre 1990, n.  295,  violerebbe  -  secondo  la  ricorrente  -  la
 competenza  regionale  a  disciplinare  l'assetto organizzativo degli
 organi da destinare all'accertamento in una  materia  riservata  alla
 propria potesta'.
   L'art. 40, comma secondo - nell'attribuire agli statuti comunali la
 competenza  a  disciplinare il raccordo tra gli interventi a sostegno
 dei portatori di handicap e i  servizi  socio-sanitari  ed  educativi
 esistenti  a livello locale - aggirerebbe ed eluderebbe le competenze
 legislative ed amministrative della Regione nella materia,  oltre  ad
 essere  viziata da irragionevolezza sotto il profilo dell'innovazione
 introdotta nella funzione  e  nel  contenuto  degli  statuti  di  cui
 all'art.  4 legge n. 142 del 1990. Si assumono percio' violati, oltre
 agli artt. 117 e 118, anche gli artt. 3 e 97 Cost.
    Anche il comma primo del medesimo art. 40 si porrebbe in contrasto
 con gli artt. 117 e 118 Cost. perche', nell'enunciare quale criterio-
 guida la priorita' degli interventi di riqualificazione, di  riordino
 e  potenziamento  dei servizi esistenti, si rivolgerebbe direttamente
 verso gli  enti  locali  e  non  formulerebbe  un  principio  per  il
 legislatore regionale.
    Sarebbe  illegittimo infine, per violazione dei medesimi articoli,
 l'art. 41, poiche' - nell'escludere le rappresentanze regionali dalla
 composizione del Comitato nazionale per  le  politiche  dell'handicap
 (comma  quarto)  -  prevede che quest'ultimo possa "avvalersi" (comma
 sesto) di tre assessori regionali,  e  cio'  senza  chiarire  per  lo
 svolgimento  di  quali  funzioni,  ed  equiparando questi soggetti ad
 organi periferici dello Stato, ad esperti o a rappresentanti di  enti
 locali.
    E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri sostenendo
 l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza delle questioni.
    In  via  di  premessa, l'Avvocatura osserva come la linea portante
 cui la legge si ispira  sia  quella  di  individuare  un  sistema  di
 diritti   degli   handicappati   e   di  corrispondenti  obblighi  di
 prestazione della collettivita' in loro favore. In questo quadro,  la
 legge  definisce  le  competenze  e gli obiettivi assegnati agli enti
 locali alla stregua del criterio  della  necessaria  integrazione  (o
 complementarieta')   delle  "prestazioni  sanitarie  e  sociali",  in
 attuazione del precetto dell'art. 38, primo comma, Cost.
    In  coerenza  con  tale  criterio   di   complementarieta'   degli
 interventi,  la legge - quindi - tocca diverse "materie", coordinando
 i settori d'azione demandati a vari enti ed organismi.
    Di conseguenza, sarebbe riduttivo e  improprio  il  richiamo  alla
 sola materia della "beneficenza pubblica" su cui la Regione Lombardia
 ha fondato il suo ricorso, e cio' anche ad intendere tale riferimento
 come  diretto,  in forma ellittica, ad evocare anche la materia della
 "assistenza sanitaria ed ospedaliera".
    In ogni caso tutte le censure di incostituzionalita'  della  legge
 dovrebbero   ritenersi   infondate  perche'  essa  reca  "i  principi
 fondamentali dell'ordinamento" in tema di protezione dei diritti e di
 assistenza delle persone handicappate ed e' quindi capace - in virtu'
 di  questo  suo  tratto  caratterizzante  - di imporsi all'osservanza
 degli Enti di autonomia nell'esercizio delle loro competenze.
    Con riferimento alle specifiche censure  formulate  dalla  Regione
 ricorrente,   l'Avvocatura  eccepisce  l'inammissibilita'  di  quella
 rivolta al primo comma dell'art. 10, in quanto affidata alla generica
 denunzia di violazione degli artt. 117 e 118 e priva di  una  congrua
 esplicitazione  di  specifici  profili  di  contrasto.  Questa stessa
 censura, comunque, come  quella  sollevata  nei  riguardi  del  terzo
 comma, sarebbe da ritenere infondata, nella parte diretta a lamentare
 il  carattere  non  vincolante  del  previsto  parere  della Regione.
