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N. 43 SENTENZA 10 febbraio - 3 marzo 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Bilancio e contabilita'  pubblica  -  Contenimento  della  spesa  per
  incarichi  di  consulenza,  studio  e  ricerca,  per  contratti  di
  collaborazione   coordinata   e   continuativa,    per    acquisto,
  manutenzione, noleggio ed  esercizio  di  autovetture  nonche'  per
  acquisto di buoni taxi. 
- Decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti  per  la
  competitivita'  e  la  giustizia   sociale)   -   convertito,   con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n.
  89 - artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1. 
-   
(GU n.10 del 9-3-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 14,  commi
1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n.  66
(Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  23
giugno 2014, n. 89, promossi dalla Regione Veneto e  dalla  Provincia
autonoma di Trento, con ricorsi notificati il 18 e il 20 agosto 2014,
depositati in cancelleria il 22 e il 26 agosto 2014 e rispettivamente
iscritti ai nn. 63 e 65 del registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 2016 e nella camera di
consiglio del 10 febbraio 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi  Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 18  agosto  2014  e  depositato  il
successivo 22 agosto (reg. ric. n. 63 del 2014), la Regione Veneto ha
promosso, tra le altre,  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del  decreto-legge
24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la
giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, in riferimento  agli  artt.  3,
97, 117, terzo comma, 119 e 120 della Costituzione. 
    L'art. 14, comma 1,  vieta,  a  decorrere  dall'anno  2014,  alle
amministrazioni pubbliche, tra cui la Regione, di conferire incarichi
di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta
nell'anno  per  tali  incarichi  e'  superiore  ad  una   determinata
percentuale della spesa per  il  personale  dell'amministrazione  che
conferisce l'incarico. 
    L'art. 14, comma  2,  contiene,  sempre  a  decorrere  dal  2014,
un'analoga  previsione  relativa  ai  contratti   di   collaborazione
coordinata e continuativa, la cui spesa  e'  posta  a  raffronto  con
quella  per  il   personale   dell'amministrazione   che   conferisce
l'incarico. 
    Nonostante l'art. 14, comma  4-ter,  del  d.l.  n.  66  del  2014
aggiunga che le Regioni  hanno  facolta'  di  rimodulare  o  adottare
misure  alternative  di  contenimento  della   spesa   corrente   per
conseguire risparmi pari a quelli derivanti  dall'applicazione  della
norma impugnata, la Regione Veneto ritiene lesa la propria  autonomia
finanziaria tutelata dagli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. 
    Lo Stato avrebbe infatti dettato misure puntuali  e  dettagliate,
che eccedono i confini dei  principi  fondamentali  di  coordinamento
della finanza pubblica. 
    Gli stessi parametri costituzionali  sarebbero  violati  anche  a
causa del carattere permanente di tali misure, disposte a partire dal
2014. 
    L'art. 119, terzo e quarto comma, Cost. sarebbe leso  in  ragione
dell'effetto «perequativo implicito e distorto  che  le  disposizioni
impugnate producono». 
    L'art. 120 Cost. sarebbe violato  per  il  profilo  attinente  al
canone di leale collaborazione, perche' l'adozione delle  misure  non
ha richiesto il coinvolgimento della Regione. 
    Infine, le norme impugnate determinerebbero, con ridondanza sulle
competenze  regionali,  un  effetto  manifestamente  irragionevole  e
contrario al buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto
favoriscono le Regioni che hanno, a parita' di abitanti, una maggiore
spesa per il personale, invece di premiare quelle che mantengono tale
spesa sotto controllo. Per tale ragione  la  ricorrente  reputa  lesi
anche gli artt. 3 e 97 Cost. 
    Censure analoghe raggiungono l'art. 15,  comma  1,  della  stessa
legge, che vieta alla Regione, a decorrere dal  1°  maggio  2014,  di
effettuare per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio
delle autovetture, nonche' per l'acquisto di buoni  taxi,  una  spesa
superiore al 30 per cento di quella sostenuta per tali voci nel 2011. 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato  inammissibile  e
comunque infondato. 
