N. 406 SENTENZA 21 - 29 ottobre 1992
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Previdenza e assistenza- Regione Lombardia- Settori di competenza regionale- Presunta violazione- Istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di un comitato nazionale per le politiche dell'handicap- Composizione- Mancato riconoscimento dell'apporto dei rappresentanti regionali come vera e istituzionale partecipazione all'attivita' del comitato - Illegittimita' costituzionale. (Legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 41, sesto comma). Previdenza e assistenza - Regione Lombardia - Attribuzioni di comuni, comunita' montane e UU.SS.LL. - Portatori di handicaps - Comunita'-alloggio e centri socio-riabilitativi - Poteri e competenze amministrativo-funzionali regionali - Presunta violazione - Difetto di motivazione - Inammissibilita' - Equilibrata soddisfazione dei diversi interessi afferenti al governo del territorio - Non fondatezza. (Legge 5 febbraio 1992, n. 104, artt. 10, primo comma, e 40, secondo comma; legge 5 febbraio 1992, n. 104, artt. 4, 10, terzo e sesto comma, 11, secondo comma, 18, quarto comma, 19, e 40, primo e secondo comma). (Cost., artt. 3, 97, 117 e 118).(GU n.46 del 4-11-1992 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Aldo CORASANITI; Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 10, commi primo, terzo e sesto, 11, 18, comma quarto, 19, 40 e 41 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, recante: "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate", promosso con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 18 marzo 1992, depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 30 del registro ricorso 1992; Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Uditi l'avv. Giuseppe Franco Ferrari per la Regione Lombardia e l'avv. dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei Ministri; Ritenuto in fatto Con ricorso notificato il 18 marzo 1992, la Regione Lombardia ha chiesto alla Corte di dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli artt. 4, 10, commi primo, terzo e sesto, 11, 18, comma quarto, 19, 40 e 41 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge- quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), per contrasto con gli artt. 117, 118, 3 e 97 della Costituzione. La ricorrente, in particolare, lamenta la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. da parte del comma primo dell'art. 10 (secondo cui i comuni, i loro consorzi e unioni, le comunita' montane e le unita' sanitarie locali, nell'ambito delle competenze in materia di servizi sociali loro attribuite dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, possono realizzare, con le proprie ordinarie risorse di bilancio, comunita' alloggio e centri socio-riabilitativi per persone con handicap in situazione di gravita') e del comma terzo del medesimo articolo (secondo cui gli stessi enti possono contribuire, mediante appositi finanziamenti, previo parere della Regione sulla congruita' dell'iniziativa rispetto ai programmi regionali, alla realizzazione e al sostegno di comunita'-alloggio e centri socio-riabilitativi per persone handicappate in situazione di gravita', promossi da enti, associazioni, fondazioni, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (I.P.A.B.), societa' cooperative e organizzazioni di volontariato iscritte negli albi regionali). Tali disposizioni ignorerebbero la potesta' legislativa e amministrativa delle Regioni in materia di beneficenza pubblica; la seconda di esse, inoltre, consentirebbe l'aggiramento della funzione programmatoria regionale in quanto il parere della Regione ivi previsto sarebbe obbligatorio ma non vincolante. Il comma sesto del medesimo art. 10 (per il quale l'approvazione dei progetti edilizi presentati da soggetti pubblici o privati concernenti immobili da destinare alle comunita' alloggio ed ai centri socio-riabilitativi, con vincolo di destinazione almeno ventennale all'uso effettivo dell'immobile per gli scopi previsti dalla legge, ove localizzati in aree vincolate o a diversa specifica destinazione, costituisce variante del piano regolatore) nel prevedere una variante automatica allo strumento urbanistico, eluderebbe la potesta' legislativa e amministrativa delle Regioni in materia urbanistica, in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., e urterebbe contro il principio di ragionevolezza, con cio' violando anche gli artt. 3 e 97 Cost. La riserva di competenza regionale disposta dagli artt. 117 e 118 Cost. sarebbe invasa anche dall'art. 11 - limitatamente, in realta', al comma secondo - perche' attribuisce alla commissione centrale istituita presso il Ministero della Sanita' (art. 8 decreto ministeriale 3 novembre 1989) il compito di esprimere il proprio parere anche