 Infatti, resterebbe in ogni caso assicurato alle singole Regioni, nei
 rispettivi ambiti territoriali, di indirizzare e coordinare i diversi
 interventi gia'  in  sede  di  approntamento  degli  strumenti  della
 programmazione,  si'  che  -  e  quando  pure  non  vincolante  -  il
 prescritto "parere di congruita'" sulla  singola  iniziativa  sarebbe
 misura   adeguata   ed  idonea  a  salvaguardarne  gli  obiettivi  di
 programma.
    Parimenti infondate dovrebbero ritenersi le censure mosse al comma
 sesto  del  medesimo  art.  10.  Per  l'Avvocatura  e'  rimesso  alla
 discrezionalita'  del  legislatore  di apprezzare in quali, e quanti,
 casi la rilevanza dell'interesse pubblico da soddisfare e le  ragioni
 d'urgenza dell'intervento consiglino di derogare alle ordinarie forme
 procedimentali  poste a presidio di altro interesse pubblico; d'altra
 parte,  nel  caso,  la  previsione  d'efficacia   derogatoria   degli
 strumenti    urbanistici    vigenti    rinviene   comunque   adeguata
 giustificazione nel complesso di atti (anche di controllo) attraverso
 i  quali  e'  destinata  a  trovare  realizzazione  l'iniziativa  dei
 soggetti   pubblici,   sia   pure  in  forma  di  mera  contribuzione
 finanziaria a (necessariamente)  specifici  ed  articolati  programmi
 edilizi  da altri promossi. Per tal guisa infatti e' sufficientemente
 tutelato l'interesse urbanistico, risultandone assorbita  e  superata
 la  necessita'  d'una  specifica procedura d'approvazione di varianti
 del piano regolatore.
    La   censura   mossa   all'art.   11   appare    all'interveniente
 inammissibile  per  genericita'  e  comunque  infondata.  Infatti  la
 Commissione ivi prevista, composta  anche  dai  rappresentanti  delle
 Regioni,  e'  chiamata  ad  esprimere  il  parere  sui rimborsi, alla
 stregua di criteri fissati con atto di indirizzo e coordinamento, per
 assicurare  il   soddisfacimento   di   esigenze   d'uniformita'   di
 trattamento;   il   mezzo   prescelto  allo  scopo  non  e'  tale  da
 soverchiare,  irragionevolmente  e  senza  oggettiva  necessita',  le
 rivendicate sfere d'autonomia delle Regioni (alle quali e' - invece -
 assicurata   la   possibilita'   di  far  convenientemente  valere  i
 rispettivi  punti  di  vista   nell'ambito   dell'unica   commissione
 consultiva).
    Con riferimento alle censure formulate, ai sensi degli artt. 117 e
 118  Cost.,  nei  confronti  dell'art.  18  della legge, l'Avvocatura
 osserva che la norma muove, bensi', dal piano dell'assistenza sociale
 ma lo supera, prefiggendosi di garantire  agli  handicappati  congrue
 opportunita'  di  esercizio  del  diritto al lavoro, quale momento di
 piu' piena integrazione nella comune  vita  sociale.  E  giacche'  la
 materia  dell'occupazione o, piu' in generale, del lavoro non rientra
 fra quelle di competenza regionale, la doglianza della ricorrente  e'
 destituita di fondamento.
    Ne'  ha maggior pregio - secondo l'Avvocatura - la critica rivolta
 agli artt. 4 e 19. La disciplina impugnata, infatti,  ubbidisce,  sul
 punto,  ad  un  palese principio di uniformita' trattandosi in ultima
 analisi  di   assicurare   (anche   attraverso   una   predeterminata
 integrazione  di  gia'  esistenti collegi medici) unicita' di criteri
 tecnici in una  valutazione  destinata  ad  avere  effetti  anche  in
 materie (art. 19) di certo estranee alle attribuzioni regionali.