    La difesa dello  Stato  ha  svolto  considerazioni  di  carattere
generale relative  alla  finanza  regionale  e  in  particolare  alla
soggezione delle  autonomie  speciali  ai  principi  fondamentali  di
coordinamento della finanza pubblica. 
    Con una seconda memoria, l'Avvocatura generale  ha  replicato  ai
motivi di ricorso. 
    I vincoli previsti dall'art. 14,  commi  1  e  2,  impugnato,  si
giustificherebbero alla luce del successivo comma 4-ter, che permette
alla Regione di discostarsene, ad invarianza di risparmio di spesa. 
    L'art. 15, comma  1,  anch'esso  impugnato,  sarebbe  «diretto  a
conformare  l'attivita'   amministrativa   ai   principi   di   buona
amministrazione»  in  modo  «ragionevole»,  perche'  non  prevede  un
divieto dell'acquisto o dell'utilizzazione delle autovetture, ma solo
un limite per la relativa spesa. 
    3.- Con ricorso notificato il 20  agosto  2014  e  depositato  il
successivo 26 agosto  (reg.  ric.  n.  65  del  2014),  la  Provincia
autonoma  di  Trento  ha  impugnato  a  sua  volta,  tra   le   altre
disposizioni, l'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014,
in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., agli artt.  79,  80,
81, 103, 104 e 107 del decreto legislativo 31  agosto  1972,  n.  670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali  concernenti
lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e  all'art.  17  del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione  dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige  in  materia  di  finanza
regionale e provinciale). 
    La ricorrente ritiene lesa la propria  autonomia  finanziaria,  a
causa del limite alla spesa, di carattere  permanente,  imposto  alla
Provincia autonoma e agli enti locali trentini. 
    4.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato  inammissibile  e
comunque infondato. 
    L'Avvocatura generale  sostiene  la  soggezione  delle  autonomie
speciali ai principi  fondamentali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica. 
    5.- Nelle more del giudizio, la Provincia autonoma di  Trento  ha
rinunciato al ricorso, per la parte che qui interessa. Il  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  previa  delibera  del  Consiglio  dei
ministri, ha accettato la rinuncia. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 18  agosto  2014  e  depositato  il
successivo 22 agosto (reg. ric. n. 63 del 2014), la Regione Veneto ha
promosso, tra le  altre,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del  decreto-legge
24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la
giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, in riferimento  agli  artt.  3,
97, 117, terzo comma, 119 e 120 della Costituzione. 
    Con  ricorso  notificato  il  20  agosto  2014  e  depositato  il
successivo 26 agosto  (reg.  ric.  n.  65  del  2014),  la  Provincia
autonoma  di  Trento  ha  impugnato  a  sua  volta,  tra   le   altre
disposizioni, l'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014,
in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost., agli artt.  79,  80,
81, 103, 104 e 107 del decreto legislativo 31  agosto  1972,  n.  670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali  concernenti
lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e  all'art.  17  del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione  dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige  in  materia  di  finanza
regionale e provinciale). 
    Le disposizioni impugnate recano  misure  di  contenimento  della
spesa pubblica, con riguardo agli incarichi di consulenza,  studio  e
ricerca (art. 14, comma 1), ai contratti di collaborazione coordinata
e continuativa (art. 14,  comma  2),  e  all'acquisto,  manutenzione,
noleggio ed esercizio di autovetture, oltre che all'acquisto di buoni
taxi (art. 15, comma 1). 
    2.- I ricorsi vertono, in parte, sulle  medesime  disposizioni  e
pongono questioni analoghe, percio' ne e' opportuna la  riunione  per
una decisione congiunta. 
    3.- Nelle more del giudizio, la Provincia autonoma di  Trento  ha
raggiunto  un  accordo  di  finanza  pubblica  con  lo  Stato  e   ha
conseguentemente rinunciato al ricorso, per quanto qui di  interesse.
A seguito dell'accettazione della rinuncia da  parte  del  Presidente
del Consiglio dei ministri, il processo relativo  alle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi  1,  2  e  4-ter,  va
dichiarato estinto, ai sensi dell'art. 23 delle norme integrative per
i giudizi davanti alla Corte costituzionale. 
