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N. 44 SENTENZA 10 - 13 marzo 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Enti locali - Unioni di comuni - Obbligo per i Comuni con popolazione
  fino a 1.000 abitanti di esercitare  in  forma  associata  funzioni
  amministrative e servizi pubblici  -  Disciplina  degli  organi  di
  governo dell'Unione e delle relative funzioni. 
- Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti  per
  la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito,  con
  modificazioni, nella legge 14 settembre  2011,  n.  148,  art.  16,
  commi 1, 3, 4, 5, 7, 8, da 10 a 15, 16, 17, lettera a), da 19 a 21,
  e 28. 
-   
(GU n.13 del 19-3-2014 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Gaetano SILVESTRI; 
Giudici :Luigi MAZZELLA,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,  Paolo
  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe  FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo
  GROSSI, Giorgio  LATTANZI,  Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Sergio
  MATTARELLA, Mario Rosario  MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,  Giuliano
  AMATO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  16  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14  settembre  2011,
n.   148,   promossi   dalle   Regioni   Toscana,   Lazio,    Puglia,
Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Umbria, Campania, Lombardia e  dalla
Regione autonoma Sardegna, con ricorsi notificati il 14-18, il 14-16,
il 14, il 15, il 17, il 15-17 e il 15 novembre  2011,  depositati  in
cancelleria  il  17,  il  18,  il  23  ed  il  24  novembre  2011,  e
rispettivamente iscritti ai numeri 133, 134, 141, 144, 145, 146, 147,
153,  155  e  160  del  registro  ricorsi  2011,  e  nei  giudizi  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  19,  commi  2,  5  e  6  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135,  promossi  dalle  Regioni
Lazio, Veneto, Campania, dalla  Regione  autonoma  Sardegna  e  dalla
Regione Puglia, con ricorsi notificati il 12-17, il 12, il 13-17,  il
12 e il 15-18 ottobre 2012, depositati in cancelleria il 16,  il  17,
il 18, il 19 e il 24 ottobre  2012,  e  rispettivamente  iscritti  ai
numeri 145, 151, 153, 160 e 172 del registro ricorsi 2012. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  3  dicembre  2013  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi gli avvocati Marcello Cecchetti per le  Regioni  Toscana  e
Puglia, Francesco Saverio Marini per la Regione  Lazio,  Giandomenico
Falcon,  Franco  Mastragostino  e  Luigi   Manzi   per   le   Regioni
Emilia-Romagna, Liguria e Umbria,  Luigi  Manzi,  Daniela  Palumbo  e
Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto
per le Regioni Campania e Lombardia, Massimo Luciani per  la  Regione
autonoma Sardegna e l'avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 14-18 novembre 2011 e depositato in
cancelleria il 17 novembre 2011  (reg.  ric.  n.  133  del  2011)  la
Regione Toscana ha promosso questioni di legittimita'  costituzionale
di diverse norme del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  14
settembre 2011, n. 148, e, tra queste, dell'art. 16, commi 1,  3,  4,
5, 7, 8, da 10 a 15, 16, 17, lettera a),  da  19  a  21,  e  28,  che
disciplinano  l'esercizio  associato  delle  funzioni  comunali,   in
riferimento agli artt. 3, 97, 114, 117, secondo  comma,  lettera  p),
terzo, quarto e sesto comma,  118,  119,  120,  secondo  comma,  133,
secondo  comma,  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione   del
principio di leale collaborazione. 
    Il ricorso e' articolato su una pluralita' di questioni che hanno
ad oggetto singoli commi o gruppi di essi. 
    La  Regione,  in  premessa,  prospetta,  in   termini   generali,
«l'illegittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 1, 3, 4, 5, 7, 8
e da 10 a 15, nonche' commi 16, 17, lettera a), e da 19 a  21,  nella
parte in cui prevede e disciplina le unioni di comuni, per violazione
degli artt. 3, 97, 114, 117,  secondo  comma,  lettera  p),  terzo  e
quarto comma, 118 e 133, secondo comma, Cost., nonche' per violazione
del principio di leale collaborazione». 
    Successivamente,  procede  alla   illustrazione   delle   singole
questioni. 
    A) Con la prima la ricorrente censura l'art. 16, commi 1,  3,  4,
5, 7, 8 e da 10 a 15, nonche' commi 16, 17, lettera a), e commi da 19
a 21 nella parte in cui prevede una disciplina puntuale in materia di
unioni di Comuni,  non  riconducibile  nell'ambito  delle  competenze
statali stabilite dall'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. 
    B) Ad avviso della Regione Toscana, poi, l'art. 16, commi  1,  3,
4, 5, 7, 8 e da 10 a 15, nonche' commi 16, 17, lettera a), e da 19  a
21, nella parte in cui: 1) stabilisce che i  Comuni  con  popolazione
fino a 1.000 abitanti esercitano obbligatoriamente in forma associata
tutte le funzioni amministrative, e  non  solo  quelle  fondamentali,
mediante un'unione di Comuni,  ai  sensi  dell'art.  32  del  decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali); 2)  prevede  una  disciplina  di
dettaglio che comprime i margini di  autonomia  dei  piccoli  Comuni,
dando luogo, di fatto, ad una sostanziale fusione degli  stessi,  con
conseguente modifica delle  relative  circoscrizioni;  3)  interviene
sull'ordinamento degli enti locali e,  dunque,  in  una  materia  che
ricade nella competenza residuale delle Regioni, si pone in contrasto
con l'art. 133, secondo comma, Cost., il  quale  stabilisce  che  «La
Regione, sentite le  popolazioni  interessate,  puo'  con  sue  leggi
istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e  modificare  le  loro
circoscrizioni e denominazioni», anche in relazione agli artt. 114  e
117, quarto comma, Cost. 
    Piu'  in  particolare,   la   ricorrente   lamenta   la   lesione
dell'autonomia  riconosciuta  ai  Comuni  dall'art.  114  Cost.,  per
effetto di quanto stabilito dai commi 4 e 5, i quali, in particolare:
a) affidano alle unioni la programmazione economico-finanziaria e  di
gestione contabile; b) prevedono la successione dell'unione in  tutti
i rapporti giuridici in essere in capo ai  Comuni;  c)  prevedono  il
trasferimento alle unioni di tutte le  risorse  umane  e  strumentali
relative alle funzioni ed ai servizi  loro  affidati,  ai  sensi  dei
commi 1, 2 e 4, nonche' dei relativi rapporti  finanziari  risultanti
dal bilancio. 
    Nella stessa prospettiva, la  Regione  evidenzia  che  il  citato
comma 5 prevede, a decorrere dal 2014, l'assoggettamento delle unioni
di Comuni alla disciplina del patto di  stabilita'  interno  per  gli
enti locali, prevista per i Comuni aventi corrispondente popolazione. 
    La   ricorrente,   inoltre,   ritiene    lesive    dell'autonomia
riconosciuta ai Comuni anche le seguenti disposizioni: a) commi da 10
a 15, i quali individuano gli organi ed il funzionamento delle unioni
alla stregua di vere e proprie fusioni di Comuni  (la  ricorrente  ne
trae conferma dal fatto che il comma 14  assegna  alle  unioni  anche
l'autonomia statutaria); b) comma 8, primo periodo,  che  prevede  un
termine perentorio entro il quale i Comuni  con  popolazione  fino  a
1.000 abitanti, con deliberazione del consiglio comunale da  adottare
a maggioranza  dei  componenti,  devono  avanzare  alla  Regione  una
proposta di aggregazione per l'istituzione della  rispettiva  unione;
c) comma 8, secondo e terzo periodo, ai sensi del  quale  la  Regione
provvede, entro il termine perentorio del 31 dicembre  2012,  secondo
il proprio ordinamento, a sancire l'istituzione di  tutte  le  unioni
del proprio territorio come determinate  nelle  proposte  di  cui  al
primo periodo e, qualora la proposta di aggregazione manchi o non sia
conforme alle disposizioni della norma in esame, la Regione  provvede
comunque. 
    Poste tali premesse, la ricorrente afferma  che  le  disposizioni
impugnate impongono, di fatto, la fusione  di  piccoli  Comuni  e  la
conseguente modifica delle  circoscrizioni  comunali,  in  violazione
della procedura prevista dall'art. 133, secondo comma, Cost. 
    Al riguardo, la Regione Toscana richiama la sentenza n.  261  del
2011 con la quale la Corte  costituzionale  ha  chiarito  che,  fatta
eccezione per l'ambito  di  competenza  esclusiva  statale  delineato
dall'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., l'ordinamento  degli
enti locali e' materia di  competenza  regionale  esclusiva  che,  in
relazione al mutamento delle circoscrizioni comunali, trova specifico
fondamento nell'art. 133, secondo comma, Cost. 
    Secondo la Regione, l'istituzione obbligatoria di una  unione,  i
cui consigli comunali sono peraltro destinati ad operare in  qualita'
di meri organi di partecipazione alla forma associativa, determina il
venir meno delle prerogative tipiche dell'ente partecipante. Infatti,
l'unione, dotata di propri organi, per i quali si prevede  in  futuro
l'elezione  a  suffragio  universale,  finisce   per   acquisire   la
legittimazione   democratica   propria   degli   enti   territoriali,
sopprimendo di fatto i Comuni che vi  partecipano.  Questi,  inoltre,
risulterebbero sottoposti ad un regime  differenziato  rispetto  agli
altri, in violazione dell'art. 114 Cost.,  che  prevede  solo  cinque
forme di enti territoriali, configurati come elementi costitutivi,  a
pari titolo, della Repubblica. 
    Con  particolare  riferimento  alla  asserita  violazione   della
potesta' legislativa regionale di carattere residuale, la  ricorrente
osserva, testualmente, «come non e' nella competenza del  legislatore
statale creare nuovi livelli  di  governo  a  natura  obbligatoria  e
"sostitutivi" di quelli previsti dall'art. 114 Cost., egualmente  non
e'  nelle  competenze   del   legislatore   statale   modificare   la
circoscrizione dei Comuni o istituirne di nuovi». Del  resto,  l'art.
133 Cost. «definisce  un  procedimento  specifico,  prevedendo  anche
l'obbligo di sottoporre a referendum delle popolazioni interessate le
scelte,  che  poi  sono  rimesse  alla  legge  regionale».  Pertanto,
conclude sul punto la Regione, la disciplina relativa alle unioni  di
Comuni (commi da 1 a 15 dell'art. 16) appare in netto  contrasto  col
quadro costituzionale e, in particolare,  con  gli  artt.  114,  117,
quarto comma, e 133 Cost. 
    C) La ricorrente, poi, censura l'art. 16, comma 1, nella parte in
cui, nel prevedere l'allocazione di tutte le funzioni  amministrative
in capo alle unioni di Comuni, anche per le materie  attribuite  alla
potesta' legislativa concorrente o residuale delle Regioni,  si  pone
in contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera  p),  terzo  e
quarto comma, e 118 Cost. 
    La Regione evidenzia che, ai sensi  dell'art.  118  Cost.,  sulla
base dei  principi  di  differenziazione  e  adeguatezza,  spetta  al
legislatore regionale prevedere forme di associazione per l'esercizio
delle funzioni. Per contro, la disposizione censurata si riferisce  a
tutte le funzioni amministrative, comprese quelle riconducibili  alle
materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., e «pretende
di  allocare  tutte  le  funzioni  amministrative  che  riguardano  i
"servizi pubblici" svolti dagli enti locali, i  quali,  per  pacifica
giurisprudenza costituzionale, rientrano  nell'ambito  affidato  alla
competenza  legislativa  residuale  regionale»  (e'   richiamata   la
sentenza n. 272 del 2004). 
    La legge statale, aggiunge la ricorrente, e'  competente  in  via
esclusiva solo per quanto riguarda le funzioni fondamentali, ma  deve
escludersi  che  possa  imporre  forme  associate  di  esercizio  con
riferimento   alle   funzioni   proprie   dei   Comuni    (rientranti
nell'autonomia  organizzativa  degli  stessi)  e  a  quelle  ad  essi
assegnate da leggi regionali. Al legislatore regionale,  in  base  ai
criteri di differenziazione ed  adeguatezza  previsti  dall'art.  118
Cost., spetta stabilire se attribuire le funzioni a condizione che le
stesse vengano esercitate in forma associata. 
    D) La Regione impugna, inoltre, l'art. 16, commi 1, 3, 4, 5, 7, 8
e da 10 a 15, evidenziando che la  disciplina  puntuale  delle  forme
associative degli enti locali, secondo il pacifico orientamento della
Corte  costituzionale,  rientra  nella  competenza  residuale   delle
Regioni (sono richiamate le sentenze n. 27 del 2010, n. 237 del 2009,
n. 456 e n. 244 del 2005). 
    La ricorrente, inoltre, osserva che anche prima della sentenza n.
244 del 2005, relativa  alle  comunita'  montane,  la  giurisprudenza
costituzionale, in particolare con la sentenza n. 343 del 1991, aveva
individuato la Regione quale «centro propulsore  e  di  coordinamento
dell'intero sistema delle autonomie locali», anche per quanto attiene
all'organizzazione delle funzioni e all'individuazione,  quindi,  del
livello ottimale di esercizio. 
    Secondo la Regione Toscana, dunque, i commi impugnati lederebbero
le prerogative del legislatore regionale, in relazione all'art.  117,
quarto comma, e  118  Cost.,  in  quanto  contenenti  una  disciplina
puntuale della forma associativa. 
    Sviluppando ulteriormente le premesse, la  ricorrente  sottolinea
che i commi 1, 3, 4, 7 ed 8, che individuano una disciplina specifica
ed autoapplicativa della forma associativa,  il  comma  5,  il  quale
prevede la successione ex lege  da  parte  dell'unione  dei  rapporti
facenti capo ai Comuni, e i commi da 10 a 15,  che  disciplinano  nel
dettaglio   gli   organi,   violerebbero   i    seguenti    parametri
costituzionali, sulla base delle motivazioni di seguito indicate:  1)
l'art. 114 Cost., sotto il profilo del vulnus inferto al principio di
pari  dignita'  costituzionale   di   Comuni,   Province   e   Citta'
metropolitane  da  una  disciplina  che,  come  osservato  anche  dal
Consiglio delle autonomie locali, illegittimamente prevede un  regime
differenziato, destinato a vincolare i soli Comuni con meno di  1.000
abitanti; 2) l'art. 117, quarto comma,  Cost.  per  violazione  della
potesta' legislativa regionale, posto che  la  Corte  costituzionale,
con  riferimento  alle  Comunita'  montane,  ha  affermato   che   la
disciplina delle forme associative degli enti  locali  rientra  nella
competenza residuale delle Regioni  ed  ha  altresi'  precisato,  con
riferimento  alla  costituzione  e/o  alla  soppressione   di   forme
associative tra enti locali, che l'art. 117, secondo  comma,  lettera
p), Cost. deve essere interpretato in maniera restrittiva; 3)  l'art.
118 Cost., con riferimento ai principi costituzionali a cui la  legge
deve attenersi nell'attribuzione delle funzioni amministrative ed  al
principio di leale collaborazione, in quanto il  legislatore  statale
avrebbe imposto unilateralmente la disciplina agli  enti  locali;  4)
gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.,  sotto  il  duplice  profilo
della potesta' legislativa concorrente e  dell'autonomia  finanziaria
riconosciuta a Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni,  non
potendosi, nella  specie,  ricondurre  l'intervento  del  legislatore
statale alla regolazione dei  principi  fondamentali  in  materia  di
finanza pubblica. 
    E) La Regione Toscana, poi, censura l'art. 16,  comma  16,  nella
parte  in  cui  prevede  «l'alternativita'  delle  forme  associative
possibili,   unione   e   convenzione,   rimessa    ai    Comuni    e
all'apprezzamento  del   Ministero   dell'interno»   nonostante   «la
discrepanza fra i due modelli», e comma 17, lettera a),  nella  parte
in cui ridefinisce  il  numero  degli  organi  comunali  e  dei  loro
componenti sulla base delle soglie demografiche, non prevedendo  piu'
la giunta municipale per  i  Comuni  fino  a  1.000  abitanti,  anche
qualora detti Comuni esercitino le loro funzioni in convenzione. 
    La ricorrente deduce la violazione degli artt. 3 e 97 Cost.,  per
contrasto con il principio di ragionevolezza  e  di  buon  andamento,
nonche' dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., sotto il  profilo
del mancato rispetto della potesta' legislativa regionale. 
    F) La Regione, inoltre, impugna i commi 19, 20 e 21  nella  parte
in cui pongono vincoli di orari e di modalita' di  svolgimento  delle
sedute degli organi collegiali di governo  degli  enti  territoriali,
per violazione dei seguenti parametri: 1) art. 117,  terzo  e  quarto
comma, Cost., sotto  il  profilo  dell'incidenza  sulle  funzioni  di
competenza regionale; 2) art. 117, sesto comma, ultima  parte,  Cost.
il quale recita «I Comuni, le Province, le Citta' metropolitane hanno
potesta' regolamentare in ordine alla disciplina  dell'organizzazione
e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite», sotto il profilo
della lesione dell'autonomia organizzativa dei Comuni. 
    G) La ricorrente, con riferimento ad un diverso profilo,  censura
ancora l'art. 16, comma 16, nella parte in cui prevede  un  controllo
statale sulla efficacia ed  efficienza  della  gestione  delle  forme
associative diverse  dalle  unioni  di  Comuni.  In  particolare,  la
disposizione confliggerebbe con gli artt. 114 e 117, terzo  e  quarto
comma,  118  e  119  Cost.,  nonche'  con  il  principio   di   leale
collaborazione sotto un duplice  profilo:  perche'  «reintroduce»  un
controllo statale sulla efficacia ed efficienza della gestione  delle
forme  associative  diverse  dalle  unioni;  perche'   contiene   una
disciplina di dettaglio  non  riconducibile  al  coordinamento  della
finanza pubblica. 
    La Regione osserva che la norma, dopo aver  previsto  l'esenzione
dall'obbligo di associarsi in unione per quei Comuni che,  alla  data
del 30 settembre 2012, risultino esercitare mediante  convenzione  le
funzioni amministrative e i servizi pubblici  indicati  al  comma  1,
prevede l'obbligo per gli stessi di trasmettere, entro il 15  ottobre
2012,  al  Ministero  dell'interno  un'attestazione  comprovante   il
conseguimento di significativi livelli  di  efficacia  ed  efficienza
nella  gestione  in  convenzione   delle   rispettive   attribuzioni,
rinviando  ad  un  decreto  ministeriale  per  la  determinazione  di
contenuti e modalita' di tali attestazioni. 
    La  previsione  di  tale  controllo  ministeriale,   secondo   la
ricorrente, non soltanto contrasterebbe con lo spirito della modifica
del Titolo V della Parte seconda della  Costituzione,  con  il  quale
sono state soppresse le funzioni  statali  di  controllo  sugli  enti
locali in ragione della rafforzata autonomia prevista  dall'art.  114
Cost., ma violerebbe gli artt. 117, quarto comma, 118 Cost.,  nonche'
il principio di leale collaborazione, nella parte in cui prevede,  in
via unilaterale e senza  delineare  alcun  ruolo  delle  Regioni,  un
inammissibile controllo sulle forme associative di  enti  locali,  la
cui disciplina - come visto - e' riservata alla competenza  esclusiva
regionale. La ricorrente, al riguardo, deduce che,  in  seguito  alla
riforma del Titolo V  della  Parte  seconda  della  Costituzione,  la
materia dei controlli e' divenuta estranea alla sfera  di  competenza
statale, essendo riservata alla potesta' legislativa regionale e/o  a
quella regolamentare degli enti locali. 
    In quest'ottica, dunque, la Regione, richiamando la  sentenza  n.
417 del 2005, evidenzia che la Corte costituzionale ha  affermato  la
legittimita' costituzionale delle (sole) norme che disciplinano  «gli
obblighi  di  trasmissione  di  dati  finalizzati  a  consentire   il
funzionamento del sistema dei controlli sulla finanza di  regioni  ed
enti locali, riconducendole ai principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica, con  funzione  regolatrice  della  cosiddetta
"finanza pubblica allargata", allo scopo di  assicurare  il  rispetto
del patto di  stabilita'».  Per  contro,  la  disposizione  impugnata
consente una puntuale valutazione da parte del Ministero dell'interno
sulla gestione svolta dagli enti locali tramite le convenzioni. 
    H) Infine, la Regione Toscana censura l'art. 16, comma 28,  nella
parte  in  cui  autorizza  l'esercizio  di  un   potere   sostitutivo
straordinario da parte del Prefetto, denunciando il contrasto  con  i
seguenti parametri: 1) art. 117, terzo  e  quarto  comma,  in  quanto
l'intervento del legislatore statale attiene ad una  materia,  quella
dell'ordinamento  degli  enti  locali,  riconducibile  alla  potesta'
legislativa regionale di carattere residuale; 2) l'art. 120,  secondo
comma, Cost., poiche' la  norma  prevede  un  potere  sostitutivo  in
assenza dei presupposti tassativi e dei limiti precisati dalla  Corte
costituzionale  che,  pur   avendo   ritenuto   l'ammissibilita'   di
interventi  sostitutivi,  ha  pero'  ribadito  che  tali   interventi
rappresentano un'eccezione  rispetto  al  normale  svolgimento  delle
attribuzioni dei Comuni (viene  richiamata  la  sentenza  n.  43  del
2004). 
    1.1.- Con atto depositato il 27 dicembre 2011, si  e'  costituito
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura   generale   dello    Stato,    che    ha    rilevato
l'inammissibilita' del ricorso della Regione Toscana per  difetto  di
interesse ad agire, ritenendo le doglianze estranee  alle  competenze
regionali.  Infatti,  vertendosi  in  tema  di  riduzione  dei  costi
relativi  alla  rappresentanza  politica  nei  Comuni,  non   sarebbe
configurabile una lesione diretta ed  immediata  di  una  prerogativa
costituzionale della Regione. Nel merito, l'Avvocatura  dello  Stato,
ravvisa la non fondatezza  del  ricorso  in  quanto  la  disposizione
censurata sarebbe espressione di principi fondamentali in materia  di
coordinamento della finanza  pubblica  volti  al  contenimento  della
spesa e, come tale, ascrivibile alla potesta' legislativa statale. 
    2.- Con ricorso notificato il 14-16 novembre 2011 e depositato il
18 novembre 2011 (reg. ric. n. 134 del 2011),  la  Regione  Lazio  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale  di  diverse  norme
del d.l. n. 138 del 2011 e, tra le altre, dell'art. 16, commi  1,  3,
4, 5, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15  16  e  28,  il  quale  disciplina
l'esercizio delle funzioni comunali, per violazione degli artt.  117,
secondo comma, lettera p), e quarto  comma,  in  combinato  disposto,
degli artt. 118, 133, secondo comma, Cost.,  dell'art.  9,  comma  2,
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione), nonche' del  principio  di
leale  collaborazione,  in  quanto  tale  disciplina   lederebbe   le
competenze assegnate alla Regione da norme di  rango  costituzionale,
intervenendo su una materia  riconducibile  alla  potesta'  residuale
delle Regioni. Solo nella parte introduttiva e nelle conclusioni  del
ricorso vengono indicati, tra i parametri costituzionali,  anche  gli
artt. 75, 122 e 123 Cost. 
    A parere della ricorrente, l'istituzione obbligatoria  di  unioni
di Comuni e le previsioni inerenti alla disciplina dei loro organi  e
delle loro funzioni,  viola  il  combinato  disposto  dell'art.  117,
secondo comma, lettera p), e quarto comma, Cost., dal quale  discende
che la regolazione delle associazioni degli enti locali rientra nella
competenza legislativa delle Regioni e non  in  quella  dello  Stato,
essendo quest'ultima limitata alla «legislazione  elettorale,  organi
di governo e funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane».  Peraltro,  osserva  la  Regione,  la  giurisprudenza
costituzionale ha ritenuto tassativa l'indicazione degli enti di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. La sentenza n. 456 del
2005, poi, ha stabilito quanto segue: «Da qui la conseguenza  che  la
disciplina delle  Comunita'  montane,  pur  in  presenza  della  loro
qualificazione come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000,
rientra ora nella competenza legislativa residuale delle Regioni,  ai
sensi dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione». 
    Secondo la Regione Lazio, la  norma  impugnata  violerebbe  anche
l'art. 118 Cost., ai  sensi  del  quale,  soltanto  qualora  sussista
un'esigenza di esercizio unitario, le funzioni amministrative possono
essere sottratte ai Comuni ed affidate ad un livello territorialmente
piu'   esteso,   sulla   base   dei   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione  ed  adeguatezza.   Afferma   la   ricorrente   che,
soprattutto per effetto del principio  di  sussidiarieta',  non  puo'
ritenersi lo  Stato,  e  non  la  Regione,  competente  a  riallocare
funzioni comunali ad un livello che e' sovracomunale,  ma,  al  tempo
stesso, infraregionale. 
    Cio' perche', nella prospettiva accolta dall'art. 118 Cost., deve
essere l'ente dotato di potesta' legislativa e territorialmente «piu'
vicino» a stabilire se sussista un'esigenza di esercizio  unitario  a
livello  regionale  o  infraregionale  tale   da   giustificare   una
sottrazione  di  funzioni  ai  Comuni.  Allo  Stato  spetta  valutare
l'esigenza di esercizio unitario  con  riferimento  ad  interessi  di
rilevanza nazionale, ma non ad esigenze che si esauriscono a  livello
regionale.  Dunque,  conclude  sul  punto  la  ricorrente,  ai  sensi
dell'art. 118 Cost., rientra nella competenza regionale  valutare  se
sussista l'esigenza di assegnare le funzioni amministrative  comunali
ad un'unione di Comuni. 
    Sotto  altro  profilo,  osserva  la  Regione,  le  norme  statali
censurate  violano  l'art.  133,  secondo  comma,  Cost.,  in  quanto
l'attribuzione alla competenza  regionale  del  potere  di  istituire
nuovi Comuni presuppone che essi non possano  intendersi  come  «enti
privi di funzioni» e, dunque, una legge che «svuota di  funzioni  gli
enti  comunali»  non  puo'  che  ritenersi   elusiva   del   precetto
costituzionale. 
    In ultimo, secondo la Regione Lazio, il comma 28 dell'art. 16 del
d.l.  n.  138  del  2011  -  che  prevede  un  controllo  prefettizio
sull'operato  comunale  ed  il  conseguente  esercizio   del   potere
sostitutivo statale - violerebbe sia l'art. 9, comma 2,  della  legge
cost. n. 3 del 2001 (che, abrogando l'art. 130 dell'originario  testo
costituzionale,  ha  implicitamente  escluso   la   legittimita'   di
procedure amministrative statali di controllo sugli  atti  comunali),
sia il principio di leale collaborazione, dal momento  che  la  norma
statale non prevede alcuna forma di coinvolgimento regionale rispetto
all'esercizio  del  potere  sostitutivo  o,  almeno,  rispetto   alla
valutazione dei suoi presupposti. Cio' «nonostante  l'art.  49  dello
Statuto della Regione Lazio attribuisca proprio alla legge  regionale
la disciplina dell'esercizio del potere sostitutivo  da  parte  della
Regione nei riguardi degli enti locali». 
