Note

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N. 220 SENTENZA 3 - 19 luglio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Intervento in giudizio - Interventi spiegati dall'U.P.I. e da diverse
  Province - Soggetti che non sono titolari di potesta' legislativa -
  Inammissibilita' degli interventi. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito  nella  legge  22
  dicembre 2011, n. 214. 
-   
Costituzione in giudizio - Giudizi  promossi  dalle  Regioni  Veneto,
  Campania  e  Friuli-Venezia  Giulia  -  Atti  del  Presidente   del
  Consiglio dei ministri depositati oltre  il  termine  perentorio  -
  Inammissibilita'. 
-   
- Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte  costituzionale,
  art. 19, comma 3. 
Appalti pubblici - Codice dei contratti pubblici  -  Obbligo,  per  i
  Comuni  con  popolazione  non  superiore  a  5.000   abitanti,   di
  affidamento  dell'acquisizione  di  lavori,  servizi  e  forniture,
  nell'ambito delle  unioni  dei  Comuni,  ad  un'unica  centrale  di
  committenza  -  Ricorso  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia   -
  Asserita  violazione,  prospettata  in   via   subordinata,   delle
  competenze statutarie in tema di ordinamento degli enti locali e di
  finanza locale - Insussistenza -  Obbligo  di  adeguamento  per  le
  Regioni speciali senza una immediata cogenza delle norme del codice
  degli appalti - Non fondatezza della questione. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito  nella  legge  22
  dicembre 2011, n. 214), art. 23, comma 4. 
- Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, primo  comma,
  n. 1-bis), 51 e 54; decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9,  art.
  9. 
Enti locali - Bilancio e contabilita' pubblica -  Previsione  che  "i
  Comuni  possono  istituire  unioni  o  organi   di   raccordo   per
  l'esercizio  di  specifici  compiti   o   funzioni   amministrative
  garantendo  l'invarianza  della  spesa"  -  Ricorsi  delle  Regioni
  Piemonte, Molise e Sardegna - Asserita violazione dei  principi  di
  ragionevolezza e di leale collaborazione - Carenza di motivazione -
  Inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito  nella  legge  22
  dicembre 2011, n. 214),  art. 23, comma 21. 
- Costituzione, artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, secondo comma,  lettera
  p), quarto e sesto comma, 118, 119 e  120;  statuto  della  Regione
  Sardegna, art. 3, primo comma, lettere a) e b). 
Enti locali - Bilancio e contabilita' pubblica - Previsione  che  "la
  titolarita'  di  qualsiasi  carica,  ufficio  o  organo  di  natura
  elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione e'
  a titolo esclusivamente onorifico e non puo' essere fonte di alcuna
  forma di remunerazione,  indennita'  o  gettone  di  presenza,  con
  esclusione dei comuni di cui all'articolo 2, comma 186, lettera b),
  della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni" -
  Ricorsi delle  Regioni  Friuli-Venezia  Giulia,  Sardegna  e  Valle
  d'Aosta  -  Asserita  violazione  delle  attribuzioni  regionali  -
  Insussistenza - Disposizione che  non  si  applica  alle  autonomie
  speciali - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito  nella  legge  22
  dicembre 2011, n. 214), art. 23, comma 22. 
- Costituzione,  artt.  117,  terzo  comma,  e  119,  secondo  comma;
  statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, primo  comma,
  n. 1-bis), 51 e 54; statuto della Regione Sardegna, art.  3,  primo
  comma, lettere a) e b); statuto della Regione Valle d'Aosta,  artt.
  2, primo comma, lettera b), 3, primo comma, lettera f), e 4. 
Enti locali - Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Riordino  delle
  Province e  loro  funzioni  -  Previsione  che  le  funzioni  delle
  Province siano limitate al solo  indirizzo  e  coordinamento  delle
  attivita' dei comuni - Eliminazione della Giunta -  Previsione  che
  il Consiglio sia composto da non piu' di dieci membri eletti  dagli
  organi elettivi dei Comuni - Previsione  che  il  Presidente  della
  Provincia sia eletto dal Consiglio provinciale  -  Incompatibilita'
  logica e giuridica dello strumento della decretazione d'urgenza con
  una riforma radicale del sistema delle autonomie  -  Illegittimita'
  costituzionale - Assorbimento di ulteriori profili  -  Assorbimento
  delle istanze di sospensione. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito  nella  legge  22
  dicembre 2011, n. 214), art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20. 
- Costituzione, art. 77. 
Enti locali - Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Riordino  delle
  Province e loro funzioni - Ripristino di funzioni essenziali  delle
  Province, gia' soppresse dal d.l. n. 201 del  2011  -  Soppressione
  delle Province di Roma, Torino, Milano, Venezia,  Genova,  Bologna,
  Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, e contestuale  istituzione
  delle relative Citta' metropolitane a partire dal 1° gennaio 2014 -
  Incompatibilita'  logica  e   giuridica   dello   strumento   della
  decretazione d'urgenza con una riforma radicale del  sistema  delle
  autonomie  -  Illegittimita'  costituzionale  -   Assorbimento   di
  ulteriori profili - Assorbimento delle istanze di sospensione. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto
  2012, n. 135), artt. 17 e 18. 
- Costituzione, art. 77. 
Enti locali - Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Riordino  delle
  Province e loro funzioni - Obbligo di adeguamento degli ordinamenti
  delle   Regioni   speciali   a   disposizioni    gia'    dichiarate
  incostituzionali   -   Illegittimita'   costituzionale    in    via
  consequenziale. 
- Decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito  nella  legge  22
  dicembre 2011, n. 214), art. 23, comma 20-bis. 
- Legge 11 marzo 1953, n. 87,  art. 27. 
(GU n.30 del 24-7-2013 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Franco GALLO; 
Giudici :Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo  GROSSI,  Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta
  CARTABIA,  Sergio  MATTARELLA,  Mario  Rosario  MORELLI,  Giancarlo
  CORAGGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  23,
commi  4,  14,  15,  16,  17,  18,  19,  20,  20-bis,  21  e  22  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214, promossi dalle  Regioni  Piemonte,  Lombardia,
Veneto, Molise, dalla Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste,
dalle Regioni Lazio e Campania, e dalle Regioni autonome  Sardegna  e
Friuli-Venezia Giulia, e degli articoli 17 e 18 del  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini  nonche'  misure  di
rafforzamento  patrimoniale  delle  imprese  del  settore  bancario),
convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della  legge  7
agosto 2012, n. 135, promossi dalle Regioni  Molise,  Lazio,  Veneto,
Campania, Lombardia, dalle Regioni autonome Friuli-Venezia  Giulia  e
Sardegna  e  dalle  Regioni  Piemonte  e  Calabria,   rispettivamente
iscritti ai nn. 18, 24, 29, 32, 38, 44, 46, 47, 50,  e  ai  nn.  133,
145, 151, 153, 154, 159, 160, 161 e 169 del registro ricorsi 2012. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri (fuori termine nei giudizi relativi ai ricorsi  iscritti  ai
nn. 29, 46 e 50 del registro  ricorsi  2012),  nonche'  gli  atti  di
intervento delle Province di Latina, Frosinone, Viterbo, della Unione
delle Province d'Italia, delle Province di Isernia, di Avellino e del
Comune di Mantova; 
    udito nell'udienza pubblica del 2 luglio 2013 il Giudice relatore
Gaetano Silvestri; 
    uditi gli avvocati Vincenzo Cerulli  Irelli  per  l'Unione  delle
Province d'Italia, Giancarlo Viglione per la Provincia  di  Avellino,
Federico Sorrentino per la Provincia di Isernia, Giandomenico  Falcon
per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Luca  Antonini,  Bruno
Barel e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Giovanna  Scollo  per
la Regione Piemonte, Beniamino Caravita di  Toritto  per  le  Regioni
Lombardia e Campania,  Vincenzo  Colalillo  per  la  Regione  Molise,
Ulisse Corea per la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste  e
per la Regione Lazio, Piero D'Amelio per la  Regione  Lazio,  Massimo
Luciani per la Regione autonoma della Sardegna, Graziano  Pungi'  per
la Regione Calabria e gli avvocati dello Stato Maria Elena Scaramucci
e Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per  la  notifica  il  19  gennaio  2012,
ricevuto e depositato il successivo 23 gennaio (reg. ric. n.  18  del
2012), la Regione Piemonte  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 23, commi 14, 15, 16, 17,  18,  19,  20,
20-bis e 21, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 22 dicembre 2011, n. 214, per violazione degli  artt.  5,  114,
117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, 119 e  120
della Costituzione, del principio di leale collaborazione, anche  «in
relazione agli artt. 3, 77 e 97 della Costituzione». 
    1.1.- La Regione ricorrente individua l'oggetto  della  normativa
impugnata  nella  «abolizione   delle   province»,   cioe'   in   una
compressione funzionale e strutturale  delle  Province  stesse  cosi'
intensa da  annullarne,  in  sostanza,  il  ruolo  costituzionalmente
assegnato. Il ricorso sarebbe legittimato dalla diretta lesione delle
prerogative regionali, ma anche dal vulnus recato  alle  attribuzioni
provinciali, che le Regioni sarebbero ammesse a denunciare quando  si
risolva in una indebita compressione dei poteri loro conferiti  dalla
Costituzione. 
    E' impugnato anzitutto il comma 14 dell'art. 23 del d.l.  n.  201
del 2011, che assegna alle Province «esclusivamente  le  funzioni  di
indirizzo e di coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie
e nei limiti indicati con  legge  statale  o  regionale,  secondo  le
rispettive competenze». 
    Sono impugnate, poi, le norme che  fondano  la  nuova  disciplina
degli organi provinciali: il comma 15, che individua  gli  organi  di
governo nel Consiglio provinciale e nel Presidente  della  Provincia,
con durata della carica pari per entrambi a cinque anni; il comma 16,
che fissa nel numero massimo di dieci i componenti del Consiglio,  da
eleggere a cura  degli  organi  elettivi  dei  Comuni  insediati  nel
territorio di pertinenza, secondo  modalita'  da  fissare  con  legge
dello Stato; il comma 17, che regola  l'elezione  del  Presidente  ad
opera  dei  componenti   del   Consiglio   provinciale,   sempre   in
applicazione di legge statale da approvarsi ad hoc. 
    La Regione Piemonte censura,  di  seguito,  le  disposizioni  che
regolano il trasferimento di funzioni e  risorse  dalle  Province  ai
Comuni ed alle Regioni: il comma 18 dell'art.  23  citato,  il  quale
prevede che la legislazione statale e regionale provveda, entro il 31
dicembre 2012, a trasferire le funzioni provinciali ai Comuni, «salvo
che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano  acquisite
dalle  Regioni,  sulla   base   dei   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione   ed   adeguatezza»,    configurando    l'intervento
sostitutivo dello Stato in caso di inadempimento regionale; il  comma
19, che dispone il trasferimento, a cura della legislazione statale o
regionale,  «delle  risorse  umane,  finanziarie  e  strumentali  per
l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito  delle
medesime  risorse  il   necessario   supporto   di   segreteria   per
l'operativita' degli organi della provincia». 
    Sono impugnati, infine, il comma 20 (che disciplina la tempistica
di attuazione della  riforma  degli  organi  provinciali),  il  comma
20-bis (che esclude dalla novella le  Province  autonome  ed  assegna
alle  Regioni  a  statuto  speciale   un   termine   semestrale   per
l'adeguamento dei rispettivi ordinamenti), il comma 21 (che  consente
ai Comuni di istituire unioni o organi di raccordo per l'esercizio di
specifici compiti o funzioni amministrative, garantendo  l'invarianza
della spesa). 
    1.2.- A parere della ricorrente le  norme  censurate,  tutte  «in
stretta connessione tra loro», violerebbero in primo luogo  l'art.  5
Cost., applicando una logica inversa a  quella  del  decentramento  e
dell'autonomia, con diretta lesione delle prerogative regionali. 
    Sarebbe poi vanificato il riconoscimento delle Province come enti
costitutivi della Repubblica, dotati di autonomia e funzioni proprie,
secondo il disposto dell'art. 114 Cost. Cio' in ragione, tra l'altro,
dell'eliminazione del principale organo  di  governo  (la  Giunta)  e
della stessa funzione di governo, ridotta a compito di  coordinamento
dell'attivita' comunale,  ed  accompagnata  dalla  spoliazione  delle
funzioni  amministrative  provinciali  e  delle   relative   risorse.
Inoltre, il decreto governativo -  volto  a  realizzare  una  vera  e
propria riforma istituzionale mediante la legislazione sulla spesa  -
avrebbe privato Regioni e  Province  di  ogni  autonomia  decisionale
riguardo al  relativo  percorso  di  modificazione  legislativa,  «in
aperta violazione del secondo comma dell'art. 114 Cost.». 
    La Regione Piemonte assume, ancora, l'intervenuta violazione  del
disposto di cui alla lettera  p)  del  secondo  comma  dell'art.  117
Cost., che riserva allo Stato, tra l'altro, la  competenza  esclusiva
in materia di legislazione elettorale, organi di governo  e  funzioni
fondamentali  delle  Province.  Tale  competenza  non  potrebbe   che
esercitarsi entro i limiti tracciati dagli artt. 5 e 114 Cost., cioe'
rispettando  la  «esistenza»  degli  enti  interessati,  e  lasciando
intatte le potesta' regolamentari ed amministrative di cui agli artt.
117, sesto comma, e 118 Cost. In realta' il decreto impugnato avrebbe
realizzato una violazione trasversale  delle  competenze  legislative
concorrenti o residuali delle Regioni. Sarebbero compresse le  stesse
funzioni  amministrative  di  competenza  regionale,  dato   che   la
Costituzione prevede il relativo esercizio anche mediante delega alle
Province (art. 118, secondo comma), mentre la riforma concentra sulle
stesse Regioni, oltreche' sui Comuni e sullo Stato, le funzioni  gia'
attribuite alle Province medesime. 
    La disciplina censurata, ad avviso della  ricorrente,  impone  un
modello indifferenziato di conferimento di funzioni agli enti locali,
tale da menomare le attribuzioni delle Regioni di  cui  all'art.  118
Cost., anche in relazione alla correlata autonomia finanziaria  (art.
119 Cost.). 
    L'intervento dello Stato  non  potrebbe  trovare  giustificazione
nelle allegate esigenze di riordino dei conti pubblici, anche perche'
le  modeste  economie  risultanti  dalla  riforma,   riguardanti   le
indennita' di carica degli  assessori  e  di  parte  dei  consiglieri
provinciali, sarebbero  riferibili  alle  finanze  regionali.  Quello
anzidetto costituirebbe, pertanto, un ulteriore profilo  di  lesione,
secondo la ricorrente, dell'autonomia amministrativa ed organizzativa
delle Regioni nei loro rapporti con gli enti territoriali minori. 
    Da  ultimo,  la  Regione  Piemonte  denunzia  la  violazione  del
principio di leale collaborazione, in rapporto all'art. 8 della legge
5   giugno   2003,   n.   131   (Disposizioni    per    l'adeguamento
dell'ordinamento  della  Repubblica  alla  legge  costituzionale   18
ottobre 2001, n. 3). Il comma 18 dell'art. 23 del  d.l.  n.  201  del
2011, infatti, regolerebbe l'intervento sostitutivo  dello  Stato  in
radicale contrasto con i principi fissati dalla citata legge  n.  131
del 2003 per l'attuazione di  quanto  disposto  nel  testo  novellato
dell'art. 120 Cost., e  comunque  senza  prevedere  alcuna  forma  di
concertazione fra Stato, Regioni ed enti  locali.  Una  concertazione
che sarebbe stata  tanto  piu'  necessaria  considerando  l'incidenza
della riforma sull'autonomia finanziaria regionale. 
    La  ricorrente  ricorda  che  la  giurisprudenza   costituzionale
ammette la possibilita' per le Regioni di denunciare con  il  ricorso
in via principale  la  violazione  di  parametri  costituzionali  non
pertinenti al riparto delle  competenze,  quando  la  stessa  ridondi
sulle  attribuzioni   regionali.   Un   vizio   di   irragionevolezza
denoterebbe  nel  complesso  la  disciplina  impugnata,  poiche'   il
vantaggio finanziario perseguito, di  fatto  irrilevante  e  comunque
realizzato  «a  scapito»  degli  enti  territoriali,  attraverso   un
decreto-legge  che  impone  adempimenti  lesivi  anche  in  punto  di
competenza legislativa, entro termini brevissimi, non  legittimerebbe
il sovvertimento radicale dei rapporti istituzionali disegnati  dalla
Costituzione. 
    1.3.-  La  Regione  Piemonte  segnala  infine  che  la  normativa
impugnata dovrebbe trovare attuazione entro un termine assai prossimo
(31 dicembre 2012) e, sull'assunto che da tale attuazione  sortirebbe
un pregiudizio grave ed irreparabile per l'interesse  pubblico  ed  i
diritti dei cittadini, sollecita la Corte costituzionale ad  adottare
un provvedimento sospensivo dell'esecuzione della normativa medesima,
secondo il disposto dell'art. 35 della legge 11  marzo  1953,  n.  87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale). 
    2.- Con ricorso spedito per  la  notifica  il  4  febbraio  2012,
ricevuto l'8 febbraio e depositato il successivo  14  febbraio  (reg.
ric. n. 24 del 2012), la Regione Lombardia ha promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 23, commi 14, 15, 16,  17,  18,
19 e 20, del d.l. n. 201 del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214  del  2011,  per  violazione
degli artt. 3, 5, 114, 117, 118, 119, 120, secondo comma, e 138 Cost. 
    2.1.- La ricorrente, dopo una ricognizione delle norme  censurate
ed una ricostruzione del ruolo storico ed istituzionale assunto dalle
Province,   richiama,   in   via   preliminare,   la   giurisprudenza
costituzionale in tema di legittimazione delle Regioni a  prospettare
doglianze nei confronti di leggi statali  lesive  delle  attribuzioni
degli enti territoriali minori, anche quando non sia  prospettata  la
violazione della competenza legislativa regionale (e' citata, tra  le
altre, la sentenza della Corte costituzionale n. 298  del  2009).  Il
principio troverebbe conferma nella  previsione  dell'art.  32  della
legge n. 87 del 1953, come novellato ex art. 9 della legge n. 131 del
2003, che  ammette  la  proposizione  di  questioni  di  legittimita'
costituzionale di leggi dello Stato anche su proposta  del  Consiglio
delle autonomie locali (proposta intervenuta nella specie).  In  ogni
caso - aggiunge la ricorrente - la maggior parte  delle  disposizioni
impugnate risulterebbe direttamente lesiva  delle  prerogative  delle
Regioni,  vincolando  queste  ultime   a   determinati   criteri   di
redistribuzione delle funzioni  e  delle  risorse,  e  prevedendo  un
anomalo potere sostitutivo dello Stato. 
    2.2.-  L'intervento  di  riforma   sarebbe   segnato   da   grave
irragionevolezza, con violazione dell'art. 3 in rapporto  agli  artt.
1, 5 e 138 Cost. Ridimensionando l'istituzione provinciale  sotto  il
profilo funzionale e della rappresentanza politica, si sarebbe creata
la necessita' di rilevanti interventi aggiuntivi, in riferimento alle
non meglio precisate «funzioni di indirizzo  e  coordinamento»,  alle
nuove modalita' di elezione degli organi di governo,  ai  criteri  di
riallocazione delle  risorse  umane  e  materiali.  Il  ricorso  allo
strumento  del  decreto-legge  sarebbe  dunque  stato  incongruo,  ed
avrebbe implicato «paradossi» e incoerenze. 
    Anzitutto,  l'intervento  di  riforma  non  si   tradurrebbe   in
immediati e rilevanti risparmi di spesa, tanto che lo  Stato  avrebbe
prudentemente  rinunciato   a   valutarli   in   sede   previsionale,
rinviandone l'apprezzamento alla fase consuntiva. Vi sarebbero, anzi,
sicuri aumenti dei costi per il  personale  e  per  le  strutture  da
destinare agli organismi intercomunali  ed  a  supporto  delle  nuove
funzioni di «indirizzo e coordinamento».  Inoltre,  la  realizzazione
della  riforma  sarebbe  prevedibilmente  costellata   da   altissima
conflittualita', ad esempio riguardo al «forzoso»  trasferimento  del
personale delle Province  nei  ruoli  regionali,  aspetto  del  tutto
trascurato dall'intervento oggetto di censura. D'altra parte,  dovra'
comunque essere assicurata l'azione di  organismi  infraregionali  in
rapporto a funzioni che trascendano i  limiti  dell'azione  comunale,
specie in  Regioni  caratterizzate  dall'esistenza  di  numerosissimi
Comuni, con popolazione anche molto ridotta. 
    Ancora, la difesa regionale evidenzia come sia stata  colpita  la
Provincia   quale   istituzione   democratica    e    rappresentativa
(trascurando, per altro, aspetti essenziali  sul  piano  finanziario,
come  ad  esempio  il   destino   delle   partecipazioni   societarie
attualmente  in  essere),  ma  non  la  Provincia  quale   sede   del
decentramento statale, con i costi relativi. 
    Sarebbe    evidente,    quale    profilo    sintomatico     della
irragionevolezza della normativa in esame, la carenza di  adeguatezza
e  proporzionalita'  rispetto  agli  obiettivi  indicati,  anche   in
considerazione  della  sua  pertinenza  a  valori  il   cui   rilievo
costituzionale e' segnato dagli artt. 1 e 5 Cost. e  dalla  procedura
aggravata che avrebbe dovuto  essere  seguita  per  un  bilanciamento
diverso da quello attuale. 
    2.3.- La ricorrente pone  in  rilievo  come  il  testo  novellato
dell'art. 114 Cost. conferisca direttamente (anche) alle Province una
propria posizione nel sistema delle autonomie, pari ordinata a quella
delle altre istituzioni territoriali e  segnata  strutturalmente  dal
principio di sovranita' popolare (e'  richiamata  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 106 del 2002). 
    La riduzione delle funzioni  provinciali  al  solo  «indirizzo  e
coordinamento» disconoscerebbe  la  natura  di  ente  autonomo  della
Provincia, comprimendone anche l'autonomia statutaria e  finanziaria.
D'altra   parte,   il   principio   autonomistico   sarebbe   fondato
intrinsecamente sul metodo democratico: una caratteristica essenziale
che lo Stato non potrebbe frustrare, pur nell'esercizio della propria
competenza legislativa in materia di organi di governo e legislazione
elettorale per gli enti locali. 
    2.4.-  Secondo  la  Regione   Lombardia,   le   norme   impugnate
contrastano con gli artt. 117, 118 e 119 Cost. in quanto  violano  la
riserva  costituzionale  di  funzioni  a   favore   delle   Province.
L'attribuzione "esclusiva" di compiti di indirizzo e coordinamento si
risolverebbe  in  una  sostanziale  spoliazione,  sebbene  le   norme
costituzionali evocate, fissando i principi  cui  rinvia  l'art.  114
Cost., attribuiscano alle Province una potesta' regolamentare per  la
disciplina di  funzioni  proprie  (comma  sesto  dell'art.  117),  la
titolarita' di funzioni proprie o conferite  dalla  legge  statale  o
regionale (secondo comma dell'art. 118), una autonomia di spesa e  di
entrata, con  risorse  derivanti  anche  dall'imposizione  tributaria
direttamente esercitata (art. 119). 
    Pur rinviando alla  legge  per  la  concreta  specificazione,  la
Costituzione garantirebbe alle  Province  «un  fascio  di  funzioni»,
parte almeno delle quali dovrebbero essere «proprie» (sono citate  le
sentenze della Corte costituzionale n. 286 e n. 238 del 2007). 
    La  disciplina   impugnata   comprimerebbe   direttamente   anche
l'autonomia regionale, giacche' impone alle Regioni la  riallocazione
delle funzioni provinciali e vieta loro, nel contempo, l'attribuzione
di funzioni alle Province, che la riforma lascia pur sempre in vita. 
    A fronte  di  una  rete  siffatta  di  attribuzioni,  la  riforma
lascerebbe  alle  Province  funzioni  non  «proprie»  ed   oltretutto
difficilmente identificabili, data  la  genericita'  dell'espressione
riferita all'indirizzo ed al coordinamento delle funzioni proprie  di
altri enti. 
    2.5.-  La  Regione   Lombardia   lamenta,   ancora,   un'asserita
violazione del secondo comma dell'art. 120 Cost. e del  principio  di
leale collaborazione, in rapporto alla previsione (comma 18 dell'art.
23 del d.l. n. 201 del 2011) di un intervento sostitutivo dello Stato
in assenza dei presupposti legittimanti fissati  dalla  Costituzione.
Viene richiamata la sentenza della Corte  costituzionale  n.  43  del
2004,  la  quale  avrebbe  chiarito,  in   rapporto   alla   clausola
dell'unita' giuridica o economica, che deve  trattarsi  di  emergenze
istituzionali di particolare gravita', le quali comportino rischi  di
compromissione relativi ad  interessi  essenziali  della  Repubblica.
L'intervento sostitutivo dovrebbe inoltre  riguardare  attivita'  non
discrezionali  nell'an,  previste   e   disciplinate   dalla   legge,
attuandosi mediante procedure che assicurino concrete possibilita' di
diretto  adempimento  e,  comunque,   di   interlocuzione   dell'ente
sostituito. 
    La norma censurata, al contrario, non  prevede  alcuna  forma  di
partecipazione regionale al procedimento, e  nel  contempo  individua
nella  legge  statale  lo  strumento  per  l'intervento  sostitutivo,
assegnando allo  Stato  una  competenza  legislativa  in  materie  di
pertinenza  della  Regione.  La  ricorrente  segnala  che  la   Corte
costituzionale, pur senza negarne la legittimita', ha  gia'  definito
«deroga eccezionale» l'eventualita' che il Governo utilizzi i  propri
poteri di produzione degli atti aventi forza di legge per  esercitare
il potere sostitutivo (sentenza n. 361 del 2010), ed  il  ricorso  al
decreto-legge, in ogni caso, non sarebbe compatibile con l'attuazione
del principio di leale collaborazione. 
    2.6.- Da ultimo, la Regione Lombardia propone la tesi secondo  la
quale, mediante la produzione di norme incompatibili con  il  dettato
costituzionale, si eluderebbe il divieto di modificare la  Carta  con
procedure alternative a quella descritta  nell'art.  138  Cost.,  con
violazione conseguente di tale norma. Nella specie, lo Stato  avrebbe
preteso di realizzare profonde modifiche dell'assetto  costituzionale
delle autonomie mediante una legge di rango ordinario  e  addirittura
con ricorso alla decretazione d'urgenza. 
    La ricorrente osserva che  la  tesi  proposta,  per  lungo  tempo
confinata nel dibattito dottrinale, avrebbe trovato recente  conferma
nella  giurisprudenza  della  stessa  Corte  costituzionale.  Infatti
quest'ultima, pronunciandosi sulle prerogative per le «alte  cariche»
dello Stato (e' citata la  sentenza  n.  262  del  2009),  dopo  aver
chiarito che la legge ordinaria puo'  attuare  ma  non  modificare  o
integrare la disciplina costituzionale delle citate  prerogative,  ha
ravvisato una violazione  dell'art.  3  «in  combinato  disposto  con
l'art.  138»  della  Costituzione.  Nella  successiva  sentenza   sul
«legittimo impedimento», la stessa Corte ha stabilito una  violazione
diretta   ed   «autonoma»   del   parametro   in   questione,   cosi'
«emancipandolo» dal ruolo tradizionalmente assegnatogli di norma solo
procedurale (sentenza n. 23 del 2011). 
    Nel caso oggetto dell'odierno scrutinio, il riconoscimento  della
violazione sarebbe ancor piu'  lineare,  avendo  le  norme  impugnate
«svuotato»  il  disegno  costituzionale  in  materia   di   Province.
Pertanto, la riforma di tali enti non  potrebbe  che  essere  attuata
mediante il procedimento di revisione costituzionale. 
    3.- Con ricorso notificato il 21 febbraio 2012  e  depositato  il
successivo 23 febbraio (reg. ric. n. 29 del 2012), la Regione  Veneto
ha  promosso  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di  alcune
disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del  2011,  e,  tra  queste,
dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, per violazione degli
artt. 1, 3, 5, 114, 118, 119, 120 e 138 Cost. 
    3.1.- La difesa regionale svolge un'ampia premessa, riportando il
contenuto delle disposizioni impugnate ed evidenziando come le stesse
risultino   complessivamente    incompatibili    con    il    sistema
costituzionale delle autonomie territoriali. 
    Con le predette disposizioni il legislatore  avrebbe  trasformato
la Provincia da  ente  politico,  rappresentativo  delle  popolazioni
incluse nel relativo territorio, in ente di secondo grado, dotato  di
un Consiglio provinciale composto da non piu'  di  dieci  componenti,
eletti dai Consigli comunali, con un presidente eletto dal  Consiglio
provinciale tra i suoi componenti. 
    Sarebbero  in  tal   modo   venute   meno   tutte   le   funzioni
amministrative di tipo  gestionale  finora  svolte  dalla  Provincia,
essendo quest'ultima ormai soltanto titolare di  una  «micro-funzione
di coordinamento dell'attivita' dei Comuni», e quindi svuotata  anche
dell'autonomia finanziaria, fatte salve le risorse necessarie per  il
funzionamento dei propri organi. 
    Tutto cio' avverrebbe, secondo la Regione  Veneto,  in  evidente,
macroscopico contrasto  con  il  disegno  costituzionale,  risultando
altresi'   penalizzante   per    l'autonomia    regionale,    privata
dell'interlocutore istituzionale cui affidare la gestione di funzioni
amministrative. Siffatta collaborazione sarebbe particolarmente utile
in realta' regionali, come quella veneta, caratterizzate da Comuni di
piccole o piccolissime dimensioni. 
    In questo contesto territoriale la normativa impugnata indurrebbe
«un centralismo regionale» e non consentirebbe  lo  sviluppo  di  «un
regionalismo pienamente attuativo del principio  di  sussidiarieta'»,
con cio' menomando l'autonomia statutaria specie la' dove,  come  nel
caso della ricorrente, lo statuto abbia configurato la Regione  quale
organo di legislazione e di indirizzo  piu'  che  di  amministrazione
diretta. 
    La pur necessaria riforma  delle  autonomie  locali,  secondo  la
ricorrente, andrebbe progettata  con  la  partecipazione  degli  enti
territoriali  ed  attuata  con   appropriati   strumenti   giuridici.
Diversamente, le disposizioni in esame avrebbero  alterato  l'assetto
delineato  dalla  Costituzione,  senza  realizzare  lo  scopo   della
semplificazione del sistema istituzionale ne' la riduzione  di  spesa
degli apparati. La difesa regionale  segnala  in  proposito  come  la
relazione tecnica riguardante il provvedimento governativo non  abbia
potuto  quantificare  la   misura   dei   risparmi   complessivamente
perseguibili. 
    In realta', il legislatore statale avrebbe  preteso  di  compiere
una revisione costituzionale con  legge  ordinaria,  incidendo  anche
sull'autonomia costituzionalmente garantita alla Regione  Veneto,  la
quale e' dunque legittimata a tutelare  in  via  diretta  le  proprie
prerogative, oltre che a denunciare la  violazione  delle  competenze
degli enti locali, secondo  quanto  affermato  in  numerose  pronunce
della Corte costituzionale, per la stretta connessione esistente  tra
le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali. 
    3.2.-  La  ricorrente  esamina,  in  primo  luogo,  il  comma  16
dell'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, norma che,  in  dispregio  del
procedimento  indicato   nell'art.   138   Cost.,   avrebbe   sancito
l'eliminazione delle Province come enti esponenziali  rappresentativi
di una comunita' organizzata democraticamente,  e  cioe'  con  organi
elettivi di diretta emanazione del corpo elettorale (art. 1 Cost.). 
    Tale configurazione, scelta dal Costituente, e' stata  confermata
e rafforzata in sede di riforma del  Titolo  V  della  Parte  seconda
della Costituzione, la' dove l'art.  114  Cost.,  al  secondo  comma,
indica le Province come «enti autonomi con propri statuti,  poteri  e
funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione», e, al  primo
comma, prevede che esse sono destinate  a  costituire  -  assieme  ai
Comuni, alle Citta' metropolitane e alle Regioni - la Repubblica. 
    Inoltre, il principio autonomista, contenuto nell'art.  5  Cost.,
impedirebbe al  legislatore  ordinario  di  «incidere  sul  carattere
direttamente  democratico  dell'ente»,  che   rappresenta   uno   dei
requisiti essenziali dell'ordinamento repubblicano. 
    La disposizione oggi impugnata si porrebbe  dunque  in  contrasto
con gli artt. 1, 5, 114 e 138 Cost. 