    4.- La Regione Veneto impugna gli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e
15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, in riferimento, tra gli  altri,
all'art. 119, terzo e quarto  comma,  Cost.,  a  causa  dell'«effetto
perequativo  implicito   e   distorto»   che   attribuisce   a   tali
disposizioni. 
    Questa censura e' inammissibile, in  quanto  oscura  e  priva  di
adeguata motivazione. 
    La ricorrente non spiega  in  alcun  modo  quale  rapporto  possa
intercorrere tra le misure di riduzione della spesa pubblica, imposte
dalle norme impugnate, e gli  interventi  con  finalita'  perequativa
previsti dall'art. 119 Cost. 
    5.- L'art. 15, comma 1, del  d.l.  n.  66  del  2014  sostituisce
l'art.  5,  comma  2,  del  decreto-legge  6  luglio  2012,   n.   95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del settore  bancario.),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.
135. 
    La disposizione impugnata vincola,  a  decorrere  dal  1°  maggio
2014,  le  amministrazioni  pubbliche,  tra  cui  la  Regione  Veneto
ricorrente, a contenere la spesa per le autovetture e  i  buoni  taxi
entro il 30 per cento della spesa sostenuta per tali  voci  nell'anno
2011.  Essa  fa  seguito  ad  analoghe  previsioni,  inserite   nella
legislazione  statale  di  coordinamento   della   finanza   pubblica
(sentenza  n.  182  del  2011)  fin  dall'art.  6,  comma   14,   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
luglio 2010, n. 122. Con quest'ultima norma, e' stato  introdotto,  a
decorrere dal 2011, un tetto a tale voce di spesa,  pari  all'80  per
cento dell'esborso sostenuto nel 2009, mentre l'art. 5, comma 2,  del
d.l. n. 95 del 2012, a decorrere dal 2013, ha incrementato il  limite
portandolo al 50 per cento della spesa affrontata nel 2011. 
    Con una prima censura la Regione Veneto  denuncia  la  violazione
dell'autonomia finanziaria, garantita dall'art. 119  Cost.,  avvenuta
con una previsione di dettaglio in contrasto con  l'art.  117,  terzo
comma, Cost., che  attribuisce  natura  concorrente  alla  competenza
legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica. 
    La questione e' fondata. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza   di   questa   Corte,   il
legislatore  statale,  con  una  «disciplina  di   principio»,   puo'
legittimamente  «imporre  agli  enti   autonomi,   per   ragioni   di
coordinamento   finanziario   connesse   ad   obiettivi    nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» (sentenza n.
36 del 2004; si veda anche la  sentenza  n.  417  del  2005).  Questi
vincoli, perche' possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle
Regioni  e  degli  enti  locali,  devono  riguardare  «l'entita'  del
disavanzo di parte corrente oppure - ma solo "in via  transitoria  ed
in vista degli specifici  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica perseguiti dal legislatore  statale"  -  la  crescita  della
spesa corrente». In altri termini, la legge  statale  puo'  stabilire
solo un «limite  complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi  ampia
liberta'  di  allocazione  delle  risorse  fra  i  diversi  ambiti  e
obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36  del  2004;  si
vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). 
    In applicazione  di  tali  principi  questa  Corte  ha  giudicato
rispettoso dell'autonomia finanziaria regionale l'art. 6,  comma  14,
del d.l. n. 78 del 2010, perche' la disposizione, nel porre un limite
alla spesa per autovetture valevole rigidamente nei  confronti  delle
amministrazioni statali,  ne  aveva  previsto  l'applicabilita'  alle
Regioni  esclusivamente  a  titolo  di  principio   fondamentale   di
coordinamento della finanza pubblica, come  era  stato  espressamente
stabilito dall'art. 6, comma 20, del d.l. n. 78 del 2010. 
    Per effetto di cio' continuava a spettare alle Regioni, nel vasto
ambito delle voci di spesa incise dal d.l. n. 78 del 2010,  scegliere
se e in quale misura colpire proprio quelle  analiticamente  indicate
dall'art. 6, comma 14, sempre che, all'esito di questa operazione, ne
risultasse  un  risparmio  complessivo   non   inferiore   a   quello
conseguente all'azione congiunta  delle  varie  prescrizioni  statali
(sentenza n. 182 del 2011; in seguito, sentenze n. 36  del  2013,  n.