sui singoli provvedimenti di rimborso delle spese per i soggiorni all'estero collegati ad interventi di cura presso centri di altissima specializzazione, autorizzati dalle Regioni ai sensi dell'art. 7 del citato decreto ministeriale. L'art. 18 (limitatamente, in realta', al comma quarto, secondo cui i rapporti dei comuni, dei loro consorzi, delle comunita' montane e delle unita' sanitarie locali con i diversi enti ed organismi che svolgono attivita' idonee a favorire l'inserimento e l'integrazione lavorativa di persone handicappate, sono regolati da convenzioni conformi allo schema tipo approvato con decreto del Ministro del lavoro e previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanita' e con il Ministro per gli affari sociali) violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. per il fatto di imporre schemi-tipo di provenienza ministeriale per la disciplina di rapporti relativi a materie attribuite alla potesta' legislativa e amministrativa regionale. Gli artt. 4 e 19, nel demandare gli accertamenti relativi alla sussistenza, alla natura, all'entita' e alle conseguenze dell'handicap - anche agli effetti del collocamento obbligatorio al lavoro - alle commissioni mediche di cui all'art. 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, violerebbe - secondo la ricorrente - la competenza regionale a disciplinare l'assetto organizzativo degli organi da destinare all'accertamento in una materia riservata alla propria potesta'. L'art. 40, comma secondo - nell'attribuire agli statuti comunali la competenza a disciplinare il raccordo tra gli interventi a sostegno dei portatori di handicap e i servizi socio-sanitari ed educativi esistenti a livello locale - aggirerebbe ed eluderebbe le competenze legislative ed amministrative della Regione nella materia, oltre ad essere viziata da irragionevolezza sotto il profilo dell'innovazione introdotta nella funzione e nel contenuto degli statuti di cui all'art. 4 legge n. 142 del 1990. Si assumono percio' violati, oltre agli artt. 117 e 118, anche gli artt. 3 e 97 Cost. Anche il comma primo del medesimo art. 40 si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. perche', nell'enunciare quale criterio- guida la priorita' degli interventi di riqualificazione, di riordino e potenziamento dei servizi esistenti, si rivolgerebbe direttamente verso gli enti locali e non formulerebbe un principio per il legislatore regionale. Sarebbe illegittimo infine, per violazione dei medesimi articoli, l'art. 41, poiche' - nell'escludere le rappresentanze regionali dalla composizione del Comitato nazionale per le politiche dell'handicap (comma quarto) - prevede che quest'ultimo possa "avvalersi" (comma sesto) di tre assessori regionali, e cio' senza chiarire per lo svolgimento di quali funzioni, ed equiparando questi soggetti ad organi periferici dello Stato, ad esperti o a rappresentanti di enti locali. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri sostenendo l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza delle questioni. In via di premessa, l'Avvocatura osserva come la linea portante cui la legge si ispira sia quella di individuare un sistema di diritti degli handicappati e di corrispondenti obblighi di prestazione della collettivita' in loro favore. In questo quadro, la legge definisce le competenze e gli obiettivi assegnati agli enti locali alla stregua del criterio della necessaria integrazione (o complementarieta') delle "prestazioni sanitarie e sociali", in attuazione del precetto dell'art. 38, primo comma, Cost. In coerenza con tale criterio di complementarieta' degli interventi, la legge - quindi - tocca diverse "materie", coordinando i settori d'azione demandati a vari enti ed organismi. Di conseguenza, sarebbe riduttivo e improprio il richiamo alla sola materia della "beneficenza pubblica" su cui la Regione Lombardia ha fondato il suo ricorso, e cio' anche ad intendere tale riferimento come diretto, in forma ellittica, ad evocare anche la materia della "assistenza sanitaria ed ospedaliera". In ogni caso tutte le censure di incostituzionalita' della legge dovrebbero ritenersi infondate perche' essa reca "i principi fondamentali dell'ordinamento" in tema di protezione dei diritti e di assistenza delle persone handicappate ed e' quindi capace - in virtu' di questo suo tratto caratterizzante - di imporsi all'osservanza degli Enti di autonomia nell'esercizio delle loro competenze. Con riferimento alle specifiche censure formulate dalla Regione ricorrente, l'Avvocatura eccepisce l'inammissibilita' di quella rivolta al primo comma dell'art. 10, in quanto affidata alla generica denunzia di violazione degli artt. 117 e 118 e priva di una congrua esplicitazione di specifici profili di contrasto. Questa stessa censura, comunque, come quella sollevata