    Anche la doglianza relativa all'art. 40, secondo l'Avvocatura, non
 ha  ragion  d'essere,  avuto  riguardo  all'art.  128  Cost.  ed alle
 funzioni che la legge impugnata ha attribuito, nella materia de  qua,
 ai  comuni.  In  relazione,  poi,  alla pure dedotta violazione degli
 artt. 3 e 97 Cost. sotto il  profilo  dell'irragionevole  innovazione
 introdotta nel contenuto degli statuti degli enti locali, si aggiunge
 che  la  norma in esame non apporta alcuna deroga alla legge 8 giugno
 1990, n. 142, in quanto si limita  a  specificare,  in  un  ulteriore
 settore,   il   contenuto   degli  statuti  nella  parte  riguardante
 l'ordinamento  dei  servizi.  Del  resto  l'elementare  criterio   di
 economicita'  e  ragionevolezza  indicato  ai  Comuni  (ma non solo a
 questi, attesa la natura di  normativa  di  principio  propria  della
 legge  denunciata) ai fini della scelta di priorita' degli interventi
 da attuare (pur sempre "nel quadro della normativa  regionale")  pone
 il  primo  comma dell'art. 40 al di fuori della portata delle censure
 della ricorrente, che a  torto  si  duole  di  non  essere  esclusiva
 destinataria del principio secondo cui, in ordine di priorita', vanno
 privilegiati  gli  interventi  di  riordino  e potenziamento dei gia'
 esistenti servizi.
    Da ultimo, l'Avvocatura chiede  che  siano  disattese  le  censure
 mosse  all'art. 41 nella parte che si riferisce alla composizione del
 Comitato nazionale per le politiche dell'handicap. A  suo  avviso  la
 formula   letterale  adottata  dal  legislatore,  infatti,  ancorche'
 impropria, sta con tutta evidenza a significare  che  gli  assessori,
 come  i  rappresentanti  degli  enti  locali,  gli  esperti ecc. sono
 chiamati ad integrare la composizione e,  quindi,  a  far  parte  del
 Comitato, che ne risulta percio' organo a composizione mista (al pari
 di  tanti  altri)  e strutturalmente idoneo a recepire le valutazioni
 degli interessi di tipo preminentemente locale.
                        Considerato in diritto
    1. - La Regione Lombardia impugna diversi articoli della  legge  5
 febbraio  1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione
 sociale e  i  diritti  delle  persone  handicappate),  lamentando  la
 lesione  delle  proprie  competenze in tema di beneficienza pubblica,
 sanita' e urbanistica (artt. 117 e 118 Cost.), nonche' la  violazione
 del principio di ragionevolezza tratto dagli artt. 3 e 97 Cost.
    2.  - La legge impugnata, rispondendo ad un'esigenza profondamente
 avvertita, e' diretta ad assicurare in un quadro globale ed  organico
 la   tutela   del   portatore   di   handicap.  Essa  incide  percio'
 necessariamente  in  settori   diversi,   spaziando   dalla   ricerca
 scientifica  ad  interventi  di  tipo  sanitario ed assistenziale, di
 inserimento nel campo della formazione professionale e  nell'ambiente
 di  lavoro,  di  integrazione scolastica, di eliminazione di barriere
 architettoniche e  in  genere  di  ostacolo  all'esercizio  di  varie
 attivita'  e  di  molteplici  diritti costituzionalmente protetti. La
 tutela cosi' apprestata dalla legge  dunque  investe  necessariamente
 oggetti  che  afferiscono  parte  a  competenze  statali  e  parte ad
 attribuzioni regionali  e  di  enti  minori.  D'altra  parte  il  suo
 complessivo  disegno  e'  fondato  sulla  esigenza  di  perseguire un
 evidente interesse nazionale, stringente ed infrazionabile, quale  e'
 quello  di  garantire  in  tutto  il  territorio nazionale un livello
 uniforme di realizzazione di diritti costituzionali fondamentali  dei
 soggetti portatori di handicaps. Al perseguimento di simile interesse
 partecipano,  con  lo Stato, gli enti locali minori e le Regioni, nel
 quadro dei principi posti dalla legge e secondo  le  modalita'  ed  i
 limiti    necessari   ad   assicurare   l'effettivo   soddisfacimento
 dell'interesse medesimo.
    Alle  Regioni,  in  particolare,  sono  affidati  sia   interventi
 diretti,  sia compiti di disciplina dei modi e livelli qualitativi di
 erogazione dei vari servizi da parte dei suddetti enti locali.
    3. - Cio' premesso, si deve ora passare all'esame analitico  delle
 singole censure.
    La  prima  doglianza concerne l'art. 10, comma primo, della legge.