211, n. 173 e n. 139 del 2012). 
    La disposizione impugnata, invece, si  discosta  dal  modello  di
intervento sulla spesa regionale previsto dall'art. 6 del d.l. n.  78
del 2010, perche' non lascia alla Regione alcun margine  di  sviluppo
dell'analitico precetto che e' stato  formulato.  In  particolare,  a
differenza di quanto e' stato stabilito dall'art.  14,  comma  4-ter,
del medesimo d.l. n. 66 del 2014, non e' riconosciuta la facolta' per
la Regione di adottare misure alternative di contenimento della spesa
corrente, sicche' l'art. 15, comma 1, oggetto del ricorso, quale  che
ne sia l'autoqualificazione adottata  dal  legislatore  statale,  non
puo' essere ritenuto espressivo  di  un  principio  di  coordinamento
della finanza pubblica (sentenza n. 139 del 2012). 
    La violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.  comporta
percio' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15,  comma  1,  del
d.l. n. 66 del 2014, con assorbimento delle ulteriori censure. 
    6.- L'art. 14, comma 1, limita, a decorrere dal 2014,  la  spesa,
anche regionale, per incarichi di consulenza, studio  e  ricerca,  al
4,2  per  cento  di  quella  sostenuta  nel  2012  per  il  personale
dell'amministrazione che conferisce l'incarico, se  essa  e'  pari  o
inferiore a 5 milioni di euro, e all'1,4  per  cento,  se  e'  invece
superiore a tale importo. 
    L'art. 14, comma 2, replica questa tecnica di intervento rispetto
alla spesa per contratti di collaborazione coordinata e continuativa,
individuando stavolta le  percentuali  rispettivamente  nel  4,5  per
cento e nell'1,1 per cento. 
    La Regione Veneto ritiene anche in tal  caso  violati  gli  artt.
117, terzo comma, e 119 Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    Come si e' anticipato, l'art. 14, comma 4-ter, del d.l. n. 66 del
2014,  anch'esso  oggetto  di  ricorso,  permette  alle  Regioni   di
«rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa
corrente, al fine di conseguire risparmi  comunque  non  inferiori  a
quelli derivanti dall'applicazione dei commi  1  e  2»  del  medesimo
articolo. 
    Sono percio' integralmente soddisfatte, sotto questo aspetto,  le
condizioni  enunciate  nel  precedente  punto  5.,  alle   quali   la
giurisprudenza costituzionale subordina la legittimita'  di  analoghi
interventi statali sulla spesa regionale (sentenza n. 182 del 2011). 
    7.- La ricorrente ritiene lesi anche gli  artt.  3  e  97  Cost.,
perche' l'art. 14,  commi  1  e  2,  del  d.l.  n.  66  del  2014  ha
commisurato la capacita' di spesa  regionale  relativa  alle  singole
voci  raggiunte   dall'intervento   normativo   statale   all'importo
complessivo    delle    spese    sostenute    per    il     personale
dell'amministrazione  che  conferisce  l'incarico.   In   tal   modo,
argomenta il ricorso, sarebbero penalizzate proprio le  Regioni  piu'
virtuose, che nel tempo hanno  ridotto  la  spesa  per  i  dipendenti
pubblici. Queste Regioni, a causa di cio', sono  obbligate  (salvo  a
reperire  altrove  pari  risparmi)  a  limitare  gli   incarichi   di
consulenza e i contratti di collaborazione, piu' di quanto  lo  siano
le Regioni che impiegano piu' personale. 
    La  questione  e'  ammissibile  perche'  la   ricorrente   motiva
adeguatamente la ridondanza sulla propria autonomia  organizzativa  e
finanziaria della violazione dei principi di ragionevolezza e di buon
andamento della pubblica amministrazione invocati. 
    Essa, tuttavia, non e' fondata. 