    2.1.- Con  atto  del  27  dicembre  2011,  si  e'  costituito  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,   rilevando   l'infondatezza
dell'impugnazione in quanto il legislatore  statale  avrebbe  operato
nell'ambito del «coordinamento della finanza pubblica» e, quindi, nel
rispetto della competenza delineata  dall'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), e terzo comma, Cost. Del resto,  ha  aggiunto  la  difesa
dell'Avvocatura, le unioni  di  Comuni  sono  da  tempo  disciplinate
dall'art. 32 del TUEL, norma che non ha mai suscitato dubbi circa  il
corretto esercizio della potesta' legislativa da parte  dello  Stato.
Dunque, l'imposizione della forma associativa per  i  Comuni  minori,
volta all'impiego  ottimale  delle  risorse  finanziarie,  troverebbe
fondamento  giustificativo  nell'esigenza  di   coordinamento   della
finanza pubblica. Circa la censura mossa al comma 28, la difesa dello
Stato sostiene che «proprio la possibilita' di una attribuzione delle
funzioni amministrative diversificata per livelli territoriali,  come
previsto dall'art. 118 Cost., implica di necessita' la presenza di un
potere sostitutivo statale  a  tutela  degli  interessi  unitari  che
possono comunque essere immanenti  a  tali  funzioni».  L'Avvocatura,
citando testualmente la sentenza n. 236  del  2004,  ricorda  che  la
Corte costituzionale «ha chiaramente statuito  che  "La  disposizione
[dell'art. 8  l.  131/2003]  e'  posta  a  presidio  di  fondamentali
esigenze di  eguaglianza,  sicurezza,  legalita'  che  il  mancato  o
l'illegittimo esercizio delle competenze attribuite,  nei  precedenti
artt.  117  e  118,  agli   enti   sub-statali,   potrebbe   lasciare
insoddisfatte o pregiudicare gravemente. Si  evidenzia  insomma,  con
tratti di assoluta chiarezza -  si  pensi  alla  tutela  dei  livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e  sociali,
che forma oggetto della competenza legislativa di cui  all'art.  117,
secondo  comma,  lettera  m)  -,  un  legame  indissolubile  fra   il
conferimento di una attribuzione e la  previsione  di  un  intervento
sostitutivo  diretto  a  garantire  che  la  finalita'  cui  essa  e'
preordinata non sacrifichi l'unita' e la  coerenza  dell'ordinamento.
La previsione del potere sostitutivo fa dunque sistema con  le  norme
costituzionali di allocazione delle competenze, assicurando comunque,
nelle ipotesi patologiche, un intervento di organi centrali a  tutela
di interessi unitari"». 
    3.- La Regione Puglia, con ricorso notificato il 14 novembre 2011
e depositato il 23 novembre 2011 (reg. ric.  n.  141  del  2011),  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale  di  diverse  norme
del d.l. n. 138 del 2011 e, tra le altre, dell'art. 16, commi da 1  a
16, per violazione degli artt. 3, 97, 117,  primo,  secondo,  lettera
p), terzo, quarto, quinto e sesto comma, 114, 118, 119 e 133 Cost. 
    Solo nelle conclusioni  si  trovano  indicati,  tra  i  parametri
costituzionali, anche gli artt. 117, primo  e  quinto  comma,  e  119
Cost. 
    Il ricorso e' articolato in piu' questioni. 
    A) La Regione, premessa una breve sintesi  della  norma,  afferma
che essa, «in ogni sua parte e nel suo complesso»,  viola  gli  artt.
114, primo e secondo comma, 117, secondo comma,  lettera  p),  118  e
133, nonche' gli artt. 3 e 97 Cost. 
    In particolare, la ricorrente censura il comma 1, nella parte  in
cui «pretende  di  allocare  funzioni  amministrative  in  ambiti  di
competenza legislativa regionale, concorrente  e  residuale  violando
cosi' l'art. 117, terzo e quarto comma, e l'art. 118, secondo  comma,
Cost.» e «nella parte in cui pretende  di  applicarsi  alle  funzioni
amministrative che ricadono nelle materie di cui  ai  commi  terzo  e
quarto dell'art. 117 Cost.» e, in particolar modo,  «nella  parte  in
cui  pretende  di  allocare  tutte  le  funzioni  amministrative  che
riguardano i "servizi pubblici" svolti dagli enti locali». 
    B) La Regione, inoltre, censura l'art. 16, commi da 2 a  16,  del
d.l. n. 138 del 2011, nella parte in  cui  prevede  l'obbligatorieta'
dell'esercizio di tutte le funzioni e di tutti i servizi mediante  la
forma associativa dell'unione di Comuni, secondo  la  disciplina  ivi
stabilita.  Secondo  la  ricorrente,  l'intervento  del   legislatore
statale, non potendo essere ricondotto all'art. 117,  secondo  comma,
lettera p), Cost., violerebbe  la  competenza  legislativa  residuale
regionale in materia di «ordinamento degli enti locali». 
    Sul  punto  la  difesa  regionale  richiama   la   giurisprudenza
costituzionale  per  evidenziare  che  lo  Stato  non  ha  competenza
generale  in  materia  di  enti  locali,  in  quanto  la   competenza
legislativa statale di cui al menzionato  art.  117,  secondo  comma,
lettera p), Cost., e' limitata alla  elencazione  tassativa  (Comuni,
Province  e  Citta'  metropolitane).  Dunque,  la  disciplina   delle
comunita' montane, che sono una tipologia di unione di Comuni, spetta
alla  competenza  legislativa  residuale  delle  Regioni   ai   sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost. (vengono citate le sentenze n. 237
del 2009, n. 456 e n. 244 del 2005). 
    Afferma la Regione che la previsione  della  obbligatorieta'  per
l'esercizio di tutte le funzioni e di tutti i servizi mediante  forme
associative viola, inoltre, gli artt. 114, 117, 118 Cost. L'art.  114
Cost. riconosce, infatti,  pari  dignita'  costituzionale  agli  enti
territoriali, qualificandoli enti autonomi con propri statuti, poteri
e  funzioni  secondo  i  principi  fissati  dalla  Costituzione.   Il
legislatore  statale,   invece,   avrebbe   sottratto   all'ente   la
titolarita' delle funzioni e dei servizi, dando luogo,  oltre  tutto,
ad una differenziazione tra i Comuni piu' piccoli,  obbligati  a  far
parte dell'associazione, e gli altri, ai quali tali  vincoli  non  si
applicano, in violazione dell'art. 118 Cost. 
    La ricorrente denuncia anche la violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera p), Cost., ribadendo che  il  legislatore  statale  ha
competenza  esclusiva   sia   per   quanto   riguarda   le   funzioni
fondamentali, per le quali puo' certamente imporre forme associate di
esercizio, e sia per quanto riguarda l'individuazione dell'ente a cui
spetta l'esercizio  dell'attivita'  amministrativa  riconducibile  ad
ogni altra sua competenza legislativa,  ma  non  puo'  imporre  forme
associate di esercizio delle funzioni  proprie  dei  Comuni,  la  cui
autonomia  organizzativa  consente  di  optare  liberamente  per   la
gestione in forma associata.  Peraltro,  puntualizza  la  ricorrente,
spetta  alla  legislazione  regionale,  in  base  a  quanto  previsto
dall'art. 118 Cost., prevedere forme di  associazione,  alla  stregua
dei principi di differenziazione e adeguatezza. Piu' in  particolare,
prosegue  la  Regione,  lo  Stato  puo'  solo  individuare  le  forme
associative alle quali i  Comuni,  con  decisione  autonoma,  possono
conferire le proprie funzioni «ovvero alle quali le  regioni  possono
far riferimento quando ritengano di vincolare i comuni  all'esercizio
in forma associata di funzioni  amministrative  comprese  nell'ambito
della competenza regionale». 
    C) La Regione Puglia censura, poi,  il  comma  16  dell'art.  16,
lamentando che la  valutazione  affidata  al  Ministero  dell'interno
sulla scelta tra unione o  convenzione  violerebbe  il  principio  di
ragionevolezza e di buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.). Cio' perche'
la diversita' tra le due forme associative  (l'una  configurata  come
ente dotato di  propri  organi,  l'altra  estremamente  flessibile  e
modificabile che non si configura come ente) non consente di ritenere
che il compito di assicurare la gestione di tutte le  funzioni  e  di
tutti i servizi dei Comuni  partecipanti  possa  essere  svolto,  con
effetti analoghi, in modo efficace. 
    D) Da ultimo, la  Regione  Puglia  censura  il  comma  4,  ultimo
periodo, dell'art. 16, in quanto - prevedendo che «Con regolamento da
adottare, entro centottanta giorni dalla data di  entrata  in  vigore
della  legge  di  conversione  del   presente   decreto,   ai   sensi
dell'articolo 17, comma 1, della legge 23  agosto  1988,  n.  400,  e
successive modificazioni, su proposta del Ministro  dell'interno,  di
concerto con il Ministro per le  riforme  per  il  federalismo,  sono
disciplinati il procedimento amministrativo-contabile di formazione e
di variazione del documento  programmatico,  i  poteri  di  vigilanza
sulla   sua   attuazione    e    la    successione    nei    rapporti
amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione» -  violerebbe
l'art. 117, sesto comma, Cost., autorizzando un  regolamento  statale
in una materia di competenza residuale regionale. 
    3.1.- Con atto depositato il 23 dicembre 2011, si  e'  costituito
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura   generale    dello    Stato,    che    ha    dedotto
l'inammissibilita'   del   ricorso   per   assoluta    mancanza    di
argomentazioni giustificative in relazione ai parametri di  cui  agli
artt. 119 e 133 Cost. e la mancata inclusione dei  parametri  di  cui
agli artt. 3  e  97  Cost.  nell'epigrafe  e  nelle  conclusioni  del
ricorso. Inoltre, a parere della difesa dello Stato, con  riferimento
agli artt. 3, 97, 114 e 118 Cost., il ricorso  sarebbe  inammissibile
per carenza di legittimazione ad agire poiche' le censure prospettate
dalla Regione atterrebbero ad interessi esclusivi dei Comuni. 
    Le questioni sollevate in riferimento all'art. 117, terzo, quarto
e sesto comma, Cost., sarebbero, invece, infondate. Il fatto  che  le
competenze amministrative devolute all'unione comprendono materie  ed
attivita' disciplinate con legge regionale  non  assumerebbe  rilievo
determinante dal momento  che  la  riorganizzazione  degli  enti  non
incide  sulle  competenze  legislative   delle   Regioni.   Parimenti
risulterebbe infondato l'assunto secondo il quale la norma  impugnata
avrebbe inciso sulla materia  dell'«ordinamento  degli  enti  locali»
riservata alla competenza residuale  delle  Regioni.  Anche  se  tale
affermazione   fosse   corretta,   osserva   l'Avvocatura   generale,
occorrerebbe considerare  che,  come  ripetutamente  affermato  nella
giurisprudenza costituzionale, tale competenza residuale e'  cedevole
rispetto alla potesta' dello Stato di dettare norme di  principio  in
tema di coordinamento della finanza pubblica allargata,  al  fine  di
conseguire risparmi  di  spesa  e  determinare  il  riequilibrio  dei
bilanci della pubblica amministrazione. 
    Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva  che  le
norme impugnate non ledono  l'autonomia  e  la  dignita'  degli  enti
locali, non modificano il riparto di  competenze  amministrative  tra
gli enti territoriali e non violano i principi di ragionevolezza e di
buon andamento, poiche' lasciano impregiudicata  la  facolta'  per  i
Comuni di scegliere  altre  forme  associative  piu'  flessibili,  di
effetto equivalente sul piano della  spesa,  facolta'  che  valorizza
l'ambito di autodeterminazione degli enti locali. 
    4.- Le Regioni Emilia-Romagna,  Liguria  e  Umbria,  con  ricorsi
sostanzialmente corrispondenti, notificati  il  15  novembre  2011  e
depositati il 23 novembre 2011 (reg. ric. n. 144, n. 146 e n. 147 del
2011), hanno promosso questioni  di  legittimita'  costituzionale  di
diverse norme del d.l. n. 138 del 2011 e, tra queste,  dell'art.  16,
in relazione agli artt. 77, primo e secondo comma, 114,  117,  primo,
secondo, lettera p), e quarto comma, 118, 133, secondo comma, 5, 3  e
97 Cost. 
    Ognuna delle tre Regioni ha premesso di impugnare la disposizione
in nome proprio e, su richiesta del Consiglio delle autonomie locali,
formulata ai sensi dell'art. 9, comma 2, della legge 5  giugno  2003,
n.  131  (Disposizioni  per  l'adeguamento   dell'ordinamento   della
Repubblica alla legge costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3)  che
modifica l'art. 32, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.  87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale), quale portatrice dei loro interessi istituzionali. 
    I ricorsi sono articolati in piu' questioni. 
    A) In primo luogo le Regioni denunciano la  violazione  dell'art.
77, primo e secondo comma, Cost. affermando che la scelta del Governo
di fare ricorso allo  strumento  provvisorio  del  decreto-legge  non
trova riscontro in una situazione riconducibile ai «casi straordinari
di  necessita'  e  d'urgenza».  Le  ricorrenti   osservano   che   la
disposizione impugnata contiene norme ordinamentali  incidenti  sullo
status istituzionale dei Comuni. Il comma 9 dell'art.  16  censurato,
tuttavia,  a  conferma  dell'asserita  insussistenza  delle   ragioni
d'urgenza, differisce l'applicazione di  tali  norme  ad  un  termine
decorrente «dal giorno della proclamazione degli eletti negli  organi
di governo del Comune che, successivamente al 13 agosto 2012, sia per
primo interessato al rinnovo». Inoltre, aggiungono le  ricorrenti,  i
contenuti delle norme censurate non sembrano rispondere adeguatamente
alla   finalita'   del   «contenimento   delle   spese   degli   enti
territoriali»,  per  il  risanamento  della  finanza  pubblica,   non
risultando quantificati i supposti risparmi di  spesa  neppure  nella
relazione della Ragioneria generale che accompagna  il  provvedimento
d'urgenza. Piuttosto, osservano le Regioni, si sarebbe  dovuto  tener
conto degli oneri  amministrativi  derivanti  dall'entrata  a  regime
della nuova disciplina e ricadenti sulle  amministrazioni  coinvolte.
In questa prospettiva,  concludono  le  ricorrenti,  la  clausola  di
invarianza di cui al comma  30,  secondo  cui  «Dall'applicazione  di
ciascuna delle disposizioni di cui al presente  articolo  non  devono
derivare nuovi o maggiori oneri  a  carico  della  finanza  pubblica»
finisce per rivelare un ulteriore elemento  di  irrazionalita'  nella
disciplina. 
    Circa la legittimazione a far valere il difetto dei requisiti  di
necessita'  ed  urgenza,  le  Regioni  dichiarano  di  conoscere   la
giurisprudenza della Corte costituzionale secondo  cui  il  contrasto
con norme costituzionali diverse da quelle attributive di  competenza
legislativa puo' essere fatto valere soltanto se esso si  risolva  in
una   esclusione   o   limitazione   dei   poteri   regionali.   Tale
giurisprudenza consolidata, a  parere  delle  ricorrenti,  ha  finora
impedito alle Regioni di far  valere  i  vizi  «formali»  degli  atti
legislativi, per carenza dell'interesse ad agire,  richiedendosi  che
«l'iniziativa assunta dalle  Regioni  ricorrenti  sia  oggettivamente
diretta a conseguire l'utilita' propria» (sentenza n. 216 del 2008). 
    Per contro, si afferma nei ricorsi, «l'utilita' propria,  diretta
e immediata» non puo' essere fatta coincidere  con  la  difesa  della
specifica  attribuzione  legislativa  assegnata  alla  Regione,   dal
momento che la  violazione  di  questa  costituirebbe  un  vulnus  al
riparto costituzionale delle competenze denunciabile per  se  stesso,
senza che venga in rilievo la specifica forma  dell'atto  legislativo
che  ne  e'  responsabile.  «Le  "prerogative  costituzionali"  delle
Regioni debbono estendersi, ad avviso delle ricorrenti, anche al loro
status costituzionale e al ruolo ad esse assegnato nel (rectius: nei)
processi decisionali». E, secondo  le  Regioni,  lo  stesso  dovrebbe
dirsi per i Comuni che non hanno potuto intervenire  a  causa  «della
violazione della regola del procedimento legislativo ordinario». 
    Del resto, osservano le ricorrenti, nell'arco  di  tempo  fissato
dal comma 9 dell'art. 16, si sarebbe  potuto  giungere  ad  un  testo
meditato e condiviso di riforma, nel rispetto del principio di  leale
collaborazione, come evidenziato nel documento approvato il 23 giugno
2010, dalla Conferenza  delle  Regioni  e  delle  Province  autonome.
Concludendo, le Regioni ritengono di essere legittimate a far  valere
la  violazione  dell'art.  77  Cost.,  connessa  alla   carenza   dei
presupposti  di  necessita'  e  d'urgenza,  e  degli  artt.  114,  in
relazione al ruolo costituzionale delle Regioni,  118,  primo  comma,
come espressione del piu' generale principio di sussidiarieta',  e  5
Cost.,  come  implicito  riconoscimento  del   principio   di   leale
collaborazione. 
    B) Le Regioni Emilia-Romagna, Liguria e Umbria, promuovono,  poi,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dei  commi  da  1  a  16
dell'art. 16 menzionato per  violazione  degli  artt.  114,  primo  e
secondo comma, 117, primo, secondo comma, lettera p), e quarto comma,
118 e 133, secondo comma, Cost., nonche' per violazione del principio
di non discriminazione, ragionevolezza e di buon  andamento,  di  cui
agli artt. 3 e 97 Cost. 
    Dopo avere riassunto i contenuti della disposizione censurata  ed
avere ricordato i principi  costituzionali  contenuti  nei  parametri
evocati, le ricorrenti affermano che  il  complesso  problema  legato
alle modeste  dimensioni  di  molti  Comuni  italiani  sarebbe  stato
risolto  dal  legislatore  statale  in  modo   sbrigativo   operando,
attraverso la decretazione d'urgenza, «lo  svuotamento  istituzionale
dei comuni con popolazione inferiore  a  1.000  abitanti,  privandoli
delle funzioni, strutture e risorse finanziarie e disponendo la  loro
pratica sostituzione con un ente nuovo, l'unione, nella quale finisce
per "sciogliersi" ogni comune la cui popolazione non superi la soglia
indicata». Peraltro, aggiungono le Regioni, si tratterebbe di un ente
non incluso nella  tipologia  costituzionale  degli  enti  costituivi
della Repubblica e privo di legittimazione democratica diretta,  come
rilevato, nel corso dei lavori  preparatori,  sia  dalla  Commissione
affari costituzionali del Senato, che dalla Commissione  parlamentare
per le questioni regionali che ne aveva suggerito  opportunamente  la
soppressione. 
    Alla luce di  tali  premesse,  le  ricorrenti  affermano  che  la
disposizione impugnata violerebbe non solo l'art. 117, secondo comma,
Cost., ma soprattutto l'art. 133 Cost., nella parte in cui, svuotando
i Comuni di ogni loro attribuzione, delle risorse umane e strumentali
e persino della titolarita'  dei  rapporti  giuridici  relativi  alle
funzioni amministrative,  trasferite  all'unione,  altera  «la  mappa
dell'autonomia   comunale»,    senza    rispettare    le    procedure
costituzionali per l'istituzione di nuovi Comuni e la modifica  delle
circoscrizioni. 
    L'art. 16, commi da 1 a 16, dunque, si porrebbe in contrasto con:
1) il  riconoscimento  della  natura  costitutiva  dei  Comuni  nella
costruzione della Repubblica ricavabile dall'art. 114,  primo  comma,
Cost.; 2) l'attribuzione ai Comuni della natura di «enti autonomi con
propri statuti, poteri e funzioni secondo i  principi  fissati  dalla
Costituzione» ex art. 114, secondo comma, Cost.;  3)  i  principi  di
autonomia statutaria, organizzativo-regolamentare e finanziaria; 4) i
principi specifici di cui  all'art.  118  Cost.,  circa  le  funzioni
fondamentali e quelle proprie  dei  Comuni,  «definite  dalla  legge,
sulla base di criteri oggi assistiti da garanzia costituzionale»  (e'
citata la sentenza n. 43 del 2004). Risulterebbe,  altresi',  violato
il principio di sussidiarieta', in quanto la  «differenziazione»  dei
Comuni e delle  loro  funzioni  non  puo'  essere  disgiunta  da  una
considerazione, in concreto,  della  capacita'  amministrativa  e  di
gestione che distingue gli enti minori in ogni  diversa  realta'  del
Paese e non puo' ridursi alla privazione delle  funzioni  dei  Comuni
minori. 
    Per altro verso, risulterebbe, altresi', violata la Carta europea
dell'autonomia locale, a cui e' stata data esecuzione con la legge 30
dicembre 1989, n.  439  (Ratifica  ed  esecuzione  della  convenzione
europea relativa alla Carta europea dell'autonomia locale, firmata  a
Strasburgo il 15 ottobre 1985), con particolare riferimento  all'art.
3, nella parte in cui prevede che «Per autonomia locale, s'intende il
diritto e la capacita' effettiva, per  le  collettivita'  locali,  di
regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la  loro
responsabilita', e a favore delle popolazioni, una  parte  importante
di affari pubblici» e che «Tale diritto e' esercitato da  Consigli  e
Assemblee costituiti da membri eletti a  suffragio  libero,  segreto,
paritario, diretto ed universale, in  grado  di  disporre  di  organi
esecutivi responsabili nei loro confronti». Affermano le Regioni  che
il trasferimento coattivo ad  amministrazioni  di  secondo  grado  di
funzioni,  strutture  e  risorse  relative  a   tutte   le   funzioni
amministrative e di gestione dei pubblici servizi dei  Comuni  minori
sarebbe contrario  agli  impegni  assunti  dall'Italia  nel  contesto
europeo e, quindi, a quanto stabilito  dall'art.  117,  primo  comma,
Cost. 
    Da ultimo, le ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 3 e
97 Cost., oltre che dell'art.  114  Cost.,  reputando  la  disciplina
dettata   dal   legislatore   statale   discriminatrice,   priva   di
ragionevolezza ed in contrasto con il  principio  di  buon  andamento
dell'amministrazione. Al riguardo  viene  evidenziato  che  spesso  i
Comuni con popolazione  non  superiore  a  1.000  abitanti  non  sono
contigui. Pertanto, tali enti si vedrebbero costretti  ad  esercitare
in forma associata tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi
pubblici loro spettanti mediante un'unione di Comuni  composta  anche
da enti con  popolazione  piu'  numerosa  che,  per  questa  ragione,
potrebbero esercitare in forma associata solo  alcune  delle  proprie
funzioni. 
    C)  Le  Regioni  Emilia-Romagna,  Liguria  e  Umbria   lamentano,
inoltre, che  le  disposizioni  impugnate,  anche  per  il  carattere
dettagliato e minuzioso, violerebbero le competenze  residuali  delle
Regioni in materia di associazionismo tra enti  locali.  Infatti,  si
osserva, la potesta' legislativa dello Stato  ex  art.  117,  secondo
comma, lettera p), Cost.,  e'  limitata  all'ordinamento  degli  enti
locali e non ricomprende le forme associative. L'elencazione  di  cui
all'art. 117, secondo  comma,  lettera  p),  peraltro,  ha  carattere
tassativo (si richiamano le sentenze n. 27 del 2010, n. 397 del  2006
e n. 456 del 2005). 
    D) In via  subordinata,  le  Regioni  Emilia-Romagna,  Liguria  e
Umbria censurano il comma 4 dell'art. 16, in relazione all'art.  117,
quarto e sesto comma, Cost. nella  parte  in  cui  prevede  che  «Con
regolamento da adottare,  entro  centottanta  giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai
sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n.  400,
e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell'interno, di
concerto con il Ministro per le  riforme  per  il  federalismo,  sono
disciplinati il procedimento amministrativo-contabile di formazione e
di variazione del documento  programmatico,  i  poteri  di  vigilanza
sulla   sua   attuazione    e    la    successione    nei    rapporti
amministrativo-contabili tra ciascun comune e l'unione». 
    Secondo le ricorrenti, tale previsione, destinata  a  regolare  i
rapporti  tra  i  Comuni  e  l'entita'   associativa,   non   sarebbe
riconducibile alla  competenza  legislativa  statale  in  materia  di
individuazione  delle  funzioni  fondamentali,   ma   alla   potesta'
legislativa regionale  residuale,  ai  sensi  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost., se non addirittura alla sfera di autonomia dei  Comuni.
Ai sensi dell'art. 117, sesto comma, Cost., la potesta' regolamentare
spetterebbe,  pertanto,  alle  Regioni.  Oltre  tutto,  osservano  le
ricorrenti  in  via  ulteriormente  subordinata,  se  anche   dovesse
ammettersi una competenza statale, risulterebbe violato il  principio
di leale collaborazione, non essendo prevista  ne'  l'intesa  con  la
Regione interessata, ne' l'intesa con la Conferenza unificata. 
    E) Le Regioni Emilia-Romagna, Liguria e Umbria,  censurano,  poi,
l'art.  16,  comma  16,  per  violazione  del  principio   di   leale
collaborazione, nella parte  in  cui  demanda  in  via  esclusiva  al
Ministro  dell'interno   la   valutazione   sul   conseguimento   dei
«significativi livelli di efficacia  ed  efficienza  nella  gestione,
mediante convenzione, delle rispettive  attribuzioni»  da  parte  dei
Comuni gia' coinvolti in forme associative ex art. 30 del TUEL, senza
prevedere il coinvolgimento delle Regioni. 
    Le ricorrenti osservano che, in tal modo, in violazione dell'art.
117,  quarto  comma,  Cost.,  gli  effetti  delle   leggi   regionali
sull'associazionismo  vengono   ad   essere   condizionati   da   una
valutazione unilaterale e  centralizzata  del  Ministro.  Infine,  le
Regioni affermano che l'introduzione di un  controllo  statale  sulla
efficacia  ed  efficienza  della  gestione  delle  forme  associative
diverse dalle unioni risulterebbe lesiva dell'autonomia  riconosciuta
agli enti territoriali dall'art. 114 Cost. 
    4.1.- Con atto depositato il 22 dicembre 2011, il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, si e' costituito nel  giudizio  promosso  dalla
Regione Liguria, chiedendo il rigetto del ricorso ed assumendo che le
disposizioni impugnate rivestono carattere di necessita'  ed  urgenza
in  quanto,  alla  luce  della  contingente  crisi  finanziaria,   la
riduzione dei costi legati agli apparati  amministrativi  costituisce
oggetto  di  un  impegno  concordato  anche  a  livello   europeo   e
l'intervento normativo e' volto ad assicurare il conseguimento  degli
obiettivi di finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti
territoriali ed il migliore svolgimento delle funzioni normative. 
    4.2.- Con atto depositato il 27 dicembre 2011, il Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, si e' costituito  anche  nei  giudizi  promossi
dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Regione  Umbria,  formulando  le
medesime osservazioni svolte in relazione al ricorso presentato dalla
Regione Toscana. 