 Questo articolo attribuisce ai comuni, alle comunita' montane e  alle
 unita' sanitarie locali la facolta' di realizzare - nell'ambito delle
 proprie  competenze  e con le proprie ordinarie risorse di bilancio -
 comunita'  alloggio  e  centri  socio-riabilitativi  per  le  persone
 portatrici   di   handicaps   gravi.   La  disposizione,  secondo  la
 ricorrente, violerebbe gli artt. 117 e 118  Cost.  per  il  fatto  di
 ignorare completamente le competenze regionali in tema di beneficenza
 pubblica.  Ora,  anche a prescindere dalla considerazione che il tipo
 di provvidenza in questione non si presta ad essere ricompreso  nella
 sola  materia della beneficenza pubblica, ancorche' latamente intesa,
 resta il fatto che la censura e' assolutamente generica e sfornita di
 motivazione: di  conseguenza,  secondo  la  ferma  giurisprudenza  di
 questa  Corte (cfr., ad es., le sentenze nn. 517 del 1987; 998, 1031,
 1111 del 1988; 242, 459 del 1989;  85  del  1990)  essa  deve  essere
 dichiarata inammissibile.
    Impugnato  e'  anche il comma terzo dello stesso art. 10, il quale
 prevede che gli enti indicati  nel  precedente  primo  comma  possono
 contribuire  alla  realizzazione  e  al  sostegno  di case-alloggio e
 centri riabilitativi promossi da I.P.A.B. e  da  vari  enti  privati,
 "previo   parere   della  regione  sulla  congruita'  dell'iniziativa
 rispetto  ai  programmi  regionali".  La  ricorrente   lamenta   che,
 contemplando come solo obbligatorio ma non anche vincolante il parere
 regionale,  la  previsione  in  discorso  aggirerebbe la sua funzione
 programmatoria nella materia.
    La censura non  e'  fondata.  Infatti,  considerato  il  complesso
 intreccio  di competenze sull'argomento, il parere obbligatorio della
 Regione circa la congruita' rispetto ai propri programmi  di  singole
 opere  di  competenza  di altri soggetti e da questi finanziate, puo'
 considerarsi, uno strumento idoneo e sufficiente a  salvaguardare  il
 ruolo  della  medesima  Regione,  atteso  che tale ruolo trova la sua
 naturale garanzia nel potere di dettare la normativa nel quadro della
 quale, secondo la stessa legge (art. 40, comma primo), i  comuni,  le
 comunita'  montane  e  le unita' sanitarie locali debbono attuare gli
 interventi sociali e sanitari previsti.
    Il comma sesto dello stesso art. 10 prevede che l'approvazione dei
 progetti edilizi concernenti immobili  da  destinare  alle  comunita'
 alloggio  e  ai  centri  socio-riabilitativi, ove localizzati in aree
 vincolate o a diversa specifica  destinazione,  costituisca  variante
 del   piano   regolatore.   La   ricorrente,  sul  presupposto  della
 sottrazione di tale variante all'approvazione regionale, lamenta  una
 lesione  delle  proprie  competenze  in materia urbanistica, nonche',
 trattandosi di una deroga  ingiustificata  al  regime  ordinario,  la
 violazione del principio di ragionevolezza ex artt. 3 e 97 Cost.
    Le  censure  non  sono  fondate.  Infatti,  al contrario di quanto
 ritiene la Regione, la rimessione, nel  caso  di  specie,  di  poteri
 decisionali   definitivi   alle   autorita'  comunali  e  la  mancata
 previsione dell'approvazione delle varianti da parte delle Regioni ha
 il suo fondamento giustificativo  nella  necessita'  di  snellire  ed
 accelerare  al  massimo la realizzazione, da parte di enti pubblici o
 sotto il controllo di  questi,  di  opere  destinate  a  fronteggiare
 preminenti e pressanti esigenze di soggetti portatori di handicaps in
 situazione  di  gravita';  d'altra  parte  la  previsione  di  simili
 varianti automatiche non  e'  sprovvista  di  contestuali  cautele  e
 vincoli  intesi  ad  assicurare  una  equilibrata  soddisfazione  dei
 diversi interessi afferenti al governo del territorio. Pertanto,  non
 puo' parlarsi di illegittima limitazione delle competenze regionali.
    4.  -  L'art.  11,  secondo  comma,  e'  considerato  lesivo delle
 attribuzioni regionali perche'  affida  alla  competente  Commissione
 centrale  presso il Ministero della Sanita' di esprimere pareri anche
 sui singoli  rimborsi  autorizzati  dalle  Regioni  per  i  soggiorni
 all'estero per cure dei soggetti handicappati.