nei riguardi del terzo comma, sarebbe da ritenere infondata, nella parte diretta a lamentare il carattere non vincolante del previsto parere della Regione. Infatti, resterebbe in ogni caso assicurato alle singole Regioni, nei rispettivi ambiti territoriali, di indirizzare e coordinare i diversi interventi gia' in sede di approntamento degli strumenti della programmazione, si' che - e quando pure non vincolante - il prescritto "parere di congruita'" sulla singola iniziativa sarebbe misura adeguata ed idonea a salvaguardarne gli obiettivi di programma. Parimenti infondate dovrebbero ritenersi le censure mosse al comma sesto del medesimo art. 10. Per l'Avvocatura e' rimesso alla discrezionalita' del legislatore di apprezzare in quali, e quanti, casi la rilevanza dell'interesse pubblico da soddisfare e le ragioni d'urgenza dell'intervento consiglino di derogare alle ordinarie forme procedimentali poste a presidio di altro interesse pubblico; d'altra parte, nel caso, la previsione d'efficacia derogatoria degli strumenti urbanistici vigenti rinviene comunque adeguata giustificazione nel complesso di atti (anche di controllo) attraverso i quali e' destinata a trovare realizzazione l'iniziativa dei soggetti pubblici, sia pure in forma di mera contribuzione finanziaria a (necessariamente) specifici ed articolati programmi edilizi da altri promossi. Per tal guisa infatti e' sufficientemente tutelato l'interesse urbanistico, risultandone assorbita e superata la necessita' d'una specifica procedura d'approvazione di varianti del piano regolatore. La censura mossa all'art. 11 appare all'interveniente inammissibile per genericita' e comunque infondata. Infatti la Commissione ivi prevista, composta anche dai rappresentanti delle Regioni, e' chiamata ad esprimere il parere sui rimborsi, alla stregua di criteri fissati con atto di indirizzo e coordinamento, per assicurare il soddisfacimento di esigenze d'uniformita' di trattamento; il mezzo prescelto allo scopo non e' tale da soverchiare, irragionevolmente e senza oggettiva necessita', le rivendicate sfere d'autonomia delle Regioni (alle quali e' - invece - assicurata la possibilita' di far convenientemente valere i rispettivi punti di vista nell'ambito dell'unica commissione consultiva). Con riferimento alle censure formulate, ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost., nei confronti dell'art. 18 della legge, l'Avvocatura osserva che la norma muove, bensi', dal piano dell'assistenza sociale ma lo supera, prefiggendosi di garantire agli handicappati congrue opportunita' di esercizio del diritto al lavoro, quale momento di piu' piena integrazione nella comune vita sociale. E giacche' la materia dell'occupazione o, piu' in generale, del lavoro non rientra fra quelle di competenza regionale, la doglianza della ricorrente e' destituita di fondamento. Ne' ha maggior pregio - secondo l'Avvocatura - la critica rivolta agli artt. 4 e 19. La disciplina impugnata, infatti, ubbidisce, sul punto, ad un palese principio di uniformita' trattandosi in ultima analisi di assicurare (anche attraverso una predeterminata integrazione di gia' esistenti collegi medici) unicita' di criteri tecnici in una valutazione destinata ad avere effetti anche in materie (art. 19) di certo estranee alle attribuzioni regionali. Anche la doglianza relativa all'art. 40, secondo l'Avvocatura, non ha ragion d'essere, avuto riguardo all'art. 128 Cost. ed alle funzioni che la legge impugnata ha attribuito, nella materia de qua, ai comuni. In relazione, poi, alla pure dedotta violazione degli artt. 3 e 97 Cost. sotto il profilo dell'irragionevole innovazione introdotta nel contenuto degli statuti degli enti locali, si aggiunge che la norma in esame non apporta alcuna deroga alla legge 8 giugno 1990, n. 142, in quanto si limita a specificare, in un ulteriore settore, il contenuto degli statuti nella parte riguardante l'ordinamento dei servizi. Del resto l'elementare criterio di economicita' e ragionevolezza indicato ai Comuni (ma non solo a questi, attesa la natura di normativa di principio propria della legge denunciata) ai fini della scelta di priorita' degli interventi da attuare (pur sempre "nel quadro della normativa regionale") pone il primo comma dell'art. 40 al di fuori della portata delle censure della ricorrente, che a torto si duole di non essere esclusiva destinataria del principio secondo cui, in ordine di priorita', vanno privilegiati gli interventi di riordino e potenziamento dei gia' esistenti servizi. Da ultimo, l'Avvocatura chiede che siano disattese le censure mosse all'art. 41 nella parte che si riferisce alla composizione del Comitato nazionale per le politiche dell'handicap. A suo avviso la formula letterale adottata dal legislatore, infatti, ancorche' impropria, sta con tutta