    5.- Con ricorso notificato il 15 novembre 2011 e depositato il 23
novembre 2011 (reg. ric. n. 145  del  2011),  la  Regione  Veneto  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale  di  diverse  norme
del d.l. n. 138 del 2011 e, tra queste, dell'art. 16, commi 1, 2,  3,
4, 5, 7, 8, 10, 11, 12,  13,  14,  15,  16  e  28,  che  disciplinano
l'esercizio delle funzioni comunali, in riferimento  agli  artt.  97,
114, 117 e 118 Cost. 
    Il ricorso e' articolato in piu' questioni. 
    A) In primo luogo, dopo  avere  sintetizzato  i  contenuti  della
norma impugnata, la Regione  contesta,  in  relazione  all'art.  117,
terzo comma, Cost., che l'intervento normativo possa ricondursi  alla
potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato  o   alla   competenza
concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.  Cio'
perche',  come  chiarito  dalla  giurisprudenza  costituzionale   (la
Regione richiama la sentenza n.  417  del  2005),  la  disciplina  di
principio  dei  vincoli  finanziari  si  configura  compatibile   con
l'autonomia degli enti costituzionalmente garantiti, come le  Regioni
ed  i  Comuni,  solo  quando  stabilisce  tassativamente  un   limite
complessivo di  intervento  -  avente  ad  oggetto  o  l'entita'  del
disavanzo di parte corrente o  i  fattori  di  crescita  della  spesa
corrente - lasciando agli enti stessi piena autonomia e  liberta'  di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti ed obiettivi di spesa.
Invece,   secondo   la   ricorrente,   le   disposizioni    censurate
costituiscono una disciplina di dettaglio e autoapplicativa che  lede
l'autonomia  opzionale  dei  Comuni,  in  violazione  dell'art.  114,
secondo comma, Cost. 
    Piu' in particolare, la Regione dubita che  la  razionalizzazione
delle funzioni amministrative costituisca  un  profilo  riconducibile
alla individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e
Citta'  metropolitane,  materia  attribuita  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera p), Cost. alla  legislazione  esclusiva  dello  Stato.
Cio' perche' tali funzioni vanno individuate con riferimento all'art.
21, comma 3, della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al  Governo  in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della
Costituzione)  e  all'art.  3,  comma  l,  lettera  a),  del  decreto
legislativo 26 novembre 2010, n.  216  (Disposizioni  in  materia  di
determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni,  Citta'
metropolitane e Province), che  si  riferiscono  alle  sole  funzioni
fondamentali di competenza delle amministrazioni comunali. 
    Del resto, prosegue la ricorrente, l'indicazione contenuta  negli
artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), Cost., presenta carattere
tassativo,  come  affermato  dalla  Corte  costituzionale   che,   in
particolare,   trattando   delle   comunita'   montane,   ha    fatto
espressamente riferimento all'attribuzione a tali enti della potesta'
statutaria e regolamentare (art. 4, comma 5, della legge n.  131  del
2003) (nel ricorso si richiamano le sentenze n. 397 del 2006 e n. 244
del 2005). La  Regione  deduce  che  analoga  autonomia  deve  essere
riconosciuta alle nuove figure di unioni di Comuni, anche per  quanto
concerne l'individuazione di propri organi di governo.  Diversamente,
i commi da 10 a 14 prevedono la disciplina degli  organi  di  governo
dell'unione  di  Comuni,  che  e'  ente  diverso  e  autonomo   dalle
amministrazioni che vi partecipano. 
    La Regione puntualizza  che  la  potesta'  legislativa  esclusiva
dello Stato non puo' estendersi oltre  i  limiti  indicati  nell'art.
117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.,  traendo   spunto   dalla
giurisprudenza costituzionale per affermare  che  risulta,  altresi',
evidente la sussistenza di una competenza legislativa residuale delle
Regioni, in base al criterio di riparto stabilito nel nuovo art.  117
Cost., il quale, elencando solo le materie  di  competenza  esclusiva
statale e di competenza concorrente, consente di far  rifluire  nella
potesta' residuale delle Regioni quelle  non  esplicitamente  incluse
nell'uno o nell'altro ambito (nel ricorso si richiama la sentenza  n.
261 del 2011). 
    La Regione ricorda che la  competenza  legislativa  regionale  in
materia trova conferma anche nell'art. 14, commi  da  27  a  31,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'    economica)
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  30
luglio 2010, n. 122, che ha  introdotto  una  disciplina  concernente
l'associazionismo comunale, rimettendo alla  legislazione  regionale,
nelle materie di cui all'art.  117,  terzo  e  quarto  comma,  Cost.,
l'individuazione  della   dimensione   ottimale   ed   omogenea   per
l'esercizio associato di funzioni, con facolta' di  stabilire  limiti
demografici diversi da quelli determinati dallo Stato. 
    La ricorrente pone, quindi, in risalto la  contraddizione  logica
della disciplina impugnata rispetto a quanto previsto con  il  citato
art. 14, commi da 27 a 31, del d.l. n. 78 del 2010 e conclude che  il
cambio di direzione attuato con  l'intervento  normativo  oggetto  di
impugnazione    pregiudica    la    concreta    operativita'    delle
amministrazioni comunali, anche per cio'  che  attiene  all'esercizio
delle funzioni amministrative di competenza regionale, in  violazione
del principio di buon andamento dell'azione  amministrativa  tutelato
dall'art. 97 Cost. 
    A parere della ricorrente, le disposizioni impugnate violerebbero
anche l'art. 118 Cost.  nella  parte  in  cui  disciplinano  funzioni
amministrative diverse da quelle spettanti allo Stato,  destinate  ad
essere esercitate dai Comuni, comprimendo, altresi',  l'esercizio  di
funzioni amministrative di spettanza regionale. 
    B) Inoltre, secondo la Regione Veneto, il comma 7  dell'art.  16,
nella parte in  cui  impone  la  cessazione  delle  precedenti  forme
associative previste nel TUEL, sostituendole con le unioni di Comuni,
violerebbe l'art.  114,  secondo  comma,  Cost.,  che  stabilisce  il
principio di equiordinazione delle autonomie locali e delle Regioni. 
    C) La Regione Veneto afferma, poi, che l'art. 16,  imponendo  una
determinata forma organizzativa di tipo associativo, violerebbe anche
l'art. 117, sesto comma, Cost.,  che  riconosce  ai  Comuni  autonoma
potesta' regolamentare nella disciplina dell'organizzazione  e  dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite. 
    D) Infine, la Regione impugna, per violazione  degli  artt.  117,
118 e 120 Cost., l'art. 16, comma 28, del  citato  d.l.  n.  138  del
2011, che disciplina i poteri di verifica del Prefetto in  ordine  al
perseguimento degli obiettivi  di  semplificazione  amministrativa  e
organizzativa, nonche' alla riduzione delle  spese  effettuate  dagli
enti locali, ai sensi dell'art. 2, comma 186, lettera e), della legge
23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  -  Legge  finanziaria  2010)  e
dell'art. 14, comma 32, del d.l. n. 78 del 2010, prevedendo, in  caso
di inadempimento, l'esercizio del potere sostitutivo statale. 
    La ricorrente  sostiene  che  il  potere  conferito  non  sarebbe
riconducibile  alle  ipotesi  tassative  di   sostituzione   previste
dall'art. 120 Cost. In particolare, la  norma  confliggerebbe  con  i
parametri costituzionali invocati, nella parte in cui prevede che  il
Prefetto,  per  verificare  il  perseguimento  degli   obiettivi   di
semplificazione amministrativa ed organizzativa, nonche' di riduzione
delle spese effettuate dagli enti locali, deve accertare che  si  sia
provveduto alla soppressione dei consorzi di funzioni  tra  gli  enti
locali e sia stato rispettato il divieto  da  parte  dei  Comuni  con
popolazione inferiore a trentamila abitanti di costituire societa'. 
    Ne' tale  potere  sostitutivo  potrebbe  trovare  giustificazione
nell'esigenza di garantire l'unita' economica, intesa come  complesso
della macroeconomia  nazionale,  alla  luce  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost., atteso  che  il  contenimento  della  spesa
pubblica costituisce un fine non perseguibile mediante il ricorso  ad
un potere straordinario, quale, evidenzia la  difesa  regionale,  e',
per giurisprudenza costituzionale, quello sostitutivo. 
    Assume la Regione che la medesima disposizione  violerebbe  anche
gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto «il potere  sostitutivo  statale
non  puo'  e  non  deve  riguardare  amministrazioni  che  esercitano
funzioni amministrative di competenza regionale  ai  sensi  dell'art.
118 della Costituzione». La ricorrente, richiamando la sentenza della
Corte costituzionale  n.  43  del  2004,  pone  in  risalto  che  «e'
pacificamente ammessa la legittimita'  di  una  legge  regionale  che
"intervenendo in materie di propri [rectius: propria]  competenza,  e
nel disciplinare, ai sensi dell'articolo 117, terzo e quarto comma, e
dell'articolo  118,  primo  e  secondo  comma,  della   Costituzione,
l'esercizio di funzioni  amministrative  di  competenza  dei  Comuni,
preveda anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali, per  il
compimento di atti o di attivita' obbligatorie, nel caso di inerzia o
di  inadempimento  da  parte  dell'ente  competente,   al   fine   di
salvaguardare   interessi   unitari   che    sarebbero    compromessi
dall'inerzia o dall'inadempimento medesimi"». Inoltre la Regione cita
testualmente la sentenza n. 303 del  2003,  nella  parte  in  cui  si
afferma che «Nel nuovo  Titolo  V  l'equazione  elementare  interesse
nazionale  =  competenza  statale,  che  nella   prassi   legislativa
previgente sorreggeva  l'erosione  delle  funzioni  amministrative  e
delle parallele funzioni legislative delle Regioni, e' divenuta priva
di  ogni  valore  deontico,  giacche'   l'interesse   nazionale   non
costituisce piu' un limite, ne' di legittimita', ne' di merito,  alla
competenza legislativa regionale». 
    5.1.- Con atto depositato il 27 dicembre 2011, si  e'  costituito
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello   Stato,   formulando   osservazioni
identiche a quelle svolte in relazione al  ricorso  presentato  dalla
Regione Lazio. 
    6.- Con ricorso notificato il 17 novembre 2011 e depositato il 23
novembre 2011 (reg. ric. n. 153 del 2011),  la  Regione  Campania  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale  di  diverse  norme
del d.l. n. 138 del 2011 e, tra queste, dell'art. 16,  comma  1,  per
contrasto con gli artt. 117,  secondo  comma,  lettera  p),  terzo  e
quarto comma, 118 e 119, Cost. 
    Il ricorso e' articolato in piu' questioni. 
    A) In primo luogo, la Regione Campania censura l'art.  16,  comma
1,  nella  parte  in  cui  non  presenta   carattere   di   principio
fondamentale. La ricorrente afferma  che  la  disposizione  impugnata
violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., sotto il
profilo  della  illegittima  incidenza  sulla  sfera  di   competenze
legislative  che  la  Costituzione  riserva  in  via  residuale  alle
Regioni. 
    A  parere  della  ricorrente,  la  manifesta   violazione   delle
competenze  regionali  non  sarebbe  esclusa  dal  richiamo   operato
dall'art. 16, comma 1, alla finalita' di «assicurare il conseguimento
degli obiettivi di finanza pubblica, l'ottimale  coordinamento  della
finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti territoriali
e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative e dei servizi
pubblici».  In   senso   contrario,   infatti,   e'   richiamata   la
giurisprudenza  costituzionale  sul   valore   della   qualificazione
legislativa «che non vale ad attribuire alle norme una natura diversa
da quella  ad  esse  propria,  quale  risulta  dalla  loro  oggettiva
sostanza» (e' citata la sentenza n. 169 del 2007 e le sentenze n. 447
del 2006 e n. 482 del 1995, nonche' la sentenza n. 237 del 2009 e  le
sentenze n. 430 e n. 165 del 2007). 
    Con ulteriore riferimento alle pronunce della Corte,  la  Regione
Campania osserva che  la  potesta'  legislativa,  esercitata  con  la
finalita' di contenere la spesa pubblica, deve arrestarsi  alla  sola
previsione di un limite complessivo di  spesa  che  faccia  salva  la
discrezionalita' degli  enti  territoriali  nella  allocazione  delle
risorse, restando, quindi, preclusa la possibilita' di  vincolare  le
Regioni  all'adozione  di  misure  analitiche  di   dettaglio   (sono
richiamate, sul punto, le sentenza n. 27 del 2010, n. 341  e  n.  237
del 2009). Le Regioni, conclude  la  ricorrente,  sono  libere  nello
stabilire strumenti e modalita'  per  il  conseguimento  dello  scopo
individuato dal legislatore statale. 
    La ricorrente, inoltre, censura l'art. 16, comma 1, del  d.l.  n.
138  del  2011,  lamentando   che   l'incidenza   sulle   prerogative
costituzionali delle Regioni e la previsione di  conseguenze  gravose
in caso di mancato rispetto della  disciplina,  spiegherebbe  effetti
pregiudizievoli  sulla  finanza  regionale.  In   particolare,   tale
disciplina si porrebbe in conflitto con  l'art.  119,  quarto  comma,
Cost., in quanto  lesiva  del  principio  di  corrispondenza  tra  il
decentramento  delle  funzioni  e  la  conservazione  delle   risorse
necessarie a consentirne il relativo esercizio. 
    B) La Regione Campania censura, poi, l'art. 16,  comma  1,  nella
parte in cui dispone che  i  Comuni  con  popolazione  fino  a  1.000
abitanti esercitano obbligatoriamente in  forma  associata  tutte  le
funzioni amministrative e tutti i  servizi  pubblici  loro  spettanti
sulla base della legislazione vigente mediante un'unione di Comuni ai
sensi dell'art. 32 del TUEL. 
    Lamentando la violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera
p), quarto comma,  e  118  Cost.,  la  ricorrente,  afferma  che  per
escludere l'illegittimita' dell'art. 16, comma 1,  non  puo'  neppure
invocarsi la competenza esclusiva statale di cui all'art.117, secondo
comma, lettera p), Cost., relativa a «legislazione elettorale, organi
di governo e funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane». 
    La   Regione   richiama   l'orientamento   della   giurisprudenza
costituzionale secondo cui tale disposto deve essere inteso in  senso
restrittivo, sia per  quanto  riguarda  l'individuazione  degli  enti
locali, per i quali l'elencazione di  cui  all'art.  114  Cost.  deve
considerarsi tassativa, sia per quanto riguarda  l'ambito  oggettivo,
che deve restare circoscritto alla disciplina del sistema elettorale,
della forma di governo e delle funzioni fondamentali di  detti  enti.
Fuori da tale perimetro, osserva la ricorrente, opera  la  competenza
residuale delle Regioni, nel cui ambito  ricade  la  regolamentazione
degli enti locali. Cio', del resto, consente al legislatore regionale
di provvedere in modo differenziato,  tenendo  conto  delle  esigenze
espresse dalle singole comunita' di riferimento,  in  osservanza  dei
principi di sussidiarieta',  di  adeguatezza  e  di  differenziazione
sanciti nell'art. 118, primo comma, Cost. 
    Al  riguardo,  la  Regione  richiama   in   modo   specifico   la
giurisprudenza costituzionale formatasi in tema di comunita'  montane
e afferma che la disciplina di tali forme associative, che altro  non
sono se non unioni di Comuni costituiti tra Comuni  montani,  rientra
nella  competenza   residuale   delle   Regioni   (sono   richiamate,
nell'ordine, le sentenze n. 27  del  2010,  nella  parte  in  cui  ha
stabilito che  «rientra  nella  potesta'  legislativa  delle  Regioni
disporne anche, eventualmente, la soppressione»; n. 237 del 2009,  n.
244 del 2005 e n. 229 del 2001). 
    La ricorrente evidenzia che i suddetti  principi  devono  trovare
applicazione anche con riferimento alla norma impugnata e, poiche' in
questo caso, come per le Comunita' montane, si tratta di enti la  cui
esistenza non e' imposta dalla Costituzione, e' consequenziale che la
loro disciplina debba essere  ricondotta  alla  potesta'  legislativa
delle Regioni. Peraltro, osserva la Regione, l'art. 32 del d.lgs.  n.
267 del 2000 stabilisce che le unioni  di  Comuni  sono  enti  locali
costituiti «da due o piu' comuni, di norma contermini»  e  l'art.  33
riserva  alle  Regioni  l'individuazione  dei  livelli  ottimali   di
esercizio delle funzioni ai fini di favorirne l'esercizio  associato,
con previsione di un eventuale potere  sostitutivo  per  il  caso  di
inerzia  dei  Comuni  nell'individuazione  di   soggetti,   forme   e
metodologie per l'esercizio in forma associata delle funzioni. 
    C) In  subordine,  la  Regione  deduce  che  quand'anche  non  si
riconoscesse  la  manifesta  violazione  della  competenza  residuale
regionale, occorrerebbe, comunque, tenere conto che il censurato art.
16, comma 1, viola l'art. 118, in combinato disposto con  l'art.  117
Cost. (la subordinata, invero, fa  riferimento  all'intero  art.  16,
senza specificare il comma, ma tutte le argomentazioni relative  alla
doglianza principale discendono dalla censura  rivolta  all'art.  16,
comma 1, nella parte sopra indicata). 
    La ricorrente illustra le ragioni della  censura  muovendo  dalla
considerazione che l'art. 118 Cost. attribuisce ai  Comuni  tutte  le
funzioni amministrative, a prescindere dalla materia cui afferiscono,
salvo che le stesse siano  conferite,  sulla  base  dei  principi  di
sussidiarieta', di differenziazione e di adeguatezza, ai  livelli  di
governo superiori, al fine di garantirne il  migliore  esercizio.  Lo
Stato, invece, in forza dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  p),
Cost.,  ha  competenza  legislativa  esclusiva  in   relazione   alla
determinazione delle sole «funzioni fondamentali» di Comuni, Province
e Citta' metropolitane. Circa la  relazione  tra  le  due  norme,  la
Regione ricorda la giurisprudenza della Corte costituzionale  secondo
cui  «quale  che  debba  ritenersi  il  rapporto  fra  le   "funzioni
fondamentali" degli enti locali  di  cui  all'articolo  117,  secondo
comma, lettera p), e le "funzioni proprie" di cui  a  detto  articolo
118, secondo comma, sta di fatto che sara' sempre la legge, statale o
regionale, in relazione al riparto delle  competenze  legislative,  a
operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformita'  alla
generale attribuzione costituzionale ai comuni o in  deroga  ad  essa
per  esigenze  di  "esercizio  unitario",  a  livello  sovracomunale»
(sentenza n. 43  del  2004).  Pertanto,  osserva  la  ricorrente,  in
materia di disciplina dell'esercizio delle funzioni amministrative la
competenza  della  Regione  sussiste  quando   le   funzioni   stesse
interessano  ambiti  materiali  di   diretta   pertinenza   regionale
(esclusiva o concorrente). La norma impugnata, invece, nel richiamare
indistintamente le funzioni amministrative esercitate dai Comuni,  vi
avrebbe  ricompreso  anche  quelle  ricadenti  in  ambiti   materiali
riservati alla Regione. 
    6.1.- Con atto depositato il 27 dicembre 2011, si e'  costituito,
nel giudizio promosso  dalla  Regione  Campania,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, formulando le medesime osservazioni  articolate
in relazione al ricorso presentato dalla Regione Lazio. 
    7.-  La  Regione  Lombardia,  con  ricorso  notificato  il  15-17
novembre 2011 e depositato il 23 novembre 2011 (reg. ric. n. 155  del
2011), in parte corrispondente  a  quello  presentato  dalla  Regione
Campania, ha promosso questioni  di  legittimita'  costituzionale  di
diverse norme del d.l. n. 138 del 2011 e, tra  queste,  dell'art.  16
per contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto  comma,  119,  120  e
133, secondo comma, Cost. 
    Il ricorso e' articolato in piu' questioni. 
    A) In primo luogo, la Regione Lombardia censura l'art.  16  nella
parte in cui non presenta carattere  di  principio  fondamentale.  La
ricorrente afferma  che  la  disposizione  impugnata  violerebbe  gli
articoli 117, terzo e quarto comma, e 119  Cost.,  sotto  il  profilo
della illegittima incidenza sulla sfera di competenze legislative che
la Costituzione riserva in via residuale alle Regioni. 
    Su questo punto, le argomentazioni svolte sono le medesime che si
rinvengono nel ricorso presentato dalla Regione  Campania.  Tuttavia,
in questo caso la censura viene riferita all'intero art. 16. 
    B) La Regione Lombardia censura, poi, l'art. 16, comma  1,  nella
parte in cui dispone che  i  Comuni  con  popolazione  fino  a  1.000
abitanti esercitano obbligatoriamente in  forma  associata  tutte  le
funzioni amministrative e tutti i  servizi  pubblici  loro  spettanti
sulla base della legislazione vigente mediante un'unione di Comuni ai
sensi dell'art. 32 del TUEL, lamentando la violazione dell'art.  117,
terzo e quarto comma, e 120 Cost. 
    Per quanto concerne  la  prospettata  violazione  dell'art.  117,
terzo e quarto comma, Cost., le argomentazioni sono le  medesime  che
si rinvengono nel  ricorso  presentato  dalla  Regione  Campania  con
riferimento al parametro costituito  dall'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), e quarto comma, Cost. 
    In subordine, a parere della Regione Lombardia,  quand'anche  non
si riconoscesse la manifesta violazione  della  competenza  residuale
regionale, occorrerebbe  comunque  tenere  conto  del  fatto  che  il
censurato art. 16 si pone in contrasto con l'art. 117, terzo e quarto
comma, nonche' con il principio fondamentale di leale collaborazione,
sancito dall'art. 120 Cost. 
    Sul punto, la prima parte  del  ricorso  ripropone  (anche  nella
forma) le  argomentazioni  contenute  nel  ricorso  presentato  dalla
Regione Campania con  riferimento  ai  diversi  parametri  costituiti
dall'art. 118,  in  combinato  disposto  con  l'art.  117  Cost.  Per
l'organicita' dell'esposizione,  tuttavia,  vi  si  fara'  nuovamente
cenno in termini  piu'  sintetici.  La  coincidenza  e',  del  resto,
limitata a questa parte. Il ricorso della Regione Lombardia  prosegue
con considerazioni specifiche che riguardano l'art. 120 Cost.  e,  in
particolare,  l'orientamento  della   giurisprudenza   costituzionale
sull'applicabilita'  del  principio  di  leale  collaborazione   alle
procedure di formazione delle leggi (sono richiamate le  sentenze  n.
33 del 2011 e n. 326 del 2010). 
    Anche in questo caso la ricorrente premette che l'art. 118  Cost.
attribuisce ai Comuni tutte  le  funzioni  amministrative,  salva  la
possibilita' che le stesse siano conferite, sulla base  dei  principi
di sussidiarieta', differenziazione  e  adeguatezza,  ai  livelli  di
governo superiori, al  fine  di  garantirne  il  migliore  esercizio,
mentre lo Stato, in forza dell'art. 117, secondo comma,  lettera  p),
Cost.,  ha  competenza  legislativa  esclusiva  in   relazione   alla
determinazione delle «funzioni fondamentali». Circa la relazione  tra
le due norme,  la  Regione  ricorda  la  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale  citata  in  egual  contesto  dalla  Regione  Campania
(sentenza n. 43 del 2004) e, allo stesso  modo,  conclude  osservando
che la norma impugnata, nel richiamare  indistintamente  le  funzioni
amministrative esercitate dai Comuni,  vi  avrebbe  ricompreso  anche
quelle ricadenti in ambiti materiali riservati alla Regione. 
    Inoltre,  prosegue  la  Regione,  «alla   luce   delle   evidenti
attribuzioni  regionali  sottese  allo  svolgimento  delle   funzioni
comunali, non e' rinvenibile nel corpo dell'impugnato art. 16  alcuna
forma di cooperazione fra Stato e Regioni,  idonea  a  garantire  una
tutela delle richiamate competenze regionali». 
    La ricorrente,  premettendo  di  conoscere  l'orientamento  della
giurisprudenza  costituzionale  sull'inammissibilita'  di   questioni
promosse dalle Regioni in relazione a parametri non ridondanti  nelle
loro  competenze  e  sull'inapplicabilita'  del  principio  di  leale
collaborazione alle procedure  di  formazione  delle  leggi,  osserva
testualmente che  «a  fronte  di  un  intervento  normativo  di  tale
portata,  promosso  attraverso  lo   strumento   della   decretazione
d'urgenza,  giustificato  in  nome  di  esigenze   straordinarie   di
contenimento della spesa, che potrebbero quasi ricondursi nell'ambito
di una procedura  "sostitutiva"  rispetto  ad  un  impegno  regionale
ritenuto inadeguato nel contenimento della  spesa  pubblica,  sarebbe
stata costituzionalmente necessaria la salvaguardia del principio  di
leale collaborazione di cui  all'art.  120  Cost.».  Tale  principio,
ricorda la ricorrente, e' «operante piu' in generale nei rapporti fra
enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita»  (sono  citate
le sentenze n. 43 del 2004 e 153 del 1986). 
    C) La Regione Lombardia, infine, censura l'art. 16  del  d.l.  n.
138 del 2011, nella parte in  cui,  prevedendo  l'istituzione  di  un
ulteriore ente locale coincidente  con  la  sostanziale  fusione  dei
Comuni partecipanti, violerebbe l'art. 133, secondo comma, Cost.  che
riconosce in capo al legislatore regionale,  sentite  le  popolazioni
interessate, la competenza in materia di istituzione di nuovi Comuni,
di modificazione delle circoscrizioni e di  denominazione  di  quelle
gia' esistenti. 
    Piu' in particolare, la ricorrente osserva che l'unione di Comuni
di cui all'art. 16 e' caratterizzata da una  struttura  istituzionale
stabile ed omnicomprensiva, dotata di  propri  organi,  di  autonomia
statutaria e di  specifici  poteri  in  precedenza  esercitati  dagli
organi  comunali,  che  si  sostituisce   integralmente   ai   Comuni
partecipanti. All'unione, infatti, e' demandato l'esercizio di  tutte
le funzioni amministrative e dei servizi pubblici spettanti ai Comuni
partecipanti sulla base della legislazione vigente. 
    Si tratta, dunque, a parere della  Regione,  di  una  sostanziale
fusione dei  Comuni  con  popolazione  inferiore  a  1.000  abitanti,
realizzata eludendo in maniera manifesta la procedura di cui all'art.
133, secondo comma, Cost. 