    Dall'alterazione   del    sistema    delle    autonomie    locali
discenderebbe, inoltre,  la  menomazione  della  sfera  di  autonomia
regionale. Evidente sarebbe l'impedimento delle  Regioni  ad  attuare
pienamente   i   principi   di    sussidiarieta',    adeguatezza    e
differenziazione nell'allocazione delle funzioni amministrative nelle
materie di propria  competenza,  ai  sensi  dell'art.  118,  primo  e
secondo comma, Cost. 
    3.3.- La ricorrente  esamina,  in  secondo  luogo,  il  comma  20
dell'art.  23  del  d.l.  n.  201  del  2011,   ove   si   stabilisce
l'applicazione fino al 31 marzo 2013 - per gli organi provinciali che
devono  essere  rinnovati  entro  il  31  dicembre   2012   -   della
disposizione contenuta  nell'art.  141  del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi  sull'ordinamento  degli
enti locali), che disciplina lo scioglimento  e  la  sospensione  dei
consigli comunali e provinciali. 
    La disposizione censurata sarebbe priva di ragionevolezza, stante
la connotazione "patologica" delle ipotesi regolate dall'art. 141 del
TUEL, che infatti prevede lo scioglimento e il  commissariamento  dei
Consigli provinciali che abbiano agito contra legem.  Sarebbe  dunque
violato l'art. 3 Cost., unitamente agli  artt.  1,  5  e  114  Cost.,
perche'  nella  specie  il  commissariamento   e'   prodromico   alla
eliminazione dell'elezione diretta dei rappresentanti delle  Province
che  dovrebbero  essere  rinnovate   nel   2012.   Inoltre,   poiche'
l'eliminazione dell'elezione diretta riguarda anche  le  Province  il
cui rinnovo dovra' avvenire dopo il  31  dicembre  2012,  secondo  il
rinvio che il medesimo comma 20 opera ai commi 16 e 17  dell'art.  23
del d.l. n. 201 del 2011, la difesa regionale ritiene che anche detta
previsione violi i parametri da ultimo indicati. 
    3.4.- Con riferimento al comma 15  dell'art.  23,  la  ricorrente
evidenzia come tale disposizione - pur incidendo sulla materia  degli
enti locali, di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art.  117,
secondo comma, lettera p),  Cost.  -  produca  la  menomazione  della
capacita' di azione e di esecuzione  delle  Province,  disponendo  la
soppressione della Giunta e non indicando meccanismi alternativi  che
assicurino l'operativita' dell'esecutivo provinciale. 
    La    stessa    disposizione    avrebbe,    inoltre,     alterato
irragionevolmente il sistema ordinamentale previsto dal d.lgs. n. 267
del 2000, che e' presidiato dalla clausola di  inderogabilita'  (art.
1, comma 4). 
    Sarebbero pertanto violati anche in questo caso gli artt. 3, 5  e
114 Cost. 
    3.5.- Argomenti sostanzialmente identici a quelli appena  esposti
sorreggono le censure aventi ad oggetto il comma 17 dell'art. 23  del
d.l. n. 201 del 2011, che detta le modalita' con cui e' costituito il
Consiglio provinciale in vista delle elezioni. 
    La  disposizione   in   esame   risulterebbe   costituzionalmente
illegittima in via derivata, per violazione degli artt. 3,  5  e  114
Cost. 
    3.6.- La ricorrente  procede,  quindi,  all'esame  del  comma  14
dell'art. 23, che avrebbe creato una  inammissibile  sovraordinazione
delle Province rispetto ai Comuni,  ponendosi  in  contrasto  con  le
norme costituzionali che configurano le Province e gli stessi  Comuni
come titolari di funzioni amministrative «fondamentali» e  «proprie»,
oltre a quelle conferite con legge statale o regionale. Tra  l'altro,
osserva la ricorrente, una prima e provvisoria  individuazione  delle
funzioni  fondamentali  e'  avvenuta,   sia   pure   ai   soli   fini
dell'attuazione della delega, con l'art. 21, comma 4, della  legge  5
maggio 2009, n. 42 (Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo
fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione). 
    L'impugnato  comma  14  avrebbe  dunque  l'effetto  di   menomare
l'autonomia regionale in quanto impedisce alle Regioni, nelle materie
di  propria  competenza,  di  trasferire  o  delegare  alle  Province
qualsiasi funzione o, in termini ancora  piu'  radicali,  obbliga  le
Regioni ad assegnare alle Province soltanto le  competenze  indicate,
con conseguente violazione dell'art.  118,  primo  e  secondo  comma,
Cost. 
    3.7.- Il comma 18 dell'art. 23 prevede il trasferimento ai Comuni
delle funzioni statali e regionali, diverse da  quelle  indicate  nel
comma 14, che la normativa vigente attribuisce alle Province. Secondo
la Regione Veneto, tale disposizione aggraverebbe  la  lesione  delle
competenze regionali gia' realizzata dal citato  comma  14  dell'art.
23, in quanto renderebbe operativo il divieto,  per  le  Regioni,  di
delegare alle  Province  funzioni  amministrative  nelle  materie  di
propria competenza. 
    La ricorrente ribadisce che la normativa  in  esame  delinea  una
situazione di «forte centralismo  regionale»,  in  contrasto  con  il
disegno costituzionale, e richiama le  affermazioni  contenute  nella
sentenza della Corte costituzionale  n.  343  del  1991,  in  cui  si
valorizza l'intento di «assicurare un sempre  maggiore  avvicinamento
di queste funzioni [amministrative] alle realta' locali,  [...]  allo
scopo di evitare il formarsi di una burocrazia a  livello  regionale,
ripetitiva di quella  dell'amministrazione  statale  accentrata  che,
appunto,  con  l'ordinamento  regionale  e  con  la   sua   ulteriore
articolazione a livello locale, la Costituzione tende a superare». 
    Risulterebbe  inoltre  ingiustificato,  ai  sensi  dell'art.  120
Cost.,  l'intervento  di  carattere  sostitutivo  dello   Stato   nei
confronti delle Regioni. In  particolare,  non  sarebbe  ravvisabile,
nella specie, l'esigenza di tutelare l'unita' giuridica  o  economica
del Paese; inoltre, il rinvio all'art. 8 della legge n. 131 del  2003
risulterebbe  irragionevole,  per  la  diversita'  che   connota   la
procedura indicata nell'impugnato comma 18 dell'art.  23  rispetto  a
quella, concertativa, del  citato  art.  8.  Del  resto,  osserva  la
ricorrente, l'intervento sostitutivo del Governo, previsto  nel  caso
in cui le Regioni non approvino le leggi imposte  dalla  prima  parte
del comma 18, avrebbe ad oggetto la  funzione  legislativa  regionale
tout court, da esercitare anche nelle materie di competenza esclusiva
regionale. 
    Sarebbe dunque evidente il contrasto della  norma  impugnata  con
gli artt. 118, primo e secondo comma, e 120 Cost. 
    3.8.- La difesa regionale esamina il comma 19  dell'art.  23  del
d.l. n. 201 del 2011, il  quale  disciplina  il  trasferimento  delle
risorse (umane, finanziarie e strumentali) necessarie per l'esercizio
delle funzioni trasferite. 
    Si  tratterebbe  di  disposizione   strettamente   collegata   al
precedente comma 18, in quanto  concernente  la  riallocazione  delle
risorse conseguenti allo «svuotamento delle funzioni»  fino  ad  oggi
svolte dalle Province, e  pertanto  viziata,  in  via  derivata,  nei
medesimi termini indicati per il citato comma 18. 
    Il legislatore avrebbe poi utilizzato la tecnica normativa con la
quale e' stato attuato il cosiddetto decentramento amministrativo  di
cui al decreto legislativo 31 marzo 1998,  n.  112  (Conferimento  di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli
enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo  1997,  n.
59), antecedente alla riformulazione  dell'art.  119  Cost.,  sicche'
risulterebbe violato anche quest'ultimo parametro, nella parte in cui
prevede che le Province,  al  pari  degli  altri  enti  territoriali,
dispongono di autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nonche' di
risorse autonome,  derivanti  sia  dall'applicazione  di  tributi  ed
entrate proprie, sia dalla compartecipazione al gettito  dei  tributi
erariali riferibili al territorio di pertinenza. 
    La disposizione impugnata, in particolare, non conterrebbe  alcun
riferimento  all'autonomia   finanziaria   delle   Province   e   non
considererebbe la recente normativa di attuazione dello  stesso  art.
119 Cost., introdotta con il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68
(Disposizioni in materia di autonomia  di  entrata  delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni standard nel settore  sanitario),  finalizzata
anche a superare l'effetto di  deresponsabilizzazione  derivante  dal
trasferimento di risorse statali o regionali alle Province. 
    Secondo  la  difesa  regionale,   cio'   sarebbe   coerente   con
l'esiguita' delle funzioni amministrative assegnate alle  Province  e
con la corrispondente entita' delle risorse a tal fine  riconosciute,
dimostrando una volta ancora l'incompatibilita' con  la  Costituzione
del sistema introdotto dall'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011. 
    Il comma 19 peraltro non avrebbe chiarito  in  quale  modo  sara'
attuato il passaggio dal finanziamento derivante  dalle  funzioni  di
amministrazione attiva (la gestione delle strade,  tra  le  altre)  a
quello  limitato  alle  «funzioni  di  supporto  di  segreteria   per
l'operativita'  degli  organi  provinciali»,  sicche'  non  puo'  che
ipotizzarsi un  incremento  del  ricorso  ai  meccanismi  di  finanza
derivata, attraverso il trasferimento di fondi statali. 
    In ogni  caso,  poiche'  la  disposizione  impugnata  costituisce
principio statale  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  essa
impone da subito alle  Regioni  di  riallocare  le  funzioni  con  la
creazione di un sistema di finanza derivata, avuto riguardo sia  alle
funzioni residuali delle Province, sia a quelle allocate  ai  Comuni,
al di fuori di  qualsiasi  rispetto  dell'autonomia  finanziaria  che
l'art. l19 Cost. riconosce alle Regioni, con un ritorno,  quindi,  al
sistema di finanza di trasferimento, piu' volte  stigmatizzato  dalla
Corte costituzionale (e' richiamata la sentenza n. 370 del 2003). 
    Oltre al palese  contrasto  con  l'art.  119  Cost.,  il  sistema
configurato nei commi da 14 a 20 dell'art. 23 del  d.l.  n.  201  del
2011 risulterebbe di difficile applicazione e potenzialmente idoneo a
produrre costi superiori ai risparmi. 
    Conclusivamente,  la  difesa  regionale  ribadisce  che  la   pur
necessaria razionalizzazione dei livelli di governo  delle  autonomie
territoriali  deve  essere  attuata  con  una  legge   di   revisione
costituzionale,  laddove  «soluzioni  improvvisate,  tecnicamente  ed
economicamente discutibili  [...]  possono  creare  guasti  gravi  al
sistema in termini di gestibilita' e di costi aggiuntivi». 
    Sull'assunto  che  i  guasti  indicati  rechino   un   grave   ed
irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico  od  ai  diritti  dei
cittadini,  la  Regione  Veneto,  da  ultimo,  propone   istanza   di
sospensione dell'esecuzione delle norme impugnate, ai sensi dell'art.
35 della legge n. 87 del 1953,  come  sostituito  dall'art.  9  della
legge n. 131 del 2003. 
    4.- Con ricorso spedito per la  notifica  il  22  febbraio  2012,
ricevuto il 20 marzo e depositato il 27 febbraio (reg. ric. n. 32 del
2012), la  Regione  Molise  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis
e 21, del d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214  del  2011,  per  violazione
degli artt. 5, 114, 117, secondo comma, lettera p),  quarto  e  sesto
comma, 118, 119 e 120 Cost., del principio di  leale  collaborazione,
«e in relazione agli artt. 3, 77 e 97 della Costituzione». 
    4.1.- La ricorrente delinea in premessa l'evoluzione  legislativa
che ha segnato la nascita delle Province di Campobasso e di  Isernia,
per   evidenziare   l'interesse    alla    permanenza    dell'assetto
istituzionale esistente. La normativa censurata,  risolvendosi  nella
sostanziale  abolizione  delle   Province,   sarebbe   lesiva   delle
competenze loro conferite direttamente dalla Costituzione. 
    Al riguardo, i Presidenti delle due Province hanno richiesto alla
Regione di  impugnare  le  citate  disposizioni  davanti  alla  Corte
costituzionale, e la Regione Molise ritiene di essere  legittimata  a
proporre l'impugnativa per la lesione  sia  delle  prerogative  delle
Province,  sia  delle  proprie.  E'  richiamata,  in  proposito,   la
consolidata giurisprudenza costituzionale che ammette la formulazione
di censure riguardanti la compressione delle  sfere  di  attribuzione
provinciale, o degli altri enti locali indicati nell'art. 114  Cost.,
da cui derivi una compressione dei poteri delle Regioni. 
    4.2.- Nel merito, la  Regione  Molise  osserva  come  il  vigente
assetto  costituzionale  riconosca  espressamente  il  rilievo  delle
autonomie   locali,   nei   principi   fondamentali   (art.   5)    e
nell'organizzazione istituzionale (art. 114, primo comma), a garanzia
della unitarieta' della Repubblica e della «decentrata sovranita' del
popolo nel territorio localizzato». Con  l'introduzione  delle  norme
impugnate, invece, la Provincia non si presenterebbe piu'  come  ente
esponenziale della collettivita' locale. 
    In questo contesto, prosegue  la  difesa  regionale,  non  sembra
possibile  che  una   legge   ordinaria   attui   il   «declassamento
istituzionale» delle Province, e in tal senso l'art. 15  della  legge
23 agosto 1988,  n.  400  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri) dispone  che
non possono formare oggetto di decretazione d'urgenza le  materie  di
cui all'art. 72, quarto comma, Cost. 
    Inoltre, le funzioni, l'assetto e i compiti delle  Province  sono
oggetto di disposizioni del d.lgs. n. 267 del 2000, che si  qualifica
(all'art. 1, comma 4) alla stregua  di  legge  rinforzata,  ai  sensi
dell'art. 128 Cost. Peraltro, anche la giurisprudenza  costituzionale
ha affermato che i principi  di  valorizzazione  e  promozione  delle
autonomie locali, contenuti nel TUEL, attuativi  dell'art.  5  Cost.,
operano ad un livello superiore a  quello  della  normazione  statale
(sentenze n. 13 del 1974 e n. 30 del 1959). 
    La ricorrente osserva che, invece, l'art. 23 del d.l. n. 201  del
2011 trasforma completamente la Provincia, da ente costituzionalmente
autonomo  ad  ente  di  secondo  livello,  con   mere   funzioni   di
coordinamento  degli  enti   comunali,   in   quanto   tale   privato
dell'attivita' di gestione amministrativa e della maggior parte delle
originarie funzioni istituzionali. 
    4.3.-  La  difesa  regionale  procede,  quindi,  all'esame  delle
disposizioni impugnate, a partire dal comma 14 dell'art.  23  citato,
il  quale  attribuisce  alla  Provincia  esclusivamente  funzioni  di
indirizzo e coordinamento dell'attivita' dei Comuni, nelle materie  e
nei limiti indicati dalle leggi statali e regionali. 
    Secondo la ricorrente, tali funzioni non  possono  «rappresentare
quel  nucleo  di  funzioni  amministrative  intimamente  connesso  al
riconoscimento del principio di autonomia della Provincia,  richiesto
e previsto dalla Costituzione nell'art. 117», ne' sarebbe  rispettata
la configurazione dell'ente in oggetto contenuta nell'art. 118, primo
comma, in forza del quale la Provincia e' titolare anche di  funzioni
proprie. 
    Con il comma 15 dell'art. 23 e' definito l'assetto organico della
Provincia, limitato al Presidente ed  al  Consiglio  provinciale.  La
disposizione altererebbe la funzione  istituzionale  e  la  struttura
organizzativo-gestionale  dell'ente,   incidendo   significativamente
sulle disposizioni del TUEL. 
    Per effetto del comma 16 dell'art. 23, che trasforma il Consiglio
provinciale da organo di  elezione  diretta  ad  organo  di  elezione
indiretta, composto da dieci componenti eletti dagli organi  elettivi
comunali, verrebbe meno l'autonomia  istituzionale  della  Provincia,
come  configurata  dagli  artt.  5   e   114   Cost.,   realizzandosi
sostanzialmente l'«abolizione» dell'ente, che diventa una  emanazione
dei Comuni e  perde  non  solo  l'autonomia  politico-rappresentativa
della collettivita' locale, ma  anche  il  potere  di  incidenza  sul
territorio. 
    La ricorrente sottolinea il dato di comune esperienza secondo cui
un organo elettivo di secondo grado non assicura  una  rappresentanza
omogenea del territorio e, dunque, da  questo  punto  di  vista,  una
gestione equilibrata. 
    La disposizione in esame contrasterebbe  inoltre  con  l'art.  15
della  legge  n.  400  del  1988,  perche'  interviene   in   materia
costituzionale ed elettorale, sottratta alla decretazione d'urgenza. 
    Il comma 17 dell'art. 23 detta la  disciplina  dell'elezione  del
Presidente da parte  del  Consiglio  provinciale,  rinviando  per  le
modalita' ad una  successiva  legge.  La  disposizione  presenterebbe
portata lesiva identica a quella del gia' esaminato comma 16, essendo
violati i medesimi principi richiamati  in  riferimento  al  predetto
comma, dovendosi aggiungere che, con il disposto  del  comma  17,  il
legislatore avrebbe inciso  sulla  espressione  della  democrazia  in
ambito  locale,  sancita  dall'art.  5  Cost.,  sottraendo  al  corpo
elettorale la libera scelta  dell'organo  rappresentativo  dell'ente.
Secondo la difesa regionale, infatti, l'individuazione del Presidente
della Provincia consentirebbe di esprimere, al piu' alto livello,  il
pluralismo politico e la rappresentanza diretta del corpo elettorale. 
    Diversamente, la disposizione impugnata svincola  il  Presidente,
«anche  nelle  sue  scelte  concrete,  dal   corpo   elettorale   per
subordinarlo ad altro organo», cioe' il Consiglio che, a  sua  volta,
in  quanto  rappresenta  i  Comuni,  costituisce   espressione   solo
indiretta della scelta degli elettori. 
    La difesa regionale esamina quindi il comma 18, il  quale  impone
allo Stato ed alle Regioni di  trasferire  ai  Comuni,  entro  il  31
dicembre 2012, le funzioni  gia'  esercitate  dalle  Province,  fatta
salva la possibilita' che, a fini di esercizio  unitario,  le  stesse
vengano  acquisite  dalle  Regioni,  sulla  base  dei   principi   di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. La previsione  di  un
intervento sostitutivo dello Stato varrebbe ad alterare  l'attuazione
del  decentramento  amministrativo,  con  violazione  dei  richiamati
principi di sussidiarieta' e adeguatezza, laddove gli artt. 4, 114  e
118 Cost. garantiscono all'ente  Provincia  un  autonomo  livello  di
esercizio di funzioni. 
    Il comma  19  dell'art.  23,  a  completamento  del  processo  di
decentramento, prevede che lo Stato e  le  Regioni  trasferiscano  le
risorse  umane,  finanziarie  e  strumentali  per  l'esercizio  delle
funzioni. 
    Secondo la  Regione  Molise  il  nuovo  assetto  della  Provincia
avrebbe  compromesso  il   principio   dell'autonomia   organizzativa
dell'ente «sopprimendone, di  fatto,  gli  stessi  poteri  statutari»
nonche'  i  poteri  regolamentari  per  lo  svolgimento  di  funzioni
autonome. Nella medesima  prospettiva,  risulterebbe  alterata  anche
l'autonomia finanziaria prevista  dall'art.  119  Cost.,  compresi  i
meccanismi di attuazione del federalismo fiscale. 
    Il comma 20 dell'art. 23 rimette al Governo il compito di fissare
la decorrenza del mutamento dell'assetto istituzionale delle Province
mentre il comma 20-bis esclude dall'applicazione delle previsioni che
lo precedono le Regioni a statuto speciale e le Province autonome  di
Trento e di Bolzano, assegnando alle stesse il termine  di  sei  mesi
per adeguare i propri ordinamenti. 
    Il comma 21, infine,  dispone  che  i  Comuni  possano  istituire
unioni o organi di raccordo per l'esercizio  di  specifiche  funzioni
amministrative, a spesa invariata. 
    4.4.- I richiamati commi, da 14 a 21, dell'art. 23  del  d.l.  n.
201 del 2011,  da  leggersi  in  stretta  connessione  tra  loro,  si
porrebbero in contrasto con i parametri evocati (artt. 5,  114,  117,
secondo comma, lettera p, quarto e sesto  comma,  118  e  119  Cost.)
nonche'  con  il  principio  di  leale  collaborazione  in  relazione
all'art. 8 della legge n. 131 del 2003. 
    4.4.1.- La ricorrente  osserva  che  l'art.  5  Cost.,  il  quale
riconosce rilievo costituzionale alle autonomie locali,  comprese  le
Province, ed  al  principio  del  decentramento  amministrativo,  non
contiene enunciazioni  di  carattere  programmatico,  ma  esprime  un
valore vincolante,  con  l'effetto  sia  di  garantire  le  autonomie
locali, sia di imporre allo Stato (e quindi alla legislazione statale
e regionale) di attuare il decentramento amministrativo. 
    L'art. 23, nella parte oggetto di impugnazione,  produrrebbe  una
evidente inversione di principio rispetto al parametro indicato,  con
conseguente grave compromissione  anche  dell'autonomia  regionale  e
dell'assetto istituzionale di questa. 
    La modifica  strutturale  delle  funzioni  e  dei  compiti  della
Provincia  produrrebbe  una  alterazione  della  forma,  storicamente
garantita, del decentramento amministrativo come articolazione  dello
Stato sul territorio. 
    4.4.2.- L'art. 114 Cost., come modificato  dopo  la  riforma  del
Titolo V della Parte seconda della Costituzione, indica  le  Province
come enti  autonomi  che  costituiscono  la  Repubblica,  insieme  ai
Comuni, alle Citta' metropolitane, alle  Regioni  ed  allo  Stato,  e
ribadisce che esse esercitano poteri e funzioni  secondo  i  principi
fissati dalla Costituzione. 
    Trattandosi    di    attribuzioni    disciplinate    sul    piano
costituzionale, la loro  modifica  -  che  nella  specie  secondo  la
ricorrente, si e'  risolta  in  un  vero  e  proprio  «declassamento»
dell'istituzione provinciale, senza  margini  residui  di  «autonomia
opzionale» per le Regioni e per le stesse Province -  avrebbe  dovuto
essere operata con procedimento normativo aggravato. 
    4.4.3.- La difesa regionale assume che l'intervento «demolitorio»
attuato  con  le  disposizioni  impugnate  travalichi  la  competenza
esclusiva statale in materia elettorale, di organi di  governo  e  di
funzioni fondamentali delle Province, prevista dall'art. 117, secondo
comma, lettera p), Cost. L'esercizio  di  tale  competenza  incontra,
infatti, i limiti derivanti  dalla  correlazione  con  le  previsioni
contenute negli artt. 5 e 114 Cost., e dunque puo' avvenire  soltanto
nel rispetto dell'esistenza delle Province, secondo la configurazione
delineata dalla Carta. 
    Con le disposizioni  impugnate  si  sarebbe  realizzata,  invece,
l'abolizione  delle  funzioni  fondamentali  delle  Province  e   dei
relativi organi di governo, attribuendosi alle stesse «mere  funzioni
di indirizzo e di coordinamento delle attivita' dei Comuni». 
    Le medesime disposizioni,  nella  parte  in  cui  impongono  alle
Regioni  di  trasferire  ai  Comuni  le  funzioni  esercitate   dalle
Province,  ovvero  di  riservarle  a  loro  stesse  per   assicurarne
l'esercizio   unitario,   sarebbero   lesive   anche   dell'autonomia
regionale, avuto riguardo alle competenze  residuali  e  concorrenti,
nonche' alla potesta'  regolamentare  delle  Regioni.  Sarebbe  stato
cancellato, inoltre, il potere delle Regioni  di  conferire  funzioni
amministrative  alle  Province,  anche  attraverso  l'istituto  della
delega. 
    Per un verso, quindi, sarebbe vulnerata la potesta' regolamentare
delle Province, in contrasto con l'art. 117, sesto  comma,  Cost.  e,
per altro verso, verrebbe  imposto  un  «paradigma  di  conferimento,
indifferenziato e generale», quello cioe' della legge regionale,  per
il trasferimento delle funzioni  agli  enti  locali  (e  quindi  alla
stessa Provincia). Cio' produrrebbe una evidente  compressione  delle
prerogative regionali, in violazione dell'art. 118  Cost.,  anche  in
riferimento alla correlata autonomia finanziaria,  sancita  dall'art.
119 Cost. Le disposizioni impugnate, invero, non raggiungerebbero ne'
l'obiettivo della  razionalizzazione  dell'esercizio  delle  funzioni
amministrative ne' quello del risparmio di spesa. 
    4.4.4.- La previsione dell'intervento  sostitutivo  dello  Stato,
contenuta nel comma 18 del citato art. 23, si porrebbe  in  contrasto
con il principio di leale collaborazione, in  quanto  le  fattispecie
indicate nella disposizione impugnata non rientrano tra quelle di cui
all'art. 120 Cost., cosi' come attuato dall'art. 8 della legge n. 131
del 2003. 
    La difesa regionale segnala poi la sproporzione fra il sacrificio
dell'autonomia provinciale che discende dalle disposizioni  impugnate
e il risparmio di spesa, che costituisce l'obiettivo della  normativa
in esame, donde la violazione anche del principio di  ragionevolezza.
Sussisterebbe, nella specie, la legittimazione della  Regione  a  far
valere  tale  profilo  di  illegittimita',  in  considerazione  delle
ricadute  sulla  sua   sfera   di   attribuzioni   costituzionalmente
garantite. 
    Non sarebbe ravvisabile, in ogni  caso,  «un  interesse  pubblico
prevalente  tale  da  giustificare  una  cosi'  grave  limitazione  e
invasione della sfera di competenza  regionale  e  degli  altri  enti
locali territoriali», e cio' si tradurrebbe nel difetto dei requisiti
di straordinaria necessita' ed urgenza delle disposizioni  impugnate,
non sanabile, e quindi non sanato, dal  successivo  intervento  della
legge di conversione (e' richiamata la sentenza n. 171 del 2007 della
Corte costituzionale). 
    4.5.- Anche la Regione  Molise  propone  istanza  di  sospensione
dell'esecuzione delle disposizioni impugnate, stante il rischio di un
grave ed irreparabile pregiudizio all'interesse  pubblico  ovvero  ai
diritti dei cittadini. 
    5.- Con ricorso spedito per la notifica il  23  febbraio  2012  e
depositato il successivo 29 febbraio (reg. ric. n. 38 del  2012),  la
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ha  promosso  questioni
di legittimita' costituzionale di alcune disposizioni del d.l. n. 201
del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge n. 214 del 2011, e, tra queste, dell'art.  23,  comma  22,  per
violazione degli artt. 2, primo comma, lettera b),  3,  primo  comma,
lettera f), e 4 della legge costituzionale 26  febbraio  1948,  n.  4
(Statuto speciale  per  la  Valle  d'Aosta),  nonche'  del  combinato
disposto degli artt. 117, terzo comma, 119, secondo  comma,  Cost.  e
dell'art. 10  della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). 
    5.1.- La difesa regionale premette che, con il d.l.  n.  201  del
2011, sono state  introdotte  misure  finalizzate  ad  assicurare  il
contenimento dei costi delle pubbliche amministrazioni, alcune  delle
quali  inciderebbero  in  maniera  significativa   sull'assetto   dei
rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni ad autonomia speciale. 
    In particolare, la disposizione impugnata introduce il divieto di
corresponsione, sotto qualsiasi forma, di  emolumenti  a  favore  dei
titolari di cariche, uffici od organi  di  natura  elettiva  di  enti
territoriali non previsti dalla Costituzione. Il  divieto  non  opera
per i Comuni «di cui all'articolo 2, comma  186,  lettera  b),  della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 e  successive  modificazioni»,  ovvero
«per i Comuni con piu' di 250.000 abitanti». 
    5.2.- La  disposizione  censurata  contrasterebbe  anzitutto  con
l'art. 3, comma 1, lettera f), dello statuto speciale valdostano,  il
quale riserva alla Regione la potesta' di legiferare  in  materia  di
«finanze regionali e comunali», nel  rispetto  dei  principi  fissati
dalle leggi dello Stato. 
    La ricorrente osserva come, a fronte  dei  novellati  artt.  117,
terzo comma, e 119, secondo comma, Cost.,  la  competenza  attribuita
alla Regione dalla richiamata norma statutaria non possa piu'  essere
considerata  «meramente  suppletiva»  rispetto  a   quella   statale,
risultando  «garantita  nell'ambito  dei  principi  di  coordinamento
stabiliti dallo Stato». Il legislatore statale, nel caso  di  specie,
non si sarebbe  limitato  a  dettare  i  principi  della  materia  di
competenza concorrente, ma avrebbe  imposto  misure  di  contenimento
della spesa  pubblica  estremamente  dettagliate,  con  l'effetto  di
privare la Regione del potere di valutare l'an e il  quomodo  di  una
eventuale remunerazione dei titolari di cariche elettive, nonche'  di
adattare la previsione statale alla situazione concreta della Regione
stessa. 
    Sarebbe dunque evidente la violazione  del  parametro  statutario
evocato, posto  che  la  disposizione  impugnata  non  consente  alla
ricorrente di desumere i principi cui ispirare o adeguare la  propria
legislazione in materia. 
    Analoghe ragioni sarebbero alla base del contrasto con l'art.  2,
comma  1,  lettera  b),  dello  statuto  di  autonomia,  giacche'  la
disposizione  statale  impugnata  avrebbe   compresso   la   potesta'
legislativa primaria della Regione in materia  di  ordinamento  degli
enti locali, e con l'art.  4  dello  statuto,  che  attribuisce  alla
Regione il potere di esercitare, nei predetti  ambiti  materiali,  le
funzioni amministrative. 
    5.3.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste  ritiene,
inoltre, violato il combinato disposto degli artt. 117, terzo  comma,
e 119, secondo comma, Cost., ad essa applicabile  per  effetto  della
clausola contenuta nell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    I parametri indicati limitano la competenza statale in materia di
coordinamento  della  finanza  pubblica   alla   determinazione   dei
principi,  con  la   conseguenza   che   risultano   illegittime   le
disposizioni che, superando tale limite, dispongono nel dettaglio. 
    La difesa regionale richiama le  pronunce  che,  in  ossequio  ai
suddetti  parametri,  hanno  dichiarato  illegittime  previsioni  che
fissavano vincoli puntuali relativi  a  singole  voci  di  spesa  dei
bilanci delle Regioni e degli enti locali, sul rilievo che  esse  non
costituivano principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica e che pertanto risultavano lesive dell'autonomia finanziaria
di spesa garantita dall'art. 119 Cost. (sentenze n. 159 del 2008,  n.
417 del 2005, n. 390 e n. 36 del 2004, n. 376 del 2003). 
    La normativa statale,  secondo  la  citata  giurisprudenza,  puo'
stabilire «un limite complessivo, che lascia agli enti  stessi  ampia
liberta' di  allocazione  delle  risorse  tra  i  diversi  ambiti  ed
obiettivi di spesa» (sentenza  n.  36  del  2004),  mentre  non  puo'
spingersi a determinare le singole voci di spesa oggetto della misura
di contenimento. Cio' che sarebbe avvenuto, invece,  nel  caso  della
norma censurata. 
    6.- Con ricorso notificato il 24 febbraio 2012  e  depositato  il
successivo 1° marzo (reg. ric. n. 44 del 2012), la Regione  Lazio  ha
promosso  questioni  di   legittimita'   costituzionale   di   alcune
disposizioni del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del  2011,  e,  tra  queste,
dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, per violazione degli
artt. 5, 72, quarto comma, 77, 114, 117, secondo comma,  lettera  p),
118, secondo comma, 119, quarto comma, e 120, secondo  comma,  Cost.,
nonche' dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione. 
    6.1.- Dopo  avere  illustrato  il  contenuto  delle  disposizioni
impugnate, la Regione ricorrente afferma che le stesse  svuoterebbero
di rilievo l'istituto della Provincia e modificherebbero radicalmente
l'assetto costituzionale delle autonomie locali. 
    La natura strutturale  dell'intervento,  che  lo  stesso  Governo
avrebbe riconosciuto, varrebbe a  documentare,  in  primo  luogo,  la
carenza dei  requisiti  di  straordinarieta'  ed  urgenza,  che  solo
avrebbero potuto legittimare il ricorso alla decretazione  d'urgenza,
con conseguente violazione dell'art. 77 Cost., ed  in  contrasto  con
l'art. 15 della legge n. 400 del 1988, che sottrae  espressamente  al
decreto-legge le materie di cui al quarto comma dell'art. 72 Cost. 