evidenza a significare che gli assessori, come i rappresentanti degli enti locali, gli esperti ecc. sono chiamati ad integrare la composizione e, quindi, a far parte del Comitato, che ne risulta percio' organo a composizione mista (al pari di tanti altri) e strutturalmente idoneo a recepire le valutazioni degli interessi di tipo preminentemente locale. Considerato in diritto 1. - La Regione Lombardia impugna diversi articoli della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), lamentando la lesione delle proprie competenze in tema di beneficienza pubblica, sanita' e urbanistica (artt. 117 e 118 Cost.), nonche' la violazione del principio di ragionevolezza tratto dagli artt. 3 e 97 Cost. 2. - La legge impugnata, rispondendo ad un'esigenza profondamente avvertita, e' diretta ad assicurare in un quadro globale ed organico la tutela del portatore di handicap. Essa incide percio' necessariamente in settori diversi, spaziando dalla ricerca scientifica ad interventi di tipo sanitario ed assistenziale, di inserimento nel campo della formazione professionale e nell'ambiente di lavoro, di integrazione scolastica, di eliminazione di barriere architettoniche e in genere di ostacolo all'esercizio di varie attivita' e di molteplici diritti costituzionalmente protetti. La tutela cosi' apprestata dalla legge dunque investe necessariamente oggetti che afferiscono parte a competenze statali e parte ad attribuzioni regionali e di enti minori. D'altra parte il suo complessivo disegno e' fondato sulla esigenza di perseguire un evidente interesse nazionale, stringente ed infrazionabile, quale e' quello di garantire in tutto il territorio nazionale un livello uniforme di realizzazione di diritti costituzionali fondamentali dei soggetti portatori di handicaps. Al perseguimento di simile interesse partecipano, con lo Stato, gli enti locali minori e le Regioni, nel quadro dei principi posti dalla legge e secondo le modalita' ed i limiti necessari ad assicurare l'effettivo soddisfacimento dell'interesse medesimo. Alle Regioni, in particolare, sono affidati sia interventi diretti, sia compiti di disciplina dei modi e livelli qualitativi di erogazione dei vari servizi da parte dei suddetti enti locali. 3. - Cio' premesso, si deve ora passare all'esame analitico delle singole censure. La prima doglianza concerne l'art. 10, comma primo, della legge. Questo articolo attribuisce ai comuni, alle comunita' montane e alle unita' sanitarie locali la facolta' di realizzare - nell'ambito delle proprie competenze e con le proprie ordinarie risorse di bilancio - comunita' alloggio e centri socio-riabilitativi per le persone portatrici di handicaps gravi. La disposizione, secondo la ricorrente, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. per il fatto di ignorare completamente le competenze regionali in tema di beneficenza pubblica. Ora, anche a prescindere dalla considerazione che il tipo di provvidenza in questione non si presta ad essere ricompreso nella sola materia della beneficenza pubblica, ancorche' latamente intesa, resta il fatto che la censura e' assolutamente generica e sfornita di motivazione: di conseguenza, secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., le sentenze nn. 517 del 1987; 998, 1031, 1111 del 1988; 242, 459 del 1989; 85 del 1990) essa deve essere dichiarata inammissibile. Impugnato e' anche il comma terzo dello stesso art. 10, il quale prevede che gli enti indicati nel precedente primo comma possono contribuire alla realizzazione e al sostegno di case-alloggio e centri riabilitativi promossi da I.P.A.B. e da vari enti privati, "previo parere della regione sulla congruita' dell'iniziativa rispetto ai programmi regionali". La ricorrente lamenta che, contemplando come solo obbligatorio ma non anche vincolante il parere regionale, la previsione in discorso aggirerebbe la sua funzione programmatoria nella materia. La censura non e' fondata. Infatti, considerato il complesso intreccio di competenze sull'argomento, il parere obbligatorio della Regione circa la congruita' rispetto ai propri programmi di singole opere di competenza di altri soggetti e da questi finanziate, puo' considerarsi, uno strumento idoneo e sufficiente a salvaguardare il ruolo della medesima Regione, atteso che tale ruolo trova la sua naturale garanzia nel potere di dettare la normativa nel quadro della quale, secondo la stessa legge (art. 40, comma primo), i comuni, le comunita' montane e le unita' sanitarie locali debbono attuare gli interventi sociali e sanitari previsti. Il comma sesto dello stesso art. 10 prevede che l'approvazione dei progetti edilizi concernenti immobili da destinare alle comunita' alloggio e ai centri socio-riabilitativi, ove localizzati in aree vincolate o a diversa specifica destinazione, costituisca variante