    A conferma della propria tesi, la ricorrente evidenzia che: 1) il
comma 5 della disposizione impugnata prevede che «L'unione succede  a
tutti gli effetti nei rapporti giuridici [...] inerenti alle funzioni
ed ai servizi ad essa affidati»,  con  contestuale  trasferimento  di
tutte le relative risorse  umane  e  strumentali;  2)  dalla  lettura
integrata di tale previsione con quella di cui al comma 1, si  desume
che  la  successione  dell'unione  ai  Comuni  riguarda  i   rapporti
giuridici inerenti a tutte le funzioni amministrative  e  a  tutti  i
servizi pubblici spettanti a questi enti; 3) oltre al conferimento al
nuovo ente di tutte  le  funzioni  comunali,  ad  esso  si  riconosce
un'autonoma struttura organizzativo-istituzionale,  che  finisce  per
assorbire quelle dei singoli Comuni; 4)  a  partire  dall'istituzione
delle unioni, le giunte comunali in carica decadono di diritto, senza
successiva ricostituzione e il novero  degli  organi  comunali  viene
limitato al sindaco e al consiglio; 5)  ai  sensi  del  comma  9,  ai
consigli comunali competono esclusivamente poteri  di  indirizzo  nei
confronti del consiglio dell'unione; 6) ai sensi  del  comma  12,  ai
sindaci spettano le sole attribuzioni di cui all'art. 54  del  d.lgs.
n. 267 del 2000, ovvero solamente quelle attribuzioni esercitate  dai
sindaci in veste di ufficiali del governo, non in qualita' di  organi
apicali,   rappresentativi   e   responsabili    dell'amministrazione
comunale; 7) l'unione delineata dall'art. 16 viene, di contro, dotata
di una propria organizzazione, composta dal consiglio, dal presidente
e dalla giunta, nonche' del potere di dotarsi di un  proprio  statuto
al fine di disciplinare le  modalita'  di  funzionamento  dei  propri
organi e i loro rapporti. 
    Alla  luce  di  tali  premesse,  la  Regione  Lombardia  conclude
rimarcando che  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  costantemente
riconosciuto  che  «spetta  alla  legge  regionale  dare   attuazione
all'art. 133, secondo  comma,  della  Costituzione,  individuando  le
popolazioni interessate alla variazione territoriale; che  e'  sempre
costituzionalmente obbligatoria la  consultazione  delle  popolazioni
residenti nei territori che sono destinati a  passare  da  un  comune
preesistente ad uno di nuova istituzione, ovvero ad un  altro  comune
preesistente»  (viene  richiamata  la  sentenza  n.  47  del   2003).
Viceversa, afferma la ricorrente, nel caso di  specie  nessuna  delle
fasi espressamente individuate  dalla  Costituzione  avrebbe  trovato
osservanza da parte del legislatore statale, il quale, per  di  piu',
sarebbe intervenuto in una materia sottratta alla  propria  sfera  di
competenza normativa. 
    7.1.- Con atto depositato il 27 dicembre 2011, si  e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  che  ha  formulato  le
medesime osservazioni svolte in relazione al ricorso presentato dalla
Regione Lazio. 
    8.- La Regione autonoma Sardegna, con ricorso  notificato  il  15
novembre 2011 e depositato il 24 novembre 2011 (reg. ric. n. 160  del
2011),  ha  promosso  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di
diverse norme del d.l. n. 138 del 2011 e, tra queste,  dell'art.  16,
per violazione dell'art. 3, primo  comma,  lettera  b),  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna), ai sensi del quale «In armonia con  la  Costituzione  e  i
principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e  col  rispetto
degli obblighi internazionali e degli  interessi  nazionali,  nonche'
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica,  la  Regione  ha  potesta'  legislativa  nelle   seguenti
materie: [...] b) ordinamento degli  enti  locali  e  delle  relative
circoscrizioni». 
    La  Regione  autonoma,  inoltre,   ha   promosso   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma  4,  ultimo  periodo,
per violazione anche dell'art. 117, sesto comma, Cost. 
    Il ricorso e' articolato in due questioni. 
    A) Secondo la Regione  l'art.  16,  intervenendo  in  materia  di
ordinamento degli enti locali, avrebbe  invaso  un  ambito  materiale
riservato dallo statuto alla potesta' legislativa regionale. 
    La ricorrente pone in risalto che la norma  impugnata  regola  la
costituzione, le attribuzioni, l'organizzazione  e  il  funzionamento
delle  unioni  di  Comuni  e  ravvisa  la  violazione  del  parametro
statutario  nella  parte  in  cui  l'art.   16,   predisponendo   una
regolamentazione «di estremo dettaglio e particolarmente stringente»,
disciplina:  a)  i  criteri  per  la  costituzione   obbligatoria   e
facoltativa  delle  unioni  (commi  da  1  a  3)  e  per  l'esercizio
obbligatorio in  forma  associata  delle  funzioni  fondamentali  dei
Comuni (commi 22 e 24); b)  il  procedimento  per  la  redazione  dei
bilanci  di  previsione  (comma  4);  c)  il  procedimento   per   la
costituzione dell'unione stessa (commi 8  e  9);  d)  gli  organi  di
governo dell'unione e le rispettive competenze (commi 10 e seguenti);
e) la composizione degli organi di governo e di controllo dei  Comuni
che non sono obbligati a costituire un'unione, e lo svolgimento delle
loro funzioni istituzionali  e  la  rendicontazione  delle  spese  di
rappresentanza (commi da 17 a 21, 25 e 26); f)  i  nuovi  criteri  di
definizione degli enti locali cui  e'  fatto  divieto  di  costituire
societa'  (comma  27);  g)  la  verifica,  da  parte  del   Prefetto,
dell'avvenuta soppressione dei consorzi  di  funzioni  tra  gli  enti
locali, di cui all'art. 2, comma 186, lettera e), della legge n.  191
del 2009, e l'eventuale esercizio di poteri sostitutivi da parte  del
Presidente del Consiglio dei  ministri  (comma  28);  h)  la  mancata
produzione di nuovi o  maggiori  oneri  per  la  finanza  pubblica  e
l'assoggettabilita' al patto di stabilita' interno di tutti i  Comuni
con popolazione superiore a 1.000 abitanti (commi 30 e 31). 
    La Regione evidenzia, che la illegittimita' costituzionale non e'
scongiurata dalla clausola di salvaguardia  prevista  dal  comma  29,
secondo  cui  «Le  disposizioni  [...]   si   applicano   ai   comuni
appartenenti  alle  regioni  a  statuto  speciale  ed  alle  province
autonome di Trento e di Bolzano  nel  rispetto  degli  statuti  delle
regioni e province medesime, delle relative  norme  di  attuazione  e
secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5  maggio  2009,
n. 42». Tale clausola, ad avviso della  Regione,  avrebbe  un  valore
meramente di stile, «perche' la normativa statale, nella  materia  di
cui al citato art. 3, comma 1, lettera b), dello  statuto,  non  puo'
avere  alcun  ingresso,  nemmeno  nelle   forme   cautelative   della
previsione qui censurata». 
    Inoltre, la Regione lamenta che  la  disposizione  non  introduce
norme   di   carattere   generale   o   limitate   ai   principi   di
semplificazione, accorpamento di funzioni e riduzione degli enti  non
necessari. Stabilisce, invece, in via autoritativa e unilaterale,  il
livello demografico della  cosiddetta  intercomunalita',  procedendo,
poi,  ad  una  regolamentazione  di  dettaglio  destinata  ad  essere
recepita in via automatica dalla Regione,  seppur  tenendo  conto  di
quanto previsto dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009,  in  materia
di concorso  al  conseguimento  degli  obiettivi  di  perequazione  e
solidarieta' delle  Regioni  a  statuto  speciale  e  delle  Province
autonome di Trento e di Bolzano. 
    Secondo la ricorrente, quindi, tale regolamentazione non  risulta
affatto necessaria per la realizzazione degli obiettivi  di  maggiore
efficienza perseguiti dal legislatore statale. Piuttosto  si  sarebbe
dovuto lasciare alla Regione il potere di  determinare  le  modalita'
concrete di attuazione del principio dell'intercomunalita',  in  modo
da renderlo piu' aderente alle diverse realta' locali. 
    La  ricorrente  osserva  che  l'art.  16  lede  le   attribuzioni
conferite alla  Regione  dall'art.  3,  primo  comma,  dello  statuto
speciale, nella parte in cui impone di esercitare in forma  associata
non solo le funzioni statali delegate  agli  enti  locali,  ma  anche
quelle proprie dei  Comuni  e  quelle  ad  essi  assegnate  da  leggi
regionali.  L'istituzione  obbligatoria  di  unioni  di  Comuni,   la
contestuale  riduzione  dei  consigli  comunali  a  puri  organi   di
partecipazione  e  del  sindaco  a  semplice  ufficiale  di  Governo,
determinerebbero,  di  fatto,  la   soppressione   dei   Comuni   che
partecipano a questa forma associativa e la loro sostituzione con  un
nuovo tipo  di  ente  territoriale,  in  violazione  esplicita  della
competenza in materia di  «ordinamento  degli  enti  locali  e  delle
relative circoscrizioni». 
    La fondatezza della censura, prosegue la Regione, trova  conferma
nella giurisprudenza costituzionale  secondo  cui  alla  disposizione
statutaria  occorre  dare  l'interpretazione  piu'  ampia   che   sia
consentita, tanto  che  in  essa  deve  essere  ricompresa  anche  la
potesta' di istituire nuove Province  (sentenza  n.  230  del  2001),
nonche' quella di regolare la finanza locale  (sentenza  n.  275  del
2007). 
    B) La Regione  autonoma  Sardegna,  poi,  impugna  specificamente
l'art. 16, comma 4, ultimo periodo, nella parte  in  cui  prevede  un
regolamento  statale  in  materia  di   competenza   regionale,   per
violazione, oltre che del citato art. 3,  primo  comma,  lettera  b),
dello statuto speciale per la Sardegna, anche  dell'art.  117,  sesto
comma, Cost., che esclude la potesta' regolamentare dello Stato nelle
materie di competenza regionale. 
    In particolare, la ricorrente ritiene che siano ricompresi  nella
materia   «ordinamento   degli   enti   locali»   il    «procedimento
amministrativo-contabile di formazione e di variazione del  documento
programmatico», i «poteri di vigilanza sulla  sua  attuazione»  e  la
«successione nei rapporti amministrativo-contabili tra ciascun comune
e l'unione». 
    8.1.- Con atto depositato il 23 dicembre 2011, si  e'  costituito
nel giudizio promosso  dalla  Regione  Sardegna,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  che  ha  formulato  le  medesime  osservazioni
svolte in relazione al ricorso presentato dalla Regione Liguria. 
    9.-  Nelle  more  della  decisione  dei   suddetti   ricorsi   e'
intervenuto il decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95  (Disposizioni
urgenti per la revisione della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei
servizi ai cittadini nonche'  misure  di  rafforzamento  patrimoniale
delle imprese del settore bancario), convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.  L'art.  19,
comma 2, di tale provvedimento legislativo ha sostituito i commi da 1
a 16  dell'art.  16  del  d.l.  n.  138  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, con i commi  da  1  a  13
della normativa sopravvenuta. 
    10.- Con ricorso notificato il 12-17 ottobre 2012 e depositato il
16 ottobre 2012 (reg. ric. n. 145 del  2012),  la  Regione  Lazio  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale  di  diverse  norme
del d.l. n. 95 del 2012 e, tra queste, dell'art. 19, commi 2, 5 e  6,
per contrasto con il combinato disposto dei  commi  secondo,  lettera
p), terzo e quarto dell'art. 117 Cost. 
    La ricorrente pone in risalto che la norma sopravvenuta conferma,
per i Comuni con popolazione fino  a  1.000  abitanti,  l'obbligo  di
esercitare in forma associata, mediante unione di  Comuni,  tutte  le
funzioni amministrative e tutti i servizi  pubblici  loro  spettanti.
Inoltre, stabilisce «che le Regioni, nelle materie  di  cui  all'art.
117, commi 3 e  4,  Cost.,  individuano  le  dimensioni  territoriali
ottimali per l'esercizio delle funzioni  in  forma  obbligatoriamente
associata, mediante unioni e convenzioni». 
    Secondo la Regione «tutta la riferita disciplina e' da  ritenersi
illegittima per violazione del combinato disposto  degli  artt.  117,
secondo comma, lettera p), e 117, commi terzo e  quarto,  Cost.,  con
conseguente  lesione  di  sfere  di   competenza   costituzionalmente
assegnate alla Regione ricorrente». 
    In particolare, si  afferma,  la  disciplina  delle  associazioni
degli enti locali va ricondotta  alla  competenza  legislativa  delle
Regioni e non  dello  Stato.  Quest'ultima,  infatti,  limitata  alla
«legislazione elettorale, organi di governo e  funzioni  fondamentali
di Comuni, Province e  Citta'  metropolitane»,  non  ricomprende  gli
aspetti  riguardanti  l'associazionismo  di  tali   enti.   Peraltro,
prosegue  la  Regione,   tale   principio   trova   riscontro   nella
giurisprudenza costituzionale in tema di comunita'  montane,  che  ha
sottolineato come l'indicazione  degli  enti  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera p), Cost. debba considerarsi tassativa. 
    La ricorrente riporta testualmente il passaggio della motivazione
della  sentenza  n.  456  del  2005,  ove  si  afferma:  «Da  qui  la
conseguenza  che  la  disciplina  delle  Comunita'  montane,  pur  in
presenza della loro qualificazione come  enti  locali  contenuta  nel
d.lgs. n. 267 del 2000,  rientra  ora  nella  competenza  legislativa
residuale delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma,  della
Costituzione». 
    10.1.- Con atto depositato il 26 novembre 2012, si e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  ha   sostenuto
l'infondatezza delle censure,  in  quanto  la  norma  in  esame,  nel
dettare disposizioni sulle funzioni fondamentali dei Comuni  e  sulle
modalita' di esercizio  associato  di  funzioni  e  servizi  comunali
nonche' in materia  di  unioni  di  Comuni  di  cui  al  TUEL,  lungi
dall'invadere sfere di competenza legislativa  regionale,  troverebbe
fondamento nell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.  che
attribuisce  alla  legislazione  esclusiva  dello  Stato  la  materia
«funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane». 
    11.- Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il 17
ottobre 2012 (reg. ric. n.  151  del  2012),  la  Regione  Veneto  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale  di  diverse  norme
del d.l. n. 95 del 2012 e, tra queste, dell'art. 19, commi 2, 5 e  6,
per contrasto con gli artt. 117, quarto comma, in combinato  disposto
con il secondo e il terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119, 3 e
97 Cost. 
    Il ricorso e' articolato in piu' questioni. 
    A)  La  ricorrente,  premessa  una  breve  sintesi  delle   norme
censurate, motiva la propria legittimazione ad agire  richiamando  la
giurisprudenza costituzionale (sentenza  n.  169  del  2007)  che  ha
ritenuto  ammissibile  la  denuncia   da   parte   di   una   Regione
dell'illegittimita'  costituzionale  di   una   legge   statale   per
violazione delle competenze degli enti locali  «purche'  la  "stretta
connessione [...]  tra  le  attribuzioni  regionali  e  quelle  delle
autonomie locali consenta di ritenere che la lesione delle competenze
locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle
competenze regionali" (sentenze n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e 196
del 2004)». 
    Nel  merito,  la  Regione  Veneto  assume  che  le   disposizioni
censurate si pongono in  contrasto,  innanzitutto,  con  l'art.  117,
quarto comma, Cost., dalla cui lettura (in combinato disposto con  il
secondo e terzo comma, del medesimo art. 117) si ricaverebbe  che  la
materia  «forme  associative  tra  gli  enti  locali»  rientra  nella
potesta' legislativa regionale residuale. 
    La ricorrente trae conferma della fondatezza del proprio  assunto
da quanto affermato dalla  Corte  costituzionale  a  proposito  delle
comunita' montane e, in particolare, da un  passo  della  motivazione
della sentenza n. 244 del 2005 (vengono richiamate anche le  sentenze
n. 27 del 2010, n. 237 del 2009 e n. 456 del 2005) ove si  legge  che
le comunita' montane costituiscono «un caso  speciale  di  unioni  di
Comuni», dotate di autonomia «(non solo dalle Regioni ma  anche)  dai
Comuni, come dimostra,  tra  l'altro,  l'espressa  attribuzione  alle
stesse della potesta' statutaria e regolamentare». L'autonomia  delle
comunita' montane non gode tuttavia di garanzia costituzionale, cosi'
che  la  loro  disciplina  «rientra  nella   competenza   legislativa
residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.». 
    La  Regione  nega  che  la  norma  censurata  possa  considerarsi
espressione   della   potesta'    legislativa    esclusiva    statale
riconducibile all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.  e,
citando  ancora  la  giurisprudenza  costituzionale  sulle  comunita'
montane, ricorda che l'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. «fa
espresso  riferimento  ai  Comuni,  alle  Province  e   alle   Citta'
metropolitane e l'indicazione deve ritenersi  tassativa.  Da  qui  la
conseguenza  che  la  disciplina  delle  Comunita'  montane,  pur  in
presenza della loro qualificazione come  enti  locali  contenuta  nel
d.lgs.  n.  267  del  2000,  rientra  nella  competenza   legislativa
residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, quarto  comma,  della
Costituzione» (sentenza n. 244 del 2005). 
    Pertanto, secondo la ricorrente, la  norma  censurata  violerebbe
l'art. 117,  secondo  e  terzo  comma,  Cost.,  nella  parte  in  cui
disciplina l'esercizio associato obbligato, da parte  di  Comuni  con
popolazione fino a  1.000  abitanti,  mediante  unione  di  Comuni  o
convenzione, di tutte le funzioni e di tutti i servizi pubblici  loro
spettanti sulla base della legislazione vigente e non  solo,  dunque,
delle funzioni fondamentali. 
    Con piu' specifico riferimento all'art. 117, terzo comma,  Cost.,
la Regione contesta che l'intervento normativo possa ricondursi  alla
potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato  o   alla   competenza
concorrente  in  materia  di  coordinamento  della  finanza  pubblica
perche',  come  chiarito  dalla  giurisprudenza  costituzionale   (e'
richiamata la sentenza n. 417 del 2005), la disciplina  di  principio
dei vincoli finanziari si configura compatibile con l'autonomia degli
enti costituzionalmente garantiti, come le Regioni ed i Comuni,  solo
quando stabilisca tassativamente un limite complessivo di  intervento
- avente ad oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente  o  i
fattori di crescita della spesa corrente - lasciando agli enti stessi
piena autonomia e liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi
ambiti ed obiettivi di spesa. 
    La  Regione,   infine,   lamenta   l'imposizione   dell'esercizio
associato di funzioni fondamentali, e censura l'art. 19, commi 2, 5 e
6, del d.l. n. 95 del 2012 denunciando la violazione  dell'art.  118,
primo comma, Cost., secondo  cui  «Le  funzioni  amministrative  sono
attribuite  ai  Comuni,  salvo  che,  per   assicurarne   l'esercizio
unitario, siano conferite a Province, Citta' metropolitane, Regioni e
Stato, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza». 
    B)  Secondo  la  ricorrente,  poi,  la   disposizione   impugnata
lederebbe «il potere (costituzionalmente garantito) della Regione  di
conferire,  mediante  legge  regionale,  funzioni  amministrative  ai
Comuni (e non ad unioni degli  stessi  imposte  o  autorizzate  dallo
Stato), nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione
ed adeguatezza». Da cio' discenderebbe la violazione anche  dell'art.
118, secondo comma, Cost., secondo cui «I Comuni, le  Province  e  le
Citta' metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie
e di quelle conferite con  legge  statale  o  regionale,  secondo  le
rispettive competenze» 
    C) La ricorrente censura ulteriormente l'art. 19, commi 2, 5 e 6,
nella parte in cui stabilisce che i Comuni  con  popolazione  fino  a
5.000 abitanti sono  obbligati,  senza  distinzioni  (e,  quindi,  in
violazione  del   principio   costituzionale   di   differenziazione)
all'esercizio mediante unione di  Comuni  o  convenzione  delle  loro
funzioni fondamentali, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost. 
    D) Infine, la Regione Veneto impugna l'art. 19, commi 2, 5  e  6,
nella parte in cui disciplina l'esercizio associato obbligatorio,  da
parte di Comuni con  popolazione  fino  a  1.000  abitanti,  mediante
unione di Comuni o convenzione, di tutte le funzioni  e  di  tutti  i
servizi pubblici loro spettanti sulla base della legislazione vigente
e  non  solo  delle  funzioni   fondamentali,   comprimendo,   cosi',
l'autonomia degli enti costituzionalmente  garantiti,  e  soprattutto
nella parte in cui affida all'unione, per conto dei Comuni associati,
la programmazione economico-finanziaria e la  gestione  contabile  di
cui alla parte  seconda  del  TUEL,  la  titolarita'  della  potesta'
impositiva sui tributi locali dei Comuni  associati,  nonche'  quella
patrimoniale, con riferimento alle funzioni da  essi  esercitate  per
mezzo dell'unione, ravvisando la violazione dell'art. 119  Cost.  che
attribuisce ai Comuni autonomia finanziaria di entrata e di spesa. 
    Con il medesimo ricorso, la Regione Veneto ha presentato  istanza
di sospensione cautelare, ai sensi degli artt. 35 e 40 della legge n.
87 del 1953, degli artt. 17, 18 e 19 del d.l. n. 95 del 2012. 
    La  ricorrente,  rinviando  a  quanto  esposto  per  motivare  la
sussistenza del presupposto del fumus boni iuris, con riferimento  al
periculum in mora,  ha  sostenuto  che  le  scadenze  previste  dalle
disposizioni  impugnate  (14  ottobre  2012  per  il  riordino  delle
Province; 1° gennaio 2013 per l'esercizio associato di funzioni per i
Comuni con popolazione fino  a  5.000  abitanti;  ulteriori  scadenze
relative all'istituzione di Citta' metropolitane e soppressione delle
Province del relativo territorio)  non  si  conciliano  con  i  tempi
necessari  per  addivenire  ad  una  decisione  sulle  questioni   di
legittimita' costituzionale promosse in via principale. 
    Nelle more, dunque, potrebbero consolidarsi assetti istituzionali
e normativi (riordino/soppressione  delle  Province,  istituzione  di
Citta' metropolitane, creazione di unioni di Comuni)  divergenti  dal
vigente disegno costituzionale. 
    Pertanto, conclude la Regione, «ad oggi, si configura  certamente
il rischio  di  un  irreparabile  pregiudizio  all'ordinamento  della
Repubblica,  con  conseguente  grave  ed   irreparabile   pregiudizio
dell'interesse pubblico e dei diritti dei cittadini». 
    11.1.- Con atto depositato il 21 novembre 2012, si e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, formulando  le  medesime
osservazioni svolte in relazione al ricorso presentato dalla  Regione
Lazio. 
    11.2.- Il 29 maggio 2013 la  Regione  Veneto  ha  depositato  una
memoria illustrativa in vista dell'udienza  pubblica  del  19  giugno
2013, limitata agli artt. 16-bis, 19 e 23-ter, comma 1,  lettera  g),
del d.l. n. 95 del 2012,  ribadendo,  con  riferimento  all'art.  19,
commi 2, 5 e 6, quanto gia' illustrato nell'atto introduttivo. 
    12.- Con ricorso notificato il 13-17 ottobre 2012 e depositato il
18 ottobre 2012 (reg. ric. n. 153 del 2012) la  Regione  Campania  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale  di  diverse  norme
del d.l. n. 95 del 2012 e, tra queste, dell'art. 19, commi 2, 5 e  6,
per contrasto con gli artt. 117, secondo comma,  lettera  p),  quarto
comma, e 118 Cost. 
    La  ricorrente  rammenta  di  aver  gia'  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale (reg. ric. n. 153 del 2011) dell'art. 16,
comma 1, del d.l. n. 138 del  2011,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 148 del 2011, i cui  commi  da  1  a  16,  sono  stati
sostituiti con i commi da 1 a 13 dal censurato art. 19, commi 2, 5  e
6, del  d.l.  n.  95  del  2012.  Ribadisce,  inoltre,  l'illegittima
incidenza della  disciplina  previgente  sulla  sfera  di  competenze
legislative regionali ed osserva che le modifiche apportate dallo ius
superveniens non soddisfano le ragioni sottese al primo ricorso. 
    Infatti, sebbene  la  nuova  formulazione  dell'art.  16  preveda
l'esercizio associato di tutte le funzioni e di tutti i servizi,  per
i Comuni fino a 1.000 abitanti, come non  piu'  obbligatorio,  bensi'
alternativo alle modalita' di cui all'art. 14  del  d.l.  n.  78  del
2010, non vi  sarebbe  dubbio  che  la  disposizione  statale  incide
parimenti in modo illegittimo sulla sfera di  competenze  legislative
che la  Costituzione  riserva  alle  Regioni,  violando  l'art.  117,
secondo comma, lettera p), e quarto comma, nonche' l'art. 118 Cost. 
    La  Regione  rileva  che  nulla  e'  stato  innovato   circa   le
attribuzioni riconosciute  all'unione  quale  forma  associativa.  In
particolare, permangono: a) l'istituzione di  un  nuovo  ente  locale
dotato    di    competenza    in    materia     di     programmazione
economico-finanziaria e di gestione contabile,  nonche'  di  potesta'
impositiva e patrimoniale; b) la successione dell'unione a tutti  gli
effetti nei rapporti giuridici inerenti alle funzioni e ai servizi ad
essa affidati, con trasferimento  di  risorse  umane  e  strumentali,
oltre ai relativi rapporti finanziari; c)  l'attribuzione  all'unione
di potesta'  statutaria  e  organi  propri,  alla  cui  proclamazione
corrisponde la decadenza di diritto delle giunte dei  singoli  Comuni
associati. 
    La  ricorrente  ravvisa,  poi,  la  violazione  delle  competenze
regionali nella disciplina dell'iter di formazione  delle  menzionate
forme associative. La disposizione, infatti, prevede l'obbligo  della
Regione di sancire l'istituzione  di  tutte  le  unioni  del  proprio
territorio attenendosi alle proposte di  aggregazione  formulate  dai
Comuni interessati sulla  base  dei  criteri  demografici  prescritti
dalla normativa statale. Ne', secondo la  ricorrente,  la  violazione
del riparto di competenze delineato  dagli  artt.  117  e  118  Cost.
sarebbe esclusa dall'attribuzione  alla  Regione  della  facolta'  di
individuare limiti demografici diversi da quelli  statali  (art.  19,
comma 5, del d.l. n. 95 del 2012). 
    Infine, la Regione Campania prospetta argomentazioni di contenuto
sostanzialmente identico a quelle di cui si e' detto con  riferimento
al ricorso n. 153 del 2011, sub b), alle quali si rinvia. 
    12.1.- Con atto depositato il 26 novembre 2012, si e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, formulando  le  medesime
osservazioni svolte in relazione al ricorso presentato dalla  Regione
Lazio (reg. ric. n. 145 del 2012). 
    13.- Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il 19
ottobre 2012 (reg.  ric.  n.  160  del  2012),  la  Regione  autonoma
Sardegna ha promosso  questioni  di  legittimita'  costituzionale  di
diverse norme del d.l. n. 95 del 2012 e, tra  queste,  dell'art.  19,
commi 2, 5 e 6, per violazione dell'art. 3, primo comma, lettera  b),
della legge cost. n. 3 del 1948, ai sensi del quale «In  armonia  con
la  Costituzione  e  i  principi  dell'ordinamento  giuridico   della
Repubblica e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli
interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali  delle  riforme
economico-sociali  della   Repubblica,   la   Regione   ha   potesta'
legislativa nelle seguenti materie: [...] b) ordinamento  degli  enti
locali e  delle  relative  circoscrizioni»,  nonche'  dell'art.  117,
quarto comma, Cost. 