    In secondo luogo,  le  disposizioni  censurate  violerebbero  gli
artt. 5, 114, 117, secondo comma, lettera p), e sesto comma, 118, 119
e 120 Cost., posto che le Province sarebbero declassate  ad  enti  di
secondo grado e private delle funzioni loro  attribuite  dalla  Carta
costituzionale. Tale svuotamento si risolverebbe,  nel  contempo,  in
lesione   dell'autonomia   legislativa    regionale    quanto    alla
distribuzione delle funzioni  amministrative  a  livello  locale.  La
riallocazione a livello regionale di parte  delle  predette  funzioni
violerebbe poi il principio di sussidiarieta' verticale. 
    Il ricorso de quo viene proposto, quindi, con riferimento sia  ad
una diretta lesione delle competenze  costituzionali  delle  Regioni,
sia per la difesa delle  prerogative  provinciali,  che  spetta  alle
Regioni tutelare, come dimostrato anche dalle  previsioni  statutarie
che consentono al Consiglio delle  autonomie  locali  di  sollecitare
l'ente regionale all'impugnativa di norme approvate dallo Stato. 
    6.2.- Poste  le  indicate  premesse,  la  Regione  Lazio  procede
all'esame delle disposizioni impugnate. 
    Il comma 14 dell'art. 23 del d.l. n.  201  del  2011,  assegnando
alle Province solo generiche funzioni di  indirizzo  e  coordinamento
dell'attivita'  comunale,  contrasterebbe  con   il   secondo   comma
dell'art. 114 Cost., ove si stabilisce che (anche) le  Province  sono
enti autonomi con proprie  funzioni,  secondo  i  principi  stabiliti
dalla Costituzione. A funzioni provinciali, proprie o  conferite,  si
riferisce anche il secondo comma dell'art. 118  Cost.,  e  lo  stesso
art. 117 (alla lettera p del secondo comma), attribuendo  allo  Stato
la competenza legislativa in materia di funzioni fondamentali proprie
(anche)   delle   Province,   presuppone,   appunto,   la   rilevanza
costituzionale delle funzioni provinciali. 
    La  norma  censurata,  realizzando  un  sostanziale   svuotamento
dell'istituzione provinciale, travalicherebbe la competenza  statale,
superando i limiti posti dalla citata lettera p)  del  secondo  comma
dell'art. 117 Cost., in stretta correlazione con gli artt.  5  e  114
Cost. L'attribuzione delle funzioni provinciali alle Regioni ed  allo
Stato, con riallocazione presso  i  Comuni,  sovvertirebbe  l'assetto
costituzionale delle autonomie locali. Tra  l'altro,  la  genericita'
del riferimento alle residue funzioni di coordinamento  implicherebbe
una concomitante violazione  dell'art.  114  Cost.,  che  delinea  un
sistema equiordinato delle autonomie locali. 
    Quanto alle previsioni contenute nei commi 15, 16 e 17  dell'art.
23, la Regione Lazio, pur non contestando la  competenza  legislativa
statale nella materia «legislazione elettorale ed organi di governo»,
prospetta un vizio di irragionevolezza, dato che la conformazione del
procedimento  elettorale   che   dovrebbe   sorreggere   la   «nuova»
istituzione provinciale e' genericamente rinviata ad  una  successiva
legge, cosi' dando luogo a «notevoli» margini di indeterminatezza. In
ogni caso la riduzione della governance e  la  sottrazione  al  corpo
elettorale  della  diretta  designazione  dei   relativi   componenti
comporterebbero  un  vulnus  per   il   fondamentale   principio   di
rappresentanza democratica, incompatibile con la configurazione della
Provincia quale parte costitutiva della  Repubblica  (art.  5  e  114
Cost.). 
    Avuto riguardo al comma  18,  la  ricorrente  prospetta,  per  un
verso, la violazione del secondo comma dell'art. 120 Cost., essendosi
introdotta una fattispecie incompatibile  di  intervento  sostitutivo
dello  Stato.  Per  altro  verso,  la  previsione  che   le   Regioni
«acquisiscano»  funzioni  provinciali  senza  trasferirle  ai  Comuni
introdurrebbe  nell'ordinamento  un   tertium   genus   rispetto   al
trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni ed al mantenimento
delle funzioni in capo alle Regioni  stesse.  Infine,  la  pertinenza
dell'intervento all'essenza dell'ordinamento delle autonomie locali e
la sua stessa giustificazione in  base  ad  esigenze  di  spesa  (con
risultati nulli o comunque  imponderabili,  secondo  la  ricorrente),
avrebbe richiesto un processo di  consultazione  tra  Stato  ed  enti
territoriali, che nella specie e' completamente mancato,  in  spregio
al principio di leale collaborazione. 
    La denunciata illegittimita' delle  norme  sul  trasferimento  di
funzioni,  secondo  la  Regione  Lazio,  implica  la   illegittimita'
«derivata» del comma 19  dell'art.  23,  che  regola  il  correlativo
trasferimento di riscorse umane, materiali e  finanziarie.  Comunque,
sarebbe violato  l'art.  114  Cost.,  nella  parte  in  cui  assicura
l'autonomia organizzativa delle Province. 
    Infine, secondo la ricorrente, sarebbe illegittimo anche il comma
20 dell'art. 23 (relativamente alla durata in  carica  degli  attuali
consigli provinciali), per violazione degli artt. 1, 5, e 114  Cost.,
oltre che dei principi della «Carta europea  dell'autonomia  locale».
Vi sarebbe anche  violazione  dell'art.  3  Cost.,  sotto  i  profili
dell'eccesso di potere legislativo e della irragionevolezza, data  la
prevista subordinazione della permanenza  delle  attuali  istituzioni
rappresentative ai dettami di una  legge  statale  di  adozione  solo
futura. 
    7.- Con ricorso spedito per la notifica il  25  febbraio  2012  e
depositato il successivo 2 marzo (reg.  ric.  n.  46  del  2012),  la
Regione Campania ha promosso questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20,  del  d.l.  n.  201  del
2011, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 1, 2, 5, 114,  117,
118, 119, 120, secondo comma, Cost. 
    7.1.-  Per  ragioni  di   sintesi   va   subito   rilevato   come
l'impugnativa riproponga, anche nei profili motivazionali, gran parte
delle  censure  prospettate,  nel  proprio  ricorso,  dalla   Regione
Lombardia. L'atto qui in esame si caratterizza, in sostanza, per  una
parziale riduzione di oggetto, non  comprendendo  l'impugnazione  del
comma 17 dell'art. 23 sopra citato. Quanto ai parametri evocati,  per
i commi 14, 18 e 19 manca un richiamo formale all'art. 3  Cost.  (pur
essendo invocato il «principio di ragionevolezza»), e  manca  inoltre
un  riferimento  all'art.  138  Cost.   quale   norma   «sostanziale»
concorrente di  parametrazione  delle  disposizioni  indicate,  ferma
restando l'evocazione degli artt. 1 e 5. Per i commi 15, 16 e  20  la
violazione  dell'art.  114  Cost.  e'  prospettata   in   riferimento
concorrente, oltreche' agli artt. 1  e  5  Cost.,  all'art.  2  della
stessa Carta costituzionale. 
    Ancora, la violazione concomitante degli artt. 114,  117,  118  e
119  Cost.  -  sotto  il  profilo  del  contrasto  con   la   riserva
costituzionale  di  funzioni  a  favore  delle  Province,  anche   in
relazione  alle  competenze  regionali  per  la  riallocazione  delle
funzioni amministrative ed alle risorse finanziarie nelle materie  di
pertinenza regionale - e' specificamente riferita ai commi 14,  18  e
19 dell'art.  23.  Analoga  precisazione  si  riscontra  quanto  alla
prospettata violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost. 
    Cio' premesso, i profili di illegittimita' delle norme  censurate
sono argomentati mediante rilievi in  tutto  analoghi  a  quelli  dei
quali gia' si e' data una sintesi, fatte salve alcune  particolarita'
dei riferimenti alla situazione regionale campana. In particolare, si
evince dal ricorso  che  l'impugnativa  non  e'  stata  nella  specie
sollecitata dal Consiglio  delle  autonomie  locali.  Si  fa  notare,
inoltre, che  nella  Regione  ricorrente  esistono  allo  stato  solo
quattro Unioni di Comuni e che dunque, in ragione  della  carenza  di
strutture intermedie tra Regioni  ed  enti  comunali,  l'eliminazione
delle funzioni provinciali comportera' una riorganizzazione complessa
e, paradossalmente, un forte incremento di spesa. 
    8.- Con ricorso notificato il 24 febbraio 2012  e  depositato  il
successivo 2 marzo (reg. ric. n. 47 del 2012),  la  Regione  autonoma
Sardegna ha promosso  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di
alcune disposizioni  del  d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011,  e,
tra queste, dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19,  20,  20-bis,
21 e 22, per violazione dell'art. 3, primo comma, lettere  a)  e  b),
della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3  (Statuto  speciale
per la Sardegna). 
    8.1.- La Regione ricorrente rammenta che, a norma dell'art. 3 del
proprio statuto (primo comma, lettere  a  e  b),  e'  titolare  della
competenza legislativa a provvedere in merito  all'ordinamento  degli
uffici e degli enti amministrativi regionali ed allo stato  economico
e giuridico del personale, nonche' a proposito dell'ordinamento degli
enti locali e delle relative circoscrizioni. 
    La riserva concernente l'ordinamento degli  enti  locali  sarebbe
stata   violata   dall'intervento   statale   di   completa   riforma
dell'istituzione provinciale ed anche dal  divieto  di  remunerazione
delle   cariche   politico-amministrative.   Andrebbe   esclusa,   in
particolare,   la   pertinenza   della   normativa   alle    «riforme
economico-sociali della Repubblica»,  non  essendosi  il  legislatore
limitato ad indicare i criteri di massima del  riassetto,  ed  avendo
piuttosto adottato una disciplina di  dettaglio  che  avrebbe  dovuto
essere riservata all'istituzione regionale,  anche  per  il  migliore
adeguamento alle singole realta' locali. 
    Con i commi 18 e 19 dell'art. 23, a parere della  ricorrente,  e'
stato addirittura disciplinato il modo in  cui  la  Regione  Sardegna
dovrebbe regolare le proprie  funzioni  amministrative.  La  plateale
violazione della norma statutaria non  potrebbe  essere  giustificata
alla luce della riserva di competenza legislativa  statale  circa  le
«funzioni fondamentali» degli enti locali (di cui alla lettera p  del
secondo comma dell'art. 117 Cost.), sia per la prevalenza della norma
statutaria, sia, e  comunque,  perche'  non  potrebbero  qualificarsi
fondamentali le funzioni che la Regione, nell'esercizio della propria
autonomia, ha finora inteso allocare all'uno o all'altro  livello  di
governo. 
    Il  vulnus  anzidetto  non  potrebbe  ritenersi   escluso   dalla
previsione del comma 20-bis dell'art. 23 citato, in forza  del  quale
la ricorrente, come le altre Regioni a statuto speciale,  dispone  di
un termine semestrale per l'adeguamento del proprio ordinamento  alle
previsioni della  disciplina  censurata.  Tale  adeguamento  sarebbe,
infatti, doveroso, cosi' restando  compressa  l'autonomia  statutaria
della ricorrente.  Anzi,  la  previsione  sarebbe  sintomatica  della
consapevolezza del Governo circa l'invasione di campo realizzata. 
    9.- Con ricorso notificato il 25 febbraio 2012  e  depositato  il
successivo 5 marzo (reg. ric. n. 50 del 2012),  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale di alcune disposizioni  del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011, e, tra queste, dell'art. 23, commi 4, 14, 15,  16,  17,
18, 19, 20, 20-bis e 22, per violazione degli artt. 5, 77, 114,  117,
commi primo, secondo e sesto, 118, commi  primo  e  secondo,  e  119,
nonche' degli artt. 4, primo comma, n. 1-bis), 11, 51, 54 e 59  della
legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1  (Statuto  speciale  della
Regione Friuli-Venezia Giulia) e  degli  artt.  2  e  9  del  decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione  dello  statuto
speciale  per  la  regione  Friuli-Venezia  Giulia  in   materia   di
ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni). 
    9.1.- Riguardo anzitutto al comma 4  del  citato  art.  23,  dopo
averne enunciato il  contenuto  (che  riguarda  l'accorpamento  delle
committenze per i piccoli Comuni), la ricorrente  esprime  il  dubbio
che la disposizione non riguardi le Regioni a statuto speciale,  dato
il disposto dell'art. 4, comma 5, del decreto legislativo  12  aprile
2006, n. 163  (Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a  lavori,
servizi e  forniture  in  attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e
2004/18/CE). L'impugnazione e' dunque proposta per  il  caso  che  la
norma  sia  interpretata,  invece,  nel   senso   dell'applicabilita'
sull'intero territorio nazionale. In tal caso, sarebbero  violate  le
competenze legislative  assicurate  alla  ricorrente  in  materia  di
«organizzazione amministrativa degli  enti  locali»  (art.  4,  comma
primo, n. 1-bis, dello statuto) e di «finanza locale» (artt. 51 e  54
dello stesso statuto), compresa la materia dei «contratti degli  enti
locali». 
    La ricorrente assume che la norma impugnata,  non  limitandosi  a
porre l'obiettivo di forme organizzative utili a risparmi di spesa, e
consistendo piuttosto  in  una  disciplina  di  dettaglio,  violi  la
competenza legislativa regionale nella materia. La normativa sarebbe,
d'altra parte, in contraddizione con il principio che,  gravando  sul
bilancio regionale gli oneri della spesa locale,  lo  Stato  potrebbe
chiamare la Regione a concordare vincoli finanziari  complessivi,  ma
non introdurre puntuali norme di coordinamento finanziario per  spese
interamente sostenute dall'ente regionale. 
    9.2.- La Regione Friuli-Venezia Giulia  ritiene  che  le  riforme
introdotte con i commi da 14 a 20-bis dell'art. 23  avrebbero  dovuto
essere attuate  con  procedimento  di  revisione  costituzionale,  ed
impugna le disposizioni citate sia nell'interesse proprio, sia  quale
soggetto rappresentativo delle comunita'  provinciali  esistenti  nel
proprio territorio. 
    Uno specifico e preliminare profilo di illegittimita' sarebbe poi
dato dal ricorso del Governo alla decretazione di urgenza, nonostante
il carattere strutturale dell'intervento e  sebbene  i  suoi  effetti
finanziari siano pacificamente destinati a prodursi  solo  nel  lungo
periodo: sussisterebbe dunque violazione dell'art. 77 Cost. 
    Con riguardo al comma 14 dell'art. 23, la ricorrente ritiene  che
la norma privi gli enti provinciali di funzioni  ad  essi  riferibili
(residuando una mera attivita'  di  coordinamento  dell'esercizio  di
compiti affidati a  soggetti  diversi),  in  contrasto  con  numerosi
parametri costituzionali, che enunciano o  presuppongono  l'esistenza
di funzioni provinciali proprie (art. 114, secondo comma;  art.  117,
secondo comma, lettera p, e sesto comma; art. 118,  primo  e  secondo
comma; art. 119 Cost.). Dall'illegittimita' del comma 14  deriverebbe
quella dei commi 18 e 19, che conterrebbero in sostanza  disposizioni
"attuative" della norma indicata. Peraltro, il  comma  18  imporrebbe
alle  Regioni  di  assumere  funzioni  in  deroga  ai   principi   di
sussidiarieta' ed adeguatezza, ed il comma 19 completerebbe sul piano
materiale «il disegno di sottrazione». 
    La Regione Friuli-Venezia Giulia prospetta anche l'illegittimita'
«derivata» dei commi 15, 16 e 17 dell'art. 23,  la  cui  funzione  di
revisione  degli  organismi  provinciali  sarebbe  il  portato  dello
svuotamento sostanziale dell'istituzione provinciale sul piano  delle
funzioni. La soppressione della Giunta, ad  esempio,  potrebbe  avere
senso solo in vista della eliminazione di funzioni provinciali. Ma le
norme citate sarebbero illegittime anche per ragioni «proprie». 
    In particolare il comma 15, eliminando il  rapporto  diretto  tra
elettori e  componenti  delle  istituzioni  provinciali,  sebbene  le
Province siano parte della Repubblica, come tali fondate sui principi
di rappresentanza e di sovranita' popolare,  violerebbe  direttamente
il primo comma dell'art. 114  Cost.,  oltre  che  la  «Carta  europea
dell'autonomia locale» (di cui alla legge 30 dicembre  1989,  n.  439
«Ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla Carta
europea dell'autonomia locale, firmata a  Strasburgo  il  15  ottobre
1985»). 
    A tale ultimo proposito, avuto riguardo ai  commi  14,  16  e  17
dell'art. 23, la ricorrente rammenta che il primo comma dell'art. 117
Cost.  vincola   il   legislatore   agli   obblighi   comunitari   ed
internazionali.  L'art.  3  della  citata  Carta  europea   definisce
«autonomia locale» il diritto e la capacita'  di  regolamentare  «una
parte importante di affari pubblici», cosi' rendendo  illegittima  la
norma   di   sostanziale   spoliazione   delle   Province    riguardo
all'esercizio di funzioni proprie. Inoltre, il  comma  2  del  citato
art. 3 riferisce l'esercizio  dell'indicato  diritto  a  «Consigli  e
Assemblee costituiti da membri eletti a  suffragio  libero,  segreto,
paritario, diretto ed universale», rendendo illegittima  -  sempre  a
parere della ricorrente - la previsione che  i  membri  dei  Consigli
provinciali siano indicati dai Comuni. 
    Quanto al comma 20-bis dell'art.  23,  che  impone  alle  Regioni
speciali  ed  alle  Province  autonome   l'adeguamento   dei   propri
ordinamenti alle norme immediatamente precedenti, entro il termine di
sei mesi, la ricorrente prospetta anzitutto una invalidita' derivata,
non essendo legittima una norma che  imponga  di  dare  esecuzione  a
norme illegittime. In ogni caso, l'art. 4 dello  statuto  attribuisce
alla  Regione   autonoma   Friuli-Venezia   Giulia   una   competenza
legislativa primaria, che non potrebbe essere esercitata in forma  di
adeguamento. L'art. 11 dello stesso statuto prevede che  le  funzioni
amministrative siano  normalmente  delegate  (anche)  alla  Province.
Ancora, il successivo art. 59  attribuisce  alla  Regione  il  potere
concorrente di regolare ordinamento e funzioni degli enti provinciali
compresi  nel  proprio  territorio.  L'art.  54,  infine,   regolando
l'eventualita' che la Regione destini alle Province una  quota  delle
proprie entrate per  la  gestione  delle  loro  funzioni,  presuppone
evidentemente la titolarita' di  funzioni  gestionali  in  capo  alle
Province medesime. 
    Tutte le norme indicate, poi,  sarebbero  illegittime  in  quanto
esprimerebbero,  con  violazione  dell'art.  54  dello  statuto   (in
rapporto all'art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997), la pretesa dello Stato
di dettare norme puntuali di  limitazione  per  spese  di  competenza
regionale. 
    La ricorrente censura infine il comma 22 dell'art. 23 del d.l. n.
201 del 2011, relativo al divieto di remunerazione per  i  componenti
di organi  ed  uffici  elettivi  concernenti  enti  territoriali  non
previsti dalla Costituzione, fatta eccezione per le circoscrizioni di
Comuni con oltre 250.000 abitanti. Essendo  pertinente  alla  finanza
locale  ed  all'ordinamento  degli  enti  locali,  la  norma  sarebbe
illegittima per le ragioni gia' indicate riguardo ai commi precedenti
dello stesso art.  23,  compresa  quella  del  carattere  puntuale  e
«minuto» del divieto di spesa introdotto dal legislatore nazionale. 
    La norma in oggetto entrerebbe poi in contraddizione  con  quanto
disposto in materia di «sistema  regionale  integrato»  dall'art.  1,
comma 154, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita'  2011).  Tale  sistema   costituisce,   per   la   Regione
Friuli-Venezia  Giulia,  lo  strumento  per  la  realizzazione  degli
obiettivi di finanza  pubblica  complessivamente  concordati  con  lo
Stato, ed il comma  155  del  citato  art.  1  esclude  espressamente
l'applicazione  delle  disposizioni  statali  relative  al  patto  di
stabilita' interno agli enti  locali  che  compongono  il  «sistema»,
spettando alla Regione il compito di distribuire gli oneri a fini  di
assicurazione del risultato complessivo, del quale soltanto  risponde
nei  confronti  dello  Stato  (e'  citata  la  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 341 del 2009). 
    10.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale   dello   Stato,   e'   intervenuto
tempestivamente in tutti i giudizi, tranne  che  in  quelli  promossi
dalle Regioni Veneto, Campania e Friuli-Venezia Giulia, nei quali  il
relativo atto di costituzione e' stato depositato fuori termine. 
    La  difesa  statale  ha  sostanzialmente   svolto   le   medesime
considerazioni in tutti i giudizi, che possono essere riassunte  come
segue. 
    10.1.- Preliminarmente, il Presidente del Consiglio dei  ministri
eccepisce   l'inammissibilita'   dei   ricorsi   per    difetto    di
legittimazione delle Regioni, poiche' dalla disposta riduzione  delle
Province  non  deriverebbe  alcuna  vulnerazione   delle   competenze
costituzionalmente attribuite alle Regioni. 
    10.2.-  Nel  merito,  secondo  l'Avvocatura  generale,  le  norme
impugnate sarebbero effettivamente idonee a determinare  risparmi  di
spesa, attraverso una razionalizzazione degli assetti organizzativi e
la realizzazione di economie di scala. Si tratterebbe pertanto di «un
intervento di carattere strutturale» riguardante  le  funzioni  e  le
modalita' di nomina degli organi provinciali. Tutto cio' varrebbe  ad
escludere la lamentata violazione dell'art. 3 Cost. 
    Peraltro, le misure in questione sono inserite in una piu'  ampia
manovra denominata "Salva Italia", adottata con la procedura prevista
per i decreti-legge, che avrebbe «la finalita' di realizzare,  in  un
momento particolarmente  difficile  per  la  tenuta  complessiva  del
sistema  economico  italiano,  l'obiettivo  di  un  contenimento  del
deficit di bilancio, in assolvimento anche degli  obblighi  derivanti
dall'ordinamento   europeo».   Il   ricorso   allo   strumento    del
decreto-legge si giustificherebbe proprio alla luce di quanto  appena
detto e, specialmente, in considerazione dello  «stato  di  emergenza
determinato dal rischio di default di  alcuni  Stati,  aggravato  dal
presumibile effetto domino». 
    Al tempo stesso, lungi dal realizzare un'inversione  di  tendenza
rispetto  a  quanto  stabilito  dall'art.   5   Cost.,   la   riforma
realizzerebbe  un  complessivo  decentramento   di   funzioni   verso
l'istanza territoriale piu' prossima ai cittadini, essendo  riservati
al livello regionale, in conformita' al disposto dell'art. 118 Cost.,
i soli ambiti funzionali che richiedano un esercizio  unitario  nella
prospettiva della sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. 
    Il  Presidente  del  Consiglio  esclude,  ancora,  che   sussista
violazione degli artt. 114 e 117 Cost. In base al primo dei parametri
indicati, l'autonomia degli enti territoriali si  esplica  secondo  i
principi fissati  dalla  Costituzione.  Spetta  allo  Stato,  secondo
l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.,   la   competenza
legislativa esclusiva in materia di legislazione  elettorale,  organi
di governo e funzioni fondamentali degli enti locali. Dunque ben puo'
lo Stato circoscrivere le funzioni delle Province all'indirizzo ed al
coordinamento delle attivita' dei Comuni. D'altra parte,  il  compito
di trasferire a  questi  ultimi  le  funzioni  provinciali  e'  stato
riservato alla legge regionale, cosi' valorizzandosi  al  massimo  le
prerogative delle Regioni. 
    La  difesa  dello  Stato  richiama  la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 261 del 2011,  relativa  al  coordinamento  tra  la
previsione dell'art. 117, secondo comma, lettera  p),  e  l'art.  133
Cost., dalla quale emergerebbe la pienezza delle competenze statali a
proposito degli organi di governo e delle funzioni fondamentali degli
enti territoriali minori. 
    Viene esclusa, ancora, la violazione degli artt. 118 e 119  Cost.
La  normativa  impugnata  lascerebbe,  infatti,   impregiudicata   la
competenza legislativa delle Regioni in merito al trasferimento delle
funzioni provinciali. La Costituzione, per altro verso, impone che le
Province abbiano funzioni proprie ma non le  determina  direttamente,
ne' pone un  principio  di  immutabilita'  delle  funzioni  medesime.
Infine,  le  norme   censurate   non   avrebbero   alcuna   attinenza
all'autonomia finanziaria delle Province. 
    Quanto infine al principio di leale  collaborazione,  la  riforma
non  avrebbe  inciso  sulle  competenze   regionali   concorrenti   o
esclusive.   La   previsione   concernente   l'eventuale   intervento
sostitutivo dello Stato, d'altra  parte,  sarebbe  legittimata  dalla
necessita'  di  evitare  sperequazioni  nel  trattamento  degli  enti
locali, e comunque si tratterebbe di intervento da  attuare  mediante
le procedure stabilite dall'art. 8 della legge n. 131 del 2003. 
    A proposito del principio di leale collaborazione  e  dei  limiti
costituzionali per l'intervento sostitutivo dello  Stato  in  materie
attribuite alla competenza regionale, l'Avvocatura  generale  osserva
che tale  intervento  deve  assicurare  l'armonizzazione  dell'intero
apparato pubblico, e dunque  fondarsi  su  «norme  da  applicare  con
carattere di generalita' a tutte le Amministrazioni, ivi inclusi  gli
enti territoriali, senza per questo ledere l'autonomia organizzativa»
degli enti medesimi. 
    Il Presidente  del  Consiglio  esclude,  infine,  una  violazione
dell'art. 138 Cost., posto che la riforma censurata non ha  soppresso
le Province, e dunque non  necessitava  di  approvazione  secondo  la
procedura di revisione costituzionale. 
    10.3.- In relazione alle censure mosse al comma 4  dell'art.  23,
l'Avvocatura  generale  sottolinea  come  la  disposizione  in  esame
modifichi il codice dei contratti pubblici, con la conseguenza che il
comma impugnato deve  essere  letto  «unitamente»  alle  disposizioni
dello stesso codice  poste  a  salvaguardia  delle  competenze  delle
Regioni speciali e delle Province autonome. 
    10.4.- Con particolare riguardo al  comma  22  dell'art.  23,  la
difesa statale ritiene che questa  previsione  sia  giustificata,  ex
art. 117, terzo comma, Cost., «dalla necessita' di  fissare  principi
in materia di "costi della politica"». La finalita'  della  norma  in
esame non sarebbe, pertanto, la sostituzione dello Stato alla Regione
nell'organizzazione degli enti territoriali non  costituzionalizzati,
ricadenti nella sfera di competenze della Regione, bensi'  quella  di
«dettare una misura concretamente necessaria per attuare un principio
generale di coordinamento della finanza pubblica». 
    Sempre in relazione alle questioni  promosse  nei  confronti  del
comma 22, l'Avvocatura generale evidenzia uno  specifico  profilo  di
inammissibilita' derivante dal fatto che la Regione ricorrente non ha
precisato se sussistano, e in tal caso quali  siano,  eventuali  enti
territoriali non costituzionalizzati la cui attivita'  rientri  nelle
competenze della Regione stessa. 
    10.5.-  Da  ultimo,  la  difesa  statale  ritiene  che  la   mera
fissazione di un termine per l'adeguamento  alle  nuove  disposizioni
valga a salvaguardare le competenze delle Regioni speciali. 
    11.- Nel giudizio promosso dalla Regione Molise (ric. n.  32  del
2012) e' intervenuta la Provincia di Isernia chiedendo che  la  Corte
costituzionale  dichiari  l'illegittimita'  dei  commi  da  14  a  21
dell'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011. 
    12.- Nel giudizio promosso dalla Regione Lazio (ric.  n.  44  del
2012) sono intervenute le Province di Latina,  Frosinone  e  Viterbo,
nonche' l'Unione delle Province  d'Italia,  chiedendo  che  la  Corte
costituzionale  dichiari  l'illegittimita'  dei  commi  da  14  a  20
dell'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011. 
    13.- In prossimita' dell'udienza, originariamente fissata per  il
6 novembre 2012, le Regioni Lombardia, Veneto, Molise e Campania,  le
Regioni autonome Sardegna e Friuli-Venezia Giulia,  la  Provincia  di
Isernia e il Presidente del Consiglio dei ministri  hanno  depositato
memorie, nelle quali danno atto delle norme introdotte  dall'art.  17
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.  135,  ed  insistono  nelle
conclusioni  gia'  rassegnate  nei  rispettivi  ricorsi  e  atti   di
costituzione. 
    14.- Con ricorso spedito per  la  notifica  il  5  ottobre  2012,
ricevuto e depositato il 9 ottobre (reg. ric. n. 133  del  2012),  la
Regione Molise ha promosso questioni di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135  del  2012,  per  violazione
degli artt. 3, 5, 77, 114, 117, secondo comma, lettera p),  quarto  e
sesto comma, 118, 119, 126 e 133, primo comma, Cost., e del principio
di leale collaborazione. 
    14.1.-  In  via  preliminare,  la  ricorrente  ricorda  come   la
Provincia di Isernia (destinata ad essere soppressa in  virtu'  della
normativa impugnata) sia stata istituita, da oltre  trenta  anni,  in
aggiunta a quella di Campobasso, e come i due enti costituiscano oggi
il fulcro  dell'intero  assetto  organizzativo  e  legislativo  della
gestione del territorio regionale. La conservazione di tale  assetto,
dunque, sarebbe oggetto di un  interesse  diretto  ed  attuale  della
Regione Molise, e fondamento della  sua  legittimazione  al  ricorso,
anche in  difesa  delle  prerogative  costituzionali  delle  Province
interessate. 
    In applicazione del primo comma dell'art. 133 Cost., la Provincia
di Isernia e' stata istituita con legge dello Stato (2 febbraio 1970,
n. 20 «Adeguamento delle circoscrizioni provinciali, degli  organi  e
uffici  della  pubblica  amministrazione  nella   regione   Molise»),
sull'iniziativa concorrente di 51 Comuni. Trattandosi di  istituzione
territoriale ormai  radicata,  quale  componente  del  sistema  delle
autonomie  locali  ed  organo  di  rappresentanza  democratica  delle
popolazioni interessate, essa non  potrebbe  essere  «sostanzialmente
abolita» attraverso un provvedimento del  Governo.  Cio',  a  maggior
ragione, considerando che, per effetto della disciplina impugnata, la
Regione Molise verrebbe ad essere costituita da una  sola  Provincia,
in violazione della regola che esigerebbe la presenza di  almeno  due
enti provinciali per ogni Regione. 
    Sarebbe illegittima, del resto, anche la  disciplina  procedurale
delineata  nell'art.  17  del  d.l.  n.  95  del  2012.  Il  previsto
coinvolgimento del Consiglio delle autonomie locali non  potrebbe  in
alcun modo sostituirsi all'iniziativa dei Comuni prescritta dall'art.
133 Cost., sia perche' il Consiglio non  rappresenta  direttamente  i
Comuni (ne' li  rappresenta  tutti),  sia  perche'  la  normativa  in
questione prevede  l'attuazione  del  progetto  a  prescindere  dalla
proposta del citato Consiglio e della stessa Regione. 
    La Costituzione riserverebbe  a  tutti  i  Comuni,  singolarmente
considerati, la piena e diretta iniziativa  per  la  revisione  delle
circoscrizioni  provinciali.  Non  sarebbe  dunque  utilizzabile   lo
strumento della legge statale ordinaria per incidere  su  istituzioni
provinciali gia' esistenti, neppure dettando  parametri  a  carattere
generale. 
    Oltretutto - prosegue la  ricorrente  -  la  norma  impugnata  ha
rimesso al Governo la scelta dei criteri per  l'individuazione  delle
Province da sopprimere, nel contempo  delineando  una  partecipazione
delle Regioni al processo, che assumerebbe carattere obbligatorio  ma
non vincolante. Inoltre, la scelta  normativa  e'  stata  assunta  in
prima battuta dal Governo, in assenza dei requisiti di necessita'  ed
urgenza richiesti  dall'art.  77  Cost.,  la  cui  carenza  non  puo'
considerarsi «sanata» per il sopravvenire della legge di conversione.
Da ultimo, si  tratterebbe  nella  specie  di  materia  riconducibile
all'art. 72, quarto comma, Cost. 