    La doglianza e' infondata. Il decreto del Ministro della Sanita' 3
 novembre  1989  -  recante  criteri  per  la fruizione di prestazioni
 assistenziali  in  forma  indiretta  presso   centri   di   altissima
 specializzazione all'estero - prevede che la Commissione centrale sia
 sentita  ogni  volta che si debba disporre un rimborso in deroga alle
 ordinarie procedure o agli ordinari criteri di concorso  nelle  spese
 (art.  7,  commi  secondo  e  terzo).  La previsione del parere della
 medesima Commissione nei casi indicati dall'impugnato art. 11,  comma
 secondo,  della  legge-quadro, costituisce espressione della medesima
 impostazione,  dal  momento  che,   riguardando   specificamente   il
 soggiorno  in albergo di handicappati ed accompagnatori eventualmente
 necessario, costituiscono  anch'essi  ipotesi  di  deroga  al  regime
 ordinario,  che  esclude  di norma dal rimborso le spese di soggiorno
 (art.  6,  comma  quattordicesimo).  L'intervento  consultivo   della
 Commissione   risponde  all'esigenza,  particolarmente  pressante  in
 siffatte ipotesi, di assicurare  la  piu'  rigorosa  applicazione  di
 criteri uniformi in tutto il territorio nazionale. Di conseguenza non
 puo'  dirsi  compressa  in  modo  indebito la sfera di determinazione
 delle Regioni, tanto piu' perche'  nella  Commissione  sono  presenti
 anche  loro  rappresentanti  che possono percio' far valere in questa
 sede le loro ragioni.
    5. - L'impugnativa concernente l'art. 18,  comma  quarto,  non  e'
 fondata.  Questa  disposizione  affida  ad un decreto ministeriale di
 approvare schemi-tipo di convenzione per regolare i rapporti tra enti
 locali minori ed  enti,  istituzioni  ed  associazioni  che  svolgono
 attivita' idonea a favorire l'inserimento e l'integrazione di persone
 handicappate  nel  mondo  del lavoro. Simile previsione non configura
 alcuna illegittima interferenza nella sfera di competenza  regionale,
 poiche'  incide  in una materia, l'occupazione, affidata, come questa
 Corte ha gia' chiarito (cfr. spec. le sentenze  nn.  799  e  998  del
 1988),  alla  responsabilita'  finale e globale dello Stato, il quale
 dunque ben puo', nel caso presente, come del resto avviene in ipotesi
 consimili (cfr., per es., la sentenza n.  49  del  1991)  imporre  le
 prescrizioni  indispensabili a conferire alle convenzioni in discorso
 quel minimum  di  uniformita'  in  sede  nazionale,  necessario  alla
 realizzazione  in condizioni di eguaglianza di diritti costituzionali
 fondamentali.
    La questione relativa agli artt. 4 e 19 e' infondata per il  fatto
 che  il  criticato  affidamento  dell'accertamento dell'handicap alle
 commissioni mediche presso le unita' sanitarie  locali  ha  rilevanza
 per  tutti  gli  interventi  previsti  dalla  legge, alcuni dei quali
 esorbitano dalle competenze regionali (per es. inserimento nel  mondo
 del lavoro e nella scuola, etc.).
    6.  -  Non e' fondata la doglianza mossa all'art. 40, comma primo.
 Basta ad escludere l'asserita violazione di competenze  regionali  la
 considerazione che il criterio della priorita' dell'utilizzazione dei
 servizi  gia' esistenti non si dirige solo e direttamente ai comuni e
 agli altri enti minori, ma si impone innanzi  tutto  come  "principio
 fondamentale"  alla  normativa  regionale  nel cui quadro, secondo la
 stessa disposizione, debbono svolgersi gli interventi previsti  dalla
 legge.
    Infondata  e'  poi  anche  la censura riguardante il comma secondo
 dello stesso art. 40.  L'attribuzione  agli  statuti  comunali  della
 disciplina delle modalita' di coordinamento degli speciali interventi
 per  gli  handicappati  con  gli  altri  servizi sociali, sanitari ed
 educativi non viola competenze regionali, perche' la disciplina delle
 funzioni dei comuni, e del modo in  cui  esse  debbano  svolgersi  in
 ambito  intracomunale  non  spetta alle Regioni, ma e' riservata allo
 Stato dall'art. 128 Cost. L'impugnativa del  medesimo  comma  per  la
 asserita  irragionevolezza della pretesa innovazione della funzione e
 contenuto di tali statuti quali previsti dall'art. 4 legge n. 142 del
 1990 e' inammissibile  perche'  assolutamente  generica  e  priva  di
 motivazione.
    7.  - E' invece fondata l'impugnativa avente ad oggetto l'art. 41.