    La Regione autonoma Sardegna, inoltre, ha promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n.
95 del 2012, nella parte  in  cui  sostituisce  il  comma  2,  ultimo
capoverso, dell'art. 16 del d.l. n.  138  del  2011,  per  violazione
dell'art. 117, sesto comma, Cost., oltre che del citato art. 3, primo
comma, lettera b), della legge cost. n. 3 del 1948. 
    La  ricorrente  segnala  di  aver  gia'  promosso  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011  ed
evidenzia che la impugnazione della norma sopravvenuta discende dalla
sostanziale persistenza dei vizi denunciati. 
    Premesso che le disposizioni impugnate, sostituendo i commi da  1
a 16 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, avrebbero inciso in  modo
limitato sull'impianto  preesistente,  confermando,  in  particolare,
l'obbligo di esercitare le  funzioni  in  forma  associata,  mediante
unione di Comuni  o  convenzione,  la  Regione  ravvisa  nella  nuova
disciplina      un'ulteriore       modifica       dell'organizzazione
politico-amministrativa dei Comuni  minori  della  Sardegna,  attuata
attraverso una disciplina di estremo dettaglio. 
    Il ricorso e' articolato in due questioni che, in  larga  misura,
ripropongono  i  contenuti  illustrati   con   l'impugnazione   della
disposizione originaria. Vi e' pero', in questo  caso,  l'indicazione
di un ulteriore parametro costituzionale, l'art. 117,  quarto  comma,
Cost., invocato in relazione alla prima censura. 
    A) Secondo la ricorrente, il contrasto delle previsioni impugnate
con le norme che garantiscono alla  Regione  Sardegna  una  sfera  di
autonomia legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti
locali e delle relative circoscrizioni» (art. 3, primo comma, lettera
b, dello statuto) e' palmare. Infatti, «l'istituzione obbligatoria di
unioni di comuni, la contestuale riduzione dei  consigli  comunali  a
puri organi di partecipazione e del sindaco a semplice  ufficiale  di
Governo producono l'effetto di determinare di fatto  la  soppressione
dei comuni che partecipano a  questa  forma  associativa  e  la  loro
sostituzione con un nuovo tipo di ente  territoriale,  in  violazione
esplicita della competenza in  materia  di  "ordinamento  degli  enti
locali e delle relative circoscrizioni" di cui al piu'  volte  citato
art. 3, comma 1, lett. b), dello statuto». 
    Peraltro, osserva la ricorrente, la giurisprudenza costituzionale
ha  chiarito  che   alla   disposizione   statutaria   occorre   dare
l'interpretazione piu' ampia che sia consentita, tanto  che  in  essa
deve essere ricompresa anche la potesta' di istituire nuove  Province
(e' citata la sentenza n. 230 del 2001), nonche' quella  di  regolare
la finanza locale (e' citata la sentenza n. 275 del 2007). 
    Con riferimento alla  violazione  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., la  Regione  lamenta  che  il  legislatore,  disciplinando  il
fenomeno associativo tra Comuni, avrebbe «travalicato i confini della
propria competenza legislativa, non solo violando l'art. 3, comma  1,
dello statuto sardo, ma anche usurpando la competenza residuale delle
Regioni a statuto ordinario, che, ai sensi dell'art. 10  della  legge
cost. n. 3 del 2001, e' garantita anche alla ricorrente». 
    Al riguardo la Regione richiama la giurisprudenza  costituzionale
sulle comunita' montane e, in particolare, la  sentenza  n.  456  del
2005,  nella  parte  in  cui  riconduce  la  disciplina  delle  dette
comunita' alla competenza legislativa  residuale  delle  Regioni,  ai
sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    Per altro verso, la ricorrente, ribadendo  quanto  detto  con  il
primo ricorso, evidenzia che  la  illegittimita'  costituzionale  non
potrebbe  ritenersi  scongiurata  dalla  clausola   di   salvaguardia
prevista dal comma 29 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011,  secondo
cui «Le disposizioni [...] si applicano ai comuni  appartenenti  alle
regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento  e  di
Bolzano nel rispetto degli statuti delle regioni e province medesime,
delle  relative  norme  di  attuazione  e  secondo  quanto   previsto
dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42». Tale clausola,  a
parere della Regione, avrebbe un valore meramente di stile,  «perche'
la normativa statale, nella materia di  cui  al  citato  articolo  3,
comma 1, lett. b), dello Statuto,  non  puo'  avere  alcun  ingresso,
nemmeno nelle forme cautelative della previsione qui censurata». 
    La ricorrente, peraltro, lamenta che  la  disposizione  censurata
non introduce norme di carattere generale o limitate ai  principi  di
semplificazione, accorpamento di funzioni e riduzione degli enti  non
necessari. Sul punto vengono ripetute le osservazioni svolte  con  il
ricorso n. 160 del 2011, sub A), alla cui illustrazione si rinvia. 
    B) La Regione autonoma  Sardegna,  inoltre,  impugna  l'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, specificamente nella parte  in  cui
sostituisce il comma 2, ultimo capoverso, dell'art. 16  del  d.l.  n.
138 del 2011. In tal caso vengono ripetute le osservazioni svolte con
riferimento all'art. 16, comma 4, ultimo periodo, con il  ricorso  n.
160 del 2011, sub B), alla cui illustrazione si rinvia. 
    13.1.- Con atto depositato il 21 novembre 2012, si e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, formulando  le  medesime
osservazioni svolte in relazione al ricorso presentato dalla  Regione
Puglia. 
    14.- Con ricorso notificato il 15-18 ottobre 2012 e depositato in
cancelleria il 24 ottobre 2012  (reg.  ric.  n.  172  del  2012),  la
Regione Puglia ha promosso questioni di  legittimita'  costituzionale
di diverse norme del d.l. n. 95 del 2012 e, tra queste, dell'art. 19,
comma 2, per contrasto con gli artt. 117, commi secondo, lettera  p),
terzo e quarto, 118, secondo comma, e 119,  primo,  secondo  e  sesto
comma, Cost. 
    A) La ricorrente, in primo luogo, censura l'art. 19, comma 2, del
d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui, sostituendo i commi da  4  a
10 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del  2011,  regola  le  procedure  di
istituzione e la struttura organizzativa delle unioni di Comuni. 
    Secondo la Regione,  le  disposizioni  violerebbero  l'art.  117,
secondo comma, lettera p), e quarto comma, Cost.,  perche'  lo  Stato
non dispone della competenza legislativa  a  dettare  una  disciplina
generale  degli  enti  locali  differenti  da  quelli   espressamente
indicati dall'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.  Infatti,  a
seguito della riforma costituzionale operata con la legge cost. n.  3
del 2001, ed in particolare del combinato disposto  del  nuovo  testo
dell'art. 117  Cost.  e  dell'abrogazione  dell'art.  128  Cost.,  il
legislatore statale non dispone piu' di una  competenza  generale  in
questa materia, potendo invece dettare  soltanto  le  norme  inerenti
alla legislazione  elettorale,  alle  funzioni  fondamentali  e  agli
organi di governo di Comuni, Province e Citta' metropolitane. 
    B)  La  Regione  Puglia  censura,  poi,  l'art.  19,   comma   2,
relativamente al comma 1, dell'art. 16 del  d.l.  n.  138  del  2011,
lamentando che l'inclusione nell'esercizio in forma  associata  anche
di funzioni ricadenti nell'ambito dell'art. 117, quarto comma,  Cost.
violerebbe quest'ultimo parametro, nonche' l'art. 118, secondo comma,
Cost., il  quale  prescrive  che  le  funzioni  amministrative  siano
allocate, in base al principio  di  sussidiarieta',  dal  legislatore
competente per materia. 
    C) La ricorrente, inoltre, impugna  l'art.  19,  comma  2,  nella
parte in cui, sostituendo il comma 3, primi due periodi, dell'art. 16
del d.l. n. 138 del 2011, prevede che l'unione succede  a  tutti  gli
effetti  nei  rapporti  giuridici  in  essere  alla  data  della  sua
costituzione, inerenti alle funzioni e ai servizi ad essa affidati, e
che, relativamente a questi  ultimi,  vengono  trasferite  all'unione
tutte le risorse umane e strumentali,  nonche'  i  relativi  rapporti
finanziari risultanti dal bilancio. 
    In  particolare,   secondo   la   Regione,   dette   disposizioni
presenterebbero  carattere  accessorio  rispetto  al  nuovo  comma  1
dell'art. 16 del d.l. n. 138  del  2011,  nel  testo  in  vigore  per
effetto della sostituzione operata dall'art. 19, comma 2, del d.l. n.
95 del  2012,  che  contiene  un  "principio  di  allocazione"  delle
funzioni  amministrative.  Pertanto,  la  verifica  in  ordine   alla
compatibilita' costituzionale  non  potrebbe  prescindere  da  quella
effettuata in relazione alla norma dalla quale dipendono. 
    Sulla base delle ragioni riferite al citato comma 1 dell'art. 16,
la ricorrente conclude che anche i primi due periodi del comma 3  del
medesimo art. 16 del d.l. n. 138  del  2011  sono  costituzionalmente
illegittimi per violazione degli artt.  117,  quarto  comma,  e  118,
secondo comma, Cost., nella parte in  cui  si  rivolgono  a  funzioni
ricadenti in materie affidate alla competenza residuale regionale. 
    D) La  Regione  prosegue  puntualizzando  che  le  considerazioni
svolte possono essere rivolte anche al nuovo comma  12  dell'art.  16
del d.l. n. 138 del 2011, il quale prevede che «L'esercizio in  forma
associata di cui al comma 1 puo' essere assicurato anche mediante una
o piu' convenzioni ai sensi dell'articolo 30  del  testo  unico,  che
hanno  durata  almeno  triennale.  Ove  alla  scadenza  del  predetto
periodo, non  sia  comprovato,  da  parte  dei  comuni  aderenti,  il
conseguimento di significativi livelli  di  efficacia  ed  efficienza
nella gestione, secondo modalita' stabilite con  il  decreto  di  cui
all'articolo 14, comma 31-bis, del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.
78, convertito, con modificazioni, dalla legge  30  luglio  2010,  n.
122, e successive modificazioni, agli stessi si applica la disciplina
di cui al comma 1». 
    Ribadito che la potesta' legislativa statale non si estende  alla
disciplina  di  quelle  funzioni  amministrative  riconducibili  alle
materie di competenza residuale regionale, la ricorrente afferma  che
il nuovo comma 12 dell'art. 16 del d.l.  n.  138  del  2011,  sarebbe
incostituzionale per violazione dell'art. 117, quarto  comma,  Cost.,
nella parte in cui si  rivolge  anche  a  funzioni  ascrivibili  alle
materie di competenza residuale regionale. 
    E) Da ultimo, la Regione censura l'art. 19, comma 2, nella  parte
in cui, sostituendo il comma 2 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011,
affida  all'unione  la  titolarita'  della  potesta'  impositiva  sui
tributi locali dei Comuni associati, nonche' quella patrimoniale, con
riferimento alle funzioni da essi esercitate  per  mezzo  dell'unione
stessa. 
    Secondo la ricorrente, tale  previsione  violerebbe  l'art.  119,
primo,  secondo  e  sesto   comma,   Cost.   che,   nel   riconoscere
esclusivamente  agli  enti  autonomi  costitutivi  della   Repubblica
l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa, il potere di stabilire
ed  applicare  «tributi  ed  entrate  propri»  («in  armonia  con  la
Costituzione e secondo i  principi  di  coordinamento  della  finanza
pubblica e del sistema tributario»), nonche' la disponibilita' di  un
proprio patrimonio, impedirebbe alla legge statale  di  sottrarre  ai
suddetti enti autonomia impositiva  e  di  entrata,  nonche'  risorse
patrimoniali, a vantaggio di nuovi e diversi enti territoriali. 
    Sotto altro e connesso profilo, la Regione lamenta la  violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto  la  norma  non  sarebbe
riconducibile ad un principio fondamentale e invaderebbe, quindi, gli
spazi   costituzionalmente   affidati   alla   potesta'   legislativa
regionale. 
    Con riferimento alla asserita violazione  dell'art.  119,  primo,
secondo  e  sesto  comma,  Cost.  la  ricorrente  evidenzia  che   il
legislatore statale, mentre puo' certamente attribuire ad enti locali
diversi da quelli indicati dall'art. 119 l'autonomia di entrata e  di
spesa, fissando norme di  "coordinamento"  (ad  esempio,  attribuendo
alle unioni di Comuni la potesta' di decidere tra aliquota  minima  e
massima di tributi istituiti dallo Stato), non  puo',  per  converso,
«attribuire alle unioni spazi di autonomia di entrata sottraendola ai
comuni che ne fanno parte  e  pretendendo  di  disciplinare  l'intera
materia della potesta' impositiva e delle entrate  di  questi  enti».
Cio' anche perche', prosegue  la  Regione,  come  emerge  chiaramente
dalla giurisprudenza costituzionale in materia di comunita'  montane,
le unioni di Comuni sono enti locali differenti  dai  Comuni  che  ne
fanno parte (si richiamano le sentenze n. 237 del 2009,  n.  397  del
2006, n. 244 e n. 456 del 2005). 
    Altrettanto puo' dirsi, conclude la ricorrente,  con  riferimento
al patrimonio. L'art. 119, sesto comma, Cost.,  stabilisce,  infatti,
che «I Comuni, le Province, le  Citta'  metropolitane  e  le  Regioni
hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i  principi  generali
determinati dalla legge dello  Stato.  [...]».  Ne  discende  che  il
legislatore statale puo' certamente perseguire l'obiettivo di  dotare
le unioni di Comuni di un proprio patrimonio, ma non puo' realizzarlo
«spogliando di quel patrimonio i soggetti che, in  base  alla  citata
disposizione  costituzionale,  debbono  esserne  titolari  o,   ancor
peggio, che ne risultino gia' titolari allo stato attuale». 
    14.1.- Con atto depositato il 26 novembre 2012, si e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  che  ha  ritenuto  le
censure  infondate  in  quanto  la  norma  in  esame,   nel   dettare
disposizioni sulle funzioni fondamentali dei Comuni e sulle modalita'
di esercizio associato di funzioni e  servizi  comunali,  nonche'  in
materia di unioni di Comuni di cui al TUEL, lungi dall'invadere sfere
di competenza legislativa regionale, troverebbe fondamento  nell'art.
117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.   che   attribuisce   alla
legislazione esclusiva dello Stato la materia «funzioni  fondamentali
di Comuni, Province e Citta' metropolitane». 
    In particolare, l'Avvocatura generale dello  Stato  ha  sostenuto
che la norma in esame include legittimamente funzioni attinenti  alla
vita  e  al  governo  dell'ente,  ossia  di  organizzazione  generale
dell'amministrazione, gestione finanziaria, contabile e di controllo,
che,  contrariamente  alla  prospettazione  della  ricorrente,  vanno
tenute distinte dalle funzioni amministrative in  senso  stretto,  le
quali soltanto sono destinate ad essere allocate tra gli enti  locali
nel rispetto  dei  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  e
adeguatezza. 
    Inoltre, conclude l'Avvocatura, le norme impugnate  si  collocano
in  un  contesto  di  disposizioni  finalizzate  ad   assicurare   il
contenimento delle  spese  degli  enti  territoriali  e  il  migliore
svolgimento delle funzioni amministrative. Esse, pertanto,  rientrano
a pieno titolo nelle prerogative statali in materia di «coordinamento
della finanza pubblica». 
    14.2.- Il 27 maggio 2013 l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
depositato una memoria illustrativa in  vista  dell'udienza  pubblica
del 19 giugno 2013, ribadendo, con riferimento all'art. 19, comma  2,
quanto gia' illustrato con l'atto di costituzione ed aggiungendo  che
la legittimita' costituzionale della norma impugnata  trova  conferma
nel fatto che le funzioni fondamentali dei  Comuni  di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera p), Cost., coincidono con quelle indicate
dall'art. 118, secondo comma, Cost. Pertanto la regola costituzionale
secondo cui la legge dello Stato e la  legge  regionale,  secondo  le
rispettive competenze, conferiscono funzioni amministrative a Comuni,
Province  e  Citta'   metropolitane,   subisce   un'eccezione   nella
determinazione  delle  funzioni  fondamentali  degli   stessi   enti,
riservate, in ogni campo, alla legislazione statale. 
    Tale impostazione, secondo l'Avvocatura, sarebbe confortata dalla
coincidenza tra la nozione  di  funzioni  fondamentali  e  quella  di
funzioni proprie che si rinviene nell'art. 2, comma 4, della legge n.
131 del 2003. Il legislatore statale, dunque, libero nell'individuare
e assegnare le funzioni fondamentali,  incontrerebbe  i  soli  limiti
posti dall'art. 117, sesto comma, Cost., che  attribuisce  a  Comuni,
Province e Citta' metropolitane la potesta' regolamentare  in  ordine
alla  disciplina  dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle
funzioni loro attribuite. 
    L'Avvocatura generale dello Stato  evidenzia,  inoltre,  che  «la
tesi volta a ricomprendere nella nozione di  "funzioni  fondamentali"
esclusivamente le funzioni di carattere  istituzionale  e'  risultata
disattesa gia' dalla legge n. 131 del 2003, che, all'art. 2, comma 1,
fa riferimento, per l'individuazione delle funzioni  fondamentali,  a
quelle funzioni essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e
Citta' metropolitane,  nonche'  per  il  soddisfacimento  di  bisogni
primari delle comunita' di riferimento». 
    Infine,  la  difesa  dello  Stato  richiama   la   giurisprudenza
costituzionale che ha riconosciuto la  legittimita'  di  disposizioni
statali in materie di competenza residuale delle Regioni, nei casi in
cui esse siano espressione di principi fondamentali nella materia del
«coordinamento della finanza pubblica» (sono citate le sentenze n. 27
del 2010 e n. 237 del 2009). 
    15.- Il 12 novembre 2013 la  Regione  Puglia  ha  depositato  una
memoria difensiva relativa al giudizio promosso con il ricorso n. 141
del 2011, insistendo per l'accoglimento dello stesso. 
    La ricorrente, circa la perdurante necessita' di una  definizione
nel merito delle questioni di  legittimita'  costituzionali  promosse
con riferimento al testo originario dell'art. 16 del d.l. n. 138  del
2011, ha osservato che la disciplina censurata «conteneva termini che
non possono  far  escludere  che  essa  abbia  ricevuto  una  qualche
concreta applicazione medio tempore». 
    Replicando alla prima  memoria  difensiva  dell'Avvocatura  dello
Stato, depositata  il  23  dicembre  2011,  la  Regione  ha  ribadito
l'ammissibilita' delle censure articolate in relazione agli artt. 119
e 133 Cost., evidenziando che tali parametri «non sono  invocati  nel
ricorso  a  sostegno  di  autonome  questioni,  bensi'  in  combinato
disposto con le altre  norme  costituzionali  sulle  quali  risultano
costruite le specifiche censure dedotte». 
    Inoltre la ricorrente contesta il  fondamento  dell'eccezione  di
inammissibilita' della censura rivolta all'art.  16,  comma  16,  per
effetto  della  mancata  indicazione  dei  parametri  di  riferimento
nell'epigrafe  e  nelle   conclusioni,   nonche'   per   carenza   di
legittimazione attiva, rimarcando, da un  lato,  che  la  censura  e'
compiutamente motivata nel corpo del ricorso e,  dall'altro,  che  la
disciplina  impugnata  determina  una   "lesione   indiretta"   delle
prerogative regionali. 
    Allo stesso modo, invocando la giurisprudenza  costituzionale  al
riguardo (e' citata la sentenza n. 311 del 2012), la Regione  afferma
la propria legittimazione a denunciare la legge statale anche per  la
lesione delle attribuzioni degli enti locali. 
    Nel  merito,  la  ricorrente  ribadisce  che   l'intervento   del
legislatore  statale  avrebbe  ad   oggetto   una   materia,   quella
dell'organizzazione degli enti locali,  riconducibile  alla  potesta'
legislativa residuale regionale. 
    15.1.- Il 12 novembre 2013 l'Avvocatura generale dello Stato, con
riferimento al giudizio promosso con il ricorso n. 141 del  2011,  ha
depositato una memoria illustrativa con la quale,  premesso  che  «La
norma originaria non ha avuto attuazione, perche'  al  momento  della
sua modificazione non erano ancora scaduti i termini da essa previsti
per l'istituzione delle Unioni», ha chiesto alla Corte di  dichiarare
cessata la materia  del  contendere,  richiamando,  in  subordine  le
eccezioni formulate nella memoria difensiva. 
    15.2.- Il 12 novembre 2013 la Regione Puglia  ha  depositato  una
memoria illustrativa riferita al giudizio promosso con il ricorso  n.
172 del 2012, insistendo per l'accoglimento dello stesso. 
    Assume la ricorrente che l'intervento del legislatore statale non
puo'  essere  ricondotto   ne'   alla   disciplina   delle   funzioni
fondamentali di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  p),  Cost.,
ne' alla materia del coordinamento della finanza pubblica, posto che,
nella specie, la riduzione della spesa rappresenta  solo  un  aspetto
marginale e riflesso (e' citata ancora la sentenza n. 237 del 2009). 
    16.- Il 12 novembre 2013 le  Regioni  Emilia-Romagna,  Liguria  e
Umbria hanno depositato uguali memorie difensive riferite ai  ricorsi
n. 144, n. 146 e n. 147 del 2011, insistendo per l'accoglimento delle
impugnazioni. 
    In particolare, le ricorrenti affermano che la  nuova  disciplina
introdotta con l'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012  riproduce
sostanzialmente le stesse lesioni  denunciate  con  riferimento  alle
norme originarie. L'unica novita' rilevante sarebbe costituita  dalla
previsione della possibilita', non piu' dell'obbligo,  di  esercitare
tutte le funzioni e tutti  i  servizi  pubblici  mediante  unione  di
Comuni. 
    Tuttavia, si tratterebbe di una modifica inidonea ad escludere la
denunciata illegittimita' costituzionale  che,  secondo  le  Regioni,
permane  anche  con  riferimento  ai  rimanenti  commi   oggetto   di
sostituzione. 
    Sotto altro profilo, con  riferimento  alla  asserita  violazione
dell'art. 77 Cost. e ad ulteriore  conferma  della  fondatezza  delle
ragioni espresse con i ricorsi, le ricorrenti richiamano  la  recente
sentenza n. 220 del 2013 con la  quale  la  Corte  costituzionale  ha
affermato la non utilizzabilita' dello  strumento  del  decreto-legge
quando si intende introdurre nuovi assetti ordinamentali. 
    16.1.-  Il  12  novembre  2013  l'Avvocatura  dello  Stato,   con
riferimento al giudizio promosso con il ricorso n. 144 del  2011,  ha
depositato una memoria  illustrativa  di  tenore  identico  a  quella
depositata nel giudizio promosso con  il  ricorso  n.  141  del  2011
presentato dalla Regione Puglia, alla cui illustrazione si rinvia. 
    17.- Il 12 novembre 2013 la Regione Campania  ha  depositato  una
memoria difensiva riferita al giudizio promosso con il ricorso n. 153
del 2011, con il quale aveva impugnato l'art. 16, comma 1,  del  d.l.
n. 138 del 2011, insistendo per l'accoglimento dello stesso. 
    In particolare, la ricorrente,  premesso  che  la  modifica  piu'
rilevante rispetto al testo originario sarebbe data dal fatto che nel
testo  sopravvenuto  non  si  prevede  piu'  l'obbligo,  ma  solo  la
possibilita' di esercitare  tutte  le  funzioni  e  tutti  i  servizi
pubblici  mediante  unione  di   Comuni,   afferma   la   persistenza
dell'interesse alla declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale,
riportandosi alle censure  e  alle  eccezioni  sollevate  negli  atti
processuali. 
    Inoltre, la medesima Regione pone in rilievo, da un lato, che  la
materia e' oggetto di un disegno di legge di riforma  e,  dall'altro,
contestando  la  riferibilita'   dell'intervento   ai   principi   di
coordinamento della finanza pubblica, che l'implementazione del nuovo
regime non garantisce effettivi risparmi di spesa. 
    17.1.-  Il  12  novembre  2013  l'Avvocatura  dello  Stato,   con
riferimento al ricorso n. 153 del 2011,  ha  depositato  una  memoria
illustrativa di tenore identico  a  quella  depositata  nel  giudizio
promosso con il ricorso n. 141  del  2011  presentato  dalla  Regione
Puglia, alla cui illustrazione si rinvia. 
    17.2.- Il 12 novembre 2013 la Regione Campania ha depositato  una
memoria difensiva riferita al giudizio promosso con il ricorso n. 153
del 2012, ribadendo le censure e insistendo per l'accoglimento  dello
stesso. 
    La ricorrente, in particolare, afferma che le modifiche apportate
dal testo sopravvenuto non possono  considerarsi  satisfattive  delle
ragioni sottese al primo ricorso in quanto «la  disposizione  statale
continua [...] ad incidere  sulla  sfera  di  competenza  legislativa
regionale in tema di disciplina delle forme  associative  degli  Enti
locali presenti sul proprio territorio». 
    Infatti, «la  regolamentazione  degli  Enti  locali  deve  essere
ricondotta nella competenza residuale  delle  Regioni  ex  art.  117,
comma 4, Cost.». 
    Al riguardo, la Regione richiama la giurisprudenza costituzionale
in materia di comunita' montane e, in particolare, le sentenze n.  27
del 2010, n. 237 del 2009 e n. 244 del 2005. 
    La  ricorrente,  inoltre,  in  via  subordinata   rispetto   alla
violazione lamentata  con  riferimento  al  parametro  sopra  citato,
afferma il contrasto delle  disposizioni  impugnate  con  l'art.  118
Cost., in  combinato  disposto  con  l'art.  117  Cost.,  per  quanto
riguarda l'attribuzione di funzioni  ai  Comuni  e  il  rispetto  dei
principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. 
    17.3.-  Il  5  novembre  2013  l'Avvocatura  dello   Stato,   con
riferimento al giudizio promosso con il ricorso n. 153 del  2012,  ha
depositato una memoria illustrativa con  la  quale  ha  affermato  la
conformita'  delle  norme  impugnate  alla  Costituzione,  in  quanto
riconducibili ai principi di coordinamento della finanza pubblica. 
    18.- Il 12 novembre 2013 la difesa dello Stato,  con  riferimento
al giudizio promosso con il ricorso n. 134 del  2011,  ha  depositato
una memoria illustrativa di tenore identico a quella  depositata  nel
giudizio promosso con il ricorso n. 141  del  2011  presentato  dalla
Regione Puglia, alla cui illustrazione si rinvia. 
    19.- Il 5 novembre 2013 l'Avvocatura dello Stato, con riferimento
al giudizio promosso con il ricorso n. 145 del  2012,  ha  depositato
una memoria illustrativa di tenore identico a quella  depositata  nel
giudizio promosso con il ricorso n. 153 del 2012. 