    La Corte  costituzionale  avrebbe  ammesso,  senza  peraltro  far
riferimento alla  decretazione  d'urgenza,  che  l'istituzione  o  la
modificazione delle Province possa essere disposta  tanto  con  legge
ordinaria che mediante decreti delegati. Avrebbe stabilito, pero', la
necessaria osservanza di un  procedimento  «ascensionale»  che  muova
dalla proposta dei Comuni, riconoscendo al potere legislativo il solo
compito di  valutare,  in  chiusura  della  sequenza,  l'idoneita'  e
l'adeguatezza dell'ambito territoriale destinato a costituire la base
delle Province nuove o modificate  (sono  citate  le  sentenze  della
Corte costituzionale n. 214 del 2010, n. 230 del 2001 e  n.  347  del
1994). Mai sarebbe stata riconosciuta  l'idoneita'  del  procedimento
alla soppressione di enti provinciali. E, d'altra parte, nel caso  di
specie, il procedimento sarebbe comunque difforme da quello tracciato
dalla Costituzione. 
    Andrebbe considerato, ancora, che le funzioni e  l'assetto  delle
Province  sarebbero  regolati  da  leggi  «rinforzate»,  secondo   il
disposto dell'art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, e  che  la
stessa Corte costituzionale avrebbe riconosciuto  che  «la  normativa
sull'ente locale opera a un livello superiore della stessa normazione
statale» (sono citate le sentenze n. 13 del 1974 e n. 30 del 1959). 
    In sostanza la norma impugnata violerebbe sotto piu'  profili  le
norme costituzionali di presidio delle  autonomie  locali,  garantite
dall'art.  5  Cost.,  sottraendo   la   materia   alla   inderogabile
determinazione democratica delle  istituzioni  rappresentative  delle
popolazioni interessate. 
    14.2.- Dopo l'ampia premessa, la ricorrente procede ad  un  esame
di dettaglio delle ragioni di asserito contrasto  tra  la  disciplina
censurata  ed  i  singoli  parametri  costituzionali,  a   cominciare
dall'art. 133, in relazione agli artt. 5 e 114 Cost. 
    La norma  citata  da  ultimo  stabilisce  che  la  Repubblica  e'
costituita anche da Province. L'art. 133, per altro  verso,  varrebbe
anzitutto  a   porre   la   volonta'   popolare   quale   presupposto
imprescindibile per ogni  «mutamento»  in  materia  di  Province,  in
armonia  con  la  direttiva  costituzionale  di  «promozione»   delle
autonomie locali (art. 5 Cost.). Secondo la Regione Molise, la  Corte
costituzionale avrebbe gia' riconosciuto  che  l'istituzione  di  una
nuova Provincia senza l'iniziativa dei Comuni contrasterebbe  con  la
Costituzione (sono citate le sentenze n. 214 del 2010 e  n.  237  del
2004). A maggior ragione sarebbe illegittima, dunque, la soppressione
di una Provincia su statuizione governativa. 
    Oltre  che  nella  procedura,  la  normativa  impugnata   sarebbe
censurabile  anche  quanto  ai  criteri  dettati   per   i   previsti
accorpamenti. Le esigenze di contenimento della  spesa  pubblica  non
legittimerebbero la lesione delle prerogative degli enti  locali  (e'
citata la sentenza della Corte costituzionale n.  151  del  2012),  e
comunque non potrebbero che essere assicurate nel rispetto  dell'art.
133 Cost. (e' citata la sentenza della Corte  costituzionale  n.  347
del 1994). 
    I commi 2 e 13 dell'art. 17 del d.lgs. n. 95 del  2012  sarebbero
illegittimi, in specifico, perche' rimettono ad una deliberazione del
Consiglio dei ministri il riordino delle Province,  materia,  questa,
riservata alla legge, e prevedono che l'accorpamento, cioe' di  fatto
la soppressione, sia disposto  a  posteriori  con  una  deliberazione
dello stesso Governo, pur essendo state le singole Province istituite
con legge. L'art. 133 Cost. porrebbe «una riserva di legge assoluta»,
tale da riservare ogni modifica al Parlamento con lo strumento  della
legge  ordinaria.  Peraltro,  aggiunge  la  ricorrente,  l'iniziativa
obbligatoria dei Comuni e' disciplinata da una «legge rinforzata», il
d.lgs.  n.  267  del  2000,  che  all'art.  21  disciplina   siffatto
procedimento. 
    Dopo aver fatto cenno al divieto di vincoli specifici e  puntuali
per la gestione delle risorse regionali in  nome  della  funzione  di
coordinamento della finanza pubblica (e'  citata  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 159 del 2008), la Regione Molise osserva come
il Parlamento abbia  addirittura  omesso  di  dettare  al  Governo  i
parametri per l'individuazione dei  criteri  di  accorpamento,  cosi'
riducendo la procedura ad una libera scelta dell'esecutivo  circa  le
Province da sopprimere, secondo una generica direttiva  di  risparmio
della spesa che oltretutto,  almeno  nel  caso  di  Isernia,  sarebbe
ingiustificata in linea di fatto. 
    La  disciplina  impugnata  vanificherebbe  quella   esigenza   di
continuita' territoriale che pure e' menzionata nel testo del comma 3
dell'art. 17. Tra l'altro, e' prevista una eccezione per le  Province
confinanti solo con Province  di  Regioni  diverse,  ed  il  criterio
dovrebbe valere a maggior ragione ad escludere che il  territorio  di
una Regione si riduca a contenere un'unica Provincia. 
    Nota infine la ricorrente che l'art. 133  sarebbe  violato  anche
dalla possibilita', accordata alle Regioni, di proporre  esse  stesse
ipotesi di riordino delle circoscrizioni provinciali, senza carattere
vincolante. Ricorrerebbe anzi,  per  questa  ragione,  la  violazione
degli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost., nonche' del  combinato  disposto
degli artt. 5, 114 e 118 Cost., non essendo garantito alla  Provincia
un  proprio  ed  autonomo  livello  di  esercizio  di  funzioni,   in
applicazione del principio di sussidiarieta'. 
    14.3.- A questo punto la Regione Molise  ricorda  come  l'art.  5
Cost. garantisca e promuova  le  autonomie  locali,  compreso  l'ente
Provincia, per  cio'  stesso  inibendo  iniziative  di  soppressione,
specie se fondate (ex post) sulla ricorrenza di requisiti minimi  per
la permanenza. L'argomento per il quale il  sistema  delle  autonomie
potrebbe comunque incentrarsi  sui  Comuni  si  scontra,  secondo  la
ricorrente, con l'espressa previsione delle Province come istituzioni
costitutive  della  Repubblica  (art.  114  Cost.).   La   disciplina
censurata varrebbe, in realta', a snaturare «la  forma,  storicamente
garantita, del decentramento amministrativo  come  articolazione  sul
territorio». «Promuovere» sarebbe l'antitesi del «sopprimere». 
    14.4.-  Secondo  la  ricorrente,  «la  disposizione   legislativa
impugnata viola sostanzialmente anche l'art. 3 Cost. sotto il profilo
dell'eccesso di potere legislativo, ponendosi  in  contrasto  con  il
principio di ragionevolezza in quanto rinvia al potere  esecutivo  la
adozione di atti senza la preventiva individuazione dei parametri  di
sopravvivenza di enti Provincia da parte dell'esecutivo».  La  stessa
Corte costituzionale  avrebbe  riconosciuto  all'ente  Provincia  una
autonomia strutturale e funzionale di rilievo costituzionale, a norma
dell'art. 114 Cost., negando, al  contempo,  analoga  autonomia  alle
Comunita' montane (e' citata la  sentenza  n.  244  del  2005).  Cio'
dimostrerebbe che un atto del Governo, od anche un  atto  legislativo
ordinario, non potrebbero tradurre il concetto di «mutamento» fino  a
risolverlo in quello di soppressione. 
    14.5.- La Regione Molise ricorda che l'art. 117,  secondo  comma,
lettera p),  Cost.  riserva  allo  Stato  la  competenza  legislativa
esclusiva a proposito  degli  organi  di  governo  e  delle  funzioni
fondamentali  delle  Province.  Tale  competenza  non  potrebbe   che
esercitarsi sul presupposto della  esistenza  delle  Province,  cioe'
nella prospettiva di promozione segnata dall'art. 5 Cost.  e  con  le
garanzie stabilite dall'art. 133 Cost. La  disciplina  censurata,  di
contro, avrebbe valenza  essenzialmente  demolitoria.  Sarebbero  nel
contempo  soppresse  le  funzioni  amministrative   e   la   potesta'
regolamentare proprie delle Province, sovvertendo l'assetto delineato
dagli artt. 117 e 118 Cost. 
    A conferma del proprio assunto, la ricorrente osserva  come  gia'
da lungo tempo abbia trasferito proprie funzioni  alla  Provincia  di
Isernia, e come dunque si trovi costretta, in forza della  disciplina
censurata, a trasferire  funzioni  ai  Comuni  od  a  riassumerne  il
diretto esercizio, con violazione delle prerogative di  cui  all'art.
118 Cost. 
    La compressione delle prerogative  regionali,  sopra  illustrata,
determinerebbe anche la violazione dell'autonomia  finanziaria  della
Regione (ex art. 119 Cost.), poiche' la norma impugnata non solo  non
razionalizzerebbe l'esercizio delle funzioni amministrative,  ma  non
produrrebbe neanche alcun risparmio di spesa. 
    14.6. - Secondo la Regione Molise la disciplina impugnata avrebbe
comportato una violazione  del  principio  di  leale  collaborazione,
avuto riguardo al disposto dell'art. 8 della legge n. 131  del  2003,
risolvendosi in un intervento sostitutivo dello Stato fuori dai  casi
previsti dall'art. 120 Cost. 
    Mancherebbe,  nell'intervento  dello  Stato,  ogni   profilo   di
adeguatezza, nella prospettiva di un  ragionevole  bilanciamento  tra
l'obiettivo   di   riduzione   della   spesa   pubblica    (riduzione
sostanzialmente nulla) e il vulnus recato alle  prerogative  ed  agli
interessi  costituzionali  gravitanti  sull'assetto  dell'istituzione
provinciale. 
    Inoltre,  «cosi'  come  strutturato,   lo   art.   17   viene   a
pregiudicare, in modo irreparabile, il principio  di  sussidiarieta',
ed in particolare di  sussidiarieta'  verticale,  nonche'  quello  di
adeguatezza previsto dall'art. 118 Cost.». 
    14.7. - Da ultimo, la ricorrente sottolinea  come,  nel  caso  di
specie,  non  sussistano  i  «casi  straordinari  di   necessita'   e
d'urgenza»,  richiesti  dall'art.  77  Cost.  per  l'adozione  di  un
decreto-legge, ne' potrebbe essere riconosciuta efficacia sanante  di
siffatti vizi alla legge di conversione. 
    14.8. - A norma dell'art. 35  della  legge  n.  87  del  1953  la
Regione Molise chiede che l'esecuzione delle  norme  impugnate  venga
sospesa, dato  il  pregiudizio  irreparabile  che  si  determinerebbe
qualora fossero avviate le innumerevoli operazioni di «trasferimento»
di risorse umane e materiali che sarebbero implicate  dall'attuazione
della riforma. 
    15.- Con ricorso spedito per la  notifica  il  12  ottobre  2012,
ricevuto il 17 ottobre e depositato il 16 ottobre (reg. ric.  n.  145
del 2012), la Regione Lazio ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale di alcune  disposizioni  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, e, tra queste, degli artt.  17  e  18,  per  violazione
degli artt. 3, 72, quarto comma, 77, 114, 117,  terzo  comma,  e  133
Cost. 
    15.1.- La ricorrente ricorda in apertura che la Conferenza  delle
Regioni e delle Province autonome,  esprimendosi  sui  contenuti  del
decreto-legge  di  cui  si  tratta,  ha  espresso  dubbi   circa   la
compatibilita' costituzionale di alcune delle relative  disposizioni.
Parte di tali dubbi sarebbe stata recepita dal Parlamento in sede  di
conversione,   attraverso   opportune   modifiche   della   normativa
originaria. Residuerebbero, pero', norme in contrasto con i parametri
gia' indicati in apertura. 
    Sarebbe il caso, anzitutto, dell'art.  17  del  decreto,  ove  la
sostituzione del termine  «riordino»  alle  parole  «soppressione»  e
«accorpamento», con riferimento  alle  Province,  non  avrebbe  certo
superato le obiezioni e le proposte di  emendamento  formulate  dalla
Conferenza delle  Regioni  e  delle  Province  autonome.  Secondo  la
ricorrente,  in  particolare,  i  commi  2  e  3  della  disposizione
delineano un procedimento  nel  cui  ambito  il  ruolo  assegnato  ai
Comuni, ai Consigli delle autonomie locali ed alle  Regioni  potrebbe
essere del  tutto  vanificato,  se  non  esercitato  in  tempi  assai
ristretti, dato che, scaduti i relativi termini, il  Governo  sarebbe
legittimato a procedere in piena autonomia. 
    Tra le norme tuttora in contrasto con la  Costituzione,  inoltre,
vi sarebbe anche l'art. 18 del d.l. n. 95 del 2012,  nella  parte  in
cui dispone, in concomitanza con la istituzione delle relative Citta'
metropolitane, la soppressione delle Province di Roma e  di  numerosi
altri capoluoghi di Regione. 
    15.2.- Trattando  in  particolare  dell'art.  17,  la  ricorrente
assume anzitutto la propria legittimazione ad agire, tanto alla  luce
del combinato disposto dell'art. 32 della legge  n.  87  del  1953  e
dell'art. 41, comma 4, dello  statuto  regionale,  tanto  in  ragione
della giurisprudenza costituzionale, secondo cui spetta alle  Regioni
l'impugnativa delle leggi che violino le attribuzioni  costituzionali
degli enti locali, indipendentemente dall'eventuale contrasto con  il
riparto delle competenze legislative (e'  citata  la  sentenza  della
Corte costituzionale n. 298 del  2009).  Nella  specie,  inoltre,  la
ricorrente farebbe valere prerogative proprie,  alla  luce  dell'art.
133 Cost., che attribuisce alle  Regioni  un  ruolo  di  rilievo  nel
processo di modifica delle circoscrizioni provinciali. 
    La norma censurata contrasterebbe, in primo  luogo,  proprio  con
l'art. 133 Cost., eludendo il principio fondamentale della promozione
«dal basso» dei mutamenti delle circoscrizioni  provinciali,  attuata
mediante l'imprescindibile «iniziativa dei  Comuni».  Il  compito  di
«riordino» sarebbe stato sostanzialmente  assegnato  al  Governo,  in
contrasto  oltretutto   con   la   giurisprudenza   che   impone   la
considerazione delle esigenze delle popolazioni interessate per  ogni
compromissione dell'attuale  assetto  delle  autonomie  locali  (sono
citate le sentenze n. 279 del 1994 e n. 453 del 1989). 
    Lo scarto dal modello di procedimento imposto dalla  Costituzione
permarrebbe anche dopo  la  previsione,  introdotta  dalla  legge  di
conversione n. 135 del 2012, che vengano tenute in considerazione dal
Consiglio  dei  ministri  le  «eventuali  iniziative  comunali»  gia'
esistenti, tanto che  il  Governo  avrebbe  gia'  escluso  ogni  loro
influenza sulla integrazione dei  requisiti  minimi  stabiliti  dallo
stesso Consiglio dei ministri. 
    D'altra parte, la norma censurata non troverebbe  giustificazione
nei compiti statali di coordinamento della finanza pubblica  (di  qui
la violazione del terzo comma dell'art. 117 Cost.), dato che  non  si
limita  ad  un'opera  «transitoria»  di  contenimento  della   spesa,
incidendo piuttosto in modo strutturale e definitivo  su  ordinamenti
intermedi, muniti di proprie prerogative costituzionali (e' citata la
sentenza della Corte costituzionale n. 326 del  2010).  Peraltro,  le
esigenze  di  economia  delle  risorse  non  possono  legittimare  la
violazione delle garanzie costituzionali degli enti locali  (sentenza
n. 151 del 2012). 
    Sarebbe violato anche  il  principio  di  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 Cost., con  ridondanza  nella  lesione  delle  prerogative
assicurate alla ricorrente dagli artt. 114 e 133 Cost., in quanto  la
tempistica prevista per gli adempimenti assegnati alla Regioni ed  ai
Consigli delle  autonomie  locali  nell'ambito  del  procedimento  di
riordino sarebbe tanto serrata da vanificare, sul piano pratico, ogni
possibilita' di influire sulla legge statale. 
    Ancora, farebbero palesemente difetto, nel  caso  di  specie,  le
condizioni straordinarie di necessita' ed urgenza richieste dall'art.
77 Cost. per la decretazione d'urgenza. La violazione del  richiamato
art. 77 (oltreche' del quarto comma  dell'art.  72)  ridonderebbe  in
lesione della sfera di autonomia  garantita  alle  Province  ed  alle
Regioni dagli artt. 114 e 113 Cost. 
    Il decreto-legge sarebbe stato assunto,  tra  l'altro,  anche  in
violazione del disposto dell'art. 15 della legge n. 400 del 1988, che
costituirebbe esplicitazione della ratio sottesa all'art. 77 Cost., e
sancirebbe il divieto di normazione in via d'urgenza sulle materie di
"rilievo costituzionale". 
    15.3.- Considerazioni in tutto analoghe, secondo  la  ricorrente,
varrebbero per la denunciata illegittimita' dell'art. 18 del d.l.  n.
95 del 2012. Il decreto-legge  sarebbe  strumento  costituzionalmente
inadeguato sia per la soppressione delle Province, la  cui  esistenza
ed autonomia sarebbe sottratta alla legislazione ordinaria  dall'art.
114 Cost., sia per la istituzione di Citta' metropolitane,  riservata
all'«assemblea» dal quarto comma dell'art. 72  Cost.  In  entrambi  i
casi si tratterebbe di una nuova  disciplina  «di  regime»,  che  non
sarebbe attuabile mediante la decretazione di urgenza (e'  citata  la
sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012). 
    16.- Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il 17
ottobre (reg. ric. n. 151 del 2012), la Regione  Veneto  ha  promosso
questioni di legittimita' costituzionale di alcune  disposizioni  del
d.l. n. 95 del 2012,  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 135 del 2012, e, tra queste, degli artt. 17 e
18, per violazione degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118, 119, 120,
132 e 133 Cost., e del principio di leale collaborazione. 
    16.1.- Dopo aver rilevato  che  le  Regioni  sono  legittimate  a
promuovere il giudizio di costituzionalita', riguardo a  leggi  dello
Stato, anche  in  base  alla  ritenuta  violazione  delle  competenze
proprie degli  enti  locali,  la  ricorrente  assume  che,  in  forza
dell'impugnato art. 17, si determina anche una diretta lesione  delle
prerogative regionali. Infatti, la disciplina censurata finirebbe con
il privare la  Regione  di  un  interlocutore  istituzionale  cui  la
Regione stessa puo' affidare, ed anzi  normalmente  affida,  funzioni
amministrative.  Sarebbero  vulnerate,  per  la  stessa  ragione,  le
competenze legislative (concorrenti e residuali) di cui al  terzo  ed
quarto comma dell'art. 117 Cost., nonche' le competenze regolamentari
di cui al sesto comma della medesima norma costituzionale. 
    Ancora,  le  disposizioni  concernenti  la   redistribuzione   di
funzioni amministrative tra i Comuni, le Province  e  le  Regioni  (a
norma  dei  commi  6,  10  e   11   dell'art.   17)   sovvertirebbero
irragionevolmente «l'intero assetto costituzionale regionale e  delle
autonomie locali», determinando la complessiva violazione degli artt.
3, 5, 97 e 114 Cost. In particolare, considerato che  la  gran  parte
dei  Comuni  italiani  conta  una  popolazione  inferiore  ai  15.000
abitanti,  la   riforma   eliminerebbe   strutture   essenziali   per
l'attuazione del principio di sussidiarieta'  verticale,  di  cui  al
primo comma dell'art. 118, in relazione ai compiti di «area vasta». 
    16.2.- Dopo avere  asserito  che  le  notazioni  fin  qui  svolte
varrebbero a documentare tanto il merito delle censure  proposte  che
la  legittimazione  al  ricorso  da  parte  della   Regione   Veneto,
quest'ultima denuncia ancora la difformita' fra la procedura prevista
dal legislatore statale e quella prescritta dall'art. 133  Cost.  per
il mutamento delle circoscrizioni provinciali. 
    La  norma  costituzionale  richiederebbe,  infatti,  una   «legge
rinforzata», approvata in esito all'iniziativa dei Comuni, sentita la
Regione interessata. La  disciplina  di  dettaglio  della  procedura,
contenuta nell'art. 21 del d.lgs. n. 267 del 2000,  comprende  regole
che garantiscono una  adesione  maggioritaria  delle  popolazioni  al
progetto di mutamento, riservando  alla  funzione  legislativa  dello
Stato un  compito  di  verifica  della  corrispondenza  del  progetto
all'interesse  generale.   In   nessun   caso   la   modifica   della
circoscrizione potrebbe essere disposta  -  come  invece  prevede  la
normativa censurata - senza l'iniziativa dei  Comuni,  e  addirittura
affidando al Governo la precostituzione del disegno di riforma. 
    La Regione Veneto considera inaccettabile la tesi  dell'Esecutivo
-  desunta  dalla  relazione  al  disegno  di  legge  di   iniziativa
governativa per la conversione del d.l. n. 95 del 2012 - secondo  cui
la procedura di cui all'art. 133 Cost. dovrebbe essere applicata solo
per mutamenti esauriti nell'ambito delle singole Regioni, mentre, nel
contesto di un disegno complessivo di riforma, il coinvolgimento  dei
Comuni    potrebbe    essere    validamente    assicurato    mediante
l'interlocuzione  dei  Consigli  delle  autonomie  locali.  La  norma
costituzionale, infatti,  non  istituisce  alcuna  differenza  basata
sulla «scala» dei mutamenti, che del resto si  producono  nell'ambito
delle singole Regioni, quand'anche disposti su base nazionale. 
    La ricorrente ricorda che la Corte costituzionale, pur ammettendo
che l'istituzione di nuove  Province  puo'  essere  attuata  mediante
legge di delegazione, ha  ribadito  la  necessita'  del  procedimento
«ascensionale» che muove dai Comuni, riservando alla  legge  il  solo
compito  di   «valutare,   nella   fase   conclusiva   dello   stesso
procedimento, l'idoneita' e  l'adeguatezza  dell'ambito  territoriale
destinato a costituire la base della nuova  Provincia»  (sentenza  n.
347 del 1994). 
    Neppure potrebbe ammettersi, sempre secondo  la  ricorrente,  che
nel  ruolo  assegnato  loro  dall'art.  133  Cost.  i  Comuni   siano
validamente «sostituiti» dai  Consigli  delle  autonomie  locali.  Il
potere di iniziativa spetta infatti ai  singoli  Comuni,  e,  d'altra
parte, l'art. 17 chiama i Consigli ad operare  su  un  progetto  gia'
elaborato dal Governo, al quale  addirittura  si  assegna  un  potere
sostitutivo nel caso di inutile scadenza  dei  brevissimi  termini  a
disposizione del citati Consigli. 
    La Regione Veneto ricorda che un  disegno  del  genere  era  gia'
stato posto a base di una norma di emanazione  governativa  (art.  15
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante  «Ulteriori  misure
urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo  sviluppo»),  poi
soppressa, per questo aspetto, in sede di conversione, anche in forza
delle  obiezioni  mosse  da  piu'  parti  a   proposito   della   sua
compatibilita' con la Costituzione (art. 1 della  relativa  legge  di
conversione 14 settembre 2011, n.  148).  Sarebbe  incomprensibile  e
contraddittoria, dunque, la nuova iniziativa, avente ad oggetto norme
in contrasto ancora maggiore con l'art. 133 Cost. 
    16.3.- La ricorrente prende in considerazione la possibilita' che
l'art. 17 del d.l. n. 95 del  2012  venga  applicato  per  realizzare
l'accorpamento di Province appartenenti a Regioni diverse. In  questo
caso, la procedura prevista dalla norma si  troverebbe  in  contrasto
con la specifica previsione  costituzionale  dell'art.  132,  secondo
comma,  Cost.,  fondata  su  consultazioni   referendarie   e   sulla
interlocuzione dei Consigli regionali interessati. 
    16.4.- Ulteriore ragione di  contrasto  con  la  Costituzione  e'
ravvisata nella carenza delle condizioni straordinarie di  necessita'
e urgenza che, sole, avrebbero potuto  legittimare  il  ricorso  alla
decretazione governativa (art. 77 Cost.). 
    Viene ricordato come l'art.  15  della  legge  n.  400  del  1988
escluda  dall'area  di  possibile  intervento  del  decreto-legge  le
materie di cui al quarto comma dell'art. 72 Cost., comprese «le norme
in materia costituzionale  ed  elettorale».  Poiche'  la  riforma  in
discussione atterrebbe alla «modifica dell'assetto dello Stato»,  non
avrebbe potuto comunque essere realizzata in via d'urgenza. 
    Lo stesso Governo, pur allegando  ragioni  di  urgente  riassetto
della finanza  pubblica,  avrebbe  d'altra  parte  vanificato  quelle
ragioni, «ammettendo» di non  essere  in  grado  di  quantificare  il
risparmio che dovrebbe derivare  dall'attuazione  della  riforma.  La
ricorrente rammenta, infine, che il «vizio»  originario  del  decreto
legge non e' sanato dall'intervento della legge di conversione. 
    16.5.- Tutte le censure  indicate,  secondo  la  Regione  Veneto,
sarebbero riferibili anche all'art. 18 del d.l. n. 95 del  2012,  con
il quale il legislatore  statale  ha  «sbrigativamente»  disposto  la
soppressione  delle  Province  con  capoluogo  in   numerose   citta'
italiane,   istituendo    contemporaneamente    altrettante    Citta'
metropolitane. 
    Il   completo   scostamento   dalla   procedura   imposta   dalla
Costituzione, con partenza «dal basso», comporterebbe  la  violazione
degli artt. 5 e 114, 3 e  97  e  133  Cost.  L'assenza  di  un  serio
coinvolgimento  della  Regione   nella   istituzione   delle   Citta'
metropolitane comporterebbe la lesione delle  competenze  legislative
regionali (in relazione al secondo comma dell'art. 118 e alla lettera
p del secondo comma dell'art. 117 Cost.), e comunque  una  violazione
del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.). 
    Palese poi sarebbe l'incostituzionalita' del comma 9 (lettere c e
d) dell'impugnato art. 18, che prevede il reciproco  conferimento  di
funzioni tra Citta' metropolitane  e  Comuni,  mentre  la  previsione
dell'indicato conferimento, per le materie di  competenza  regionale,
avrebbe dovuto essere riservata, in applicazione  del  secondo  comma
dell'art. 118 Cost., ad una legge regionale. 
    16.6.- La  Regione  Veneto,  tenuto  anche  conto  delle  serrate
scadenze previste dal d.l. n. 95 del 2012 per la realizzazione  della
riforma, e del carattere irreversibile degli effetti dannosi  che  si
annetterebbero alla sua esecuzione, formula richiesta di  sospensione
cautelare delle esecuzione della normativa impugnata, ai sensi e  per
gli effetti degli artt. 35 e 40 della legge n. 87 del 1953. 
    17.- Con ricorso spedito per la  notifica  il  13  ottobre  2012,
ricevuto il 17 ottobre e depositato il 18 ottobre (reg. ric.  n.  153
del 2012), la Regione Campania ha promosso questioni di  legittimita'
costituzionale di alcune  disposizioni  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, e, tra queste, dell'art. 17, commi 1, 2, 3,  4,  4-bis,
6, 11 e 12, e dell'art. 18, commi 1, 2, 2-bis, 7-bis, 9, lettere c) e
d), per violazione degli artt. 1, 2,  3,  5,  71,  primo  comma,  77,
secondo comma, 97, 114, 117, 118, 119, 120, 123, 133 e 138 Cost. 
    17.1.- La ricorrente, dopo  aver  descritto  il  contenuto  delle
disposizioni  impugnate,  illustra  le  ragioni   di   illegittimita'
costituzionale dell'art. 17, commi 1, 2, 3, 4, 4-bis, 6, 11 e 12, del
d.l. n. 95 del 2012. 
    17.1.1.- Sono censurate, in primo luogo, le  norme  dell'art.  17
che  regolano  il  procedimento  di  revisione  delle  circoscrizioni
provinciali (commi da 1 a 4-bis),  prospettandone  l'incompatibilita'
con l'art. 133 Cost. 
    Secondo la Regione Campania la norma costituzionale, che pone una
riserva di legge «rinforzata» per l'istituzione di nuove Province  ed
il mutamento delle circoscrizioni gia' esistenti, riguarda a fortiori
il  riordino,  concomitante  e  generalizzato,  delle  circoscrizioni
stesse. 
    La necessita' della procedura  «rinforzata»  sarebbe  stata  piu'
volte confermata,  in  via  indiretta,  dalla  Corte  costituzionale.
Cosi', ad esempio, riguardo ad  una  legge  regionale  istitutiva  di
nuove Province nella Regione Sardegna, considerata compatibile con la
Costituzione solo in quanto fondata su una normativa  derogatoria  di
pari rango, e cioe' lo statuto della Regione interessata (sentenza n.
230 del 2001). In altra occasione la Corte ha  respinto  i  dubbi  di
legittimita' proposti  riguardo  ad  una  legge  statale  finalizzata
all'istituzione di nuove Province, sul presupposto che  gli  elementi
fondanti della procedura prescritta  dalla  Costituzione  (iniziativa
dei Comuni e interlocuzione regionale)  fossero  compatibili  con  la
normazione per  delega  al  Governo,  adottata  nel  caso  di  specie
(sentenza n. 347 del 1994). 
    Nell'odierna fattispecie, il ruolo dei Comuni sarebbe  mediato  e
potenzialmente ininfluente, sia per  l'irrilevanza  di  un  eventuale
loro dissenso rispetto alle proposte del  Consiglio  delle  autonomie
locali, sia ancora per la previsione della possibilita'  di  ignorare
le iniziative comunali deliberate  successivamente  all'adozione  del
provvedimento del Consiglio dei ministri che ha determinato i criteri
per il riordino, sia infine per il potere  accordato  al  Governo  di
provvedere anche in assenza di proposte di riordino  formulate  dalle
Regioni sulla base delle ipotesi trasmesse  dall'organo  di  raccordo
tra la Regione stessa e gli enti locali. 
    L'assoluta necessita' di rispetto dei criteri posti dall'art. 133
Cost. trova conferma - secondo la ricorrente -  nella  Carta  europea
dell'autonomia locale (la cui ratifica e' stata autorizzata con legge
n. 439 del 1989, che ne ha anche disposto l'esecuzione). La Carta  in
questione, infatti,  riconoscerebbe  un  diritto  alla  consultazione
delle  popolazioni  interessate  a  modifiche   dei   limiti   locali
territoriali (art.  5),  ed  un  diritto  all'iniziativa  degli  enti
territoriali per questioni non esulanti dalle  proprie  competenze  e
non rimesse ad altra autorita' (art. 4). Se  e'  vero  che  la  Corte
costituzionale ha  riconosciuto  mero  carattere  programmatico  alle
norme richiamate (sentenza n. 325 del  2010),  resterebbe  inalterato
l'obbligo, sancito dal primo comma dell'art. 117 Cost., di  adeguarsi
alle  disposizioni  sovranazionali,  anche   data   la   loro   piena
compatibilita' con la  norma  costituzionale  interna  (art.  133)  e
considerato che l'art. 117, secondo  comma,  lettera  p),  Cost.  non
assegna allo Stato alcuna competenza in  materia  di  modifica  delle
circoscrizioni provinciali. 
    Insomma,  il  legislatore  avrebbe  dovuto  procedere  a  riforma
costituzionale, per pervenire legittimamente al risultato perseguito,
con la conseguenza che sarebbe violato anche l'art. 138 Cost. 
    17.1.2.- La  Regione  Campania  osserva  come  la  giurisprudenza
costituzionale abbia posto da tempo in luce la piena pertinenza delle
Province al sistema delle autonomie  locali  (art.  5  Cost.),  quali
strutture  espressive  del  principio  autonomistico  e   di   quello
democratico, «attraverso cui si esplica la sovranita'  popolare»  (e'
citata la sentenza n. 106 del 2002). La mortificazione del loro ruolo
sarebbe dunque incompatibile con i principi sanciti agli artt. 1, 2 e
5 Cost., in combinato disposto con l'art. 114 Cost. 
    D'altra parte  -  prosegue  la  ricorrente  -  la  riforma  delle
circoscrizioni  provinciali  non  avrebbe  comunque   potuto   essere
effettuata con  lo  strumento  del  decreto-legge,  neppure  per  una
declamata finalita' di urgente riassetto della finanza pubblica (sono
citate le sentenze della Corte costituzionale n. 151  e  n.  148  del
2012).  Mancherebbero,  in  effetti,  le  necessarie  condizioni   di
necessita' ed  urgenza,  trattandosi  di  intervento  di  complessivo
riordino dell'ente provinciale. Inoltre, la successiva conversione in
legge non varrebbe a sanare l'originaria illegittimita' del decreto. 