del piano regolatore. La ricorrente, sul presupposto della sottrazione di tale variante all'approvazione regionale, lamenta una lesione delle proprie competenze in materia urbanistica, nonche', trattandosi di una deroga ingiustificata al regime ordinario, la violazione del principio di ragionevolezza ex artt. 3 e 97 Cost. Le censure non sono fondate. Infatti, al contrario di quanto ritiene la Regione, la rimessione, nel caso di specie, di poteri decisionali definitivi alle autorita' comunali e la mancata previsione dell'approvazione delle varianti da parte delle Regioni ha il suo fondamento giustificativo nella necessita' di snellire ed accelerare al massimo la realizzazione, da parte di enti pubblici o sotto il controllo di questi, di opere destinate a fronteggiare preminenti e pressanti esigenze di soggetti portatori di handicaps in situazione di gravita'; d'altra parte la previsione di simili varianti automatiche non e' sprovvista di contestuali cautele e vincoli intesi ad assicurare una equilibrata soddisfazione dei diversi interessi afferenti al governo del territorio. Pertanto, non puo' parlarsi di illegittima limitazione delle competenze regionali. 4. - L'art. 11, secondo comma, e' considerato lesivo delle attribuzioni regionali perche' affida alla competente Commissione centrale presso il Ministero della Sanita' di esprimere pareri anche sui singoli rimborsi autorizzati dalle Regioni per i soggiorni all'estero per cure dei soggetti handicappati. La doglianza e' infondata. Il decreto del Ministro della Sanita' 3 novembre 1989 - recante criteri per la fruizione di prestazioni assistenziali in forma indiretta presso centri di altissima specializzazione all'estero - prevede che la Commissione centrale sia sentita ogni volta che si debba disporre un rimborso in deroga alle ordinarie procedure o agli ordinari criteri di concorso nelle spese (art. 7, commi secondo e terzo). La previsione del parere della medesima Commissione nei casi indicati dall'impugnato art. 11, comma secondo, della legge-quadro, costituisce espressione della medesima impostazione, dal momento che, riguardando specificamente il soggiorno in albergo di handicappati ed accompagnatori eventualmente necessario, costituiscono anch'essi ipotesi di deroga al regime ordinario, che esclude di norma dal rimborso le spese di soggiorno (art. 6, comma quattordicesimo). L'intervento consultivo della Commissione risponde all'esigenza, particolarmente pressante in siffatte ipotesi, di assicurare la piu' rigorosa applicazione di criteri uniformi in tutto il territorio nazionale. Di conseguenza non puo' dirsi compressa in modo indebito la sfera di determinazione delle Regioni, tanto piu' perche' nella Commissione sono presenti anche loro rappresentanti che possono percio' far valere in questa sede le loro ragioni. 5. - L'impugnativa concernente l'art. 18, comma quarto, non e' fondata. Questa disposizione affida ad un decreto ministeriale di approvare schemi-tipo di convenzione per regolare i rapporti tra enti locali minori ed enti, istituzioni ed associazioni che svolgono attivita' idonea a favorire l'inserimento e l'integrazione di persone handicappate nel mondo del lavoro. Simile previsione non configura alcuna illegittima interferenza nella sfera di competenza regionale, poiche' incide in una materia, l'occupazione, affidata, come questa Corte ha gia' chiarito (cfr. spec. le sentenze nn. 799 e 998 del 1988), alla responsabilita' finale e globale dello Stato, il quale dunque ben puo', nel caso presente, come del resto avviene in ipotesi consimili (cfr., per es., la sentenza n. 49 del 1991) imporre le prescrizioni indispensabili a conferire alle convenzioni in discorso quel minimum di uniformita' in sede nazionale, necessario alla realizzazione in condizioni di eguaglianza di diritti costituzionali fondamentali. La questione relativa agli artt. 4 e 19 e' infondata per il fatto che il criticato affidamento dell'accertamento dell'handicap alle commissioni mediche presso le unita' sanitarie locali ha rilevanza per tutti gli interventi previsti dalla legge, alcuni dei quali esorbitano dalle competenze regionali (per es. inserimento nel mondo del lavoro e nella scuola, etc.). 