    20.- Il 12 novembre 2013 la  Regione  Veneto  ha  depositato  una
memoria difensiva riferita al giudizio promosso con il ricorso n. 145
del 2011, ribadendo le censure a suo tempo illustrate. 
    In  particolare,  ad  avviso  della  ricorrente,  «la  disciplina
normativa e' rimasta  sostanzialmente  pressoche'  invariata  con  la
conseguenza che le questioni prospettate avverso l'art. 16 potrebbero
essere  trasferite  automaticamente  sul  testo  coordinato  con   le
modifiche intervenute». 
    La Regione, infatti, afferma che aver reso l'esercizio  associato
non  piu'  obbligatorio,  bensi'  alternativo  rispetto  al   modello
disciplinato dall'art. 14 del d.l.  n.  78  del  2010,  in  aggiunta,
peraltro,  all'ulteriore   modello   aggregativo   costituito   dalla
convenzione ai sensi dell'art. 32 del TUEL, non elimina il  vizio  di
fondo dell'intervento del  legislatore  statale,  ossia  la  mancanza
della potesta' legislativa  per  poter  disciplinare  la  materia  in
esame. 
    Secondo la ricorrente,  le  disposizioni  impugnate  non  possono
essere ricondotte  ne'  alla  competenza  esclusiva  dello  Stato  in
materia  di  funzioni  fondamentali  di  Comuni,  Province  e  Citta'
metropolitane, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.,
ne' ai principi di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  di  cui
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Premesso che una  riforma  organica  con  le  caratteristiche  di
quella operata dal legislatore statale non sarebbe compatibile con lo
strumento della decretazione d'urgenza (si cita la  recente  sentenza
n. 220 del 2013), la Regione evidenzia che  «le  modifiche  apportate
all'articolo 16 censurato rientrano in un generale e piu'  articolato
processo di riordino delle funzioni comunali  e  delle  modalita'  di
esercizio  delle  stesse»  e,  dunque,   vertono   in   una   materia
riconducibile alla competenza legislativa residuale delle Regioni (si
cita la sentenza n. 237 del 2009). 
    Inoltre, la ricorrente ricorda che la  violazione  dei  parametri
costituzionali indicati discende anche dalla considerazione  che  nel
testo censurato «e' assente un obiettivo  generale  di  spesa,  e  ne
consegue   che    il    meccanismo    associativo    viene    imposto
indipendentemente dall'effettivita' del risparmio  economico  atteso,
che non viene fissato neppure con parametri percentuali». Al riguardo
la Regione pone in  rilievo  che  la  Corte  costituzionale,  con  la
sentenza n. 236 del 2013, «ha dichiarato la legittimita' dell'art.  9
del decreto-legge n. 95/2012 proprio  perche'  "La  norma  impugnata,
infatti, dopo aver indicativamente previsto la  possibilita'  di  una
soppressione o di un accorpamento degli 'enti,  agenzie  e  organismi
comunque  denominati',  limita  il   contenuto   inderogabile   della
disposizione al risultato di una riduzione del 20 per cento dei costi
del funzionamento  degli  enti  strumentali  degli  enti  locali.  In
sostanza, l'accorpamento o la soppressione di taluni di  questi  enti
puo' essere lo strumento, ma non il solo, per ottenere l'obiettivo di
una riduzione del 20 per cento dei costi"». 
    Per altro verso, la Regione prospetta la lesione del principio di
rappresentativita' dei cittadini chiamati ad eleggere  il  sindaco  e
«poi esclusi dal processo  di  trasferimento  di  poteri  e  funzioni
istituzionali [...] ad altro organo, ovvero al Consiglio  dell'unione
di comuni, che a propria volta e' composto da tutti i  rappresentanti
legali degli  enti  minori».  A  conferma  di  quanto  sostenuto,  la
ricorrente ricorda che la Corte costituzionale, con  la  sentenza  n.
198 del 2012, «in riferimento all'art. 14, comma 1, del decreto-legge
n. 138/2011 in esame, relativamente agli interventi riduttivi operati
sui  componenti  degli  organi  regionali,  motivati  da   preminenti
esigenze  di  riduzione  della  spesa  pubblica  [...]  ha   ritenuto
infondate le questioni di  legittimita'  sollevate  dalle  Regioni  a
statuto ordinario, affermando che "La  disposizione  censurata  [...]
non viola gli artt. 117, 122 e 123 Cost., in quanto, nel quadro della
finalita' generale del contenimento della spesa pubblica, stabilisce,
in coerenza con il principio di eguaglianza, criteri  di  proporzione
tra elettori, eletti e nominati"». 
    Infine, la Regione osserva che la  disciplina  in  esame  non  e'
riconducibile a quella giudicata nella recente decisione n.  229  del
2013, con cui la Corte costituzionale  ha  ritenuto  non  fondate  le
questioni di legittimita' proposte avverso l'art. 4 del  d.l.  n.  95
del 2012 e riferite alle societa' cosiddette "in  house"  partecipate
dai Comuni. Deduce la ricorrente:  «In  tale  pronuncia  si  afferma,
infatti, che: "Le norme impugnate hanno [...] evidente attinenza  con
i profili organizzativi degli enti locali, posto che esse coinvolgono
le modalita' con cui tali enti perseguono,  quand'anche  nelle  forme
del  diritto  privato,  le  proprie  finalita'   istituzionali.   Con
riferimento alle Regioni a statuto ordinario, tuttavia, questa  Corte
ha  gia'  affermato  che  'spetta  al   legislatore   statale   [...]
disciplinare i profili organizzativi concernenti l'ordinamento  degli
enti locali (art. 117, secondo comma, lett.  p),  Cost.)':  pertanto,
posto che le societa' controllate sulle  quali  incide  la  normativa
impugnata svolgono attivita' strumentali alle finalita' istituzionali
delle amministrazioni degli enti locali, legittimamente su di esse e'
intervenuto il legislatore statale (e' citata la sentenza n. 159  del
2008)"». 
    Con specifico riferimento  all'art.  16,  comma  28,  la  Regione
Veneto, riportandosi ai rilievi gia' formulati  circa  l'assenza  dei
presupposti che legittimano l'esercizio  del  potere  sostitutivo  ai
sensi dell'art. 120 Cost., richiama la giurisprudenza  costituzionale
successiva alla notifica del ricorso. 
    In particolare, cita la sentenza n. 165  del  2011,  con  cui  la
Corte  ha  chiarito,  tra  l'altro,  che  «l'esercizio   del   potere
sostitutivo deve compiersi - sempre secondo l'art.  120  Cost.  -  in
base alle procedure stabilite dalla legge a garanzia dei principi  di
sussidiarieta' e di leale collaborazione». 
    Richiama, inoltre, la sentenza n. 148 del 2012, con cui la  Corte
- con riferimento all'art. 14, comma 32, del d.l.  n.  78  del  2010,
relativo alla disciplina delle societa' comunali e ai criteri che  ne
regolano  lo  scioglimento  al  fine  di  contenere   l'indebitamento
dell'ente - ha stabilito che tale norma, connotata dai  caratteri  di
una sanzione, incide in modo  permanente  sul  diritto  societario  e
ricade,  pertanto,  nella   materia   dell'ordinamento   civile,   di
competenza esclusiva dello Stato. 
    Sulla base di tali premesse la ricorrente  afferma  l'illogicita'
della previsione del potere sostitutivo del  Prefetto  contenuta  nel
comma censurato, posto che anche in  tal  caso,  trattandosi  di  una
fattispecie a carattere sanzionatorio interna all'ordinamento civile,
non vi sarebbe spazio per un intervento da parte di un  soggetto  che
esercita  un  potere  di  natura  amministrativa,  finalizzato   alla
«verifica della riduzione delle spese da parte  degli  enti  locali».
Oltre  tutto,  continua   la   Regione,   «tale   attivita'   compete
istituzionalmente ed esclusivamente alla Corte dei conti». 
    20.1.- Il 12 novembre 2013 l'Avvocatura generale dello Stato, con
riferimento al giudizio promosso con il ricorso n. 145 del  2011,  ha
depositato una memoria  illustrativa  di  tenore  identico  a  quella
depositata nel giudizio promosso con  il  ricorso  n.  141  del  2011
presentato dalla Regione Puglia, alla cui esposizione si rinvia. 
    21.-  Il  12  novembre  2013  la  Regione  autonoma  Sardegna  ha
depositato una memoria riferita al giudizio promosso con  il  ricorso
n.  160  del  2011,  ribadendo   le   censure   formulate   nell'atto
introduttivo. 
    In  particolare,  la  ricorrente  sottolinea  che   la   potesta'
legislativa attribuita dall'art. 3, primo comma,  lettera  b),  dello
statuto speciale risulta violata in quanto,  «essendo  la  competenza
regionale in  materia  di  ordinamento  degli  enti  locali  di  tipo
esclusivo, neppure i principi "fondamentali" della materia potrebbero
limitare l'autonomia regionale, ma solo quelli  "generali",  quali  -
ovviamente - non si rinvengono nella disciplina censurata». 
    Per  altro  verso,  secondo  la  Regione,  la  norma   impugnata,
prevedendo che tutte le funzioni e tutti i servizi  pubblici  vengano
esercitati  dall'unione  di   Comuni,   determina,   di   fatto,   la
soppressione degli enti che partecipano a questa forma associativa  e
la loro sostituzione, in  definitiva,  con  un  nuovo  tipo  di  ente
territoriale, in violazione esplicita della competenza in materia  di
«ordinamento degli enti locali e delle relative  circoscrizioni»,  di
cui al piu' volte citato art.  3,  primo  comma,  lettera  b),  dello
statuto speciale. 
    D'altra   parte,   prosegue   la   ricorrente,   il   titolo   di
legittimazione della  disposizione  impugnata  non  potrebbe  nemmeno
rinvenirsi nella clausola di  cui  all'art.  3,  primo  comma,  dello
statuto, ove e' stabilito che  la  competenza  legislativa  regionale
deve  essere  esercitata   «In   armonia   con   [...]   i   principi
dell'ordinamento giuridico della Repubblica» e  «col  rispetto  [...]
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica». Infatti,  argomenta  la  Regione,  come  chiarito  dalla
giurisprudenza   costituzionale,   «il   principio   dell'ordinamento
giuridico  dello  Stato  e'   ricavabile   da   questo   ordinamento,
considerato come espressione complessiva del sistema normativo e  non
di singole leggi» (sentenza n. 415 del 1994). 
    Al tempo stesso, l'art. 16 del d.l. n.  138  del  2011  non  puo'
annoverarsi tra le norme fondamentali delle riforme economico-sociali
della Repubblica poiche' «Il limite delle  norme  fondamentali  delle
riforme  economico-sociali  deriva  [...]  da  disposizioni  che   si
caratterizzano  per  il  loro  contenuto  riformatore,  per  la  loro
posizione di norme di principio e per l'attinenza a  settori  o  beni
della vita economico-sociale di rilevante  importanza»  (sentenza  n.
323 del 1998). La ricorrente richiama, poi, in tema, le  sentenze  n.
97 del 1999, n. 153 del 1995, n. 151 del 1986,  e  afferma  che,  nel
caso in esame, il legislatore  statale  e'  intervenuto  sul  diverso
piano    degli    assetti    istituzionali    e    non    dell'ordine
economico-sociale. 
    La  Regione  assume  che  neppure  riconducendo  le  disposizioni
impugnate alla competenza esclusiva dello Stato di cui all'artt. 117,
secondo comma,  lettera  p),  Cost.,  potrebbero  essere  superati  i
rilievi di incostituzionalita'. Al riguardo viene citata la  sentenza
n. 48 del 2003 con la quale la Corte costituzionale ha stabilito  che
«Non rileva, in questa materia,  la  norma  -  invocata  dal  Governo
ricorrente  -  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  p),   della
Costituzione, che definisce fra l'altro la "legislazione  elettorale"
relativa alle Province come oggetto di legislazione  esclusiva  dello
Stato. Infatti le disposizioni del nuovo titolo V,  parte  II,  della
Costituzione, di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, non  si
applicano alle Regioni ad autonomia speciale, se non per "le parti in
cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto  a  quelle  gia'
attribuite" (art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, e in  proposito
cfr. ordinanza n. 377 del 2002, sentenze  nn.  408,  533  e  536  del
2002)». 
    Inoltre,  replicando  alla  memoria   difensiva   dell'Avvocatura
generale dello Stato, la Regione afferma che se anche si ritenesse la
disciplina  in  esame  inapplicabile  in  forza  della  clausola   di
salvaguardia contenuta nel comma 29 - come affermato in altri recenti
giudizi dalla Corte costituzionale (si citano le sentenze n. 229  del
2013, n. 241 e n. 64 del 2012, n. 152 del 2011) -  l'effetto  sarebbe
solo parzialmente satisfattivo,  dato  che  l'ordinamento  sardo  non
lascia spazio all'ingresso di previsioni con tali caratteristiche. 
    Replicando ulteriormente alla memoria  difensiva  dell'Avvocatura
generale dello Stato, la ricorrente evidenzia  che  l'intervento  del
legislatore  statale  non  puo'  ricondursi  al  coordinamento  della
finanza pubblica, dal momento che si tratta  di  norme  «minuziose  e
specifiche» che, oltre tutto, non sortiscono effetti prevedibili  sui
saldi di finanza pubblica. Con particolare riferimento a quest'ultimo
aspetto, la Regione, richiamando  la  giurisprudenza  costituzionale,
puntualizza che la prevedibilita' dell'effetto sui saldi  di  finanza
pubblica dell'intervento legislativo statale costituisce  circostanza
essenziale  affinche'  si  possa  ritenere  di  versare   nell'ambito
materiale del coordinamento della finanza pubblica. 
    La Regione - dopo aver posto in  luce,  quanto  alla  persistenza
dell'interesse, che le norme sopravvenute non hanno apportato  alcuna
modifica sostanziale al testo originario e che, in ogni caso, l'onere
di dimostrare la mancata  applicazione  delle  stesse  medio  tempore
grava sul resistente  e,  nella  specie,  non  risulta  essere  stato
assolto  -   conclude   citando   la   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale secondo cui se le novelle delle disposizioni impugnate
hanno «esclusivamente  una  funzione  esplicativa  od  attuativa  dei
precedenti contenuti legislativi, non  modificano  sostanzialmente  i
medesimi ne' soddisfano le pretese impugnatorie di parte  ricorrente,
la questione  puo'  essere  ulteriormente  trattata  con  riferimento
all'attuale formulazione della normativa» (sentenza n. 30 del 2012). 
    21.1.- Il 12 novembre 2013 l'Avvocatura generale dello Stato, con
riferimento al giudizio promosso con il ricorso n. 160 del  2011,  ha
depositato una memoria di tenore identico  a  quella  depositata  nel
giudizio promosso con il ricorso n. 141  del  2011  presentato  dalla
Regione Puglia, alla cui illustrazione si rinvia. 
    21.2.- Il 12 novembre 2013 la Regione Sardegna ha depositato  una
memoria riferita al giudizio promosso con il ricorso n. 160 del 2012,
ribadendo le censure svolte a suo tempo,  nonche'  quelle  articolate
con la memoria inerente al giudizio promosso con il  ricorso  n.  160
del 2011. 
    21.3.- Il 12 novembre 2013 la difesa statale  ha  depositato  una
memoria nel giudizio  promosso  con  il  ricorso  n.  160  del  2012,
evidenziando la differenza tra il testo originariamente  censurato  e
quello sopravvenuto, il quale prevede l'esercizio in forma  associata
di tutte le funzioni e servizi,  alternativo  rispetto  all'esercizio
delle sole funzioni fondamentali. 
    In particolare la difesa afferma che l'intervento del legislatore
statale attiene alla definizione delle funzioni  fondamentali  ed  e'
quindi riconducibile alla competenza esclusiva di cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera p), Cost. 
    Per altro verso, conclude l'Avvocatura generale dello  Stato,  le
disposizioni censurate  «rientrano  in  un  piu'  ampio,  organico  e
complesso disegno di contenimento della spesa degli enti locali,  con
il necessario concorso delle Regioni.  Le  norme  in  esame,  quindi,
rientrano nella competenza statale in materia di coordinamento  della
finanza   pubblica,   materia   oggetto   di   potesta'   legislativa
concorrente». 
    22.- Il 12 novembre 2013 l'Avvocatura generale dello  Stato,  con
riferimento al giudizio promosso con i ricorsi n. 133 del 2011  e  n.
155 del 2011 ha depositato memorie illustrative di tenore identico  a
quella riferita al ricorso n. 141 del 2011 presentato  dalla  Regione
Puglia, alla cui illustrazione si rinvia. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con dieci distinti ricorsi, le Regioni Toscana (reg. ric.  n.
133 del 2011), Lazio (reg. ric. n. 134 del 2011), Puglia  (reg.  ric.
n. 141 del 2011), Emilia-Romagna (reg. ric. n. 144 del 2011),  Veneto
(reg. ric. n. 145 del 2011), Liguria (reg. ric.  n.  146  del  2011),
Umbria (reg. ric. n. 147 del 2011), Campania (reg. ric.  n.  153  del
2011), Lombardia (reg. ric. n. 155  del  2011),  nonche'  la  Regione
autonoma Sardegna  (reg.  ric.  n.  160  del  2011),  hanno  promosso
questioni  di  legittimita'  costituzionale  di  numerose  norme  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14  settembre  2011,
n. 148. 
    Tra le altre disposizioni, hanno impugnato l'art. 16  del  citato
d.l. n. 138 del 2011 (norma composta da 31 commi), che, «Al  fine  di
assicurare il conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza  pubblica,
l'ottimale coordinamento  della  finanza  pubblica,  il  contenimento
delle spese degli enti territoriali e il migliore  svolgimento  delle
funzioni amministrative e dei servizi pubblici», imponeva  ai  Comuni
con popolazione fino a 1.000 abitanti l'esercizio in forma  associata
di funzioni e servizi mediante unione di  Comuni,  predisponendo  per
queste una disciplina ad hoc. 
    In particolare, indicava le funzioni affidate a tali  unioni,  la
successione delle stesse  nei  rapporti  giuridici  facenti  capo  ai
Comuni, l'attribuzione di  risorse,  l'assoggettamento  al  patto  di
stabilita' interno, nonche' gli  organi  di  governo  e  le  relative
funzioni. Inoltre, prevedeva che il Prefetto  compisse  una  verifica
circa il perseguimento degli obiettivi di semplificazione e riduzione
delle spese. In caso di esito negativo, era stabilito che il Prefetto
assegnasse un termine perentorio agli enti inadempienti,  decorso  il
quale detto organo esercitava un potere sostitutivo  ai  sensi  della
legge  5  giugno  2003,  n.  131  (Disposizioni   per   l'adeguamento
dell'ordinamento  della  Repubblica  alla  legge  costituzionale   18
ottobre 2001, n. 3). 
    Infine, era prevista  una  clausola  di  salvaguardia  in  ordine
all'applicabilita' della menzionata disciplina alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome. 
    Le questioni  di  legittimita'  costituzionale,  promosse  con  i
menzionati ricorsi, sono state discusse all'udienza pubblica  del  19
giugno 2012. 
    Nelle  more  della  decisione  e'  intervenuto  l'art.   19   del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135. 
    In particolare, il comma 2 dell'art. 19 del  d.l.  menzionato  ha
sostituito i commi da 1 a 16 dell'art. 16 del d.l. n.  138  del  2011
con i commi da 1 a 13; il comma 5 del citato art. 19 ha, in sostanza,
riprodotto il secondo periodo dell'originario comma  6  dell'art.  16
del d.l. n. 138 del 2011, e, ancora, il comma 6 del  detto  art.  19,
corrisponde, anche nella formulazione  letterale,  al  primo  periodo
dell'originario comma 8 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011. 
    La Corte costituzionale, con ordinanza n.  227  del  2012,  avuto
riguardo alle modifiche normative sopravvenute e alla circostanza che
le questioni non erano state ancora  decise,  ha  ritenuto  opportuno
rimettere sul ruolo i giudizi  di  legittimita'  costituzionale  come
sopra proposti, allo scopo di consentire ai difensori di  dedurre  in
ordine  alle  modifiche  stesse  e  alla  possibile  incidenza  sulle
questioni oggetto delle impugnazioni formulate. 
    Con cinque distinti ricorsi le Regioni Lazio (reg.  ric.  n.  145
del 2012), Veneto (reg. ric. n. 151 del 2012), Campania (reg. ric. n.
153 del 2012), Puglia (reg. ric.  n.  172  del  2012)  e  la  Regione
autonoma  Sardegna  (reg.  ric.  n.  160  del  2012)  hanno  promosso
questioni di legittimita' costituzionale in  riferimento  -  tra  gli
altri - all'art. 19, commi 2, 5  e  6,  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012. 
    2.- I quindici ricorsi sopra indicati  censurano,  con  argomenti
analoghi o comunque  connessi,  le  medesime  norme.  Pertanto,  essi
possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia. 
    La valutazione delle restanti questioni sollevate con gli  stessi
ricorsi rimane riservata ad altre decisioni. 
    3.- La Regione Lazio, con atto depositato in  cancelleria  il  26
novembre 2013, notificato a mezzo posta al Presidente  del  Consiglio
dei ministri, ha rinunziato all'impugnazione promossa  contro  l'art.
16 del d.l. n. 138 del 2011,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 148 del 2011 (reg. ric. n. 134 del 2011), «per  sopravvenuta
carenza di interesse ad agire». Non risulta  che  tale  rinunzia  sia
stata accettata dal Presidente del Consiglio dei ministri, sicche' in
mancanza di accettazione della controparte costituita non puo'  farsi
luogo alla declaratoria di estinzione del  processo  (art.  23  delle
norme integrative per i giudizi davanti alla  Corte  costituzionale),
ma in ordine al detto  ricorso  va  dichiarata  la  cessazione  della
materia del contendere. 
    4.- In via preliminare, si devono prendere in esame le  modifiche
legislative  sopravvenute  alla  proposizione  del  primo  gruppo  di
ricorsi (cioe' di quelli promossi avverso l'art. 16 del d.l.  n.  138
del 2011, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  148  del
2011). 
    Le dette modifiche - recate, come sopra si e' chiarito, dall'art.
19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n. 95  del  2012,  poi  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 - hanno  inciso  in  vario
modo sulla precedente normativa. Tale novella  comporta  la  verifica
degli effetti dello ius superveniens sulle questioni di  legittimita'
costituzionale promosse con il primo gruppo di ricorsi. 
    Al riguardo, si deve  premettere  che  i  primi  16  commi  della
disposizione impugnata con i dieci ricorsi originari (dei quali si e'
dato conto in narrativa), ancorche'  rimasti  in  vigore  dall'agosto
2011  al  6  luglio  2012,  a  quanto  risulta,  non  hanno   trovato
applicazione medio tempore. In primo luogo, la  modifica  legislativa
e' intervenuta prima della scadenza del termine assegnato  ai  Comuni
obbligati all'esercizio associato per poter avanzare alla Regione  la
relativa proposta di aggregazione.  Inoltre,  non  e'  stato  neppure
allegato  un  qualche  evento  idoneo  ad  integrare  una  forma   di
attuazione della nuova istituzione e  cio'  induce  a  ritenere,  per
ragionevole presunzione, che essa non sia intervenuta. 
    Cio' posto, va rilevato che, come questa Corte ha gia' affermato,
qualora dalla disposizione legislativa  sopravvenuta  sia  desumibile
una  norma  sostanzialmente  coincidente  con  quella  impugnata,  la
questione, in  forza  del  principio  di  effettivita'  della  tutela
costituzionale delle  parti  nei  giudizi  in  via  di  azione,  deve
intendersi trasferita sulla nuova norma (ex plurimis, sentenze n. 326
e n. 40 del 2010). «Diversamente,  quando  la  norma  modificata  non
abbia avuto attuazione  medio  tempore,  si  puo'  avere  un  effetto
satisfattorio delle pretese della parte ricorrente, che da' luogo  ad
una pronuncia di cessazione della materia del contendere.  Del  pari,
nelle medesime condizioni di inattuazione, la  sopravvenuta  modifica
legislativa puo' incidere a  tal  punto  sulla  originaria  norma  da
determinare, in mancanza di una nuova impugnazione,  il  sopravvenuto
difetto d'interesse a proseguire nel giudizio. Ed e' chiaro  come  in
detta ipotesi sia onere della parte ricorrente, ove voglia contestare
la  legittimita'  costituzionale  della  norma  sopravvenuta,   anche
eventualmente in connessione con quella originaria, di  proporre  una
nuova impugnazione» (sentenza  n.  326  del  2010,  paragrafo  6  del
Considerato in diritto). 
    4.1.- In questo quadro devono essere esaminati gli effetti  dello
ius superveniens sui giudizi promossi con i ricorsi formulati avverso
l'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 148 del 2011. Peraltro, ai  fini  dello  scrutinio  da
compiere, va  considerato  che  l'intero  art.  16,  ora  citato,  e'
composto da 31 commi (dei  quali  soltanto  i  primi  16  sono  stati
sostituiti dall'art. 19, comma 2,  del  d.l.  n.  95  del  2012,  poi
convertito) e che solo alcuni ricorsi hanno investito la norma  nella
sua interezza, mentre le Regioni Toscana,  Sardegna  e  Veneto  hanno
censurato specifici commi, compresi tra il 17 e il 31. 
    4.2.-  Venendo   ora   alle   disposizioni   incise   dallo   ius
superveniens, si osserva che il  comma  1  dell'art.  16,  nel  testo
originario, stabiliva (per quanto  qui  rileva)  che  «i  comuni  con
popolazione fino a 1.000  abitanti  esercitano  obbligatoriamente  in
forma associata tutte le funzioni amministrative e  tutti  i  servizi
pubblici  loro  spettanti  sulla  base  della  legislazione   vigente
mediante un'unione di comuni ai  sensi  dell'articolo  32  del  testo
unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». 
    Il  testo  sopravvenuto  dispone,  invece,  che  «i  comuni   con
popolazione fino a 1.000 abitanti, in alternativa a  quanto  previsto
dall'articolo  14,  del  decreto-legge  31  maggio   2010,   n.   78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e
successive  modificazioni,  e  a  condizione  di  non   pregiudicarne
l'applicazione, possono  esercitare  in  forma  associata,  tutte  le
funzioni e tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla  base  della
legislazione vigente mediante un'unione di comuni cui si applica,  in
deroga all'articolo 32, commi 3  e  6,  del  decreto  legislativo  18
agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, la disciplina di cui
al presente articolo». Inoltre, la novella  prevede  che  l'esercizio
associato  possa  essere  assicurato  anche  mediante  una   o   piu'
convenzioni, ai sensi dell'art. 30 del decreto legislativo 18  agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti
locali), con durata  almeno  triennale  e  con  sottoposizione,  alla
scadenza, a verifica di efficienza gestionale (comma 12). 