    Per quanto detto, la normativa censurata contrasterebbe anche con
l'art. 77, secondo comma, Cost. 
    17.1.3.- Il fatto che la  normativa  censurata  abbia  privato  i
Comuni della funzione propulsiva per il riordino delle circoscrizioni
provinciali avrebbe determinato, secondo la Regione  Campania,  anche
una  violazione  dell'art.  71  Cost.,  nella  parte  in  cui  regola
l'iniziativa legislativa. Viene ribadito che, a norma  dell'art.  133
Cost., detta iniziativa sarebbe spettata ai Comuni, i quali in nessun
modo potrebbero  considerarsi  "rappresentati"  dal  Consiglio  delle
autonomie locali o da altri organi di raccordo tra  Regione  ed  enti
territoriali. 
    17.1.4.- Proprio con riguardo al  ruolo  attribuito  ai  Consigli
delle autonomie locali o, in mancanza, ad altri organi  regionali  di
raccordo, la normativa  censurata  avrebbe  determinato  una  lesione
delle competenze legislative regionali,  come  definite  dagli  artt.
123, quarto comma, e 117, quarto comma, Cost. La  prima  delle  norme
citate rimette allo statuto la disciplina dei Consigli (e' citata  la
sentenza della  Corte  costituzionale  n.  370  del  2006),  dal  che
dovrebbe desumersi che spetta  unicamente  alla  Regione  definire  i
compiti dei Consigli medesimi, con conseguente illegittimita' di ogni
interferenza statale nella  materia.  Una  interferenza  che  sarebbe
evidente, di contro, con l'attribuzione agli organismi regionali  dei
compiti regolati dall'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012. 
    Quanto all'art. 117, quarto comma,  Cost.,  la  difesa  regionale
ritiene che questa norma costituzionale sia violata nel caso in  cui,
in mancanza dei Consigli delle autonomie locali, le funzioni in esame
siano svolte dagli organi regionali di  raccordo.  In  tale  ipotesi,
infatti, sarebbe violata la potesta' delle Regioni, nell'ambito della
propria  competenza  esclusiva  in  materia  di  organizzazione,   di
disciplinare discrezionalmente questi organi interni. 
    17.1.5.- La  Regione  Campania  individua  ulteriori  profili  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 17 del d.l. n. 95  del  2012,
guardando al  merito  dei  criteri  dettati  per  il  riordino  delle
Province, e prima ancora al fatto che la competenza per  la  relativa
individuazione sia stata rimessa al Governo, in  assenza  di  vincoli
effettivi. 
    Non vi  sarebbe  alcuna  competenza  statale  a  provvedere,  non
potendo la stessa connettersi alla lettera p) del secondo comma, o al
terzo  comma,  dell'art.  117  Cost.  In  ogni   caso   l'affidamento
all'Esecutivo della parametrazione sarebbe stato operato «in evidente
spregio della ratio dell'art. 133 Cost.», che esigerebbe  il  ricorso
alla legge quale presidio dei principi democratici e autonomistici  e
della identita' territoriale delle  Province.  L'intervenuta  riforma
del Titolo V della  Parte  seconda  della  Costituzione  non  avrebbe
consentito di adottare la procedura prevista, in  epoca  antecedente,
dall'art. 16 della legge 8 giugno 1990,  n.  142  (Ordinamento  delle
autonomie locali), poi rinnovata dall'art. 21 del d.lgs. n.  267  del
2000,  che  si  giustificava  in   rapporto   ad   una   collocazione
istituzionale delle Province  quali  organi  di  decentramento  dello
Stato,  e  non  ancora  come  enti   autonomi   «costitutivi»   della
Repubblica. 
    Osserva   ancora   la   ricorrente   che,   nell'attuale   quadro
costituzionale, le funzioni  amministrative  vengono  conferite  alle
Province in base ai principi di  sussidiarieta',  differenziazione  e
adeguatezza, e  dunque  non  sono  attribuite  uniformemente,  quanto
piuttosto   in   ragione   delle   singole   esigenze   territoriali.
Contrasterebbe  dunque  con  l'impianto  del  citato  Titolo   V   la
fissazione di  criteri  rigidi  ed  uniformi  per  il  riordino,  con
conseguente   violazione   dei   principi   di    ragionevolezza    e
proporzionalita' (art. 3 Cost.). 
    Oltretutto  -  prosegue  la   Regione   Campania   -   l'indicata
uniformita' varrebbe a svilire la «natura  storico-identitaria  delle
autonomie locali, sancita dagli artt. 1, 2, 5 e 114 Cost.». 
    17.1.6.- La competenza a regolare la materia non potrebbe  essere
rivendicata dallo Stato neppure invocando la  necessita'  di  fissare
principi di coordinamento della  finanza  pubblica:  una  competenza,
questa, che  la  Corte  costituzionale  avrebbe  gia'  delimitato  ad
un'opera di «transitorio contenimento complessivo» della  spesa,  non
legittimando certo la disciplina  stabile,  rigida  ed  esaustiva  di
vincoli  all'autonomia  regionale.  Tale  sarebbe,  all'evidenza,  la
normativa introdotta con le norme  censurate,  senza  oltretutto  che
dallo Stato sia venuta alcuna indicazione, neppure di massima,  delle
economie realizzate. Sarebbero violati, dunque, gli artt. 117,  terzo
comma, e 119, secondo comma, Cost. 
    17.1.7.- Sarebbe illegittima, secondo  la  ricorrente,  anche  la
previsione di un potere sostitutivo del Governo nei  confronti  delle
Regioni che non  trasmettano  le  proposte  di  riordino  secondo  la
procedura prevista dalle norme censurate (per violazione degli  artt.
3, 118, 120 e 133 Cost.). 
    E' stabilito in particolare, al comma 4 del  censurato  art.  17,
che il provvedimento legislativo di riordino sia adottato  previa  la
sola interlocuzione  della  Conferenza  unificata,  sebbene  facciano
difetto   le   condizioni   legittimanti   l'esercizio   del   potere
sostitutivo, di cui all'art. 120 Cost. ed all'art. 8 della  legge  n.
131 del 2003. L'atto regionale (proposta di riordino delle  Province)
la cui omissione  comporta  la  sostituzione,  infatti,  non  sarebbe
dovuto  o  necessario,  ossia  privo  di  discrezionalita'   nell'an,
trattandosi di atti di iniziativa del  procedimento  di  revisione  a
norma del primo comma  dell'art.  133  Cost.,  «e  quindi,  con  ogni
evidenza, assolutamente discrezionali e certamente non vincolati». 
    La disciplina censurata non contiene d'altra parte  alcuna  delle
garanzie procedurali previste dall'art. 8 della citata legge  n.  131
del  2003,  ne'  una  tutela  effettiva  del   principio   di   leale
collaborazione    (collaborazione    non    surrogabile    attraverso
l'interlocuzione della Conferenza  unificata).  Oltretutto,  con  una
scelta la cui irrazionalita' assumerebbe autonoma rilevanza ex art. 3
Cost.,  la  normativa  in  questione  prevede  che  il  termine   per
l'esercizio del  potere  sostitutivo  decorra  ancor  prima  che  sia
scaduto quello per l'adozione dei provvedimenti spettanti al soggetto
istituzionale da sostituire (il primo  termine  e'  infatti  ancorato
all'entrata in vigore della legge di conversione  n.  135  del  2012,
mentre il secondo  e'  connesso  alla  pubblicazione  della  delibera
governativa   sui   criteri   di   riordino   delle    circoscrizioni
provinciali). 
    Da ultimo, la ricorrente esclude che  l'atto  di  iniziativa  del
procedimento di revisione delle circoscrizioni provinciali (sul quale
deve essere sentita anche la Regione) possa  essere  oggetto  di  una
chiamata in sussidiarieta' dello  Stato;  infatti,  in  tal  modo  la
«flessibilizzazione» di una competenza direttamente  assegnata  dalla
Costituzione,  e  non  da  leggi  di  conferimento   delle   funzioni
amministrative in attuazione dell'art. 118 Cost., ridonderebbe  nella
«violazione del  principio  di  rigidita'  costituzionale  ricavabile
dall'art. 138 Cost.». 
    17.1.8.- La Regione Campania ritiene che i commi 6 e 12 dell'art.
17 impugnato, confermando ed attuando il disegno perseguito  mediante
l'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, riproducano il vulnus gia' recato
con la norma appena citata, e gia' denunciato  dalla  stessa  Regione
con un proprio ricorso (reg. ric. n. 46 del 2012), alla  sintesi  del
quale puo' senz'altro farsi rinvio. 
    17.1.9.- La ricorrente censura anche il comma 11 dell'art. 17 del
d.l. n. 95 del 2012, per l'asserito  contrasto  con  gli  artt.  117,
terzo e quarto comma, e 118 Cost. 
    Nel  suo  significato  letterale,  la  norma   parrebbe   infatti
assegnare alla Regione, in rapporto alle  funzioni  di  "area  vasta"
attribuite  in  via  transitoria  alle  Province,  meri  compiti   di
programmazione  e  coordinamento,  relativamente  alle   materie   di
corrispondente competenza legislativa a norma dell'art. 117 Cost. Una
disciplina siffatta contrasterebbe con principi gia' enunciati  dalla
giurisprudenza  costituzionale,  secondo  cui   spetta   alla   legge
regionale, nelle materie di competenza, la concreta allocazione delle
funzioni (e' citata la sentenza n. 43 del 2004), con  la  conseguente
ammissibilita' di norme che riservino alle Regioni stesse determinate
funzioni. 
    17.2.-  La  Regione  Campania,  come  anticipato,   ha   promosso
questioni di legittimita' costituzionale anche con riguardo  all'art.
18 del d.l. n. 95 del 2012. 
    17.2.1.- La soppressione delle piu' importanti Province (compresa
quella  di  Napoli),   con   contestuale   creazione   delle   Citta'
metropolitane, avrebbe lo scopo dichiarato di garantire l'efficace ed
efficiente svolgimento delle funzioni amministrative,  e  dunque  uno
scopo diverso da quello ostentato per il  ricorso  alla  decretazione
d'urgenza, cioe' il contenimento della spesa pubblica. Del resto,  il
processo di riforma e la creazione dei nuovi  enti  richiederebbe  un
palese sforzo di spesa, a sua volta in  contrasto  con  la  finalita'
dichiarata. 
    Ebbene - osserva la  ricorrente  -  l'inserimento  di  norme  con
finalita'  eterogenea  nell'ambito  di  un  provvedimento   d'urgenza
comporta  l'illegittimita'  delle  norme  medesime,  per   violazione
dell'art. 77 Cost. (e' citata la sentenza della Corte  costituzionale
n. 22 del 2012). 
    Per altro verso, l'istituzione  delle  Citta'  metropolitane  non
rientrerebbe nella competenza legislativa dello Stato.  Non  potrebbe
utilmente guardarsi, in assenza di altre  ed  esplicite  disposizioni
costituzionali, alla lettera  p)  del  secondo  comma  dell'art.  117
Cost., che configura una competenza statale  tassativamente  limitata
al sistema  elettorale,  alla  forma  di  governo  ed  alle  funzioni
fondamentali degli enti locali.  Di  conseguenza,  l'istituzione  dei
nuovi enti apparterebbe alla competenza residuale delle  Regioni,  in
applicazione del quarto comma dell'art. 117 Cost. 
    In ogni caso, la normativa impugnata sarebbe illegittima per  non
aver previsto alcun  ruolo  delle  Regioni  nella  istituzione  delle
Citta' metropolitane (in contrasto oltretutto col disposto  dell'art.
22 del d.lgs. n. 267 del 2000, che gia'  rimetteva  alle  Regioni  la
delimitazione territoriale  delle  aree  metropolitane,  pur  essendo
stato introdotto nella vigenza del  testo  originario  del  Titolo  V
della Parte seconda  della  Costituzione).  La  partecipazione  della
Regione sarebbe circoscritta esclusivamente all'ambito dell'eventuale
sub-procedimento  volto  all'articolazione   in   piu'   Comuni   del
territorio del Comune capoluogo (art. 18,  comma  2-bis).  Dunque  il
legislatore statale avrebbe violato gli artt. 114, 117 e  118,  primo
comma, Cost. 
    Anche piu' grave sarebbe poi l'estromissione delle Regioni  dalla
procedura di soppressione delle  principali  Province  esistenti.  Se
l'art.  133,  primo  comma,  Cost.  assegna  alla  Regione  un  ruolo
interlocutorio  nella  istituzione  di   nuove   Province,   dovrebbe
intendersi prescritto, a maggior ragione, un parere per il caso della
loro  soppressione.  Oltretutto,  con  la  disciplina  impugnata,  il
legislatore avrebbe scelto le Province da sopprimere, discriminandole
rispetto alle altre, senza un riconoscibile criterio,  adottando  una
legge-provvedimento priva di ragionevolezza  (art.  3  Cost.)  ed  in
contrasto con il canone dell'imparzialita' (art. 97 Cost.). I criteri
della proporzionalita' e dell'adeguatezza sono tanto piu'  essenziali
- osserva la ricorrente - quando  il  legislatore  statale  opera  in
materie che interferiscono con l'autonomia degli enti locali e con le
competenze legislative delle Regioni. 
    17.2.2.- Un ulteriore  profilo  di  illegittimita'  dell'art.  18
consisterebbe nella facolta', conferita ai Comuni compresi  nell'area
delle istituite Citta' metropolitane, di non aderire al nuovo ente, e
di accorparsi piuttosto, con  una  propria  delibera  consiliare,  al
territorio di una Provincia limitrofa (art. 18, comma  2).  La  norma
contrasterebbe infatti con il primo comma dell'art. 133 Cost. 
    Per un verso, sarebbe violata la riserva di legge in  materia  di
modifica delle circoscrizioni  provinciali,  con  l'ulteriore  vulnus
realizzato mediante l'esclusione  di  ogni  coinvolgimento  dell'ente
regionale nella procedura. 
    Per altro verso, la disciplina sarebbe incongrua nella misura  in
cui pare consentire l'accorpamento ad una Provincia di un Comune  che
non confini con il relativo territorio, creando  discontinuita',  sul
piano  del  funzionamento  dei  servizi  e  dello  svolgimento  delle
funzioni, incompatibili con i  principi  di  ragionevolezza  e  buona
amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.). 
    17.2.3.- Inoltre, la previsione (comma 2-bis dell'impugnato  art.
18) che  consente  ai  Comuni  capoluogo  di  promuovere  il  proprio
frazionamento in piu'  Comuni  determinerebbe  una  violazione  della
riserva di legge regionale nella materia,  posta  dal  secondo  comma
dell'art. 133 Cost. La legge regionale, nella  disciplina  censurata,
e' prevista quale  mera  sanzione  degli  esiti  di  un  procedimento
referendario, con quorum predeterminato, ed avrebbe dunque  contenuto
vincolato.  Con  l'ulteriore  violazione,   dunque,   della   riserva
statutaria concernente i referendum sulle leggi e  sui  provvedimenti
regionali, di cui al primo comma dell'art. 123 Cost. (e con immediato
contrasto con la legislazione regionale  campana  gia'  esistente  in
materia). 
    17.2.4.- La Regione  Campania  ritiene  illegittimo,  ancora,  il
comma 7-bis del censurato art. 18, che pare limitare le  attribuzioni
regionali, all'esito del conferimento alle  Citta'  metropolitane  di
funzioni fondamentali secondo il disposto  del  precedente  comma  7,
alla sola programmazione ed al solo coordinamento  nelle  materie  di
cui al terzo ed al quarto comma dell'art. 117 Cost., oltre  che  alle
funzioni esercitate a norma dell'art. 118 Cost. 
    Spetterebbe alla legislazione regionale, in effetti, la  concreta
allocazione  delle  funzioni,  parte  delle  quali,  esercitando   le
prerogative attribuite dalle due norme costituzionali appena  citate,
potrebbe essere appunto trattenuta a livello regionale. 
    17.2.5.- La ricorrente  contesta,  infine,  la  legittimita'  del
meccanismo  di  reciproco  conferimento  di   funzioni   tra   Citta'
metropolitane e Comuni, di cui al comma 9 (lettere c e  d)  dell'art.
18 del d.l. n. 95 del 2012. Tale meccanismo violerebbe apertamente il
disposto di cui al secondo comma dell'art.  118  Cost.,  che  prevede
l'allocazione con legge, statale o regionale, secondo  la  competenza
stabilita dall'art. 117  Cost.  (e'  citata,  ancora  una  volta,  la
sentenza della Corte costituzionale n.  43  del  2004).  Inoltre,  la
previsione relativa al  contestuale  trasferimento  delle  necessarie
risorse umane strumentali e finanziarie determinerebbe la lesione del
principio di buon andamento e della riserva di legge  in  materia  di
organizzazione della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). 
    18.- Con ricorso spedito per la  notifica  il  13  ottobre  2012,
ricevuto il 17 ottobre e depositato il 18 ottobre (reg. ric.  n.  154
del 2012), la Regione Lombardia ha promosso questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 17, commi 1, 2, 3, 4, 4-bis, 6, 11 e 12, del
d.l. n. 95 del 2012,  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 135 del 2012, per violazione degli  artt.  1,
2, 3, 5, 71, primo comma, 77, secondo comma, 114, 117, 118, 119, 120,
secondo comma, 123, quarto comma, 133 e 138 Cost. 
    18.1.- La ricorrente, oltre ad impugnare gli stessi commi oggetto
di censura da parte della Regione Campania  (reg.  ric.  n.  153  del
2012), motiva l'illegittimita' costituzionale delle  norme  impugnate
con argomentazioni identiche a quelle contenute  nel  ricorso  appena
citato. Per questa ragione puo' farsi integrale rinvio  alla  sintesi
riportata sopra. 
    19.- Con ricorso notificato il 15 ottobre 2012 e depositato il 19
ottobre  (reg.  ric.  n.  159  del   2012),   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale di alcune  disposizioni  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, e, tra queste, dell'art. 17, per violazione degli artt.
77 e 133 Cost., dell'art. 4, primo  comma,  n.  1-bis),  della  legge
cost. n. 1 del 1963 e dell'art. 8 del d.lgs. n. 9 del 1997. 
    19.1.-  La  ricorrente  evidenzia  come  l'art.   17,   rubricato
«Riordino delle province e delle loro funzioni», sembri non riferirsi
alle Regioni a statuto speciale, dal momento che il comma  1  precisa
che «tutte le province delle regioni a  statuto  ordinario  esistenti
alla data di entrata in vigore del presente decreto sono  oggetto  di
riordino sulla base dei criteri e secondo  la  procedura  di  cui  ai
commi 2 e 3». 
    E' vero invece che, con la sola espressa eccezione della  Regione
autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, la disposizione riguarda anche
le autonomie speciali. Il comma 5 dell'art. 17 prevede, infatti,  che
«le Regioni a statuto speciale, entro sei mesi dalla data di  entrata
in vigore del presente decreto,  adeguano  i  propri  ordinamenti  ai
principi di cui al  presente  articolo,  che  costituiscono  principi
dell'ordinamento  giuridico   della   Repubblica   nonche'   principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica». 
    Sul rilievo che l'obbligo di  adeguamento  ivi  prescritto  gravi
anche sulla Regione Friuli-Venezia Giulia,  la  difesa  della  stessa
Regione  ritiene  che  sia  stata  violata  la   propria   competenza
statutaria, con conseguente legittimazione alla impugnazione. 
    La tesi della ricorrente e' che le  Regioni  speciali  dovrebbero
provvedere ad applicare autonomamente,  nel  proprio  territorio,  il
procedimento di riordino previsto per le Regioni a statuto ordinario,
con minime possibilita' di adattamento. In ogni caso,  e'  contestato
anche il contenuto dei principi enucleati dal legislatore statale per
il riordino delle Province, sul rilievo che  tale  illegittimita'  si
riverberi sui vincoli posti alla ricorrente dal comma 5. 
    19.2.- Dai primi  quattro  commi  dell'art.  17  si  desumerebbe,
secondo la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che  la  procedura
configurata prevede snodi eventuali e snodi  ineliminabili,  nel  cui
ambito non e' comunque prevista una specifica iniziativa dei Comuni. 
    Costituirebbero  snodi  eventuali  sia  l'ipotesi   di   riordino
formulata  dal  Consiglio  delle  autonomie  locali,  sia   l'analoga
proposta ad opera della Regione, mentre  il  procedimento  essenziale
per la revisione delle circoscrizioni provinciali sarebbe  costituito
dalla previa deliberazione dei criteri da  parte  del  Consiglio  dei
ministri (avvenuta con  provvedimento  del  20  luglio  2012),  dalla
presentazione del disegno  di  legge  governativo  di  riordino,  dal
parere della Conferenza unificata e,  infine,  dall'approvazione  del
disegno di legge da parte del Parlamento. 
    Si tratterebbe, in definitiva, di un procedimento  diretto  dagli
organi centrali dello Stato, in particolare dal  Governo,  il  quale,
con la fissazione dei criteri  per  il  riordino,  precostituisce  il
contenuto del disegno di legge. 
    19.3.- Ad avviso della ricorrente, la  procedura  richiamata  non
potrebbe trovare applicazione diretta nel suo territorio, posto  che,
ai sensi  dell'art.  4,  numero  1-bis,  dello  statuto  speciale  di
autonomia, essa e'  titolare  di  potesta'  legislativa  primaria  in
materia di ordinamento degli enti locali. L'art.  8  delle  norme  di
attuazione dello statuto speciale di cui al  d.lgs.  n.  9  del  1997
prevede infatti che in tale materia «e' ricompresa la revisione delle
circoscrizioni provinciali, l'istituzione di nuove province e la loro
soppressione,  su  iniziativa  dei  comuni,  sentite  le  popolazioni
interessate». 
    Tuttavia,  come  gia'  evidenziato,  il  comma  5  dell'art.   17
stabilisce che le  Regioni  a  statuto  speciale  adeguino  i  propri
ordinamenti ai principi indicati nel medesimo art. 17, costituendo  i
predetti  «principi  dell'ordinamento  giuridico   della   Repubblica
nonche'  principi  fondamentali  di   coordinamento   della   finanza
pubblica». 
    Secondo  la  ricorrente,  il  vincolo  di   adeguamento   sarebbe
costituzionalmente  illegittimo  sia   per   ragioni   attinenti   al
meccanismo configurato nei commi da 1 a 4 dell'art. 17, in se' lesivo
dell'art. 133 Cost., sia perche' invasivo della competenza  regionale
sancita dall'art. 8 delle norme di attuazione dello statuto  speciale
di cui al d.lgs. n. 9 del 1997, sia, infine, perche' le  disposizioni
alle quali la Regione dovrebbe adeguarsi non costituirebbero principi
dell'ordinamento giuridico ne' principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica. 
    19.4.- Nel merito, sarebbe evidente che la procedura di revisione
delle circoscrizioni provinciali configurata dall'art. 17 del d.l. n.
95 del 2012 non corrisponde al modello indicato dall'art. 133,  primo
comma, Cost. La centralita' del ruolo dei Comuni, indicata nel citato
parametro, e' stata riconosciuta dalla sentenza n. 347 del 1994 della
Corte costituzionale, nella quale si  e'  affermato  che  l'art.  133
Cost.   impone   un   procedimento   legislativo   costituzionalmente
rinforzato, anche in ragione del formale intervento dei Comuni. 
    La scelta dei Costituenti, frutto di un emendamento alla iniziale
configurazione  del  procedimento  su   iniziativa   delle   Regioni,
intendeva enfatizzare il ruolo delle popolazioni interessate, in  una
prospettiva opposta a quella, verticistica, assunta  dal  legislatore
del 2012. 
    Il contrasto evidente tra i percorsi delineati,  rispettivamente,
dalla Costituzione e dal d.l. n. 95  del  2012,  avrebbe  indotto  il
Governo  a  precisare,  nella  relazione  al  disegno  di  legge   di
conversione del citato decreto, che «anche a voler prescindere  dalla
considerazione che, trattandosi di riordino  complessivo,  non  trova
applicazione l'art. 133 della Costituzione, va rilevato in ogni  caso
che detto articolo e', nella sostanza, rispettato, visto che i Comuni
sono  pienamente  coinvolti  tramite  il  Consiglio  delle  autonomie
locali». 
    La difesa della  Regione  ricorrente  reputa  infondata  la  tesi
governativa, giacche', per un verso,  il  Consiglio  delle  autonomie
locali non coincide affatto con i Comuni interessati, potendo persino
esprimere decisioni contrarie alla volonta' di questi ultimi, e,  per
altro verso, la normativa impugnata  configura  come  solo  eventuale
l'iniziativa del Consiglio. 
    In realta', osserva la ricorrente, l'idea stessa di un  «generale
riordino delle Province secondo criteri  diversi  da  quello  storico
[sarebbe] estranea alla Costituzione», e non perche' la  Costituzione
non si occupi del tema, come sostenuto dal Governo  con  ragionamento
paradossale, bensi' perche'  la  Costituzione,  nel  disciplinare  il
procedimento legislativo ordinario di trasformazione  delle  Province
esistenti,  esclude  che  il  riordino  generale  del  sistema  possa
avvenire al di fuori di un procedimento di revisione costituzionale. 
    19.5.- La  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  reputa  la  normativa
statale lesiva della competenza statutaria in materia di  ordinamento
degli enti locali, che comprende la  revisione  delle  circoscrizioni
provinciali. L'art. 8 delle norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 9
del 1997 richiama, nella formulazione letterale,  l'art.  133  Cost.,
prescrivendo che si proceda su iniziativa dei Comuni, ed aggiunge  il
vincolo a sentire le popolazioni interessate. 
    Da quanto esposto discenderebbe che la  ricorrente  non  potrebbe
ottemperare agli obblighi imposti dall'art. 17 del  d.l.  n.  95  del
2012 senza, al contempo, violare le  regole  di  base  dell'esercizio
della propria competenza in materia di revisione delle circoscrizioni
provinciali. 
    Il dovere di adeguamento,  previsto  dal  comma  5  dell'art.  17
citato, sarebbe pertanto illegittimo, in ragione  del  suo  specifico
contenuto, sia in riferimento all'art. 133 Cost.,  sia  in  relazione
all'art. 8 del d.lgs. n. 9 del 1997. Nondimeno, la  difesa  regionale
sottolinea che, se anche il  contenuto  dell'art.  17  fosse  in  se'
legittimo, ugualmente l'imposizione del dovere di adeguamento sarebbe
lesivo dell'autonomia regionale statutaria. 
    Le regole fissate dall'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012 in materia
di revisione delle  circoscrizioni  provinciali  non  costituirebbero
principi dell'ordinamento giuridico  della  Repubblica  ne'  principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. Si tratterebbe,
infatti, di mere regole dimensionali e procedurali, il  cui  utilizzo
sarebbe limitato ad un'unica occasione; regole non  coincidenti,  per
di piu', con quelle fissate nell'art. 21 del d.lgs. n. 267 del  2000,
che stabiliscono  i  criteri  ai  quali  i  Comuni  devono  attenersi
nell'esercizio  «dell'iniziativa  di  cui  all'articolo   133   della
Costituzione»,   volta   alla   «revisione    delle    circoscrizioni
provinciali». 
    Parrebbe dunque che, con riferimento  al  medesimo  oggetto,  non
possano esistere principi dell'ordinamento giuridico  contraddittori,
e, in ogni caso, che principi  dell'ordinamento  non  possano  essere
ricavati da norme che derogano ad altre,  di  contenuto  generale.  A
cio' andrebbe aggiunto  che,  ai  sensi  dell'art.  4  dello  statuto
speciale, soltanto leggi formali ed atti ad esse  equiparati  possono
limitare la potesta' legislativa primaria  della  ricorrente,  e  non
anche gli atti amministrativi, come la  deliberazione  del  Consiglio
dei ministri prevista dal comma 2 dell'art. 17 per la definizione dei
limiti dimensionali delle nuove Province. 
    Le  norme  impugnate,  ad  avviso   della   ricorrente,   neppure
conterrebbero principi fondamentali di  coordinamento  della  finanza
pubblica, non presentando alcun contenuto finanziario al di  la'  del
presupposto, di buon  senso  ma  tecnicamente  non  riconducibile  ai
suddetti principi,  secondo  cui  un  numero  inferiore  di  Province
dovrebbe comportare una minore spesa pubblica. 
    19.6.- La difesa della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  impugna,
infine, l'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012 per contrasto con l'art. 77
Cost., per carenza dei requisiti di necessita' ed urgenza. 
    La natura stessa della materia del riordino  ordinamentale  delle
Province  richiederebbe  il  procedimento  legislativo  ordinario   e
soltanto una  «urgenza  estrema  ed  evidente  potrebbe  giustificare
l'anticipazione di qualche singolo aspetto del procedimento  con  uno
strumento di urgenza». 
    Vi  sarebbe  del  resto  un  chiaro  collegamento  tra  il  vizio
procedurale e i limiti contenutistici della normativa impugnata,  la'
dove la scelta della decretazione  d'urgenza  non  ha  consentito  di
stabilire i criteri del  riordino,  ne'  ad  attestare  l'urgenza  di
provvedere sarebbero  sufficienti  i  termini,  relativamente  brevi,
fissati  per  le  diverse  fasi   del   procedimento   di   riordino.
Mancherebbe,  infatti,   l'individuazione   di   immediati   risparmi
finanziari,  connessi  all'attuazione  del   riordino,   ove   invece
parrebbero sicuri,  nel  breve  periodo,  l'aumento  di  spesa  e  le
disfunzioni collegate alla transizione da un assetto all'altro. 
    20.- Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il 19
ottobre (reg. ric. n. 160 del 2012), la Regione autonoma Sardegna  ha
promosso  questioni  di   legittimita'   costituzionale   di   alcune
disposizioni del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135 del  2012,  e,  tra  queste,
degli artt. 17 e 18, per violazione degli artt. 116 e 133 Cost.,  del
principio di leale collaborazione e degli artt. 3, 43, 45 e 54  della
legge cost. n. 3 del 1948. 
    20.1.- La  ricorrente  premette  che  tutti  i  riferimenti  alle
attribuzioni costituzionali riconosciute alle Regioni ordinarie  sono
richiamati per il tramite dell'art. 10 della legge  cost.  n.  3  del
2001, che estende alle Regioni a statuto speciale le disposizioni  di
maggior favore previste per quelle ordinarie. 
    Ancora in via  preliminare,  la  stessa  difesa  precisa  che  la
Regione Sardegna non ignora la particolare congiuntura economica  ne'
la difficile situazione economico-finanziaria in cui versa il  Paese,
entrambi fattori invocati dal Governo per  giustificare  l'uso  della
decretazione d'urgenza,  ai  sensi  dell'art.  77  Cost.  La  Regione
ricorrente non intende, infatti, sottrarsi al  contributo  cui  tutti
gli enti territoriali sono chiamati per  migliorare  lo  stato  della
finanza  pubblica.  Nondimeno  la  situazione   economico-finanziaria
generale  non  puo'  costringere  a  rinunciare  alla  difesa   delle
attribuzioni costituzionali e  statutarie,  violate  dalla  normativa
impugnata (e' richiamata la sentenza n. 151 del 2012). 
    D'altra parte, proprio con il d.l. n. 95 del 2012 il  legislatore
statale ha rimodulato l'impegno al miglioramento dei conti  pubblici,
al punto che, come si legge nel preambolo  allo  stesso  decreto,  ha
ritenuto di sospendere l'incremento dell'imposta sul valore aggiunto,
nonche' di garantire le necessarie risorse  per  la  prosecuzione  di
interventi indifferibili. 
    20.2.- Su queste premesse,  la  ricorrente  impugna  innanzitutto
l'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012 per  violazione  del  principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 117 e ss. Cost.,  degli  artt.
116 e 133 Cost., e degli artt. 3, 43 e 54 dello statuto speciale  per
la Sardegna. 
    La difesa regionale riporta il contenuto  della  norma  impugnata
osservando come alla stessa sottenda una  «radicale  diminuzione  del
numero delle Province», attraverso la soppressione di molte di  esse,
ovvero l'accorpamento  delle  circoscrizioni  territoriali  ad  altro
Ente. Tale obiettivo si ricaverebbe dalla  previsione  contenuta  nel
comma 2 dell'art. 17,  che  demanda  ad  apposita  deliberazione  del
Consiglio dei  ministri  l'individuazione  dei  requisiti  minimi  di
popolazione residente e di estensione territoriale. 