    In  linea  di   principio   il   controllo   di   non   manifesta
irragionevolezza demandato a questa  Corte  non  puo'  basarsi  sulla
presunzione, ipotizzata dalla ricorrente, che un  maggior  numero  di
dipendenti pubblici sia inequivocabilmente il segno  di  una  cattiva
amministrazione, anziche', come e' invece astrattamente possibile, di
scelte politiche favorevoli all'espansione del settore  pubblico,  se
non anche della necessita' di far fronte ad un piu' ampio  novero  di
funzioni e servizi da parte di alcune Regioni. Ove  la  spesa  per  i
dipendenti fosse l'effetto di tali fenomeni,  e  dunque  la  spia  di
accresciute esigenze dell'amministrazione, non sarebbe manifestamente
incongruo istituire un legame di proporzionalita' diretta tra  questa
spesa e gli incarichi di consulenza, studio e ricerca. 
    Questo vale a maggior ragione per i contratti di  collaborazione,
posto che resta loro applicabile  l'art.  7,  comma  6,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),  che
vieta  di   ricorrervi,   se   non   quando   sia   stata   accertata
l'impossibilita' oggettiva di utilizzare per  il  medesimo  scopo  il
personale gia' a disposizione  dell'amministrazione.  E'  questa  una
previsione che dovrebbe scongiurare alla radice  il  rischio  che  si
abusi delle collaborazioni esterne pur  in  presenza  di  un  elevato
numero di dipendenti pubblici. 
    Cio'  premesso,  si   puo'   ulteriormente   osservare   che   la
disposizione impugnata  si  innesta  sul  solco  di  analoghe  misure
assunte dal legislatore statale anzitutto con il d.l. n. 78 del 2010,
e tutt'ora applicabili, come e' stato ribadito proprio  dall'art.  14
del d.l. n. 66 del 2014. 
    Con riguardo alla spesa per  consulenze,  studi  e  ricerche,  in
particolare, e' fatta salva l'applicazione dell'art. 6, comma 7,  del
d.l. n. 78 del 2010, e dell'art. 1, comma  5,  del  decreto-legge  31
agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti  per  il  perseguimento  di
obiettivi di  razionalizzazione  nelle  pubbliche  amministrazioni.),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
ottobre 2013, n. 125. 
    Nello stesso modo continua ad operare l'art.  9,  comma  28,  del
d.l. n. 78 del 2010, con riferimento alla spesa per  i  contratti  di
collaborazione coordinata e continuativa. 
    Queste  norme  hanno  gia'  provveduto  a  limitare  le   risorse
finanziarie disponibili entro  determinate  percentuali  della  spesa
storica sostenuta dalle singole Regioni per  analoghe  partite  negli
anni  precedenti.  Vi  e'  percio'   un   pregresso   meccanismo   di
contenimento  della  spesa,  che  ha  obbligato  fin  dal   2011   le
amministrazioni regionali, e  l'obbliga  tutt'ora  (ove  non  abbiano
rinvenuto altrove le risorse), a ridurre gli impegni per consulenze e
collaborazioni. L'effetto e' che tali impegni sono ridimensionati, in
valori assoluti,  in  misura  maggiore  proprio  laddove  erano  piu'
elevati, secondo la linea auspicata dalla Regione Veneto. 
    La disposizione impugnata non si sostituisce a questo meccanismo,
ma si aggiunge con una nuova e diversa restrizione, che  e'  peraltro
ancora una volta rapportata al livello della spesa complessiva per il
personale.  Essa,  infatti,  consente  l'impiego  di   consulenti   e
collaboratori in una percentuale che decresce fortemente se la  spesa
per il personale dipendente e' molto elevata (superiore a  5  milioni
di euro), penalizzando cosi' le Regioni  che  si  trovano  in  questa
condizione, e non puo' considerarsi manifestamente irragionevole,  in
una organizzazione amministrativa, l'istituzione di un  rapporto  tra
la spesa complessiva per  il  personale  e  quella  per  incarichi  e
collaborazioni di vario tipo. 
    8.- La Regione Veneto censura l'art. 14, commi 1, 2, e 4-ter, del
d.l. n. 66 del 2014 anche in relazione all'art. 120 Cost.,  rilevando
che le disposizioni  sono  state  adottate  senza  il  coinvolgimento
regionale. 