    Come risulta dal  confronto  tra  le  due  disposizioni,  non  e'
ravvisabile tra loro alcuna sostanziale coincidenza (o identita'  del
contenuto precettivo) tale da poter consentire il trasferimento della
questione sulla nuova norma. L'esercizio in forma associata di  tutte
le funzioni  amministrative  e  dei  servizi  pubblici  non  e'  piu'
previsto come obbligatorio, ma in alternativa ad esso e' indicato  il
ricorso al modello di cui all'art. 14  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e  di  competitivita'  economica),  convertito,  con   modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive
modificazioni; detta disposizione, infatti, prevede come obbligatorio
l'esercizio associato mediante unione di Comuni o convenzione,  delle
sole  funzioni  fondamentali  elencate  al  comma  27  dello   stesso
articolo. 
    Si tratta, con evidenza, di una modifica significativa, ancorche'
non satisfattiva per le ricorrenti, sicche'  il  trasferimento  della
questione, lungi dal garantire il  principio  di  effettivita'  della
tutela, supplirebbe impropriamente all'onere d'impugnazione  gravante
sulle parti. 
    Pertanto, la questione di legittimita' costituzionale relativa al
detto testo  originario  deve  essere  dichiarata  inammissibile  per
sopravvenuto difetto d'interesse a proseguire il  giudizio  (sentenze
n. 32 del 2012 e n. 326 del 2010). 
    4.3.- Il comma 2 dell'art. 16 del  d.l.  n.  138  del  2011,  poi
convertito, prevedeva la  facolta',  per  i  Comuni  con  popolazione
superiore a 1.000 abitanti, di aderire a ciascuna unione  di  cui  al
comma 1, oppure, in alternativa, la facolta' di  esercitare  mediante
tale unione tutte  le  funzioni  e  tutti  i  servizi  pubblici  loro
spettanti sulla base della legislazione vigente. La disposizione  non
risulta riproposta nel testo sopravvenuto  e  tale  circostanza  deve
ritenersi satisfattiva  per  le  ricorrenti  che  l'hanno  impugnata,
sicche' in merito alla relativa questione va dichiarata la cessazione
della materia del contendere. 
    4.4.- Il comma 3 del detto art. 16 stabiliva che  «All'unione  di
cui al comma 1, in deroga all'articolo 32, commi 2, 3  e  5,  secondo
periodo, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n.  267
del 2000, si applica la disciplina di cui al presente articolo». 
    Detta deroga e' stata riproposta,  ma  attualmente  e'  collocata
nell'ultimo periodo del comma 1. Avuto riguardo alla riscontrata  non
trasferibilita' della questione relativa a  tale  disposizione  (vedi
precedente paragrafo 4.2), anche per quella riferita al citato  comma
3 va emessa declaratoria d'inammissibilita' per sopravvenuto  difetto
d'interesse. 
    4.5.- Il comma 4 individuava le funzioni affidate all'unione  per
conto dei Comuni  che  ne  erano  membri,  facendo  riferimento  alla
programmazione  economico-finanziaria  e  alla  gestione   contabile,
stabiliva il concorso dei predetti enti ad una serie di  attivita'  e
prevedeva l'adozione, entro un certo termine, di un  regolamento,  su
proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il  Ministro  per
le riforme per il federalismo, diretto a disciplinare il procedimento
amministrativo-contabile di formazione e di variazione del  documento
programmatico, i poteri  di  vigilanza  sulla  sua  attuazione  e  la
successione nei rapporti amministrativo-contabili tra ciascun  Comune
e l'unione. 
    Il  comma  2  della  normativa  sopravvenuta   (che   si   rivela
riconducibile, per il suo contenuto, al precedente comma 4  dell'art.
16) prevede l'affidamento all'unione, oltre che della  programmazione
economico-finanziaria  e  della  gestione  contabile,   anche   della
«titolarita' della potesta' impositiva sui tributi locali dei  comuni
associati nonche' quella patrimoniale, con riferimento alle  funzioni
da essi esercitate per mezzo dell'unione». 
    Inoltre, tra le amministrazioni concertanti  per  l'adozione  del
regolamento,  sono   menzionati   il   Ministro   per   la   pubblica
amministrazione e semplificazione e il Ministro dell'economia e delle
finanze. 
    Si tratta di modifiche significative, quale e' certamente  quella
concernente la titolarita'  della  potesta'  impositiva  sui  tributi
locali dei Comuni associati, nonche'  quella  patrimoniale,  che  non
consentono di  ritenere  sostanzialmente  immodificato  il  contenuto
precettivo della  norma  e,  considerando  le  modifiche  stesse  non
satisfattive,   impongono   di   pervenire   ad   una    declaratoria
d'inammissibilita' della questione ad essa relativa per  sopravvenuto
difetto d'interesse a proseguire il giudizio. 
    4.6.- Il comma 5 dell'art. 16 del  d.l.  n.  138  del  2011,  poi
convertito, cosi' disponeva: «L'unione succede a  tutti  gli  effetti
nei rapporti giuridici in essere alla data di  cui  al  comma  9  che
siano inerenti alle funzioni ed ai servizi ad essa affidati ai  sensi
dei  commi  1,  2  e  4,  ferme  restando  le  disposizioni  di   cui
all'articolo 111 del codice di procedura civile. Alle unioni  di  cui
al comma 1 sono trasferite  tutte  le  risorse  umane  e  strumentali
relative alle funzioni ed ai servizi loro affidati ai sensi dei commi
1, 2 e 4, nonche'  i  relativi  rapporti  finanziari  risultanti  dal
bilancio. A decorrere dall'anno 2014, le unioni di comuni di  cui  al
comma 1 sono soggette alla disciplina del patto di stabilita' interno
per gli enti locali  previsti  per  i  comuni  aventi  corrispondente
popolazione». 
    Nel  testo  dettato  dalla  normativa  sopravvenuta   (comma   3,
riferibile al comma 5 del testo originario) viene  meno  il  richiamo
alle funzioni ed ai servizi affidati ai sensi dei commi  2  e  4  (il
contenuto di quest'ultimo si rinviene nel nuovo  testo  del  comma  2
della suddetta normativa). Ne  deriva  per  il  comma  in  esame  una
modifica del proprio ambito applicativo, la quale induce ad escludere
che  si  tratti  di  norma  sostanzialmente  coincidente  con  quella
originaria. 
    Pertanto, ritenendo la modifica non satisfattiva,  anche  in  tal
caso  la  questione  deve   essere   dichiarata   inammissibile   per
sopravvenuto difetto d'interesse a proseguire il giudizio. 
    4.7.- Il comma 6 dell'art. 16 del  d.l.  n.  138  del  2011,  poi
convertito, stabiliva quanto segue: «Le unioni di cui al comma 1 sono
istituite in  modo  che  la  complessiva  popolazione  residente  nei
rispettivi territori, determinata ai sensi dell'articolo  156,  comma
2, del citato testo unico di cui al decreto legislativo  n.  267  del
2000, sia di  norma  superiore  a  5.000  abitanti,  ovvero  a  3.000
abitanti qualora i comuni che intendono comporre una medesima  unione
appartengano o siano appartenuti a comunita' montane. Entro due  mesi
dalla data di entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
presente decreto, ciascuna regione ha facolta' di individuare diversi
limiti demografici». 
    Il contenuto  precettivo  della  disposizione,  quanto  al  primo
periodo, rivela che essa e' riferibile al  comma  4  della  normativa
sopravvenuta, di identico tenore (mancano soltanto le parole «di  cui
al comma 1», che non incidono sul contenuto  precettivo).  Quanto  al
secondo periodo, esso costituisce attualmente il comma 5 dell'art. 19
del d.l. n. 95 del 2012, poi convertito, che, con riguardo ai diversi
limiti demografici, aggiunge la seguente frase: «rispetto a quelli di
cui all'articolo 16, comma 4, del citato  decreto-legge  n.  138  del
2011, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011,  n.
148, come modificato dal presente decreto». E' evidente  che  nessuna
modifica sostanziale e' intervenuta, sicche' la questione - in  forza
del principio di effettivita' della tutela costituzionale delle parti
nei giudizi in via di azione - deve intendersi trasferita sulle nuove
norme. 
    4.8.- Il comma 7 dell'art. 16 del  d.l.  n.  138  del  2011,  poi
convertito, prevedeva  per  le  unioni  di  Comuni  gia'  costituite,
obblighi di adeguare i rispettivi ordinamenti alla  disciplina  delle
unioni di cui al citato art. 16, nonche', per i Comuni appartenenti a
forme associative di cui agli artt. 30 e 31 del TUEL,  la  cessazione
di diritto dal farne  parte.  La  disposizione,  pero',  non  risulta
presente nel  testo  sopravvenuto,  sicche',  ritenendo  la  modifica
satisfattiva, sulla relativa questione va  dichiarata  la  cessazione
della materia del contendere. 
    4.9.- Il comma 8 del citato art. 16 prevedeva che i Comuni di cui
al comma 1 avanzassero alla Regione  una  proposta  di  aggregazione,
d'identico contenuto, per l'istituzione (recte:  costituzione)  della
rispettiva unione ed affidava alla  Regione  stessa  la  funzione  di
provvedere secondo il proprio ordinamento, anche qualora la  proposta
di aggregazione mancasse o non fosse conforme  alle  disposizioni  di
cui alla norma in esame. Il contenuto precettivo del detto comma 8 si
ritrova nel comma 5 del nuovo  testo  dell'art.  16  e  nel  comma  6
dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, con qualche  modifica  di  mera
forma e con la previsione di differenti termini relativi  al  momento
entro il quale i Comuni devono avanzare alle Regioni le  proposte  di
aggregazione ed a quello entro il quale la  Regione  deve  provvedere
agli adempimenti di competenza. Si tratta, dunque, di  modifiche  non
sostanziali, sicche' la questione di legittimita' costituzionale deve
intendersi trasferita sulla norma sopravvenuta. 
    4.10.- Il comma  9  del  precedente  art.  16  disponeva  che  «A
decorrere dal giorno della proclamazione degli eletti negli organi di
governo del comune che, successivamente al 13 agosto  2012,  sia  per
primo interessato al rinnovo, nei comuni con popolazione fino a 1.000
abitanti che siano parti della stessa unione, nonche' in  quelli  con
popolazione superiore che esercitino mediante tale  unione  tutte  le
proprie funzioni, gli  organi  di  governo  sono  il  sindaco  ed  il
consiglio comunale, e le giunte in carica  decadono  di  diritto.  Ai
consigli  dei  comuni  che  sono  membri  di  tale  unione  competono
esclusivamente  poteri  di  indirizzo  nei  confronti  del  consiglio
dell'unione,  ferme  restando  le  funzioni  normative  che  ad  essi
spettino in riferimento alle  attribuzioni  non  esercitate  mediante
l'unione». 
    La disposizione nel suo  complesso  non  risulta  riprodotta  nel
testo normativo sopravvenuto. Tuttavia, il comma 13 del  nuovo  testo
dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011 dispone che  «A  decorrere  dal
giorno della proclamazione  degli  eletti  negli  organi  di  governo
dell'unione, nei comuni che  siano  parte  della  stessa  unione  gli
organi di governo sono il sindaco  e  il  consiglio  comunale,  e  le
giunte  decadono  di  diritto».  Si  pone,  quindi,  un  problema  di
trasferimento della  questione  sul  detto  comma  13.  Tuttavia,  la
formulazione dell'originario comma  9,  recante  un  secondo  periodo
relativo ai poteri dei consigli dei  Comuni  membri  dell'unione  nei
confronti  del  consiglio  dell'unione,  introduce  un  elemento   di
sostanziale diversita' che conduce ad escludere la  possibilita'  del
trasferimento. 
    Pertanto, ritenendo comunque la  modifica  non  satisfattiva,  la
questione di  legittimita'  costituzionale  concernente  il  comma  9
dell'originario art. 16  deve  essere  dichiarata  inammissibile  per
sopravvenuto difetto d'interesse a proseguire il giudizio. 
    4.11.- Il comma 10 del citato art. 16 stabiliva che  «Gli  organi
dell'unione di cui al comma 1 sono il consiglio, il presidente  e  la
giunta». Tale disposto si ritrova senza modifiche nel comma  6  della
normativa  sopravvenuta.  La  relativa  questione   di   legittimita'
costituzionale, quindi, va trasferita sul  citato  comma  6  di  tale
normativa. 
    4.12.-  Il  comma  11  dell'originario  art.   16   regolava   la
composizione  del  consiglio  dell'unione,   l'elezione   di   alcuni
componenti in sede di prima applicazione, l'elezione  del  presidente
dell'unione, ai sensi del comma 12,  e  le  competenze  spettanti  al
consiglio dell'unione. Disponeva, altresi', che «La legge dello Stato
puo' stabilire che  le  successive  elezioni  avvengano  a  suffragio
universale e diretto contestualmente alle  elezioni  per  il  rinnovo
degli organi di governo di  ciascuno  dei  comuni  appartenenti  alle
unioni. La legge dello Stato di  cui  al  quarto  periodo  disciplina
conseguentemente il sistema di elezione; l'indizione  delle  elezioni
avviene ai sensi dell'art. 3 della legge 7 giugno  1991,  n.  182,  e
successive modificazioni». 
    Nel testo sopravvenuto (comma 7) non sono piu' compresi il quarto
e il quinto periodo del  detto  comma  11  e,  dunque,  non  e'  piu'
previsto il potere d'intervento del legislatore statale in materia di
elezioni per il rinnovo degli organi di governo dell'ente. Si  tratta
di una modifica non di forma, ma di sostanza,  che  non  consente  di
ravvisare tra le due disposizioni identita' del contenuto  precettivo
e, quindi,  di  operare  il  trasferimento.  Pertanto,  ritenendo  la
modifica comunque non  satisfattiva,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale del citato  comma  11  dell'originario  art.  16  deve
essere dichiarata inammissibile per sopravvenuto difetto  d'interesse
a proseguire il giudizio. 
    4.13.- Il comma 12, dell'originario art. 16 disciplinava la prima
convocazione del consiglio dell'unione, l'elezione del presidente  di
questa «tra i propri componenti», le competenze del detto presidente.
Nel testo  sopravvenuto  (comma  8)  si  prevede  che  il  presidente
dell'unione sia eletto  dal  consiglio  «tra  i  sindaci  dei  comuni
associati» e non piu' «tra i propri componenti». Anche in tal caso si
tratta di modifica sostanziale, perche' incide  sulla  individuazione
degli eleggibili per ricoprire la carica di  presidente  dell'unione,
onde resta esclusa la possibilita' del trasferimento. 
    Pertanto, ritenendo la modifica non satisfattiva, la questione di
legittimita' costituzionale proposta con riguardo al citato comma  12
deve  essere  dichiarata  inammissibile  per   sopravvenuto   difetto
d'interesse a proseguire il giudizio. 
    4.14.- Il comma 13, dell'art. 16 (testo originario)  regolava  la
composizione e le competenze della  giunta  dell'unione,  prevedendo,
altresi', che essa  decadesse  contestualmente  alla  cessazione  del
rispettivo presidente. La  disposizione  e'  rimasta  immutata  nella
normativa  sopravvenuta  (comma  9);   la   relativa   questione   di
legittimita' costituzionale, quindi, va trasferita sul  citato  comma
9. 
    4.15.- Il comma 14 dell'art. 16 (testo  originario)  disciplinava
il contenuto dello statuto dell'unione,  nonche'  le  modalita'  e  i
termini della sua adozione. Fatta eccezione per una modifica di  mera
forma, esso e' rimasto immutato nel testo  sopravvenuto  (comma  10).
Anche  in  questo  caso  la  relativa   questione   di   legittimita'
costituzionale va trasferita sul citato comma 10. 
    4.16.- Il comma 15 dell'art. 16 (testo originario) individuava le
disposizioni  applicabili  ai  consiglieri,  al  presidente  e   agli
assessori  dell'unione,  in  riferimento  al  trattamento  spettante,
rispettivamente, ai consiglieri, al sindaco  ed  agli  assessori  dei
Comuni aventi corrispondente popolazione. Inoltre, stabiliva che agli
amministratori dell'unione,  che  riscuotessero  emolumenti  di  ogni
genere in qualita' di amministratori locali, ai sensi  dell'art.  77,
comma 2, del TUEL, fino al momento dell'esercizio  dell'opzione,  non
spettasse alcun trattamento per la carica sopraggiunta. 
    La  disposizione  sopravvenuta  (comma  11)  stabilisce  che  gli
amministratori dell'unione, dalla data di  assunzione  della  carica,
non possono continuare a ricevere retribuzioni, gettoni e  indennita'
o emolumenti di ogni genere ad essi gia' attribuiti  in  qualita'  di
amministratori locali, ai sensi dell'art. 77, comma 2, del TUEL. 
    La modifica concerne i criteri diretti a regolare il  trattamento
economico  degli  amministratori  dell'unione.  In  particolare,   si
stabilisce che costoro, dalla data di assunzione  della  carica,  non
possono continuare a  ricevere  il  trattamento  loro  attribuito  in
qualita' di amministratori locali, ai sensi della norma  ora  citata.
Il testo censurato, invece, prevedeva che ad essi non spettasse alcun
trattamento per la carica sopraggiunta fino al momento dell'esercizio
dell'opzione.  Il  contenuto  precettivo  delle  due  norme,  dunque,
risulta diverso, onde non puo' farsi luogo al trasferimento. 
    Ne  deriva  che,  ritenendo  la  modifica  non  satisfattiva,  la
questione di legittimita' costituzionale, proposta con riferimento al
citato  comma  15,   deve   essere   dichiarata   inammissibile   per
sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il giudizio. 
    4.17.- Il  comma  16  dell'art.  16  (testo  originario)  rendeva
inapplicabile l'obbligo di cui al comma 1 nei  confronti  dei  Comuni
che, alla data del  30  settembre  2012,  esercitassero  le  funzioni
amministrative e i servizi pubblici mediante  convenzione,  ai  sensi
dell'art.  30  del  TUEL.  Inoltre,   prevedeva   che   tali   Comuni
trasmettessero al Ministero dell'interno un'attestazione  comprovante
il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed  efficienza
nella gestione, secondo modalita' da determinare con decreto adottato
dal  Ministro  dell'interno,  il  quale,  previa  valutazione   delle
attestazioni ricevute, individuava con proprio decreto  l'elenco  dei
Comuni obbligati e di quelli esentati dall'obbligo di cui al comma 1. 
    Il  comma  12  della  normativa   sopravvenuta   cosi'   dispone:
«L'esercizio in forma  associata  di  cui  al  comma  1  puo'  essere
assicurato  anche  mediante  una  o   piu'   convenzioni   ai   sensi
dell'articolo 30 del testo unico, che hanno durata almeno  triennale.
Ove alla scadenza del predetto periodo non sia comprovato,  da  parte
dei comuni aderenti, il conseguimento  di  significativi  livelli  di
efficacia ed efficienza nella gestione, secondo  modalita'  stabilite
con  il  decreto  di  cui  all'articolo   14,   comma   31-bis,   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni,  agli
stessi si applica la disciplina di cui al comma 1». 
    Orbene, ponendo a confronto  i  due  dettati  normativi,  risulta
evidente che, pur esistendo dei  profili  di  coincidenza,  non  puo'
parlarsi di semplici modifiche  apportate  dal  secondo  rispetto  al
primo. Si tratta, in realta', di due norme diverse, il che conduce  a
ritenere che il contenuto precettivo del comma 16 dell'art. 16 (testo
originario) non sia stato riprodotto nel testo sopravvenuto. E questa
opzione ermeneutica trova conferma nel rilievo che, come gia'  si  e'
notato, l'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, poi  convertito,
ha disposto la sostituzione degli originari commi da 1 a 16  con  gli
attuali  commi  da  1  a  13.  Pertanto,  ritenendo  tale   risultato
satisfattivo, sulla relativa questione di legittimita' costituzionale
va dichiarata la cessazione della materia del contendere. 
    4.18.- Per riassumere sui  punti  suddetti:  con  riferimento  ai
ricorsi numeri 133, 134, 141, 144, 145, 146, 147, 153, 155, e 160 del
2011, l'esame cui si procedera' in prosieguo  concerne  i  commi  sui
quali si e' ritenuto di poter trasferire le questioni di legittimita'
costituzionale dal testo impugnato  a  quello  sopravvenuto,  tenendo
conto che: 
    a) il comma 6  dell'art.  16  del  d.l.  n.  138  del  2011,  poi
convertito, corrisponde,  senza  modifiche  sostanziali,  all'attuale
comma 4 dell'art. 16 del d.l. ora citato (per  il  primo  periodo)  e
all'art. 19, comma 5, del d.l. n. 95 del 2012, poi  convertito,  (per
il secondo periodo); 
    b) il comma 8 corrisponde all'attuale comma 5  dell'art.  16  del
d.l. n. 138 del 2011 e all'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012; 
    c) il comma 10 corrisponde all'attuale comma 6 dell'art.  16  del
d.l. n. 138 del 2011; 
    d) il comma 13 corrisponde all'attuale comma 9 dell'art.  16  del
d.l. n. 138 del 2011; 
    e) il comma 14 corrisponde all'attuale comma 10 dell'art. 16  del
d.l. n. 138 del 2011. 
    D'ora innanzi le questioni di legittimita' costituzionale saranno
esaminate con riferimento ai commi del testo sopravvenuto. 
    L'esame, inoltre, riguardera' i commi da 17 a 31 del citato  art.
16, non interessati dallo ius superveniens, per i quali, quindi,  non
si pone un problema di trasferimento. 
    5.- In via preliminare, si devono dichiarare  inammissibili,  per
genericita' e inconferenza,  le  censure  prospettate  dalle  Regioni
Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Veneto, con riferimento  ai
principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon  andamento  della
pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). 
    Infatti, con  riguardo  all'ipotizzato  contrasto  con  i  citati
parametri costituzionali, va ribadito  il  costante  orientamento  di
questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 237 del 2009, n. 289 e n.  216
del 2008), secondo cui le Regioni sono autorizzate  a  censurare,  in
via d'impugnazione principale, le  leggi  dello  Stato  soltanto  per
profili attinenti al riparto delle rispettive competenze legislative,
essendosi ammessa la deducibilita' di altri parametri  costituzionali
esclusivamente qualora la loro violazione comporti una compromissione
delle   attribuzioni    regionali    costituzionalmente    garantite;
circostanza, questa, non ravvisabile nel caso di specie. 
    6.- Si deve ora  individuare,  sulla  base  delle  prospettazioni
difensive delle parti, l'ambito materiale al  quale  appartengono  le
norme impugnate sia con i ricorsi avverso il d.l. n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, sia con i
ricorsi contro il d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 135 del 2012. 
    Al riguardo, va in primo luogo rilevato che, nella giurisprudenza
di questa Corte, e' costante l'affermazione del principio secondo cui
«Ai  fini   del   giudizio   di   legittimita'   costituzionale,   la
qualificazione legislativa non vale  ad  attribuire  alle  norme  una
natura diversa da quelle ad esse propria, quale  risulta  dalla  loro
oggettiva sostanza» (ex plurimis, sentenze n. 207 del  2010,  n.  237
del 2009, n. 430 e n. 165 del 2007, n. 447 del 2006). 
    Inoltre,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  precisato  che,
qualora una normativa interferisca con piu' materie, attribuite dalla
Costituzione, da  un  lato,  alla  potesta'  legislativa  statale  e,
dall'altro, a quella concorrente o residuale delle  Regioni,  occorre
individuare l'ambito materiale che possa  considerarsi,  nei  singoli
casi, prevalente (ex plurimis, sentenze n. 118 del 2013, n.  334  del
2010, n. 237 del 2009 e  n.  50  del  2005).  Qualora  cio'  non  sia
possibile, la suddetta  concorrenza  di  competenze,  in  assenza  di
criteri  previsti  in  Costituzione,  giustifica  l'applicazione  del
principio di leale collaborazione (sentenza n. 50 del 2008), il quale
deve permeare i rapporti tra lo Stato e il sistema  delle  autonomie,
ovviamente qualora di tale applicazione sussistano i presupposti. 
    Da tanto consegue che  una  disposizione  statale  di  principio,
adottata in materia di legislazione  concorrente,  quale  quella  del
«coordinamento della finanza pubblica», puo' incidere su una  o  piu'
materie  di  competenza  regionale,  anche  di   tipo   residuale   e
determinare una - sia pure parziale - compressione degli spazi  entro
cui possono esercitarsi le competenze  legislative  e  amministrative
delle Regioni (ex plurimis, sentenze n. 237  del  2009,  n.  159  del
2008, n. 181 del 2006 e n. 417 del 2005). 
    In tal caso, lo scrutinio di legittimita'  costituzionale  dovra'
verificare il rispetto del rapporto  tra  normativa  di  principio  e
normativa di dettaglio, che deve essere inteso nel senso che l'una e'
volta a prescrivere criteri  e  obiettivi,  mentre  all'altra  spetta
l'individuazione  degli  strumenti   concreti   da   utilizzare   per
raggiungere quegli obiettivi (sentenza n. 181 del 2006). 
    In proposito, la Corte ha anche  affermato  che  la  specificita'
delle prescrizioni, di per se', non puo' escludere «il  carattere  di
principio di una norma, qualora  essa  risulti  legata  al  principio
stesso da un evidente rapporto di  coessenzialita'  e  di  necessaria
integrazione (sentenza n. 430 del 2007)» (sentenza n. 237  del  2009,
paragrafo 12 del Considerato in diritto). 
    Nella giurisprudenza di questa  Corte,  poi,  e'  ormai  costante
l'orientamento secondo cui «il  legislatore  statale  puo',  con  una
disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni  e  agli
enti locali, per ragioni di  coordinamento  finanziario  connesse  ad
obiettivi nazionali, condizionati anche  dagli  obblighi  comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si  traducono,
inevitabilmente, in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di  spesa
degli enti territoriali (ex plurimis, sentenze n. 182  del  2011,  n.
207 e n. 128 del 2010)» (sentenza n. 236 del 2013). 
    Infatti, per un verso, non si puo' dubitare che la finanza  delle
Regioni, delle Province autonome e degli enti locali sia parte  della
finanza pubblica allargata (sentenze n. 267 del 2006  e  n.  425  del
2004); per altro verso, va considerato che, tra i  vincoli  derivanti
all'Italia dall'appartenenza all'Unione europea, vi e'  l'obbligo  di
rispettare  un  determinato  equilibrio  complessivo   del   bilancio
nazionale, «secondo quanto precisato dalla risoluzione del  Consiglio
europeo del 17 giugno 1997 relativa al  "patto  di  stabilita'  e  di
crescita"» (sentenza n. 267 del 2006). 
    Va,  altresi',  rimarcato  che   questa   Corte   ha   ricondotto
nell'ambito dei principi  di  coordinamento  della  finanza  pubblica
(escludendo la illegittimita' costituzionale di  alcune  disposizioni
relative alla disciplina degli  obblighi  di  invio  di  informazioni
sulla situazione finanziaria dalle Regioni e dagli enti  locali  alla
Corte  dei  conti)  norme  puntuali  adottate  dal  legislatore   per
realizzare in concreto la finalita'  del  coordinamento  finanziario,
che per sua natura eccede le possibilita'  d'intervento  dei  livelli
territoriali sub-statali (sentenza n. 417 del 2005). 