    La  deliberazione,  assunta  il  20  luglio  2012,   ha   fissato
l'estensione territoriale  minima  in  duemilacinquecento  chilometri
quadrati e la popolazione minima  in  trecentocinquantamila  persone.
Pertanto, osserva la difesa regionale, l'attivita' di riordino  delle
Province finisce per risolversi nella individuazione  di  quelle  che
non possiedono i suddetti requisiti, destinate, in quanto tali,  alla
soppressione, con conseguente accorpamento del loro territorio ad  un
altro ente provinciale. 
    Il  descritto  complesso  procedimento  si  applica,   ai   sensi
dell'art. 17, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012, a «tutte le  province
delle regioni a statuto ordinario esistenti alla data di  entrata  in
vigore del presente decreto», mentre il comma 5 del medesimo art.  17
impone alle Regioni a statuto speciale di adeguare,  entro  sei  mesi
dalla data di entrata in vigore del decreto, i propri ordinamenti «ai
principi di cui al  presente  articolo»,  qualificati  come  principi
dell'ordinamento giuridico della  Repubblica  nonche'  come  principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. 
    20.3.- La ricorrente segnala che, alla data di entrata in  vigore
del d.l. n. 95 del 2012, le Province esistenti nella Regione Sardegna
sono quelle cosiddette storiche, ossia  Cagliari,  Sassari,  Nuoro  e
Oristano,   essendo   state   gia'   soppresse   le    Province    di
Carbonia-Iglesias,  del  Medio   Campidano,   dell'Ogliastra   e   di
Olbia-Tempio, a seguito del referendum 6 maggio 2012, che ha abrogato
la legge della Regione Sardegna 12 luglio  2001,  n.  9  (Istituzione
delle   province   di   Carbonia-Iglesias,   del   Medio   Campidano,
dell'Ogliastra e di Olbia-Tempio), istitutiva delle predette. 
    Delle quattro Province cosiddette storiche, quelle  di  Cagliari,
Nuoro e  Sassari  sono  espressamente  previste  dall'art.  43  dello
statuto di autonomia, il quale stabilisce che  «con  legge  regionale
possono essere modificate  le  circoscrizioni  e  le  funzioni  delle
province, in conformita' alla volonta' delle popolazioni di  ciascuna
delle province interessate espressa con referendum». La Provincia  di
Oristano, invece, e' stata istituita con la legge statale  16  luglio
1974, n. 306 (Istituzione della provincia di Oristano). 
    Cosi' ricostruito il  contesto  normativo  sul  quale  incide  la
disposizione   impugnata,    l'illegittimita'    costituzionale    di
quest'ultima sarebbe addirittura palese. 
    La ricorrente osserva come,  ai  fini  del  previsto  adeguamento
dell'ordinamento regionale alle disposizioni statali sul riordino,  e
quindi in funzione della  soppressione  o  dell'accorpamento  di  una
delle Province di Cagliari, Sassari e Nuoro,  sarebbe  necessaria  la
revisione dello  statuto,  posto  che  la  legge  regionale  potrebbe
soltanto modificare le relative circoscrizioni. 
    Ne consegue che, essendo necessaria una legge costituzionale  per
la revisione dello statuto, la Regione Sardegna  non  puo'  procedere
all'adeguamento  del  proprio  ordinamento  secondo  quanto  previsto
dall'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012. 
    Precisa la ricorrente che, ai sensi dell'art. 54,  ultimo  comma,
dello statuto, soltanto le  disposizioni  contenute  nel  Titolo  III
(articoli da 7 a 14) possono essere modificate  con  leggi  ordinarie
della Repubblica, su proposta del Governo o della Regione, sentita in
ogni caso quest'ultima. 
    In questa prospettiva, la difesa regionale richiama  la  sentenza
n. 198 del 2012, nella quale la Corte costituzionale ha rilevato che,
poiche' la disciplina degli organi delle Regioni a  statuto  speciale
e'   contenuta   nei   rispettivi   statuti,   adottati   con   legge
costituzionale al fine di  garantire  le  particolari  condizioni  di
autonomia di tali enti, l'adeguamento al disposto dell'art. 14, comma
1, del d.l. n. 138 del 2011 da parte di dette Regioni  richiedeva  la
modifica di fonti di rango costituzionale, alle quali, peraltro, «una
legge ordinaria non puo' imporre limiti e condizioni». 
    Cio' detto con  riguardo  alle  Province  previste  espressamente
dallo statuto, la difesa regionale esamina la diversa situazione  che
si determinerebbe ove l'adeguamento al riordino riguardasse  la  sola
Provincia istituita con  legge  statale,  e  cioe'  la  Provincia  di
Oristano. 
    In questo caso, l'art. 43  dello  statuto  impone  una  procedura
rafforzata  dal   referendum,   espressivo   della   volonta'   delle
popolazioni, con la conseguenza che non potrebbero essere  rispettati
i tempi di adeguamento, come previsti dall'impugnato art. 17. Ne'  si
potrebbe  ritenere  utilizzabile,  ai  fini  che  qui  rilevano,   il
referendum consultivo regionale, previsto dalla legge  della  Regione
Sardegna 17 maggio 1957,  n.  20  (Norme  in  materia  di  referendum
popolare regionale), svolto il 6 maggio 2012, il cui quesito n. 5 era
formulato nei seguenti «Siete  voi  favorevoli  all'abolizione  delle
quattro province "storiche" della Sardegna, Cagliari, Sassari,  Nuoro
e Oristano?». 
    Tale  proposta   referendaria   non   risulta   in   alcun   modo
sovrapponibile all'eventuale soppressione della Provincia di Oristano
e annessione del relativo territorio ad una  o  piu'  delle  Province
statutarie,  ragione  per  cui  sarebbe  necessaria   una   ulteriore
consultazione popolare. 
    Sarebbe in definitiva evidente, a  parere  della  ricorrente,  il
contrasto fra i commi da 1 a 4-bis e 5 dell'art. 17 del  d.l.  n.  95
del 2012, da una parte, e il principio di leale collaborazione e  gli
artt. 43 e 54 dello statuto, dall'altra. 
    20.4.-  La  normativa  impugnata  violerebbe  anche  il  disposto
dell'art.  133  Cost.,  il  quale  prevede  che  il  mutamento  delle
circoscrizioni provinciali e l'istituzione  di  nuove  Province  sono
stabiliti con legge statale, su iniziativa dei Comuni. 
    A parte il rilievo che, ai sensi dell'art. 45 dello  statuto,  la
competenza appartiene  al  legislatore  regionale,  la  difesa  della
ricorrente osserva che il primo comma dell'art. 133 Cost. fa salvo il
principio della  consultazione  delle  comunita'  locali,  attraverso
l'iniziativa legislativa, che pure non potrebbe  avvenire  nei  tempi
ristretti imposti dall'art. 17. 
    Conclusivamente,  la  previsione   del   riassetto   degli   enti
provinciali, direttamente disciplinati dallo  statuto  di  autonomia,
violerebbe gli artt. 43 e 54 dello stesso statuto, in uno con  l'art.
116 Cost. 
    20.5.- La  ricorrente  considera  costituzionalmente  illegittimi
anche i commi da 6 a 12 dell'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012,  con  i
quali il  legislatore  ha  portato  a  compimento  la  riforma  delle
funzioni delle Province, e degli organi di governo dei predetti  enti
territoriali, introdotta con l'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, gia'
impugnato dalla Regione Sardegna (reg.  ric.  n.  47  del  2012).  In
proposito, la difesa regionale precisa di voler insistere nei  motivi
di ricorso gia' formulati. 
    Lo Stato avrebbe disposto, in modo autoritativo e unilaterale, la
riforma degli organi e delle funzioni delle Province,  gia'  prevista
dal citato art. 23, e confermata dall'impugnato art. 17, senza tenere
conto della  riserva  statutaria  nelle  materie  «ordinamento  degli
uffici e degli enti  amministrativi  della  Regione»  e  «ordinamento
degli enti locali e delle relative circoscrizioni» (art. 3, comma  1,
lettere a e b dello statuto). 
    Le previsioni censurate non potrebbero  essere  qualificate  come
norme fondamentali, di riforma  economico-sociale  della  Repubblica,
stante  il  contenuto  dettagliato,  non  necessario  ai  fini  della
realizzazione degli obiettivi di maggiore efficienza  perseguiti  dal
legislatore statale. 
    In particolare, risulterebbero lesivi  dell'autonomia  statutaria
regionale i commi 6, 7 e 8 dell'art. 17, nella parte in cui - al pari
dei commi 18 e 19 dell'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011 - operano  il
trasferimento ai Comuni di funzioni gia' attribuite alle  Province  e
le connesse risorse. 
    Secondo la ricorrente, infatti, non si potrebbe ritenere  che  il
legislatore statale fosse legittimato ad intervenire come  ha  fatto,
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. in quanto il
parametro richiamato  fa  riferimento  alle  «funzioni  fondamentali»
degli  enti  locali,  riguardo  alle  quali  trova  applicazione   la
disciplina dello statuto speciale di autonomia. 
    20.6.- La Regione Sardegna impugna anche l'art. 18 del d.l. n. 95
del 2012 per violazione dei medesimi parametri. 
    La  ricorrente  osserva  che  la  norma  in  esame  non  menziona
direttamente una Citta' metropolitana  da  istituirsi  nella  Regione
Sardegna, nondimeno l'art. 17, comma 5, della legge n. 142 del  1990,
da ritenersi fonte originaria della  disciplina  di  questo  tipo  di
ente,  stabiliva  che  «in  attuazione  dell'art.  43   della   legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (statuto  speciale  per  la
Sardegna), la regione Sardegna  puo'  con  legge  dare  attuazione  a
quanto   previsto   nel   presente   articolo   delimitando    l'area
metropolitana di Cagliari». 
    La disposizione riportata e' stata  oggetto  di  modificazione  e
quindi  trasfusa  nel  d.lgs.  n.  267  del  2000,  il  cui  art.  22
disciplinava la materia, prevedendo al comma 3 che «restano ferme  le
citta' metropolitane e le aree metropolitane definite dalle regioni a
statuto speciale». 
    L'art. 22 citato e' stato abrogato dall'art. 18, comma 1,  ultimo
capoverso, del d.l. n. 95 del  2012,  con  la  conseguenza  che  alla
Regione Sardegna dovrebbe essere  preclusa  l'istituzione  di  Citta'
metropolitane nel territorio regionale, compresa quella di  Cagliari,
con conseguente lesione delle attribuzioni statutarie. 
    E' vero infatti  che,  se  anche  l'art.  45  dello  statuto  non
contempla direttamente le Citta' metropolitane,  si  dovrebbe  tenere
conto del fatto che tali  enti,  nel  territorio  su  cui  insistono,
modificano sia l'ordinamento della Provincia, sia quello  dei  Comuni
che vengono a  farne  parte.  Pertanto,  la  richiamata  disposizione
statutaria  dovrebbe  essere  interpretata  nel  senso  che,  tra  le
attribuzioni della Regione Sardegna, e' compresa l'istituzione  delle
Citta' metropolitane, la cui mancata  espressa  menzione  deriverebbe
semplicemente   dall'anteriorita'   dello   statuto   rispetto   alla
introduzione, nell'ordinamento, dei predetti enti. 
    In questa prospettiva, dunque, l'art. 18 del d.l. n. 95 del 2012,
nella parte in cui abroga l'art. 22 (in specie il comma 3) del d.lgs.
n. 267 del 2000, cosi'  escludendo  che  la  Regione  Sardegna  possa
istituire le  Citta'  metropolitane  nel  proprio  territorio,  e  in
particolare la Citta'  metropolitana  di  Cagliari,  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 45 e 54 dello Statuto, nonche' con l'art. 116
Cost., in quanto dispone il  riassetto  di  enti  territoriali  senza
tenere conto della competenza regionale in materia (e' richiamata  la
sentenza della Corte costituzionale n. 198 del 2012). 
    I  parametri  indicati  sarebbero  violati   anche   perche'   il
procedimento di istituzione delle  Citta'  metropolitane  configurato
dall'art. 18, ai commi 2, 2-bis, 3-bis, 3-ter e 3-quater, non prevede
la  preventiva  consultazione  delle   popolazioni   interessate,   a
differenza di quanto stabilito dall'art. 45 dello statuto, che regola
la maggiore autonomia conferita alle Regioni a statuto speciale, come
riconosciuta anche dall'art. 116 Cost. 
    21.- Con ricorso spedito per la  notifica  il  12  ottobre  2012,
ricevuto il 16 ottobre e depositato il 22 ottobre (reg. ric.  n.  161
del 2012), la Regione Piemonte ha promosso questioni di  legittimita'
costituzionale di alcune  disposizioni  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, e,  tra  queste,  dell'art.  17,  commi  6  e  12,  per
violazione degli artt. 5, 77, 114, 117, secondo  comma,  lettera  p),
quarto e sesto comma, 118, 119 e 120 Cost., e del principio di  leale
collaborazione. 
    21.1.-   In   premessa   la   ricorrente   afferma   la   propria
legittimazione ad impugnare la norma oggetto, in quanto lesiva  delle
proprie prerogative e di quelle degli  enti  locali,  alla  luce  sia
della  consolidata  giurisprudenza  costituzionale  sul  punto,   sia
dell'art. 9 della legge n. 131 del 2003. 
    21.2.- Quanto al merito dell'impugnazione,  la  difesa  regionale
richiama il contenuto dell'art. 17, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012,
che interviene sull'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011. La disposizione
riportata, da ritenersi di difficile interpretazione in relazione  al
contenuto dei commi 14 e 18 dell'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011, e'
impugnata proprio se ed in quanto confermativa di dette norme, per le
medesime ragioni rappresentate con il ricorso n. 18 del 2012; ragioni
che la difesa regionale ripropone unitamente ad  ulteriori  dubbi  di
legittimita' costituzionale aventi specificamente ad  oggetto  l'art.
17, comma 6. 
    21.3.-  La  ricorrente  ritiene  violato  l'art.  5  Cost.,   che
riconosce «rilievo costituzionale alle autonomie locali, al principio
del piu' ampio decentramento amministrativo e  all'adeguamento  della
legislazione   statale   alle   esigenze   dell'autonomia    e    del
decentramento». 
    La norma impugnata avrebbe invertito il significato del parametro
richiamato,  con  grave  compromissione  dell'autonomia  regionale  e
dell'assetto ordinamentale ed istituzionale della stessa. 
    21.4.- Si assume, inoltre, che la  riduzione  delle  attribuzioni
del Consiglio provinciale, quale organo  amministrativo  fondamentale
della Provincia, al solo indirizzo e coordinamento dell'attivita' dei
Comuni, con conseguente trasferimento  delle  altre  attribuzioni  ai
Comuni e alle Regioni, violerebbe palesemente l'art. 114 Cost., nella
sostanza e nella forma. 
    In primo luogo, si osserva dalla difesa regionale, «una  proposta
di  riordino  (che  non  equivale  necessariamente  a   soppressione)
complessivo delle istituzioni territoriali non puo' essere oggetto di
un decreto-legge volto a risanare  le  finanze  pubbliche  (obiettivo
peraltro  non  raggiunto  con  la  norma  impugnata)   e   di   fatto
modificativo della Costituzione». 
    In secondo luogo, la normativa statale non avrebbe lasciato alcun
margine di scelta alle Province e alle stesse Regioni. 
    Sarebbero violati altresi' gli artt. 117, secondo comma,  lettera
p), quarto e sesto comma, 118 e 119  Cost.,  posto  che  l'intervento
«demolitorio» attuato  con  la  norma  impugnata  travalicherebbe  la
competenza esclusiva statale in materia di «legislazione  elettorale,
organi di governo e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e
Citta' metropolitane», tenuto conto che  il  parametro  competenziale
indicato deve essere interpretato in  stretta  correlazione  con  gli
artt. 5 e 114 Cost. La competenza  esclusiva  statale  riguardo  alla
individuazione  delle  funzioni  fondamentali  degli  enti  indicati,
quindi, dovrebbe essere esercitata  nel  rispetto  dell'esistenza  di
tali  enti  e  della  loro   autonomia,   come   riconosciuta   dalla
Costituzione. 
    Con  la  riduzione  delle  attribuzioni  al  solo   indirizzo   e
coordinamento  dell'attivita'  dei   Comuni   si   realizzerebbe   lo
svuotamento  delle  funzioni  delle  Province,  la  cui   natura   e'
regolamentare  e   amministrativa,   e   quindi,   in   realta',   la
cancellazione  stessa  dell'ente   Provincia,   con   impatto   anche
sull'assetto legislativo e regolamentare delle Regioni. 
    Sarebbero violate le competenze  residuali  e  concorrenti  delle
Regioni, e la stessa potesta'  regolamentare  di  queste  ultime,  in
quanto il Governo imporrebbe loro di trasferire ai Comuni le funzioni
delle Province e  di  trattenere  quelle  finalizzate  ad  assicurare
l'esercizio unitario. Dovrebbe considerarsi, inoltre, che le Province
sono titolari anche di funzioni amministrative proprie e di  potesta'
regolamentare sull'organizzazione e lo svolgimento delle funzioni  ad
esse attribuite, ai sensi dell'art. 118, sesto comma, Cost. 
    In  definitiva,  la  norma  impugnata   sovvertirebbe   l'assetto
costituzionale delle autonomie locali e la scelta del legislatore  di
lasciare soltanto quattro funzioni di «area  vasta»  inciderebbe  sui
destinatari dell'esercizio di tali funzioni. 
    21.5.- La stessa norma violerebbe  inoltre  l'art.  77  Cost.  in
quanto l'iniziativa assunta dal Governo con l'art. 17 non produrrebbe
alcun risparmio (come confermerebbero i dati della  Ragioneria  dello
Stato), ed anzi lascerebbe inalterate le fonti di finanziamento delle
funzioni. 
    21.6.-  Vi  sarebbe  poi  la  lesione  del  principio  di   leale
collaborazione, giacche', se si eccettua l'intesa prevista nei  commi
7 e 8, non e' prevista alcuna concertazione  tra  Stato,  Regioni  ed
Enti locali,  che,  invece,  la  natura  e  l'oggetto  della  riforma
richiederebbe. 
    21.7.- La Regione Piemonte ritiene che il comma 12  dell'art.  17
violi gli artt. 5 e 114 Cost. 
    La citata disposizione mantiene ferma la disciplina  dettata  dal
comma 15 dell'art. 23 del d.l.  n.  201  del  2011,  secondo  cui  il
Consiglio provinciale e' costituito da non piu' di  dieci  componenti
eletti da organi elettivi dei Comuni ricadenti nel  territorio  della
Provincia, e il Presidente e' eletto dal Consiglio Provinciale. 
    Ad avviso della ricorrente,  tale  sistema  non  garantirebbe  la
rappresentanza delle popolazioni locali e dei territori  interessati,
neppure nell'accezione di rappresentanza di secondo grado, perche' si
tratterebbe di una rappresentanza «associativa» dei Comuni, che  puo'
eleggere un numero di consiglieri non proporzionato alla popolazione. 
    22.- Con ricorso notificato il 13 ottobre 2012 e depositato il 23
ottobre (reg. ric. n. 169 del 2012), la Regione Calabria ha  promosso
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 17, commi 1, 2, 3,
4 e 4-bis, del d.l. n. 95 del 2012,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135  del  2012,  per  violazione
degli artt. 3, 5, 77, 114, 117, 118 e 133 Cost. 
    22.1.-  Dopo  una  premessa  storica  sulle   origini   dell'ente
Provincia e sull'evoluzione della relativa disciplina, la  ricorrente
prospetta l'illegittimita' delle norme impugnate,  in  quanto  lesive
della sfera di competenza regionale nonche' degli ambiti di autonomia
riconosciuti dalla Costituzione agli enti  locali  ed  «ai  cittadini
calabresi». 
    22.2. - Sarebbero violati gli artt. 77 e  114  Cost.,  «sotto  il
profilo dell'illegittimo utilizzo della  decretazione  d'urgenza  per
comprimere  il  sistema  delle  autonomie  locali  e  della   abusiva
intromissione  nella  sfera  di  autonomia»   che   la   Costituzione
garantisce. 
    La difesa regionale richiama il sistema previgente  alla  riforma
del Titolo V della Parte seconda della Costituzione,  ricordando  che
l'art. 128 Cost. istituiva un sistema di autonomia  rafforzata  degli
enti locali, a sua volta garantita  da  «principi  fissati  da  leggi
generali della Repubblica». Tali leggi generali, pur non avendo rango
costituzionale,  svolgevano,  su  un  piano  diverso,  una   funzione
costituente, in quanto il Parlamento, per il loro tramite, si  faceva
supremo garante dell'equilibrio fra Province e Comuni da  un  lato  e
Stato e Regioni dall'altro. 
    L'autonomia rafforzata, di cui al previgente art. 128  Cost.,  e'
tuttora richiamata dall'art.  1  del  d.lgs.  n.  267  del  2000,  in
particolare nelle disposizioni contenute nei commi 2 e 4. La  riforma
del Titolo V, secondo la  difesa  regionale,  avrebbe  accentuato  la
rilevanza costituzionale degli enti locali, passando da un sistema ad
autonomia garantita dalle leggi generali  ad  un  sistema  nel  quale
vengono in evidenza direttamente i principi costituzionali. 
    La previsione contenuta nell'art. 114, secondo comma, Cost.  reca
la locuzione «secondo i principi fissati dalla Costituzione», che nel
testo previgente dell'art. 115 era riservata alle  Regioni.  Da  cio'
discenderebbero implicazioni significative  sul  tema  oggetto  delle
odierne questioni, e, in primo luogo, la conseguenza che soltanto una
procedura delineata con legge costituzionale  potrebbe  portare  alla
soppressione di una o piu' Province. 
    Se poi si ritenesse che il legislatore, con l'art. 17  impugnato,
abbia voluto  configurare  una  procedura  di  mera  revisione  delle
Province, si dovrebbe considerare che tale procedura e' gia' prevista
da una "legge generale", e cioe' dall'art. 21 del d.lgs. n.  267  del
2000, il quale, fino all'entrata in vigore della  nuova  Carta  delle
autonomie  locali,  potrebbe  essere  derogato  solo  da  una   norma
espressa. 
    La ricorrente ritiene, inoltre, che difetterebbero, nella specie,
i  requisiti  di  necessita'  e  di  urgenza  per  l'adozione  di  un
decreto-legge, ed osserva che una riforma destinata ad improntare per
decenni il sistema delle  autonomie  risulterebbe,  in  quanto  tale,
incompatibile con le caratteristiche contingenti  del  decreto-legge,
richiedendo piuttosto un'approfondita elaborazione e  programmazione,
oltre al coinvolgimento delle popolazioni e degli  enti  interessati,
secondo quanto previsto dall'art. 133 Cost. 
    22.3.-  Secondo  la  Regione  Calabria,   l'impugnato   art.   17
conterrebbe una  vera  e  propria  deroga  al  procedimento  previsto
dall'art. 133 Cost., con  riguardo  al  potere  di  iniziativa,  alla
consultazione delle popolazioni, alla funzione consultiva  regionale.
La decretazione d'urgenza avrebbe quindi il solo scopo  di  eliminare
un segmento del procedimento previsto  dal  parametro  citato,  senza
esplicare alcun effetto sulla diminuzione degli apparati  degli  enti
locali. 
    In  ogni  caso,  sarebbero  gravemente  limitate  le   competenze
regionali. 
    22.4.- E' denunciata, ancora, la violazione degli artt. 3, 5, 114
e 117 Cost. 
    Si ritiene dalla ricorrente che  l'attuazione  del  decreto-legge
comporti la soppressione di un rilevante numero di Province, e che la
logica delle "macro-province" contrasti con gli artt. 5 e 114  Cost.,
i quali prevedono il riconoscimento e la promozione  delle  autonomie
locali, e la loro disciplina quali enti autonomi, in  funzione  della
dimensione sociale e territoriale degli stessi. 
    I parametri evocati configurano e disciplinano  gli  enti  locali
come livello di  governo  del  territorio,  ed  i  principi  in  essi
contenuti sono richiamati dall'art. 21 del d.lgs. n.  267  del  2000,
che  indica  i  criteri  e  gli  indirizzi  per  la  revisione  delle
circoscrizioni  provinciali  e  l'istituzione  di   nuove   Province.
Diversamente, l'impugnato art. 17 ipotizza un  accorpamento  su  basi
meramente quantitative, non previste dalla  Costituzione,  oltre  che
produttive di effetti irragionevoli e discriminatori. 
    Per un verso, i cittadini delle Province di  dimensioni  ridotte,
destinate ad essere accorpate, saranno privati della possibilita'  di
usufruire dei servizi e delle istituzioni provinciali, e,  per  altro
verso, la sostanziale concentrazione  delle  istituzioni  provinciali
nei centri maggiori impedira' di attuare gli strumenti di uguaglianza
sostanziale  e  propulsiva,  relegando  ad  un  ruolo  marginale   le
popolazioni delle comunita' piu' piccole. 
    22.5.- La disposizione impugnata violerebbe l'art. 118 Cost. che,
nell'ambito della distribuzione delle funzioni amministrative  tra  i
vari  livelli  di  governo,  impone  il  rispetto  dei  principi   di
sussidiarieta', differenziazione  e  adeguatezza,  i  quali,  a  loro
volta, esigono che  l'attivita'  legislativa  ed  amministrativa  sia
improntata alla massima  considerazione  delle  esigenze  degli  enti
locali. Al contrario l'art.  17,  attribuendo  esclusivo  rilievo  ai
criteri  di  accorpamento  basati  su   estensione   territoriale   e
popolazione, avrebbe previsto un sistema che disconosce le diversita'
delle realta' provinciali. 
    22.6.- Di tutta evidenza sarebbero poi  la  violazione  dell'art.
117 Cost. e l'invasione delle competenze legislative regionali. 
    La ricorrente richiama il contenuto dell'art. 117, secondo comma,
lettere h) e p), Cost. per sottolineare che la  Costituzione,  mentre
non  assegna  allo  Stato  la  competenza  esclusiva  in  materia  di
istituzione  e  ordinamento  degli  enti  locali,  attribuisce   alle
Regioni, per esclusione, la materia «polizia amministrativa  locale».
Peraltro, anche nel campo della funzione legislativa concorrente, non
vi sono materie afferenti l'istituzione e  l'ordinamento  degli  enti
locali,  sicche'  apparterrebbero  alla  competenza  residuale  delle
Regioni  le  funzioni  legislative  non  contemplate  dall'art.  117,
secondo e terzo comma, Cost., e tra queste la materia «circoscrizioni
provinciali»,  allo  stesso  modo   della   materia   «circoscrizioni
comunali». 
    Sarebbero pertanto illegittime le previsioni contenute ai commi 1
e 4 dell'impugnato art. 17, in quanto il riordino territoriale  delle
Province potrebbe  essere  attuato  soltanto  con  la  legge  statale
prevista dall'art. 133 Cost., che e' legge-provvedimento a  contenuto
vincolato dalla proposta, preceduta dall'iniziativa dei Comuni e  dal
parere della Regione interessata. 
    Sarebbero del pari illegittime le previsioni contenute nei  commi
2 e 3, in quanto non rientrerebbe nella competenza statale  esclusiva
la fissazione dei requisiti minimi di popolazione  e  di  territorio,
ne'  la  disciplina  dell'organizzazione  e  del  funzionamento   del
Consiglio delle autonomie locali,  riservata  dall'art.  123,  ultimo
comma, Cost. allo statuto regionale. 
    Illegittimo risulterebbe anche il  comma  4-bis,  in  quanto  non
rientrerebbe nella competenza statale  la  fissazione  del  capoluogo
provinciale. 
    22.7.- La ricorrente sottolinea la differenza tra il procedimento
configurato dalla disposizione impugnata e il dettato  dell'art.  133
Cost., ed in particolare il fatto che il legislatore del 2012 non  ha
previsto l'iniziativa dei Comuni, non potendosi ritenere quest'ultima
surrogata dai poteri riservati al Consiglio  delle  autonomie  locali
(comma 3 dell'art. 17), organo non rappresentativo dei Comuni. 
    Inoltre,  la  consultazione  con  la   Regione   interessata   e'
sostituita dal parere della Conferenza unificata, nei casi in cui  la
Regione  non  si  pronunci,   cosi'   realizzando   un   procedimento
verticistico  simmetrico  e  contrario  a  quello   delineato   dalla
Costituzione. 
    22.8.- Sarebbe inoltre  violato  l'art.  5  della  Carta  europea
dell'autonomia locale, il quale stabilisce che «per ogni modifica dei
limiti  locali  territoriali,  le  collettivita'  locali  interessate
dovranno essere preliminarmente  consultate,  eventualmente  mediante
referendum, qualora cio' sia consentito dalla legge». 
    L'assenza  di  consultazione  delle  popolazioni  interessate  si
tradurrebbe, dunque, in  una  illegittima  compressione  dei  diritti
politici dei cittadini. 
    22.9.- La Regione Calabria ritiene infine che l'art. 17, comma 2,
del d.l. n. 95 del 2012, il quale demanda ad un  atto  amministrativo
governativo  (d.P.C.m.)   l'individuazione   dei   parametri   minimi
territoriali e demografici, si ponga in contrasto con la  riserva  di
legge "rafforzata" contenuta  nell'art.  133  Cost.,  oltre  che  con
l'art. 21 del d.lgs. n. 267 del 2000. 
    23.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nei
giudizi introdotti dai ricorsi nn. 133, 145, 151, 153, 154, 159, 160,
161,  169  del  2012,  svolgendo  argomentazioni   in   larga   parte
sovrapponibili, e concludendo, in tutti i casi, per la non fondatezza
delle questioni. 
    23.1.- La difesa statale eccepisce  anzitutto  l'inammissibilita'
dei ricorsi per carenza di legittimazione delle Regioni, sul  rilievo
che  la  normativa  impugnata  non  pregiudicherebbe  le   competenze
regionali. 
    Nella  materia  in  esame   (istituzione,   modifica,   riordino,
soppressione, ordinamento delle Province) soltanto lo  Stato  sarebbe
titolare di competenza legislativa, ai sensi degli artt. 117, secondo
comma, lettere g) e  p),  e  133,  primo  comma,  Cost.  Inoltre,  il
procedimento introdotto dall'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012  avrebbe
potenziato il ruolo delle Regioni,  attribuendo  loro  un  potere  di
iniziativa. 
    I ricorsi sarebbero poi inammissibili perche' contraddittori.  La
tesi delle ricorrenti si fonderebbe sull'assioma per cui,  una  volta
istituita, la Provincia non possa essere soppressa,  giacche'  l'art.
133  Cost.  farebbe  riferimento  soltanto  alla  modifica   o   alla
istituzione di  nuove  Province.  In  questa  prospettiva,  che  nega
l'applicabilita' dell'art. 133 Cost. ai fini della soppressione delle
Province,  non  si  potrebbe  denunciare  la  violazione  del  citato
parametro, senza cadere in contraddizione. 
    23.2.- Dopo aver riassunto la  vicenda  storica  che  ha  portato
all'istituzione dell'ente Provincia, la difesa  statale  rileva  che,
per la maggior parte, le Province attuali  sono  quelle  degli  Stati
preunitari. Dopo l'unificazione, si sono avuti diversi  provvedimenti
di riordino del territorio, non organici, tra cui si  ricorda  quello
adottato con il regio decreto-legge 2 gennaio 1927,  n.  1  (Riordino
delle circoscrizioni provinciali), con il quale furono  istituite  17
Province, aggregati alcuni Comuni, soppressa la Provincia di  Caserta
(poi nuovamente istituita nel 1945). 
    L'Avvocatura generale sottolinea il comprensibile interesse dello
Stato a riordinare le circoscrizioni provinciali, per adeguarle  alle
esigenze  attuali.  Tali  circoscrizioni,  in  quanto   articolazioni
amministrative,  rientrerebbero  nell'«ordinamento  e  organizzazione
amministrativa dello Stato», che e' materia di  competenza  esclusiva
statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. 
    Del resto, prosegue la difesa statale, la Provincia non  e'  nata
come istituzione originaria ed esponenziale del proprio territorio, a
differenza  del  Comune  e  della  Regione,  ma  come   segmento   di
suddivisione  territoriale  dello  Stato,  nella  quale  sono   stati
allocati i principali uffici statali periferici e quelli dei maggiori
enti nazionali, tutti organizzati su base provinciale. 
    23.3.- Passando al merito delle questioni,  l'Avvocatura  ritiene
che si debba anzitutto sgombrare il  campo  dalla  censura  posta  in
riferimento all'art. 77  Cost.,  trattandosi  di  questione  che  non
incide  sui  poteri  delle  Regioni.  In  ogni   caso,   secondo   la
giurisprudenza  costituzionale,  la  carenza  del   requisito   della
straordinaria  necessita'  ed  urgenza  di  provvedere,  per   essere
sindacabile, deve risultare «evidente» (sentenze n. 128 del 2008 e n.