    La questione non  e'  fondata,  perche'  il  principio  di  leale
collaborazione, ove non sia specificamente previsto,  non  si  impone
nel procedimento legislativo (ex plurimis, sentenza n. 112 del 2010). 
    9.- L'art. 14, commi 1 e 2, e' censurato,  con  riferimento  agli
artt. 117, terzo comma,  e  119  Cost.,  anche  nella  parte  in  cui
stabilisce che le misure previste si applicano «a decorrere dall'anno
2014», e assumono percio' carattere permanente. 
    La questione e' fondata. 
    Come si e' gia'  posto  in  luce  al  precedente  punto  5.,  gli
interventi  statali  sull'autonomia  di  spesa  delle  Regioni   sono
consentiti, come principi di coordinamento  della  finanza  pubblica,
purche'   transitori,   giacche'   in   caso   contrario   essi   non
corrisponderebbero all'esigenza di garantire l'equilibrio  dei  conti
pubblici in un dato arco temporale, segnato da  peculiari  emergenze,
ma trasmoderebbero in direttive  strutturali  sull'allocazione  delle
risorse finanziarie di cui la Regione  e'  titolare,  nell'ambito  di
scelte politiche  discrezionali  concernenti  l'organizzazione  degli
uffici, delle funzioni e dei servizi (sentenza n. 36 del 2004). 
    Questa  Corte  ha  percio'   gia'   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale di analoghe previsioni (sentenza n. 79 del 2014),  per
un aspetto che peraltro non inficia la misura di finanza pubblica  in
se', ma coinvolge esclusivamente la sua  dimensione  temporale,  allo
scopo di «assicurare la natura transitoria delle misure previste,  e,
allo stesso tempo, di non stravolgere  gli  equilibri  della  finanza
pubblica, specie in relazione all'anno in corso» (sentenza n. 193 del
2012). 
    Sotto quest'ultimo profilo questa Corte ha gia' posto in evidenza
la natura necessariamente pluriennale delle  politiche  di  bilancio,
che vengono scandite per mezzo della legge  di  stabilita'  lungo  un
arco di tempo di regola triennale (sentenze n. 178 del 2015 e n.  310
del 2013). 
    Nel caso di specie, il d.l. n. 66 del  2014  e'  intervenuto  per
correggere i conti pubblici  con  riferimento  al  periodo  triennale
inaugurato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge  di
stabilita' 2014), ovvero, in linea  di  principio  e  salva  espressa
disposizione contraria, dal 2014 al 2016. Percio' questa  Corte  deve
ripristinare la legalita' costituzionale riconducendo la disposizione
impugnata ad un  corrispondente  periodo  transitorio  di  efficacia,
visto che esso e' connaturato  alle  caratteristiche  dell'intervento
legislativo in cui  la  norma  e'  collocata,  e  si  desume  percio'
direttamente ed inequivocabilmente da quest'ultimo. 
    Di conseguenza l'art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014 va
dichiarato costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in  cui  si
applica «a decorrere dall'anno 2014», anziche' «negli anni 2014, 2015
e 2016». 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di  legittimita'  costituzionale  promosse  con  i  ricorsi
indicati in epigrafe; 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  15,  comma
1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66  (Misure  urgenti  per  la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, nella parte in cui si applica alle Regioni; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1
e 2, del d.l. n. 66 del 2014,  nella  parte  in  cui  si  applica  «a
decorrere dall'anno 2014», anziche' «negli anni 2014, 2015 e 2016»; 
    3) dichiara  estinto  il  processo  relativo  alle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1,  2  e  4-ter,  del
d.l. n. 66 del 2014, promosse dalla Provincia autonoma di Trento, con
il ricorso indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del
d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento all'art. 119,  terzo  e
quarto comma,  della  Costituzione,  dalla  Regione  Veneto,  con  il
ricorso indicato in epigrafe; 
    5) dichiara non fondate le ulteriori  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n.  66  del
2014, promosse, in riferimento agli artt. 117,  terzo  comma,  e  119
Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe; 
    6)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n.  66  del
2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97 e  120  Cost.,  dalla
Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe. 
 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2016. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Giorgio LATTANZI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                        F.to: Roberto MILANA