6. - Non e' fondata la doglianza mossa all'art. 40, comma primo. Basta ad escludere l'asserita violazione di competenze regionali la considerazione che il criterio della priorita' dell'utilizzazione dei servizi gia' esistenti non si dirige solo e direttamente ai comuni e agli altri enti minori, ma si impone innanzi tutto come "principio fondamentale" alla normativa regionale nel cui quadro, secondo la stessa disposizione, debbono svolgersi gli interventi previsti dalla legge. Infondata e' poi anche la censura riguardante il comma secondo dello stesso art. 40. L'attribuzione agli statuti comunali della disciplina delle modalita' di coordinamento degli speciali interventi per gli handicappati con gli altri servizi sociali, sanitari ed educativi non viola competenze regionali, perche' la disciplina delle funzioni dei comuni, e del modo in cui esse debbano svolgersi in ambito intracomunale non spetta alle Regioni, ma e' riservata allo Stato dall'art. 128 Cost. L'impugnativa del medesimo comma per la asserita irragionevolezza della pretesa innovazione della funzione e contenuto di tali statuti quali previsti dall'art. 4 legge n. 142 del 1990 e' inammissibile perche' assolutamente generica e priva di motivazione. 7. - E' invece fondata l'impugnativa avente ad oggetto l'art. 41. Questo articolo descrive le competenze del Ministro per gli affari sociali e dispone l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Comitato nazionale per le politiche dell'handicap, con compiti consultivi; in particolare, tale Comitato deve essere sentito dal Ministro prima di provvedere a ripartire tra le Regioni e le Province autonome, annualmente e proporzionalmente agli abitanti, l'apposito fondo per l'integrazione degli interventi regionali e provinciali per gli handicappati (art. 42, commi primo e secondo); lo stesso Comitato potra', dopo il primo triennio, approvare altri criteri di ripartizione del fondo, sentita la Conferenza Stato-Regioni (art. 42, comma terzo). Quanto alla sua struttura, il Comitato e' composto da ministri, e si avvale di soggetti esterni: tra questi, oltre ai rappresentanti di enti locali, enti ed associazioni di tutela degli handicappati, sindacati maggiormente rappresentativi, sono indicati anche rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome designati tra i rispettivi assessori dalla Conferenza Stato-Regioni. La Regione censura proprio quest'ultima previsione poiche', appunto, non integra i rappresentanti regionali nella composizione del Comitato, ma configura la loro posizione in termini di mero "avvalimento" da parte di quest'ultimo. Indubbiamente il Comitato nell'espletamento dei suoi compiti, data l'eterogeneita' della materia e l'intreccio delle competenze che vi regna, coinvolge anche in vario modo settori affidati alla competenza delle Regioni, ed esprime il proprio avviso sulla ripartizione dei fondi tra di esse. In siffatta situazione, la collaborazione regionale ai lavori del Comitato non puo' essere configurata alla stessa stregua di quella degli altri enti e soggetti contemplati dalla norma impugnata. Infatti, trattandosi di interventi concernenti anche ambiti materiali spettanti alla competenza delle Regioni, considerata la rilevanza politica delle funzioni in gioco e la natura dei destinatari - che non sono semplici uffici regionali - l'istituto dell'avvalimento non si dimostra, nel caso di specie, strumento idoneo a salvaguardare la posizione di queste ultime quali enti dotati di autonomia politica costituzionalmente garantita. A tal fine e' invece necessario che l'apporto dei rappresentanti regionali si configuri come vera e istituzionale partecipazione all'attivita' del Comitato. Poiche' non e' possibile, a differenza di quanto ritiene l'Avvocatura dello Stato, giungere a questo risultato in via di interpretazione correttiva dell'impugnato art. 41, deve dichiararsi l'illegittimita' costituzionale di quest'ultimo nella parte in cui prevede, in relazione ai rappresentanti degli assessorati regionali e delle Province autonome, che il Comitato "si avvale di", anziche' "e' composto da".
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 41, sesto comma, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), nella parte in cui, con riguardo alla lettera a), prevede che il Comitato "si avvale di", anziche' "e' composto da"; Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma primo, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., sollevata dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe; Dichiara inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 40, comma secondo, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., sollevata dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe; Dichiara non fondate le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 4, 10, commi terzo e sesto, 11, comma secondo, 18, comma quarto, 19, 40, commi primo e secondo, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., sollevate dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe; Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma sesto, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., sollevata dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 21 ottobre 1992. Il presidente: CORASANITI Il redattore: SPAGNOLI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1992 Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 92C1190