171 del 2007). 
    Andrebbe poi considerato che le disposizioni sul  riordino  delle
Province, contenute nell'impugnato art. 17 del d.l. n. 95  del  2012,
sono destinate a produrre risparmi di  spesa,  come  affermato  nella
relazione finanziaria al disegno di legge di conversione del decreto,
attraverso la riduzione del numero di enti. 
    La ratio del decreto-legge, di riduzione  della  spesa  pubblica,
varrebbe ad unificare tutte le  previsioni  ivi  contenute,  comprese
quelle riguardanti il riordino  delle  Province.  La  difesa  statale
evidenzia lo stretto collegamento fra l'art. 17 e l'art. 10 del  d.l.
n. 95 del 2012, che prevede la riorganizzazione della presenza  dello
Stato sul territorio, in uno con l'esercizio unitario delle  funzioni
logistiche e strumentali  di  tutte  le  strutture  periferiche,  con
l'istituzione di servizi comuni  per  le  funzioni  di  gestione  del
personale,  di  economato,  di  gestione  dei   servizi   informativi
automatizzati, di gestione dei contratti,  di  utilizzazione  in  via
prioritaria di  immobili  di  proprieta'  pubblica,  determinando  un
risparmio  stimato  in  almeno  il  20%  della  spesa   attuale   per
l'esercizio di dette funzioni. 
    Il d.l. n. 95 del 2012 prevede dunque  un  riassetto  complessivo
dell'organizzazione periferica dello Stato,  dotato  di  organicita',
che trova nel d.P.C.m. sui criteri  di  accorpamento  delle  Province
soltanto il punto di partenza. 
    23.4.- La difesa  statale  ritiene  infondata  anche  la  censura
prospettata in riferimento all'art. 133 Cost., dedotta  in  relazione
agli artt. 5 e 114 Cost. 
    In realta',  il  procedimento  configurato  dall'art.  133  Cost.
riguarderebbe variazioni territoriali che nascono in ambito locale ed
interessano singoli Comuni, all'interno di una  singola  Regione.  Il
riordino  previsto  dall'art.  17,  invece,  ha  riguardo  all'intero
territorio nazionale e a tutte le  Province,  alle  quali  impone  di
rispondere   ai   requisiti   di   dimensionamento    ottimale    per
l'espletamento delle funzioni di area vasta. 
    Non a caso, il successivo art. 18 da'  l'avvio  alla  istituzione
delle Citta' metropolitane, destinate a sostituire le Province  nelle
aree territoriali  che  comprendono  i  maggiori  poli  urbani  della
penisola. 
    L'Avvocatura assume, inoltre, che il riordino previsto  dall'art.
17 non incida sulla posizione dei singoli  Comuni  rispetto  all'area
territoriale cui appartengono, diversamente da quanto accade nei casi
di variazioni territoriali alle quali si  riferisce  il  procedimento
configurato dall'art. 133  Cost.;  di  qui  la  ragionevolezza  della
mancata previsione dell'iniziativa dei Comuni. 
    La  difesa  statale  conclude  sul  punto  evidenziando  che   il
dimensionamento  ottimale  di  un  ente  territoriale   deve   essere
necessariamente  attribuito  allo  Stato,  anche  in  relazione  alla
materia  «legislazione  elettorale,  organi  di  governo  e  funzioni
fondamentali di Comuni, Province  e  Citta'  metropolitane»,  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. In tal senso, cadrebbe
anche la censura di violazione dell'art. 133 Cost. nella parte in cui
prevede una riserva di legge statale, essendo peraltro  pacifico  che
la riserva di legge e' compatibile con il rinvio integrativo ad altro
atto di normazione secondaria. 
    In ogni caso, il d.P.C.m. previsto dall'art. 17 impugnato sarebbe
soltanto un atto interno di una procedura delineata con legge  e  che
si conclude  con  un  atto  legislativo  di  iniziativa  governativa,
adottato sulla base  delle  proposte  regionali  (comma  4).  Nessuna
delegificazione sarebbe stata dunque attuata. 
    23.5.- La  difesa  statale  esamina  la  censura  prospettata  in
riferimento agli artt. 5 e 114 Cost., secondo cui l'individuazione di
parametri relativi alla consistenza territoriale ed alla popolazione,
previsti dal comma 2 dell'art. 17, confliggerebbe con il principio di
valorizzazione delle istanze decentrate e di sussidiarieta'. 
    Secondo lo schema delineato dal legislatore - e  diversamente  da
quanto ritenuto dalle ricorrenti  -  spetterebbe  ai  Consigli  delle
autonomie locali e  alle  Regioni  la  formulazione  di  proposte  di
riordino, che, nel rispetto dei  requisiti  dimensionali,  rispondano
all'esigenza  di  configurare,  in  ogni  Regione,  enti  provinciali
espressivi  anche  di  omogeneita'  geografiche,  storiche,  sociali,
economiche,  demografiche,  meritevoli  di  essere  rappresentate   a
livello di area vasta. 
    E del resto, osserva l'Avvocatura, la promozione delle  autonomie
locali non si consegue necessariamente con il loro aumento  numerico,
ma con l'attribuzione agli enti locali di adeguate funzioni e di  una
riconosciuta rappresentanza. 
    In ogni caso, l'Avvocatura ribadisce che l'art.  5  Cost.  affida
allo  Stato  il  compito  di  attuare  il  piu'  ampio  decentramento
amministrativo nei propri servizi, e quindi in Province riordinate  e
riformate, in linea  con  l'evoluzione  della  societa',  secondo  un
disegno funzionale e razionale, che  non  puo'  non  rientrare  nella
materia attribuita alla competenza statale esclusiva  dall'art.  117,
secondo comma, lettera p), Cost. 
    23.6.- Per  quanto  appena  detto,  risulterebbero  infondate  le
censure prospettate  in  riferimento  all'art.  117,  commi  secondo,
quarto e sesto, Cost., anche a prescindere dal fatto  che  un  titolo
concorrente di legittimazione potrebbe essere rinvenuto nella materia
del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema  tributario»,
di cui agli artt. 117, terzo comma,  e  119,  secondo  comma,  Cost.,
avuto riguardo al vincolo di  stabilita'  finanziaria  derivante  dal
patto di  stabilita'  comunitario,  che  legittimerebbe  l'intervento
statale volto a ridurre il numero delle Province  e  a  contenere  la
spesa pubblica, come esplicitato nel preambolo del  d.l.  n.  95  del
2012. 
    Tale decreto,  invero,  rappresenta  l'ultimo  di  una  serie  di
interventi che si propongono di fare  fronte,  con  urgenza,  ad  una
grave  crisi  economica,  al  fine  di   assicurare   la   stabilita'
finanziaria dello Stato. 
    In  questa  prospettiva,  i  principi  enunciati   dall'art.   17
sarebbero espressione di principi fondamentali di coordinamento della
finanza pubblica (comma 5),  giacche'  impongono  a  tutti  gli  enti
costitutivi della Repubblica di  concorrere  alla  realizzazione  del
bene pubblico, in attuazione dei  valori  di  solidarieta'  politica,
economica e sociale (art. 2 Cost.), di uguaglianza  economico-sociale
(art. 3, comma 2, Cost.), di unitarieta'  della  Repubblica  (art.  5
Cost.),  di  responsabilita'  internazionale  dello  Stato  (art.  10
Cost.), e dei correlati principi del concorso di  tutti  nelle  spese
pubbliche (art. 53 Cost.),  della  tutela  dell'unita'  giuridica  ed
economica (art. 120 Cost.),  e  degli  altri  doveri  espressi  dalla
Costituzione. 
    In definitiva, secondo la difesa statale, si deve ritenere che il
riassetto delle circoscrizioni provinciali, in  quanto  articolazioni
amministrative dello Stato, e' sicuramente consentito  allo  Stato  e
che il d.l. n. 95 del 2012 delinea,  in  proposito,  un  procedimento
rispettoso delle autonomie locali. 
    Sarebbero  gia'  state  evidenziate   le   differenze   di   tale
procedimento  rispetto  a  quello  previsto  dall'art.   133   Cost.,
finalizzato a consentire il mutamento delle  indicate  circoscrizioni
ad iniziativa delle comunita' locali, le cui norme di attuazione sono
contenute nel d.lgs. n.  267  del  2000.  Si  tratterebbe  quindi  di
interventi diversi, entrambi volti alla tutela di interessi pubblici,
e tra loro perfettamente compatibili. 
    Da un lato, l'art. 21, lettera f), del d.lgs.  n.  267  del  2000
stabilisce  che  l'istituzione  di  nuove   Province   non   comporta
necessariamente   l'istituzione   di   uffici    provinciali    delle
amministrazioni dello Stato e degli altri enti  pubblici,  dall'altro
lato, l'art. 17, comma 3, del d.l. n. 95 del  2012  prevede  che  «le
ipotesi e le proposte  di  riordino  tengano  conto  delle  eventuali
iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni  provinciali
esistenti». 
    La disposizione sottoposta all'odierno scrutinio sarebbe, infine,
rispettosa   delle   autonomie   locali,   garantendo   il   relativo
coinvolgimento, a livello di Consiglio delle autonomie  locali  e  di
Regione, in un procedimento di riordino  che  non  sarebbe  possibile
attuare attraverso il modello delineato dall'art. 133 Cost. 
    E'  richiamata  la  sentenza  n.  347  del   1994   della   Corte
costituzionale,  che  ha  riguardato  l'istituzione  di   una   nuova
Provincia nonche' la modifica della circoscrizione di  una  Provincia
esistente, e nella quale si e' affermato che la modifica puo'  essere
effettuata, oltre  che  con  legge  formale,  anche  mediante  delega
legislativa, nel rispetto dei limiti fissati dall'art. 76 Cost. 
    23.7.- A proposito del prospettato contrasto  fra  la  previsione
che attribuisce al Consiglio delle autonomie  locali  il  compito  di
formulare ipotesi di riordino delle  Province  e  l'art.  123  Cost.,
l'Avvocatura osserva  come  tale  compito  rientri  pienamente  nella
missione istituzionale dell'organo di consultazione fra la Regione  e
gli enti locali, in quanto tale legittimato a fornire una ipotesi  di
riordino, e quindi a dare un parere, in  termini  non  dissimili  dal
parere previsto dall'art. 133 Cost. in capo alle Regioni. 
    23.8.- Quanto, infine, alla prospettata  violazione  della  Carta
europea dell'autonomia locale, secondo la difesa statale la Carta non
avrebbe contenuto precettivo (e' richiamata la sentenza  n.  325  del
2010 della Corte costituzionale),  e,  in  ogni  caso,  la  procedura
partecipata prevista dall'art. 17 del d.l. n.  95  del  2012  sarebbe
rispettosa sia dell'art. 5, che richiede la preventiva  consultazione
delle  popolazioni  interessate  dalle  modifiche  territoriali,  sia
dell'art. 4 della stessa  Carta,  che  riconosce  alle  collettivita'
locali la facolta' di assumere iniziative nella materia in oggetto. 
    23.9.- Quanto, infine, alla prospettata violazione dell'art.  120
Cost., l'Avvocatura generale ribadisce che la procedura  di  riordino
in  esame  e'  rispettosa  delle  istanze  delle  autonomie   locali,
evidenziando che l'art. 17, comma 4, non avrebbe previsto un  vero  e
proprio potere sostitutivo dello Stato, volendo soltanto ovviare alla
eventuale mancanza di proposta regionale  con  il  parere  aggiuntivo
della Conferenza unificata. 
    23.10.- La difesa statale esamina, quindi, le censure  aventi  ad
oggetto l'art. 18 del d.l. n. 95 del  2012,  ed  eccepisce  anzitutto
l'inammissibilita' della questione posta in riferimento  all'art.  77
Cost.,  per  le   medesime   ragioni   gia'   esposte   a   proposito
dell'impugnazione dell'art. 17, alla cui sintesi si rinvia. 
    L'urgenza di provvedere renderebbe infondata la  questione  posta
in  riferimento  all'art.   3   Cost.,   sotto   il   profilo   della
irragionevolezza della fissazione di termini brevi entro i  quali  le
Regioni devono comunicare le relative proposte. 
    L'art. 18 reca un intervento che si  collocherebbe  a  valle  del
complesso procedimento di razionalizzazione delle Province e  sarebbe
finalizzato al raggiungimento dei medesimi obiettivi  di  risanamento
della finanza pubblica. 
    Si  dovrebbe  in  proposito  considerare  che,  dall'anno   2014,
l'obiettivo del pareggio di  bilancio  dovra'  essere  perseguito  ai
sensi dell'art. 81 Cost., e che l'art. 18, comma 1, statuisce che «le
citta' metropolitane (da istituire tassativamente entro il 1° gennaio
2014) conseguono gli obiettivi del patto di stabilita' interno  delle
province soppresse», sicche' non parrebbe dubitabile  la  sussistenza
dei presupposti  di  necessita'  ed  urgenza  che  hanno  portato  il
legislatore a ridisegnare l'assetto del territorio del Paese. 
    Nemmeno sarebbe fondata la  censura  prospettata  in  riferimento
all'art. 72, quarto comma, Cost., sul rilievo che l'istituzione delle
citta' metropolitane costituirebbe materia  riservata  all'assemblea.
La Corte costituzionale annovera,  nella  categoria  delle  leggi  in
materia costituzionale, esclusivamente le  leggi  costituzionali  (e'
richiamata la sentenza n. 168 del 1963). 
    23.11.-  Con  riferimento  ai  ricorsi  promossi  dalle   Regioni
speciali e ai termini previsti dall'art.  17  per  l'adeguamento  dei
rispettivi ordinamenti, la difesa statale osserva che, trattandosi di
termini non perentori, sarebbe assicurato il rispetto delle procedure
previste dagli statuti speciali. 
    24.- Nei giudizi promossi dalla Regione Molise (ric. n.  133  del
2012), dalla Regione Campania (ric. n. 153 del 2012) e dalla  Regione
Lombardia (ric. n. 154 del 2012) sono  intervenuti,  rispettivamente,
le Province di Isernia  e  di  Avellino,  ed  il  Comune  di  Mantova
argomentando circa l'ammissibilita' dei loro interventi  e  chiedendo
che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 17 del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012. 
    25.- In prossimita' dell'udienza del 2  luglio  2013  le  Regioni
Campania (reg. ric. n. 46 e n. 153 del 2012),  Friuli-Venezia  Giulia
(reg. ric. n. 50 e n. 159 del 2012), Lazio  (reg.  ric.  n.  145  del
2012), Lombardia (reg. ric. n. 24 e n. 154 del 2012), Sardegna  (reg.
ric. n. 47 e n. 160 del 2012), Valle d'Aosta (reg.  ric.  n.  38  del
2012) e Veneto (reg. ric. n. 151 del 2012), nonche' il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  hanno  depositato  memorie,  nelle   quali
insistono nelle conclusioni gia' rassegnate nei rispettivi ricorsi  e
atti di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Le Regioni Piemonte (reg. ric. n.  18  del  2012),  Lombardia
(reg. ric. n. 24 del 2012), Veneto (reg. ric. n. 29 del 2012), Molise
(reg. ric. n. 32 del 2012), Lazio  (reg.  ric.  n.  44  del  2012)  e
Campania (reg. ric. n. 46 del 2012),  e  le  Regioni  autonome  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 38  del  2012),  Sardegna  (reg.
ric. n. 47 del 2012) e Friuli-Venezia Giulia (reg.  ric.  n.  50  del
2012),  con  nove  distinti  ricorsi,  hanno  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale di alcune disposizioni del  decreto-legge
6 dicembre 2011,  n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,
l'equita' e il consolidamento dei conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n.
214, e, tra queste, dell'art. 23, commi 4, 14, 15, 16,  17,  18,  19,
20, 20-bis, 21 e 22, per violazione degli artt. 1, 2, 3, 5,  72,  77,
97, 114, 117, 118, 119, 120 e 138 della Costituzione,  nonche'  degli
artt. 2, primo comma, lettera b), 3, primo comma,  lettera  f),  e  4
della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4  (Statuto  speciale
per la Valle d'Aosta), dell'art. 3, primo comma,  lettere  a)  e  b),
della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3  (Statuto  speciale
per la Sardegna), degli artt. 4, primo comma, n. 1-bis), 11, 51, 54 e
59 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia), e degli artt. 2 e 9 del decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione  dello  statuto
speciale  per  la  regione  Friuli-Venezia  Giulia  in   materia   di
ordinamento degli  enti  locali  e  delle  relative  circoscrizioni),
nonche' del principio di leale collaborazione. 
    In particolare, la Regione Piemonte ha impugnato i commi 14,  15,
16, 17, 18, 19, 20, 20-bis e 21 del citato art.  23,  per  violazione
degli artt. 5, 114, 117, secondo comma, lettera p),  quarto  e  sesto
comma, 118, 119 e 120 della  Costituzione,  del  principio  di  leale
collaborazione,  «e  in  relazione  agli  artt.  3,  77  e  97  della
Costituzione». 
    La  Regione  Lombardia  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e  20,  del
d.l. n. 201 del 2011, convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 214 del 2011, per violazione degli  artt.  3,
5, 114, 117, 118, 119, 120, secondo comma, e 138 Cost. 
    La  Regione  Veneto  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale di alcune disposizioni  del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011, e, tra queste, dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17,  18,
19 e 20, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 114, 118, 119, 120 e 138
Cost. 
    La  Regione  Molise  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis
e 21, del d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214  del  2011,  per  violazione
degli artt. 5, 114, 117, secondo comma, lettera p),  quarto  e  sesto
comma, 118, 119 e 120 Cost., del principio di  leale  collaborazione,
«e in relazione agli artt. 3, 77 e 97 della Costituzione». 
    La Regione autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste  ha  promosso
questioni di legittimita' costituzionale di alcune  disposizioni  del
d.l. n. 201 del 2011, convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 214 del 2011, e, tra  queste,  dell'art.  23,
comma 22, per violazione degli artt. 2, primo comma, lettera  b),  3,
primo comma, lettera f), e 4 della legge cost. n. 4 del 1948, nonche'
del combinato disposto degli artt. 117,  terzo  comma,  119,  secondo
comma, Cost. e dell'art. 10 della  legge  costituzionale  18  ottobre
2001,  n.  3  (Modifiche  al  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione). 
    La  Regione  Lazio  ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale di alcune disposizioni  del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011, e, tra queste, dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 17,  18,
19 e 20, per violazione degli artt. 5, 72,  quarto  comma,  77,  114,
117, secondo comma, lettera  p),  118,  secondo  comma,  119,  quarto
comma,  e  120,  secondo  comma,  Cost.,  nonche'  dei  principi   di
ragionevolezza e di leale collaborazione. 
    La  Regione  Campania  ha  promosso  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23, commi 14, 15, 16, 18, 19 e 20, del  d.l.
n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,
della legge n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 1, 2, 5, 114,
117, 118, 119, 120, secondo comma, Cost. 
    La  Regione  autonoma   Sardegna   ha   promosso   questioni   di
legittimita' costituzionale di alcune disposizioni del  d.l.  n.  201
del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge n. 214 del 2011, e, tra queste, dell'art. 23, commi 14, 15, 16,
17, 18, 19, 20, 20-bis, 21 e 22, per violazione  dell'art.  3,  primo
comma, lettere a) e b), della legge cost. n. 3 del 1948. 
    La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha  promosso  questioni
di legittimita' costituzionale di alcune disposizioni del d.l. n. 201
del 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge n. 214 del 2011, e, tra queste, dell'art. 23, commi 4, 14,  15,
16, 17, 18, 19, 20, 20-bis e 22, per violazione degli  artt.  5,  77,
114, 117, commi primo, secondo e sesto, 118, commi primo e secondo, e
119, nonche' degli artt. 4, primo comma, n. 1-bis), 11, 51, 54  e  59
della legge cost. n. 1 del 1963 e degli artt. 2 e 9 del d.lgs.  n.  9
del 1997. 
    Riservata a  separate  pronunce  la  decisione  sull'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel d.l. n. 201 del 2011,  vengono
in esame in questa sede le questioni di  legittimita'  costituzionale
relative all'art. 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis, 21
e 22. 
    2.- Le Regioni Molise (reg. ric. n. 133 del  2012),  Lazio  (reg.
ric. n. 145 del 2012), Veneto (reg. ric. n. 151 del  2012),  Campania
(reg. ric. n. 153 del 2012), Lombardia (reg. ric. n. 154  del  2012),
Piemonte (reg. ric. n. 161 del 2012) e Calabria (reg. ric. n. 169 del
2012), e le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n.  159
del 2012) e Sardegna (reg. ric. n. 160 del 2012), con  nove  distinti
ricorsi, hanno promosso questioni di legittimita'  costituzionale  di
alcune  disposizioni  del  decreto-legge  6  luglio   2012,   n.   95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.
135, e, tra queste, degli artt. 17 e 18, per violazione  degli  artt.
1, 2, 3, 5, 6, 71, 72, 77, 97, 114, 116, 117,  118,  119,  120,  123,
126, 132, 133 e 138 Cost., degli artt. 3, 43, 45  e  54  della  legge
cost. n. 3 del 1948, dell'art. 4 della legge cost.  n.  1  del  1963,
dell'art. 8 del d.lgs. n. 9 del 1997 e  dell'art.  8  della  legge  5
giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre  2001,  n.  3),
nonche' del principio di leale collaborazione. 
    In particolare,  la  Regione  Molise  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 17 del d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, per violazione degli artt. 3, 5, 77, 114, 117,  secondo
comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, 119, 126 e  133,  primo
comma, Cost., e del principio di leale collaborazione. 
    La  Regione  Lazio  ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli  artt.  17  e  18  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, per violazione degli artt. 3,  72,  quarto  comma,  77,
114, 117, terzo comma, e 133 Cost. 
    La  Regione  Veneto  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli  artt.  17  e  18  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, per violazione degli artt. 3, 5, 77, 97, 114, 117, 118,
119, 120, 132 e 133 Cost., e del principio di leale collaborazione. 
    La  Regione  Campania  ha  promosso  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17, commi 1, 2, 3, 4, 4-bis, 6, 11 e  12,  e
dell'art. 18, commi 1, 2, 2-bis, 7-bis, 9, lettere c) e d), del  d.l.
n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,
della legge n. 135 del 2012, per violazione degli artt. 1, 2,  3,  5,
71, primo comma, 77, secondo comma, 97, 114, 117, 118, 119, 120, 123,
133 e 138 Cost. 
    La  Regione  Lombardia  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 17, commi 1, 2, 3, 4, 4-bis, 6, 11 e 12, del
d.l. n. 95 del 2012,  convertito,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 135 del 2012, per violazione degli  artt.  1,
2, 3, 5, 71, primo comma, 77, secondo comma, 97, 114, 117, 118,  119,
120, secondo comma, 123, quarto comma, 133 e 138 Cost. 
    La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha  promosso  questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 17 del d.l. n. 95 del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, per violazione degli artt. 77 e 133 Cost., dell'art.  4
della legge cost. n. 1 del 1963 e dell'art. 8 del  d.lgs.  n.  9  del
1997. 
    La  Regione  autonoma   Sardegna   ha   promosso   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 17 e 18 del d.l.  n.  95  del
2012, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 135 del 2012, per violazione degli artt. 116  e  133  Cost.,
del principio di leale collaborazione e degli artt. 3, 43 e 54  della
legge cost. n. 3 del 1948. 
    La  Regione  Piemonte  ha  promosso  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17, commi 6 e 12, del d.l. n. 95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, per violazione degli artt. 5,  77,  114,  117,  secondo
comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, 119 e 120 Cost., e  del
principio di leale collaborazione. 
    La  Regione  Calabria  ha  promosso  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 17, commi 1, 2, 3, 4 e 4-bis, del d.l. n. 95
del 2012, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge n. 135 del 2012, per violazione degli artt. 3, 5, 77, 114, 117,
118 e 133 Cost. 
    Riservata a  separate  pronunce  la  decisione  sull'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel d.l. n. 95 del  2012,  vengono
in esame in questa sede le questioni di  legittimita'  costituzionale
relative agli artt. 17 e 18. 
    3.- I giudizi, cosi' separati  e  delimitati,  in  considerazione
della loro connessione oggettiva devono essere  riuniti,  per  essere
decisi con un'unica pronuncia. 
    4.-  In  via  preliminare  deve  essere  confermata  l'ordinanza,
deliberata nel corso dell'udienza pubblica ed allegata alla  presente
sentenza, con  la  quale  sono  stati  dichiarati  inammissibili  gli
interventi  spiegati:  dall'Unione  delle  Province   d'Italia,   nel
giudizio promosso dalla Regione Lazio nei confronti dell'art. 23  del
d.l. n. 201 del 2011; dalle Province di Isernia, Latina, Frosinone  e
Viterbo, nei giudizi promossi, rispettivamente, dalle Regioni  Molise
e Lazio nei confronti dell'art. 23 del d.l. n. 201  del  2011;  dalle
Province   di   Isernia   e   Avellino,   nei    giudizi    promossi,
rispettivamente, dalle Regioni Molise e Campania nei confronti  degli
artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012; dal  Comune  di  Mantova,  nel
giudizio promosso dalla Regione Lombardia avverso l'art. 17 del  d.l.
n. 95 del 2012. 
    Il giudizio di costituzionalita' delle  leggi,  promosso  in  via
d'azione ai sensi dell'art. 127 Cost. e degli  artt.  31  e  seguenti
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale), si  svolge  esclusivamente
tra soggetti titolari di potesta' legislativa, fermi restando, per  i
soggetti privi di tale potesta', i mezzi di tutela  delle  rispettive
posizioni  soggettive,  anche  costituzionali,  di  fronte  ad  altre
istanze giurisdizionali ed eventualmente innanzi a  questa  Corte  in
via incidentale. 
    Pertanto, alla stregua della normativa in vigore e  conformemente
alla costante giurisprudenza costituzionale in materia (ex  plurimis,
sentenze n. 118 del 2013, n. 245, n. 114 e n. 105 del 2012, n.  69  e
n. 33 del 2011, n. 278 e n. 121 del 2010,  e  ordinanza  n.  107  del
2010), deve ritenersi  inammissibile  l'intervento,  nei  giudizi  di
costituzionalita' in via principale,  di  soggetti  privi  di  potere
legislativo. 
    5.- Prima di esaminare il merito delle  singole  censure,  questa
Corte e' chiamata a risolvere alcune questioni preliminari. 
    5.1.-   Innanzitutto,   deve   essere   esclusa   la   fondatezza
dell'eccezione  sollevata  dall'Avvocatura  generale   dello   Stato,
secondo cui i ricorsi dovrebbero essere dichiarati  inammissibili  in
quanto le Regioni non sarebbero legittimate ad agire a  tutela  delle
attribuzioni degli enti locali. 
    Al riguardo, la giurisprudenza  costituzionale  ha  ripetutamente
affermato che «le Regioni sono  legittimate  a  denunciare  la  legge
statale anche per la lesione delle attribuzioni  degli  enti  locali,
indipendentemente  dalla  prospettazione   della   violazione   della
competenza legislativa regionale» (ex plurimis, sentenze n.  311  del
2012, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e  n.
196 del 2004). 
    5.2.- In secondo luogo, le istanze  di  sospensione  delle  norme
impugnate, proposte da alcune Regioni ricorrenti ai  sensi  dell'art.
35 della legge n. 87 del 1953,  devono  essere  dichiarate  assorbite
dalla decisione del merito della questione (ex plurimis, sentenze  n.
121 e n. 46 del 2013). 
    Peraltro,  lo  stesso  legislatore   statale   ha   disposto   la
sospensione dell'applicazione di gran  parte  delle  norme  impugnate
fino al 31 dicembre 2013. 
    5.3.- Da ultimo, deve essere dichiarata l'inammissibilita'  degli
atti di costituzione del Presidente del Consiglio  dei  ministri  nei
giudizi promossi dalle Regioni Veneto  (reg.  ric.  29  del  2012)  e
Campania  (reg.  ric.  46  del  2012),  e  dalla   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. 50 del 2012), in  quanto  depositati
oltre il termine perentorio stabilito dall'art. 19,  comma  3,  delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    Il mancato rispetto di tale termine  comporta  l'inammissibilita'
della costituzione in giudizio della parte resistente  (tra  le  piu'
recenti, sentenze n. 299 e n. 297  del  2012,  ordinanza  n.  61  del
2013). 
    6.- Nel  merito,  e'  necessario  premettere  che  non  tutte  le
questioni promosse nei confronti dell'art. 23 del  d.l.  n.  201  del
2011 investono norme relative alla cosiddetta riforma delle Province.
In particolare, fra i numerosi commi del  citato  art.  23  posti  ad
oggetto delle censure regionali, sono compresi i commi 4,  21  e  22,
che recano statuizioni non attinenti alla materia indicata. 
    Per ragioni di ordine sistematico,  l'esame  delle  censure  deve
muovere da quelle relative ai suddetti commi 4, 21 e 22. 
    7.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  23,
comma 4, del d.l. n. 201 del 2011 non e' fondata. 
    7.1.- Il censurato comma 4 introduce il comma 3-bis  all'art.  33
del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), che prevede  l'obbligo  -  per  i
Comuni  con  popolazione  non  superiore  a  5.000  abitanti   -   di
affidamento  dell'acquisizione  di  lavori,  servizi   e   forniture,
nell'ambito  delle  unioni  dei  Comuni,  ad  un'unica  centrale   di
committenza. 
    Il comma 4 e' impugnato dalla Regione Friuli-Venezia  Giulia,  la
quale ritiene che la norma non si applichi alle  Regioni  speciali  e
quindi promuove in via di mero subordine la questione di legittimita'
costituzionale per violazione delle proprie  competenze  in  tema  di
ordinamento degli enti locali e di finanza  locale  (artt.  4,  primo
comma, n. 1-bis, 51 e 54 della legge cost. n. 1 del 1963 e art. 9 del
d.lgs. n. 9 del 1997). 
    La difesa  regionale  esclude  l'applicabilita'  della  norma  in
questione alle Regioni speciali facendo rilevare  che  l'art.  4  del
d.lgs. 163 del 2006 (collocato fra le prime disposizioni  del  codice
dei contratti pubblici), stabilisce, al comma 5, che le «Le regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano  adeguano
la propria  legislazione  secondo  le  disposizioni  contenute  negli
statuti e nelle relative norme di attuazione». 
    Dalle  norme  del  codice  nascerebbe  dunque   un   obbligo   di
adeguamento per le Regioni speciali e non una immediata cogenza delle
norme ivi contenute. 
    Nelle more dell'odierno giudizio e' intervenuto l'art. 1 del d.l.
95 del 2012, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge n. 135 del 2012, che attenua la portata del  comma  3-bis
dell'art. 33 del d.lgs. n. 163 del  2006  (introdotto  dal  censurato
comma  4  dell'art.  23),  aggiungendovi  il  seguente  periodo:  «In
alternativa, gli stessi Comuni possono effettuare i  propri  acquisti
attraverso gli strumenti elettronici di  acquisto  gestiti  da  altre
centrali di committenza di riferimento, ivi comprese  le  convenzioni
di cui all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999,  n.  488,  e  il
mercato   elettronico   della   pubblica   amministrazione   di   cui
all'articolo 328  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  5
ottobre 2010, n. 207». 
    7.2.- Questa Corte ritiene condivisibile l'interpretazione, sopra
illustrata,  proposta  in  via  principale  dalla  Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia: infatti,  alla  luce  del  combinato  disposto
dell'art. 4, comma 5, e dell'art. 33 del d.lgs. n. 163 del 2006 (come
modificato dalla norma impugnata), deve  escludersi  l'applicabilita'
di quest'ultima norma alle Regioni a statuto speciale. 
    Di   conseguenza,   la   relativa   questione   di   legittimita'
costituzionale deve essere dichiarata non fondata. 
    8.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  23,
comma 21, del d.l. n. 201 del 2011 e' inammissibile. 
    Il comma 21 stabilisce che «I Comuni possono istituire  unioni  o
organi di raccordo per l'esercizio di specifici  compiti  o  funzioni
amministrativi garantendo l'invarianza  della  spesa».  La  norma  e'
impugnata dalle Regioni  Piemonte  e  Molise  nonche'  dalla  Regione
autonoma  Sardegna,  ma  nessuna  delle  ricorrenti  formula  censure
specifiche, limitandosi tutte ad inserire il  comma  in  oggetto  nel
novero delle disposizioni impugnate, senza argomentare sulle  ragioni
della sua illegittimita' costituzionale. 
    Per le ragioni anzidette le questioni, genericamente proposte nei
confronti del comma 21, devono essere  dichiarate  inammissibili  per
carenza di motivazione. 
    9.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  23,
comma 22, del d.l. n. 201 del 2011 non e' fondata. 