 Questo articolo descrive le competenze del Ministro  per  gli  affari
 sociali  e  dispone l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio
 dei  ministri,  di   un   Comitato   nazionale   per   le   politiche
 dell'handicap,  con compiti consultivi; in particolare, tale Comitato
 deve essere sentito dal Ministro prima di provvedere a ripartire  tra
 le  Regioni  e  le Province autonome, annualmente e proporzionalmente
 agli abitanti, l'apposito fondo per l'integrazione  degli  interventi
 regionali  e provinciali per gli handicappati (art. 42, commi primo e
 secondo);  lo  stesso  Comitato  potra',  dopo  il  primo   triennio,
 approvare  altri  criteri  di  ripartizione  del  fondo,  sentita  la
 Conferenza Stato-Regioni (art. 42, comma terzo).
    Quanto alla sua struttura, il Comitato e' composto da ministri,  e
 si avvale di soggetti esterni: tra questi, oltre ai rappresentanti di
 enti  locali,  enti  ed  associazioni  di  tutela degli handicappati,
 sindacati   maggiormente   rappresentativi,   sono   indicati   anche
 rappresentanti  delle Regioni e delle Province autonome designati tra
 i rispettivi assessori dalla Conferenza Stato-Regioni.
    La  Regione  censura  proprio  quest'ultima  previsione   poiche',
 appunto,  non  integra  i rappresentanti regionali nella composizione
 del Comitato, ma configura la  loro  posizione  in  termini  di  mero
 "avvalimento" da parte di quest'ultimo.
    Indubbiamente il Comitato nell'espletamento dei suoi compiti, data
 l'eterogeneita'  della  materia e l'intreccio delle competenze che vi
 regna, coinvolge anche in vario modo settori affidati alla competenza
 delle Regioni, ed esprime il proprio avviso  sulla  ripartizione  dei
 fondi tra di esse.
    In  siffatta situazione, la collaborazione regionale ai lavori del
 Comitato non puo' essere configurata alla stessa  stregua  di  quella
 degli  altri  enti  e  soggetti  contemplati  dalla  norma impugnata.
 Infatti, trattandosi di interventi concernenti anche ambiti materiali
 spettanti alla competenza delle  Regioni,  considerata  la  rilevanza
 politica  delle  funzioni  in gioco e la natura dei destinatari - che
 non sono semplici uffici regionali - l'istituto dell'avvalimento  non
 si  dimostra, nel caso di specie, strumento idoneo a salvaguardare la
 posizione di queste ultime quali enti dotati  di  autonomia  politica
 costituzionalmente  garantita.  A  tal  fine e' invece necessario che
 l'apporto dei rappresentanti  regionali  si  configuri  come  vera  e
 istituzionale partecipazione all'attivita' del Comitato.
    Poiche'   non   e'  possibile,  a  differenza  di  quanto  ritiene
 l'Avvocatura dello Stato, giungere  a  questo  risultato  in  via  di
 interpretazione  correttiva  dell'impugnato art. 41, deve dichiararsi
 l'illegittimita' costituzionale di quest'ultimo nella  parte  in  cui
 prevede, in relazione ai rappresentanti degli assessorati regionali e
 delle Province autonome, che il Comitato "si avvale di", anziche' "e'
 composto da".
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  41,  sesto
 comma,  della  legge  5  febbraio  1992,  n.  104  (Legge-quadro  per
 l'assistenza,  l'integrazione  sociale  e  i  diritti  delle  persone
 handicappate), nella parte in cui,  con  riguardo  alla  lettera  a),
 prevede che il Comitato "si avvale di", anziche' "e' composto da";
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  10,  comma  primo, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in
 riferimento agli artt. 117  e  118  Cost.,  sollevata  dalla  Regione
 Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;
    Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  40, comma secondo, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in
 riferimento  agli  artt.  3  e  97  Cost.,  sollevata  dalla  Regione
 Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;
    Dichiara  non  fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 4, 10, commi terzo e sesto, 11, comma secondo, 18,  comma
 quarto,  19,  40, commi primo e secondo, della legge 5 febbraio 1992,
 n. 104, in riferimento agli artt. 117 e 118  Cost.,  sollevate  dalla
 Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;
    Dichiara  non  fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 10, comma sesto, della legge 5 febbraio 1992,  n.  104,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  97  Cost.,  sollevata  dalla  Regione
 Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta il 21 ottobre 1992.
                       Il presidente: CORASANITI
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1992
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 92C1190