    Il comma 22 dispone che  «La  titolarita'  di  qualsiasi  carica,
ufficio o organo di natura  elettiva  di  un  ente  territoriale  non
previsto dalla Costituzione e' a titolo  esclusivamente  onorifico  e
non puo' essere fonte di alcuna forma di remunerazione, indennita'  o
gettone di presenza, con esclusione dei comuni di cui all'articolo 2,
comma 186, lettera b), della  legge  23  dicembre  2009,  n.  191,  e
successive modificazioni». 
    L'art. 2, comma 186, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n.
191  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello  Stato.  Legge  finanziaria  2010),  a  sua  volta,
prevede che, «al fine del coordinamento della finanza pubblica e  per
il contenimento della spesa pubblica», i Comuni devono, tra  l'altro,
disporre  la  «soppressione  delle  circoscrizioni  di  decentramento
comunale di cui all'articolo 17 del citato  testo  unico  di  cui  al
decreto legislativo n. 267  del  2000,  e  successive  modificazioni,
tranne che per i comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti,
che  hanno   facolta'   di   articolare   il   loro   territorio   in
circoscrizioni, la cui popolazione media non puo' essere inferiore  a
30.000 abitanti; e' fatto salvo il comma 5 dell'articolo 17 del Testo
unico delle leggi sull'ordinamento  degli  enti  locali,  di  cui  al
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». 
    Il comma 22 dell'art. 23 del d.l. n. 201 del  2011  e'  impugnato
dalle sole Regioni a statuto speciale Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,
Sardegna e Friuli-Venezia Giulia. La Sardegna formula una  indistinta
censura per tutti i commi da 14 a 22; la Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste
e il Friuli-Venezia Giulia, invece, formulano censure specifiche  nei
confronti della norma in questione. 
    Le Regioni sopra indicate lamentano la lesione delle attribuzioni
loro conferite sia dagli statuti  speciali  sia  dalla  Costituzione.
Anche a questo proposito, in realta', le  ricorrenti  sostengono,  in
via principale, che la norma non si applica alle Regioni speciali  e,
solo in subordine, argomentano l'illegittimita' costituzionale  della
stessa sull'assunto che si tratterebbe di «qualsiasi carica,  ufficio
o organo di natura elettiva di  un  ente  territoriale  non  previsto
dalla Costituzione», la cui gestione ricade per intero sulle  finanze
delle Regioni. 
    In particolare, sono richiamate le recenti sentenze  n.  215,  n.
173 e n.  151  del  2012,  con  le  quali  questa  Corte  ha  escluso
l'applicabilita' dei vincoli di cui al decreto-legge 31 maggio  2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e  di
competitivita' economica), convertito, con  modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, alle Regioni speciali
che - ai sensi dell'art. 1 della  legge  13  dicembre  2010,  n.  220
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato. Legge di stabilita' 2011» - concordano con lo  Stato  le
modalita' del loro concorso agli obiettivi della finanza pubblica. 
    Tale lettura del dato normativo censurato  deve  essere  ribadita
nel presente giudizio. La questione  promossa  deve  essere,  quindi,
dichiarata non fondata, in quanto il comma 22  non  si  applica  alle
Regioni speciali. 
    10.- Come si e' gia' detto, il nucleo principale delle  questioni
promosse riguarda la normativa recante la  cosiddetta  riforma  delle
Province. Si tratta, in particolare, dell'art. 23, commi 14, 15,  16,
17, 18, 19, 20 e 20-bis, del d.l. n. 201 del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del  2011,  e
degli artt. 17 e  18  del  d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012. 
    Al   riguardo,   e'   necessario   ricostruire    preliminarmente
l'evoluzione della disciplina in materia. 
    Con  l'art.  23  del  d.l.  n.  201  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214  del  2011  -
oggetto delle impugnative proposte con i ricorsi nn. 18, 24, 29,  32,
38, 44, 46, 47 e 50 del  2012  -  il  legislatore  ha,  tra  l'altro,
modificato  la  normativa  in  tema  di   funzioni   delle   Province
(limitandole al solo indirizzo e coordinamento  delle  attivita'  dei
Comuni) e in tema di  organi  delle  stesse  (eliminando  la  Giunta,
prevedendo che il Consiglio sia composto da non piu' di dieci  membri
eletti  dagli  organi  elettivi  dei  Comuni  e  disponendo  che   il
Presidente della Provincia sia eletto dal Consiglio provinciale). 
    Con  l'art.  17  del  d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 135  del  2012  -
oggetto delle impugnative proposte con i ricorsi nn. 133,  145,  151,
153,  154,  159,  160,  161  e  169  del  2012,   in   qualche   caso
congiuntamente all'art. 18 - il legislatore ha disposto il cosiddetto
riordino delle Province, ha nuovamente  modificato  la  normativa  in
tema  di  funzioni  delle   Province   (ripristinandone   un   nucleo
essenziale) ed ha tenuto  ferma  la  disciplina  sugli  organi  delle
stesse, introdotta dall'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011. 
    L'art. 18 del d.l. n. 95 del 2012, poi, prevede  la  soppressione
delle Province di Roma, Torino,  Milano,  Venezia,  Genova,  Bologna,
Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria,  disponendo  la  contestuale
istituzione delle relative Citta'  metropolitane  a  partire  dal  1°
gennaio 2014. Lo stesso art. 18 disciplina, inoltre, gli organi e  le
funzioni delle Citta' metropolitane. 
    Con la delibera del Consiglio dei ministri 20  luglio  2012  sono
stati dettati i criteri  per  il  riordino  delle  Province  a  norma
dell'art. 17, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012. 
    Il riordino delle Province nelle Regioni a statuto ordinario,  ai
sensi dell'art. 17, commi 3 e 4, del d.l. n. 95 del  2012,  e'  stato
disposto dal decreto-legge 5  novembre  2012,  n.  188  (Disposizioni
urgenti in materia di Province e Citta' metropolitane), che pero' non
e' stato convertito  in  legge.  Il  predetto  decreto  recava  anche
modifiche all'art. 18 del d.l. n. 95 del 2012. 
    Da ultimo, l'art. 1, comma 115, della legge 24 dicembre 2012,  n.
228  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato. Legge di stabilita' 2013) ha sospeso per  un
anno l'attuazione delle norme  sopra  indicate.  In  particolare,  e'
stata  disposta:  la  sospensione,  fino   al   31   dicembre   2013,
dell'applicazione  delle  disposizioni  di  cui  ai  commi  18  e  19
dell'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011;  la  sostituzione,  al  citato
art. 23, comma 16, delle parole «31 dicembre 2012»  con  le  seguenti
«31 dicembre 2013»; la sostituzione, all'art. 17, comma 4,  del  d.l.
n. 95 del 2012, delle parole «entro 60 giorni dalla data  di  entrata
in vigore della legge di conversione del  presente  decreto»  con  le
seguenti «entro il 31 dicembre 2013»; la sostituzione,  all'art.  17,
comma 10, del d.l. n. 95 del  2012,  delle  parole  «all'esito  della
procedura di riordino» con le seguenti «in attesa  del  riordino,  in
via  transitoria»;  la  sospensione,  fino  al  31   dicembre   2013,
dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 18 del  d.l.  n.
95 del 2012. 
    Si e' previsto inoltre che «Nei casi in cui in una data  compresa
tra il 5 novembre 2012 e  il  31  dicembre  2013  si  verifichino  la
scadenza naturale del mandato degli organi delle province, oppure  la
scadenza dell'incarico di Commissario  straordinario  delle  province
nominato ai sensi delle vigenti disposizioni di cui  al  testo  unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti  locali  di  cui  al  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o in  altri  casi  di  cessazione
anticipata del  mandato  degli  organi  provinciali  ai  sensi  della
legislazione vigente, e' nominato un  commissario  straordinario,  ai
sensi dell'articolo 141 del citato testo  unico  di  cui  al  decreto
legislativo n. 267 del 2000 per  la  provvisoria  gestione  dell'ente
fino al 31 dicembre 2013». 
    11.- Cosi' ricostruito il quadro  normativo  di  riferimento,  si
deve  osservare  che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
promossa per violazione dell'art. 77 Cost.  nei  confronti  dell'art.
23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 20-bis, del d.l.  n.  201  del
2011, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 214 del 2011, e degli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
135 del 2012, precede logicamente le altre  e  deve  essere  pertanto
esaminata per prima. 
    11.1.- In  via  preliminare,  deve  rilevarsi  che  il  parametro
dell'art. 77 Cost., pur essendo indicato negli atti introduttivi  dei
giudizi, non  sempre  e'  espressamente  individuato  nelle  relative
delibere delle Giunte regionali. 
    Quanto ai ricorsi che hanno ad oggetto l'art. 23 del d.l. n.  201
del 2011, il citato parametro  e'  evocato  dalle  Regioni  Piemonte,
Molise, Lazio e dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, ma  non
risulta indicato nelle delibere delle Giunte regionali del  Molise  e
del Friuli-Venezia Giulia. 
    Quanto al secondo blocco di impugnative, aventi  ad  oggetto  gli
artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012, il parametro costituzionale di
cui all'art. 77 Cost. e' evocato in tutti i ricorsi - tranne  che  in
quello della Regione autonoma Sardegna - con riferimento sia all'art.
17 sia all'art. 18 del d.l. n. 95 del 2012. Lo stesso  parametro  non
e' pero' indicato nella delibera della Giunta regionale del Molise. 
    Al riguardo, questa Corte - anche sulla base di quanto prescritto
dall'art. 32, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, secondo  cui
deve essere oggetto della previa deliberazione della Giunta regionale
la  «questione  di  legittimita'  costituzionale»  e  non   le   sole
disposizioni da impugnare  -  ha  dichiarato  l'inammissibilita'  del
ricorso nel caso in cui non vi sia corrispondenza tra i parametri ivi
indicati e quelli per i quali la Giunta regionale ne ha deliberato la
proposizione (ex plurimis, sentenze n. 20 del 2013, n. 226 del  2012,
n. 227 e n. 7 del 2011). 
    Ne'  puo'  valere  l'inserimento,  nella  delibera  della  Giunta
regionale, di una formula che  rimetta  al  difensore  incaricato  il
compito  di  individuare  i  parametri  asseritamente  violati  (come
avvenuto nel ricorso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia). 
    Deve  pertanto  essere  esclusa  l'ammissibilita'  delle  censure
prospettate, in riferimento all'art. 77 Cost., dalla  Regione  Molise
in entrambi i ricorsi promossi (reg. ricc. n. 32 e n. 133 del 2012) e
dalla Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  nel  ricorso  avverso
l'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011 (reg. ric. n. 50 del 2012). 
    Da quanto detto consegue che le residue questioni prospettate  in
riferimento all'art. 77 Cost. sono  quelle  promosse:  dalle  Regioni
Piemonte e Lazio avverso l'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011  e  dalle
Regioni Lazio, Veneto, Campania, Lombardia, Piemonte  e  Calabria,  e
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia avverso gli artt.  17  e
18 del d.l. n. 95 del 2012. 
    11.2.- L'Avvocatura generale dello Stato ha  sollevato  eccezione
di  inammissibilita'  di  tutte  le  censure  riguardanti  l'asserita
violazione dell'art. 77 Cost., in  quanto  quest'ultimo  non  sarebbe
parametro attinente al riparto delle competenze tra Stato e Regioni. 
    L'eccezione non puo' essere accolta. 
    Questa  Corte  ammette,  con  giurisprudenza  costante,  che  «le
Regioni possono evocare parametri di legittimita' diversi rispetto  a
quelli che sovrintendono  al  riparto  di  attribuzioni  solo  se  la
lamentata violazione determini una compromissione delle  attribuzioni
regionali costituzionalmente  garantite  o  ridondi  sul  riparto  di
competenze legislative tra Stato e Regioni» (sentenza n. 33 del 2011;
in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 46, n.  20  e  n.  8  del
2013; n. 311, n. 298, n. 200, n. 199, n. 198, n. 187, n. 178, n. 151,
n. 80 e n. 22 del 2012). 
    Se dunque  il  parametro  evocato  non  attiene  direttamente  al
riparto  delle  competenze  legislative  tra  Stato  e  Regioni,   e'
necessario, ai  fini  dell'ammissibilita',  che  le  norme  censurate
determinino,  nella  prospettazione  della  parte   ricorrente,   una
violazione «potenzialmente idonea a  determinare  una  lesione  delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni» (sentenza n. 22 del  2012,
ma, ancora prima, sentenze n. 6 del 2004 e n.  303  del  2003).  Cio'
ovviamente non equivale a ritenere che la censura basata su parametri
non attinenti al  riparto  di  competenze  sia  ammissibile  solo  se
fondata rispetto ad una norma contenuta  nel  Titolo  V  della  Parte
seconda della Costituzione. La questione infatti,  all'esito  di  uno
scrutinio di merito,  potrebbe  risultare  non  fondata  rispetto  ai
parametri   competenziali,   ma   essere   ritenuta   preliminarmente
ammissibile proprio per la sua potenziale incidenza su questi ultimi.
Solo se dalla stessa prospettazione del ricorso emerge  l'estraneita'
della questione  rispetto  agli  ambiti  di  competenza  regionale  -
indipendentemente da ogni valutazione sulla fondatezza delle  censure
- la questione deve essere dichiarata inammissibile  (sentenza  n.  8
del 2013). 
    La  possibile  ridondanza  deve  essere  valutata  non  solo  con
riferimento alle competenze proprie delle Regioni ricorrenti  (uniche
legittimate ad esperire ricorsi in via di  azione  davanti  a  questa
Corte), ma anche con riguardo alle attribuzioni  degli  enti  locali,
quando sia lamentata dalle Regioni una potenziale lesione delle sfere
di competenza degli stessi enti locali (sentenza n. 199 del 2012). 
    11.3.- Nei casi oggetto dei presenti  giudizi,  risulta  evidente
che le norme censurate incidono notevolmente sulle attribuzioni delle
Province,  sui  modi  di   elezione   degli   amministratori,   sulla
composizione degli organi di governo e sui rapporti dei predetti enti
con i Comuni e con le  stesse  Regioni.  Si  tratta  di  una  riforma
complessiva  di  una  parte  del  sistema  delle  autonomie   locali,
destinata a ripercuotersi sull'intero assetto degli enti esponenziali
delle  comunita'  territoriali,  riconosciuti   e   garantiti   dalla
Costituzione. 
    Questa  Corte  deve  quindi  valutare  la  compatibilita'   dello
strumento normativo del decreto-legge, quale delineato e disciplinato
dall'art. 77 Cost., con le norme costituzionali (in specie,  ai  fini
del presente giudizio, con gli artt. 117, secondo comma, lettera p, e
133, primo comma) che prescrivono modalita' e procedure per incidere,
in senso modificativo, sia sull'ordinamento delle  autonomie  locali,
sia sulla conformazione territoriale dei  singoli  enti,  considerati
dall'art. 114, primo e secondo comma, Cost.,  insieme  allo  Stato  e
alle Regioni, elementi  costitutivi  della  Repubblica,  «con  propri
statuti,  poteri  e  funzioni  secondo  i  principi   fissati   dalla
Costituzione». 
    12.- Le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  23,
commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20 del d.l. n. 201 del 2011,  e  degli
artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012, promosse dalle ricorrenti  per
violazione dell'art. 77 Cost., sono fondate nei  termini  di  seguito
specificati. 
    12.1.- Si deve osservare innanzitutto  che  l'art.  117,  secondo
comma, lettera p),  Cost.  attribuisce  alla  competenza  legislativa
esclusiva  dello   Stato   la   disciplina   dei   seguenti   ambiti:
«legislazione elettorale, organi di governo e  funzioni  fondamentali
di Comuni, Province e Citta' metropolitane». 
    La citata norma costituzionale indica  le  componenti  essenziali
dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali, per loro natura
disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e  rispondenti  ad
esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le  linee
di svolgimento dei principi  costituzionali  nel  processo  attuativo
delineato dal legislatore statale ed integrato da  quelli  regionali.
E' appena il caso di rilevare che si tratta di  norme  ordinamentali,
che non possono essere interamente  condizionate  dalla  contingenza,
sino al punto da costringere il dibattito parlamentare  sulle  stesse
nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'art. 77
Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici
e puntuali, resi  necessari  e  improcrastinabili  dall'insorgere  di
«casi straordinari di necessita' e d'urgenza». 
    Da quanto detto si ricava una prima conseguenza sul  piano  della
legittimita'  costituzionale:  ben  potrebbe   essere   adottata   la
decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni  degli  enti
locali,  su  singoli  aspetti  della  legislazione  elettorale  o  su
specifici profili della struttura  e  composizione  degli  organi  di
governo, secondo valutazioni di  opportunita'  politica  del  Governo
sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si  ricava  altresi',
in  senso  contrario,  che  la   trasformazione   per   decreto-legge
dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale  territoriale,
previsto e garantito dalla Costituzione, e' incompatibile, sul  piano
logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una
trasformazione radicale dell'intero  sistema,  su  cui  da  tempo  e'
aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e  dottrinali,  e  che
certo non nasce, nella sua interezza  e  complessita',  da  un  «caso
straordinario di necessita' e d'urgenza». 
    I decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da  casi
straordinari e sono destinati ad operare immediatamente,  allo  scopo
di dare risposte normative rapide a situazioni  bisognose  di  essere
regolate in modo adatto a  fronteggiare  le  sopravvenute  e  urgenti
necessita'. Per questo motivo,  il  legislatore  ordinario,  con  una
norma di portata generale, ha previsto  che  il  decreto-legge  debba
contenere «misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell'attivita' di Governo  e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri»).  La  norma
citata, pur non avendo,  sul  piano  formale,  rango  costituzionale,
esprime ed esplicita cio' che deve ritenersi intrinseco  alla  natura
stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in
contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni
destinate ad avere effetti pratici differiti  nel  tempo,  in  quanto
recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla  costruzione
di nuove strutture istituzionali, senza  peraltro  che  i  perseguiti
risparmi di spesa siano, allo  stato,  concretamente  valutabili  ne'
quantificabili, seppur in via approssimativa. 
    Del resto, lo stesso legislatore ha implicitamente confermato  la
contraddizione sopra rilevata quando, con l'art. 1, comma 115,  della
legge n. 228 del 2012, ha sospeso per un anno - fino al  31  dicembre
2013 - l'efficacia delle norme del d.l.  n.  201  del  2011,  con  la
seguente formula: «Al fine di consentire la  riforma  organica  della
rappresentanza locale ed al fine di garantire  il  conseguimento  dei
risparmi previsti dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonche'  quelli
derivanti  dal  processo  di  riorganizzazione   dell'Amministrazione
periferica  dello  Stato,  fino  al  31  dicembre  2013  e'   sospesa
l'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 18 e  19  dell'art.
23 del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214». 
    Dalla  disposizione  sopra  riportata  non  risulta   chiaro   se
l'urgenza del provvedere - anche  e  soprattutto  in  relazione  alla
finalita'   di   risparmio,   esplicitamente   posta   a   base   del
decreto-legge,  come  pure  del  rinvio  -  sia  meglio   soddisfatta
dall'immediata applicazione delle norme dello stesso decreto  oppure,
al  contrario,  dal  differimento  nel  tempo  della  loro  efficacia
operativa. Tale ambiguita' conferma  la  palese  inadeguatezza  dello
strumento del decreto-legge a realizzare una riforma  organica  e  di
sistema,  che  non  solo  trova  le  sue  motivazioni   in   esigenze
manifestatesi da non breve periodo, ma  richiede  processi  attuativi
necessariamente  protratti  nel  tempo,   tali   da   poter   rendere
indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii  e  sistematizzazioni
progressive, che mal si  conciliano  con  l'immediatezza  di  effetti
connaturata al decreto-legge, secondo il disegno costituzionale. 
    Le considerazioni che precedono  non  entrano  nel  merito  delle
scelte compiute dal legislatore e non portano  alla  conclusione  che
sull'ordinamento degli enti locali  si  possa  intervenire  solo  con
legge costituzionale - indispensabile solo se si  intenda  sopprimere
uno degli enti previsti dall'art. 114 Cost.,  o  comunque  si  voglia
togliere  allo  stesso  la  garanzia  costituzionale   -   ma,   piu'
limitatamente, che non sia utilizzabile un atto  normativo,  come  il
decreto-legge,  per  introdurre  nuovi  assetti   ordinamentali   che
superino i limiti di misure meramente organizzative. 
    12.2.- Si  deve  ancora  osservare  che  la  modificazione  delle
singole circoscrizioni provinciali richiede, a norma  dell'art.  133,
primo comma, Cost., l'iniziativa dei Comuni interessati  -  che  deve
necessariamente precedere l'iniziativa legislativa in senso stretto -
ed il parere, non vincolante, della Regione. 
    Sin dal dibattito in Assemblea costituente e'  emersa  l'esigenza
che l'iniziativa di modificare le circoscrizioni  provinciali  -  con
introduzione di  nuovi  enti,  soppressione  di  quelli  esistenti  o
semplice ridefinizione dei confini dei rispettivi territori  -  fosse
il frutto  di  iniziative  nascenti  dalle  popolazioni  interessate,
tramite i loro piu' immediati enti esponenziali,  i  Comuni,  non  il
portato di decisioni politiche imposte dall'alto. 
    Emerge   dalle   precedenti   considerazioni   che   esiste   una
incompatibilita' logica  e  giuridica  -  che  va  al  di  la'  dello
specifico oggetto dell'odierno scrutinio di costituzionalita'  -  tra
il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari
di necessita' e urgenza, e la necessaria iniziativa dei  Comuni,  che
certamente non puo'  identificarsi  con  le  suddette  situazioni  di
fatto, se non altro perche' l'iniziativa non puo' che  essere  frutto
di una maturazione e di una concertazione tra enti  non  suscettibile
di assumere la veste  della  straordinarieta',  ma  piuttosto  quella
dell'esercizio ordinario di una facolta' prevista dalla Costituzione,
in  relazione  a  bisogni  e  interessi  gia'   manifestatisi   nelle
popolazioni locali. 
    Questa Corte ha ammesso che l'istituzione di una nuova  Provincia
possa  essere  effettuata  mediante   lo   strumento   della   delega
legislativa,  purche'  «gli  adempimenti  procedurali   destinati   a
"rinforzare"  il  procedimento  (e  consistenti  nell'iniziativa  dei
Comuni e nel parere della Regione) possano intervenire, oltre che  in
relazione alla fase di formazione della legge di  delegazione,  anche
successivamente alla stessa, con riferimento alla fase di  formazione
della legge delegata» (sentenza n. 347 del 1994). 
    In sostanza, secondo la pronuncia citata, l'iniziativa dei Comuni
ed il parere della Regione si pongono, in caso di delega legislativa,
come presupposti necessari perche' possa essere emanato da parte  del
Governo il decreto di adempimento della delega. La stessa  inversione
cronologica non e' possibile nel caso di un decreto-legge,  giacche',
a  norma  dell'art.  77,  secondo  comma,  Cost.,  il  Governo   deve
presentare alle Camere «il giorno stesso» dell'emanazione il  disegno
di legge di conversione. Non vi e' spazio  quindi  perche'  si  possa
inserire  l'iniziativa  dei   Comuni.   Ne'   quest'ultima   potrebbe
intervenire nel corso dell'iter parlamentare di conversione;  non  si
tratterebbe piu' di una iniziativa, ma di un parere, mentre la  norma
costituzionale ben distingue il ruolo dei Comuni e della Regione  nel
prescritto procedimento "rinforzato". 
    Questa Corte ha riaffermato implicitamente l'indefettibilita' del
procedimento previsto dall'art. 133, primo comma, Cost., riconoscendo
ad una norma dello statuto speciale della Regione Sardegna, in quanto
avente rango costituzionale,  «capacita'  derogatoria  rispetto  alla
generale  disciplina  in  tema  di  istituzione  di  nuove   province
contenuta nell'art. 133, primo comma, della  Costituzione»  (sentenza
n. 230 del 2001). 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  sostiene  che  il  riordino
complessivo delle Province italiane non rientrerebbe nella previsione
dell'art. 133, primo comma, Cost.: quest'ultimo  limiterebbe  la  sua
portata    normativa    soltanto    alle    singole     modificazioni
circoscrizionali. Sarebbe impossibile, secondo la difesa statale,  un
riassetto generale delle circoscrizioni  provinciali,  per  l'estrema
difficolta' di coordinare le iniziative, per loro natura  libere,  di
tutti o di gran parte dei Comuni italiani. 
    A prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza nel merito  di
tale argomentazione con riferimento  alla  legge  ordinaria,  occorre
ribadire  che  a  fortiori  si  deve  ritenere  non  utilizzabile  lo
strumento  del  decreto-legge  quando  si  intende  procedere  ad  un
riordino  circoscrizionale  globale,  giacche'   all'incompatibilita'
dell'atto normativo urgente con la prescritta iniziativa  dei  Comuni
si aggiunge la natura di  riforma  ordinamentale  delle  disposizioni
censurate, che introducono una disciplina a  carattere  generale  dei
criteri che devono presiedere alla  formazione  delle  Province.  Per
quest'ultimo profilo valgono le considerazioni  gia'  sviluppate  nel
paragrafo 12.1. 
    13.- Parimenti illegittimo deve essere dichiarato il comma 20-bis
dell'art. 23 del d.l. n.  201  del  2011,  le  cui  censure  meritano
autonoma trattazione. 
    Il citato comma 20-bis e' impugnato nella parte in cui obbliga le
Regioni speciali ad adeguare i propri ordinamenti  alle  disposizioni
di cui ai commi da 14 a 20, entro sei mesi dalla data di  entrata  in
vigore del d.l. n. 201 del 2011. 
    Siffatta norma e' censurata, congiuntamente ai commi da 14 a  20,
dalle Regioni Piemonte e Molise, e dalle Regioni autonome Sardegna  e
Friuli-Venezia Giulia. 
    Quanto all'impugnativa promossa dalle Regioni Piemonte e  Molise,
le relative questioni risultano  all'evidenza  inammissibili,  stante
l'assoluta carenza di interesse delle  ricorrenti  ad  impugnare  una
norma non applicabile nei loro confronti. 
    Per contro, si e' gia' visto che la violazione dell'art. 77 Cost.
e' stata prospettata soltanto dalla Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia  e  che  la  relativa   questione   deve   essere   dichiarata
inammissibile in quanto non menzionata nella  delibera  della  Giunta
regionale. Residuano, pertanto, avverso  il  comma  20-bis,  le  sole
questioni promosse dalla Regione autonoma Sardegna in riferimento  ai
parametri statutari. 
    Nondimeno, l'illegittimita' costituzionale dei commi da 14  a  20
dell'art. 23 del d.l. n. 201 del 2011 non puo' che comportare, in via
consequenziale, l'illegittimita' anche del comma 20-bis, che pone  un
obbligo di adeguamento degli ordinamenti  delle  Regioni  speciali  a
norme incompatibili con la Costituzione. 
    In   definitiva,   deve   essere   dichiarata    l'illegittimita'
costituzionale, in via consequenziale, ai sensi  dell'art.  27  della
legge n. 87 del 1953, dell'art. 23, comma 20-bis, del d.l. n. 201 del
2011. 
    14.-  Restano  assorbiti  gli  altri  profili  di  illegittimita'
costituzionale prospettati dalle ricorrenti. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata a  separate  pronunce  la  decisione  sull'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge 6 dicembre 2011,
n.  201  (Disposizioni  urgenti  per  la  crescita,  l'equita'  e  il
consolidamento dei conti pubblici),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011,  n.  214,  e  nel
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135; 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  23,
commi 14, 15, 16, 17, 18,  19  e  20,  del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 17  e  18
del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma 1, della legge n. 135 del 2012; 
    3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'art.  27  della
legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla  costituzione  e   sul
funzionamento   della   Corte    costituzionale),    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 20-bis, del d.l. n. 201 del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011; 
    4)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 21, del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011, promosse - in riferimento agli artt. 3, 5, 77, 97, 114,
117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, 119 e  120
Cost., e ai principi di ragionevolezza  e  di  leale  collaborazione,
nonche' all'art. 3,  primo  comma,  lettere  a)  e  b),  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna) - dalle Regioni Piemonte e Molise, e dalla Regione autonoma
Sardegna con i ricorsi indicati in epigrafe; 
    5)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 4,  del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011, promossa - in riferimento agli artt. 4, primo comma, n.
1-bis), 51 e 54 della legge costituzionale  31  gennaio  1963,  n.  1
(Statuto  speciale  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia),  nonche'
all'art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997,  n.  9  (Norme  di
attuazione  dello  Statuto   speciale   per   la   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti  locali  e
delle   relative   circoscrizioni)   -   dalla    Regione    autonoma
Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe; 
    6)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 23, comma 22, del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011, promosse - in riferimento agli artt. 4, primo comma, n.
1-bis), 51 e 54 della legge costituzionale  31  gennaio  1963,  n.  1
(Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia),  all'art.  3,
primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26  febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), agli  artt.  2,  primo
comma, lettera b), 3, primo  comma,  lettera  f),  e  4  della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la  Valle
d'Aosta) ed agli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma,  Cost.
- dalle Regioni autonome  Friuli-Venezia  Giulia,  Sardegna  e  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste con i ricorsi indicati in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013. 
 
                                F.to: 
                      Franco GALLO, Presidente 
                    Gaetano SILVESTRI, Redattore 
                   Gabriella MELATTI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2013. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                       F.to: Gabriella MELATTI 
 
 
                                                            Allegato: 
                        Ordinanza letta all'udienza del 2 luglio 2013 
 
                              ORDINANZA 
 
    Ritenuto che la  Provincia  di  Isernia  ha  depositato  atti  di
intervento nei giudizi promossi dalla Regione Molise (Reg. ric. n. 32
e n. 133 del 2012) avverso i commi da 14 a 21  dell'articolo  23  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni  urgenti  per  la
crescita,  l'equita'  e  il  consolidamento  dei   conti   pubblici),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  22
dicembre 2011, n. 214, e l'art. 17 del decreto-legge 6  luglio  2012,
n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.
135, chiedendo che le norme impugnate siano dichiarate illegittime; 
    che le Province di Latina, Frosinone e Viterbo, e l'Unione  delle
Province d'Italia hanno depositato atti di  intervento  nel  giudizio
promosso dalla Regione Lazio (Reg. ric. n. 44  del  2012)  avverso  i
commi da 14 a 20 dell'art. 23 del d.l. n. 201 del  2011,  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011,
chiedendo che le norme impugnate siano dichiarate illegittime; 
    che la Provincia di Avellino ha depositato atto di intervento nel
giudizio promosso dalla Regione Campania (Reg. ric. n. 153 del  2012)
avverso l'art. 17, commi 1, 2, 3, 4, 4-bis, 6, 11 e 12, e l'art.  18,
commi 1, 2, 2-bis, 7-bis, 9, lettere c) e d),  del  d.l.  n.  95  del
2012, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 135  del  2012,  chiedendo  che  le  norme  impugnate  siano
dichiarate illegittime; 
    che il Comune di Mantova ha depositato  atto  di  intervento  nel
giudizio promosso dalla Regione Lombardia (Reg. ric. n. 154 del 2012)
avverso l'art. 17, commi 1, 2, 3, 4, 4-bis, 6, 11 e 12, del  d.l.  n.
95 del 2012, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge n. 135 del 2012, chiedendo che le norme  impugnate  siano
dichiarate illegittime. 
    Considerato che il giudizio  di  costituzionalita'  delle  leggi,
promosso  in  via  d'azione  ai   sensi   dell'articolo   127   della
Costituzione e degli artt. 31 e seguenti della legge 11  marzo  1953,
n. 87 (Norme sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte
costituzionale), si svolge esclusivamente tra  soggetti  titolari  di
potesta' legislativa, fermi restando, per i soggetti  privi  di  tale
potesta', i mezzi di tutela delle  rispettive  posizioni  soggettive,
anche costituzionali, di fronte ad altre istanze  giurisdizionali  ed
eventualmente innanzi a questa Corte in via incidentale; 
    che  pertanto,  alla  stregua  della  normativa   in   vigore   e
conformemente  alla  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  (ex
plurimis, sentenze n. 118 del 2013, n. 245, n. 114 e n. 105 del 2012,
n. 69 e n. 33 del 2011, n. 278 e 121 del 2010, e ordinanza n. 107 del
2010), non e' ammesso l'intervento in tali giudizi di soggetti  privi
di potere legislativo. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibili gli interventi spiegati dalle Province  di
Isernia, Latina, Frosinone, Viterbo e Avellino, dal Comune di Mantova
e dall'Unione delle Province  d'Italia  nei  giudizi  promossi  dalle
Regioni Molise, Lazio, Campania e Lombardia. 
 
                   F.to: Franco GALLO, Presidente