    Infine,  con  specifico  riferimento  a  disposizioni   incidenti
sull'autonomia   finanziaria   attraverso   interventi    concernenti
direttamente  le   risorse   finanziarie   degli   enti,   la   Corte
costituzionale ne ha affermato la  riconducibilita'  ai  principi  di
coordinamento della finanza pubblica, purche' sia previsto un  limite
complessivo, che lascia agli  enti  stessi  liberta'  di  allocazione
delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa (ex plurimis,
sentenze n. 182 del 2011, n. 297 del 2009  e  n.  289  del  2008),  e
purche' gli interventi abbiano il carattere della transitorieta'. 
    Detto profilo, pero', e' estraneo alla fattispecie in esame,  ove
l'intervento statale opera  soltanto  sulle  modalita'  di  esercizio
delle funzioni e dei servizi. 
    6.1.- Richiamati, in linea  generale,  i  principi  che  regolano
l'individuazione della competenza legislativa, e che  devono  trovare
applicazione nelle fattispecie qui in esame, si deve stabilire se  le
norme impugnate possano essere ricondotte alla materia «coordinamento
della finanza pubblica». 
    Va premesso che le disposizioni censurate - richiedendo ai Comuni
con ridotto numero di abitanti la  gestione  in  forma  associata  di
servizi e funzioni pubbliche - perseguono l'obiettivo di  ridurre  la
spesa pubblica corrente  per  il  funzionamento  di  tali  organismi,
attraverso una disciplina uniforme che coordina la  legislazione  del
settore. 
    E'  evidente,   dunque,   che   tale   disciplina   deve   essere
unitariamente   considerata   e,   anche   dove   interferisce    con
l'ordinamento degli enti locali, non perde il carattere  strumentale,
finalizzato alla riduzione della spesa corrente. Come tale,  essa  e'
riconducibile alla materia «coordinamento della finanza pubblica», di
competenza legislativa concorrente tra  Stato  e  Regioni,  ai  sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost. e,  nell'ambito  di  tale  materia,
assume il rango di normativa di principio. 
    In questo quadro l'ordinamento degli enti locali non  costituisce
l'oggetto principale della normativa statale in esame, ma rappresenta
il settore in cui devono operare strumenti e modalita' per  pervenire
alla prevista riduzione della spesa pubblica corrente, riduzione  cui
e' ancorato il riordino degli organismi in  questione  e  costituente
principio fondamentale della materia, legittimamente fissato. 
    Da tale natura discende, in base alla  giurisprudenza  di  questa
Corte, la legittimita' dell'incidenza del censurato art. 16 sia sulla
autonomia di spesa delle Regioni (sentenze n. 91 del 2011, n. 27  del
2010, n. 456 e n. 244  del  2005),  sia  su  ogni  tipo  di  potesta'
legislativa regionale, compresa quella residuale in materia di unione
di Comuni (sentenze n. 326 del 2010 e n. 237 del 2009). 
    Infine, alla luce di quanto fin qui esposto,  si  deve  escludere
che, a giustificazione dell'intervento legislativo dello Stato, possa
essere invocato l'art. 117, secondo comma, lettera p),  Cost.,  nella
parte in cui assegna alla competenza  esclusiva  statale  la  materia
relativa a «legislazione elettorale, organi  di  governo  e  funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane»,  in  quanto
il riferimento a tali enti si deve ritenere tassativo,  mentre  nella
suddetta elencazione manca  ogni  riferimento  all'unione  di  Comuni
(sentenza n. 237 del 2009, paragrafo 23 del Considerato in diritto). 
    Con riferimento a tutti i ricorsi in  esame,  dunque,  il  titolo
legittimante della  competenza  statale  e'  il  coordinamento  della
finanza  pubblica,  ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,
esercitato nel quadro dei principi fin qui esposti. 
    7.- La Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe (reg.
ric. n. 133  del  2011),  dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 16, commi 6, 8, 10, 13, 14, nonche' comma 17, lettera a), e
commi da  19  a  21  del  d.l.  n.  138  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. Le censure  investono  il
citato art. 16 nella parte in cui: a) stabilisce  che  i  Comuni  con
popolazione fino a 1.000 abitanti  esercitano  obbligatoriamente,  in
forma associata, tutte le funzioni  amministrative,  e  non  soltanto
quelle fondamentali, mediante un'unione di Comuni, ai sensi dell'art.
32 del TUEL; b) prevede una disciplina di dettaglio  che  comprime  i
margini di autonomia dei piccoli Comuni, dando luogo,  di  fatto,  ad
una sostanziale fusione degli stessi, con conseguente modifica  delle
relative circoscrizioni; c) interviene  sull'ordinamento  degli  enti
locali e, dunque, in una materia ricadente nella competenza residuale
delle Regioni. 
    Pertanto, sarebbero violati l'art. 133, secondo comma,  anche  in
relazione agli artt. 114 e 117, quarto comma, Cost.,  nonche'  ancora
l'art. 114 Cost., in quanto l'unione, cosi' come  disciplinata  dalla
norma in esame, implicherebbe una differenziazione tra Comuni che  ne
fanno parte e tutti gli altri, benche' il  citato  art.  114  preveda
soltanto   cinque   forme   di   enti   territoriali    obbligatorie,
configurandoli come elementi tutti costitutivi, a pari titolo,  della
Repubblica, ed in quanto non  e'  nelle  competenze  del  legislatore
statale creare nuovi livelli  di  governo  a  natura  obbligatoria  e
"sostitutivi" di quelli previsti dall'art. 114 Cost. 
    Al riguardo,  come  gia'  chiarito  al  paragrafo  4.18  si  deve
ricordare che le censure  relative  ai  commi  6,  8,  10,  13  e  14
dell'art. 16 hanno formato oggetto di trasferimento a  seguito  dello
ius superveniens e  vanno,  pertanto,  riferite  agli  attuali  commi
secondo quanto di seguito indicato: a) l'attuale comma 4 dell'art. 16
del d.l. n. 138 del 2011 e il comma 5 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del
2012, riproducono, senza modifiche  sostanziali,  rispettivamente  il
primo  e  il  secondo  periodo  del  comma  6,   nella   formulazione
originaria; b) l'attuale comma 5 dell'art. 16 del  d.l.  n.  138  del
2011 e il comma 6 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, corrispondono
al comma 8, nella  formulazione  originaria;  c)  l'attuale  comma  6
dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011 corrisponde al comma 10,  nella
formulazione originaria; d) l'attuale comma 9 dell'art. 16  del  d.l.
n.  138  del  2011  corrisponde  al  comma  13,  nella   formulazione
originaria; e) l'attuale comma 10 dell'art. 16 del d.l.  n.  138  del
2011 corrisponde al comma 14, nella formulazione originaria. 
    Cio' posto, dal tenore delle censure, i  parametri  asseritamente
violati risultano essere, sostanzialmente,  gli  artt.  133,  secondo
comma, e 114 Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    L'art. 133, secondo comma, Cost. dispone che «La Regione, sentite
le popolazioni interessate, puo' con sue leggi istituire nel  proprio
territorio  nuovi  comuni  e  modificare  le  loro  circoscrizioni  e
denominazioni». 
    La normativa censurata non si pone in contrasto con tale precetto
costituzionale. 
    Fermi i principi  esposti  in  precedenza,  ai  quali  si  rinvia
(paragrafi 6 e 6.1 del Considerato in diritto), si deve osservare che
detta normativa non  prevede  la  fusione  dei  piccoli  Comuni,  con
conseguente modifica delle circoscrizioni territoriali.  In  realta',
diversamente da quanto accade  in  caso  di  fusione,  gli  enti  che
partecipano all'unione non  si  estinguono,  ma  esercitano  le  loro
funzioni amministrative in forma associata, come del resto dispone in
modo espresso l'art. 16, comma 1, del  d.l.  n.  138  del  2011  (poi
convertito), sia  nel  testo  originario  sia  in  quello  sostituito
dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012 (del pari convertito).
L'intervento del legislatore statale, dunque, riguarda  le  modalita'
di esercizio delle funzioni amministrative e dei servizi  pubblici  e
non  presenta  alcuna  attinenza  con  la   disciplina   che   regola
l'istituzione  di   nuovi   Comuni   o   la   modifica   delle   loro
circoscrizioni. 
    La ricorrente ha anche dedotto che la previsione di  un  obbligo,
destinato a vincolare soltanto una categoria di  Comuni  (quelli  con
popolazione   fino   a   1.000    abitanti),    determinerebbe    una
differenziazione incompatibile con il principio costituzionale  della
parita'  tra  i  diversi  enti  territoriali  che  costituiscono   la
Repubblica, sancito dall'art. 114 Cost. Tuttavia, neppure sotto  tale
profilo la questione e' fondata. 
    Infatti, l'art. 114 Cost., stabilendo che i Comuni, le  Province,
le Citta' metropolitane e le Regioni sono enti  autonomi  con  propri
statuti,  poteri  e  funzioni  «secondo  i  principi  fissati   dalla
Costituzione», non pone alcun obbligo per il legislatore  statale  di
sottoporre tutti i Comuni alla medesima disciplina, indipendentemente
dalle caratteristiche numeriche della popolazione. 
    8.- La Regione Toscana, poi, censura l'art. 16, comma 1, del d.l.
n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  148
del 2011, nella parte in cui pretende di allocare tutte  le  funzioni
amministrative, anche  quelle  in  materie  residuali  o  concorrenti
regionali,  in  capo  alle  unioni  di  Comuni.   Tale   disposizione
violerebbe l'art. 117, secondo, lettera p),  terzo  e  quarto  comma,
nonche' l'art. 118 Cost., perche' la legge statale sarebbe competente
in via esclusiva per quanto riguarda le sole  funzioni  fondamentali,
ma si  dovrebbe  escludere  che  possa  imporre  forme  associate  di
esercizio  anche  delle  funzioni  proprie  dei  Comuni   (rientranti
nell'autonomia organizzativa degli stessi) e, comunque, di quelle  ad
essi assegnate da leggi regionali. Inoltre sarebbe violato l'art. 118
Cost., in quanto la previsione di forme di  associazione  spetterebbe
al legislatore regionale. 
    La  questione  ha  ad  oggetto  il  comma  1  della  disposizione
censurata, norma modificata  dallo  ius  superveniens,  in  modo  non
satisfattivo. Sulla questione ad essa relativa, non  trasferibile  su
testo sopravvenuto, e' stata emessa  declaratoria  d'inammissibilita'
per sopravvenuto difetto d'interesse (precedente  paragrafo  4.2  del
Considerato in diritto). Essa, dunque, non puo' trovare  ingresso  in
questa sede. 
    9.- La Regione Toscana censura, inoltre, l'art. 16 (commi  1,  3,
4, 5, 7, 8 e da 10 a 15 nel testo originario) del  d.l.  n.  138  del
2011, sostenendo che esso  «appare  lesivo  anche  sotto  l'ulteriore
profilo della violazione degli artt. 114 e 117, quarto comma,  Cost.,
in quanto  interviene  con  una  normativa  puntuale  in  materia  di
disciplina delle forme associative degli  enti  locali,  materia  che
secondo il pacifico orientamento della Corte  costituzionale  rientra
nella competenza esclusiva delle Regioni». 
    In particolare, sarebbero violati: a) l'art. 114 Cost., in quanto
la disciplina impugnata finirebbe per differenziare i Comuni  fino  a
1.000  abitanti,  imponendo  la  forma  associativa  e  creando   due
categorie  diverse  di  Comuni,  mentre   la   norma   costituzionale
assegnerebbe pari dignita' costituzionale a Comuni, Province e Citta'
metropolitane; b) l'art.  117,  quarto  comma,  in  quanto  la  Corte
costituzionale, con riferimento alle Comunita' montane, avrebbe  gia'
affermato che la disciplina delle forme associative degli enti locali
rientra  nella  competenza  residuale  delle   Regioni,   precisando,
altresi', che l'art. 117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.  deve
essere interpretato in modo restrittivo e non puo' essere invocato in
ordine alla scelta in merito alla costituzione e/o alla  soppressione
di forme associative tra  enti  locali;  c)  l'art.  118  Cost.,  con
riferimento  ai  principi  costituzionali  ai  quali  la  legge  deve
attenersi  nell'attribuzione  delle  funzioni  amministrative  ed  al
principio di leale collaborazione, in quanto il  legislatore  statale
avrebbe imposto unilateralmente la disciplina agli  enti  locali;  d)
gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., non potendo  il  legislatore
statale invocare, nel caso di specie, la propria competenza circa  la
determinazione  dei  principi  fondamentali  in  materia  di  finanza
pubblica, perche' la normativa in esame avrebbe carattere dettagliato
e puntuale. 
    Gia' si e' chiarito che il comma 1 dell'art. 16 del d.l.  n.  138
del 2011 (poi convertito) e' stato modificato dallo ius  superveniens
in  precedenza  piu'  volte  citato,  sicche'  sulla   questione   di
legittimita'  costituzionale  ad  esso  relativa  e'   stata   emessa
declaratoria d'inammissibilita' per sopravvenuta carenza d'interesse.
Ad analoghe conclusioni si e' pervenuti in ordine ai commi 3,  4,  5,
9, 11, 12, 15 del medesimo art. 16. Quanto alla questione di  cui  al
comma 7, assente nel  testo  sopravvenuto,  ritenendosi  la  modifica
satisfattiva  si  e'  dichiarata  la  cessazione  della  materia  del
contendere (precedente paragrafo 4.8 del Considerato in diritto). 
    Le questioni concernenti i suddetti commi,  dunque,  non  possono
essere riproposte in questa sede. 
    Restano il comma 5 dell'art. 16 del d.l. n. 138  del  2011  e  il
comma 6 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, nonche' i commi 6, 9  e
10 dell'art. 16 del d.l.  n.  138  del  2011,  nel  testo  sostituito
dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, cui vanno riferite le
censure dianzi riassunte. 
    La questione non e' fondata con riferimento ai commi 6 e 9. 
    Invero, come  gia'  si  e'  precisato  (paragrafi  6  e  6.1  del
Considerato in diritto), la materia alla quale devono essere ascritte
le disposizioni censurate e' il coordinamento della finanza pubblica. 
    Si e' anche notato  che,  secondo  la  giurisprudenza  di  questa
Corte, una disposizione statale di principio in tale materia, qual e'
il contenimento delle spese dei piccoli  Comuni  perseguito  mediante
l'esercizio in forma associata delle funzioni e dei servizi  pubblici
ad essi spettanti, puo' incidere su una o piu' materie di  competenza
regionale, anche di  tipo  residuale,  e  determinare  una,  sia  pur
parziale, compressione degli spazi entro cui possono  esercitarsi  le
competenze legislative ed amministrative  delle  Regioni.  Ne'  giova
addurre il carattere specifico ed  autoapplicativo  della  disciplina
censurata,  perche',  come  questa  Corte  ha  anche  affermato,   la
specificita' delle prescrizioni, di per se', non  puo'  escludere  il
carattere di principio di una norma, qualora essa risulti  legata  al
principio stesso da un evidente  rapporto  di  coessenzialita'  e  di
necessaria integrazione (sentenza n. 430 del 2007). Cio' avviene, per
l'appunto,  nella  normativa  in  esame,  nella  quale  il  carattere
specifico delle disposizioni (tranne i punti che ora si esamineranno)
e' finalizzato a realizzare  il  tessuto  organizzativo  mediante  il
quale la norma di principio dovra' essere attuata. 
    Quanto al richiamo al principio di leale collaborazione, esso non
e' fondato perche' il detto principio non si applica al  procedimento
di formazione delle leggi (ex plurimis: sentenze n. 33 del 2011 e  n.
326 del 2010). 
    9.1.- A conclusioni parzialmente diverse si  deve  pervenire  con
riguardo all'art. 16, comma 5, nel  testo  sostituito  dall'art.  19,
comma 2, e in parte riprodotto dall'art. 19, comma 6, del d.l. n.  95
del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012. 
    Il comma 5 vigente cosi' dispone: «I comuni di cui  al  comma  1,
con deliberazione del consiglio comunale, da adottare, a  maggioranza
dei componenti, conformemente alle disposizioni di cui  al  comma  4,
avanzano alla regione  una  proposta  di  aggregazione,  di  identico
contenuto, per l'istituzione della  rispettiva  unione.  Nel  termine
perentorio del 31 dicembre 2013,  la  regione  provvede,  secondo  il
proprio ordinamento, a sancire l'istituzione di tutte le  unioni  del
proprio territorio, come determinate nelle proposte di cui  al  primo
periodo.  La  regione  provvede  anche  in  caso   di   proposta   di
aggregazione mancante o non conforme  alle  disposizioni  di  cui  al
presente articolo». 
    Il comma 6 dell'art. 19 del d.l. n. 95 del  2012,  cosi'  recita:
«Ai fini di cui all'articolo 16, comma 5, del citato decreto-legge n.
138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge  14  settembre
2011, n. 148, come  modificato  dal  presente  decreto,  nel  termine
perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore  del  presente
decreto, i comuni  di  cui  al  citato  articolo  16,  comma  1,  con
deliberazione del consiglio comunale, da adottare, a maggioranza  dei
componenti, conformemente alle disposizioni di cui  al  comma  4  del
medesimo  articolo  16,  avanzano  alla  regione  una   proposta   di
aggregazione,  di  identico  contenuto,   per   l'istituzione   della
rispettiva unione». 
    Orbene, il contenuto precettivo della  norma  deve  ritenersi  in
larga parte coessenziale al principio di coordinamento della  finanza
pubblica sopra indicato, perche' disciplina modalita'  procedimentali
necessarie per il funzionamento delle unioni.  Non  altrettanto  puo'
dirsi, invece, per la proposizione contenuta nel comma 5  secondo  la
quale  la  deliberazione  del  consiglio  comunale  va  adottata   «a
maggioranza dei componenti». 
    Si tratta  di  una  disposizione  che  esula  dalla  materia  del
«coordinamento   della   finanza   pubblica»,   in   quanto   attiene
esclusivamente all'ambito dell'ordinamento  dei  predetti  organismi;
essa e', dunque, estranea alle esigenze di contenimento  della  spesa
corrente. 
    Pertanto, deve essere dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 16, comma 5, del d.l. n.  138  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148  del  2011,  nel  testo  sostituito
dall'art. 19, comma 2, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, limitatamente alle parole
«, a maggioranza dei  componenti,»,  in  riferimento  dell'art.  117,
quarto comma, Cost. 
    9.2.- Considerazioni analoghe valgono anche con riguardo al comma
10, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2,  della  normativa  da
ultimo citata. 
    Il comma  10  vigente  cosi'  dispone:  «Lo  statuto  dell'unione
individua le modalita'  di  funzionamento  dei  propri  organi  e  ne
disciplina i rapporti. Il consiglio adotta lo statuto dell'unione con
deliberazione a maggioranza assoluta  dei  propri  componenti,  entro
venti giorni dalla data di istituzione dell'unione». 
    Mentre lo statuto e' atto necessario per  il  buon  funzionamento
dell'unione e, quindi, la norma che lo  prevede  e'  coessenziale  al
principio  fondamentale  di  coordinamento  della  finanza   pubblica
perseguito dal legislatore statale, la disposizione secondo cui  esso
e' adottato «con deliberazione  a  maggioranza  assoluta  dei  propri
componenti», esula, come gia'  sopra  affermato,  dalla  materia  del
coordinamento della finanza  pubblica,  attenendo  piu'  propriamente
all'ambito dell'ordinamento dell'unione. 
    Deve essere, dunque, dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 16, comma 10, del d.l. n. 138  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148  del  2011,  nel  testo  sostituito
dall'art. 19, comma 2, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, limitatamente alle parole
«, con deliberazione a maggioranza assoluta dei propri componenti,». 
    10.- La Regione Toscana censura il comma 16 dell'art. 16 del d.l.
n. 138 del 2011,  poi  convertito,  «per  la  parte  in  cui  prevede
l'alternativita'  delle  forme  associative   possibili,   unione   e
convenzione, rimessa ai  Comuni  e  all'apprezzamento  del  Ministero
dell'interno». La disposizione sarebbe in contrasto con i principi di
ragionevolezza e di buon andamento, stante la "discrepanza tra i  due
modelli" derivante dalla diversita' delle due forme associative. 
    Inoltre, la Regione sostiene l'illegittimita' costituzionale  del
medesimo comma 16, «nella parte in cui prevede un  controllo  statale
sulla efficacia ed efficienza della gestione delle forme  associative
diverse dalle unioni di comuni, per violazione degli artt. 114 e 117,
terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonche' del principio di leale
collaborazione». 
    Come si e' notato in precedenza (paragrafo 4.17  del  Considerato
in diritto), il contenuto precettivo del citato comma 16 non e' stato
compreso nel  testo  sopravvenuto,  sicche',  ritenendo  la  modifica
satisfattiva, in proposito e' stata dichiarata  la  cessazione  della
materia del contendere: pronunzia che va qui ribadita. 
    11.- La ricorrente  deduce  poi  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 16, comma 17, lettera a), «che ridefinisce il numero  degli
organi e dei loro componenti rispetto  ai  Comuni  fino  a  diecimila
abitanti, articolandone numero e composizione sulla base delle soglie
demografiche, stabilendo che quelli fino a 1.000 abitanti hanno  solo
consiglio e sindaco»; nonche' l'illegittimita' dei commi 19, 20 e  21
del medesimo art. 16, commi che  «pongono  vincoli  di  orario  e  di
modalita' di svolgimento delle sedute  degli  organi  collegiali  dei
comuni fino a quindicimila abitanti». 
    In particolare, l'art. 16, comma 17, lettera a), nella  parte  in
cui non prevede piu' la giunta municipale per i Comuni fino  a  1.000
abitanti, anche qualora i detti Comuni esercitino le loro funzioni in
convenzione,  si  porrebbe  in  contrasto   con   il   principio   di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) e con il principio  di  buon  andamento
dell'amministrazione  (art.  97  Cost.),  anche  in  relazione   alle
competenze regionali di cui  all'art.  117,  terzo  e  quarto  comma,
Cost.,  in  quanto  incide  sulla  funzionalita'   di   dette   forme
associative e quindi sullo svolgimento delle funzioni  amministrative
che la Regione ha attribuito ai Comuni. 
    Quanto ai commi 19, 20 e 21, che pongono vincoli in  ordine  alle
modalita' temporali e alle sedute degli organi collegiali di  governo
degli enti territoriali,  le  citate  disposizioni  sarebbero  lesive
dell'autonomia organizzativa dei Comuni, ponendosi in  contrasto  con
l'art. 117, sesto comma,  ultima  parte,  Cost.,  e,  in  ogni  caso,
andando ad incidere in materia di «ordinamento  degli  enti  locali»,
appartenente alla competenza esclusiva regionale ai  sensi  dell'art.
117, quarto comma, Cost. 
    Le suddette censure sono per un verso inammissibili, per un altro
non fondate. 
    In ordine all'asserito contrasto con gli artt. 3 e 97  Cost.,  si
rinvia alle considerazioni espresse nel precedente  paragrafo  5  del
Considerato in diritto. 
    Con riferimento, poi, al comma 17, lettera a), dell'art. 16,  per
l'asserito contrasto con l'art. 117, terzo  e  quarto  comma,  Cost.,
nonche' ai commi 19, 20 e 21 per il dedotto contrasto con l'art. 117,
quarto e sesto comma, ultima parte, Cost., si  devono  richiamare  le
considerazioni in precedenza espresse circa la riconducibilita' delle
citate  disposizioni  alla  normativa  di  principio   in   tema   di
coordinamento  della  finanza  pubblica  (paragrafi  6  e   6.1   del
Considerato in diritto). 
    12.- Da ultimo,  la  Regione  Toscana  denunzia  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 28, del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148  del  2011,  «nella
parte  in  cui  autorizza  l'esercizio  di  un   potere   sostitutivo
straordinario da parte del Prefetto», cio' in contrasto con gli artt.
117, terzo e quarto comma, e 120, secondo comma, Cost. 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  «la  norma  prevede   un   potere
sostitutivo dello Stato, allocato in capo ai prefetti,  al  di  fuori
dello schema di cui all'art. 120, secondo comma,  Cost.,  e  comunque
ben al di la' dei limiti stabiliti dalla Corte costituzionale con  la
sentenza n. 43/2004».  Dopo  aver  riportato  ampie  parti  di  detta
sentenza,  la  Regione  osserva  che,  alla  luce   dell'orientamento
espresso da questa Corte, risulterebbe evidente come il citato  comma
28 non sarebbe conforme  alla  Costituzione  e,  in  particolare,  si
porrebbe in  contrasto  con  l'art.  120,  secondo  comma,  anche  in
combinato disposto con l'art. 117, terzo e quarto  comma,  Cost.  Non
soltanto sarebbe  previsto  un  potere  sostitutivo  in  assenza  dei
presupposti tassativamente indicati  dall'art.  120,  secondo  comma,
Cost., ma sarebbe ammesso l'esercizio del potere sostitutivo da parte
dello Stato con riguardo a materie esulanti dalla competenza statale,
essendo  gli  obblighi  invocati  dalla  norma  in  parola  (il   cui
inadempimento sta alla base del potere sostitutivo di cui si  tratta)
riconducibili nell'ambito materiale  di  competenza  esclusiva  delle
Regioni, con particolare riferimento alla materia «ordinamento  degli
enti locali», in ulteriore violazione dell'art. 117, terzo  e  quarto
comma, Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    L'art. 16, comma 28, del d.l. n. 138 del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, cosi' dispone:  «Al  fine
di verificare il perseguimento degli obiettivi di  semplificazione  e
di riduzione delle spese da parte  degli  enti  locali,  il  prefetto
accerta che gli enti territoriali interessati abbiano attuato,  entro
i termini stabiliti, quanto  previsto  dall'articolo  2,  comma  186,
lettera e), della legge  23  dicembre  2009,  n.  191,  e  successive
modificazioni, e dall'articolo  14,  comma  32,  primo  periodo,  del
citato decreto-legge n. 78 del 2010, come da  ultimo  modificato  dal
comma  27  del  presente  articolo.  Nel  caso  in   cui,   all'esito
dell'accertamento, il prefetto rilevi la mancata attuazione di quanto
previsto dalle disposizioni di cui al  primo  periodo,  assegna  agli
enti inadempienti un termine perentorio entro  il  quale  provvedere.
Decorso inutilmente detto termine, fermo restando quanto previsto dal
secondo periodo, trova applicazione l'articolo 8, commi 1, 2, 3  e  5
della legge 5 giugno 2003, n. 131». 
    Come emerge dal suo incipit, la norma ora trascritta e' diretta a
verificare che taluni principi stabiliti dal legislatore statale, nel
quadro  del  perseguimento  degli  obiettivi  di  semplificazione   e
riduzione delle spese da parte degli enti locali, non  restino  privi
di attuazione. Essa non ha carattere generale,  ma  si  riferisce  in
modo specifico a due fattispecie: 1)  alla  previsione  dell'art.  2,
comma  186,  lettera  e),  della  legge  23  dicembre  2009,  n.  191
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello  Stato  -  Legge  finanziaria  2010),  la  quale   prevede   la
soppressione dei  consorzi  di  funzioni  tra  gli  enti  locali,  ad
eccezione dei bacini imbriferi montani e facendo salvi i rapporti  di
lavoro a tempo indeterminato esistenti; 2) alla previsione  dell'art.
14, comma 32, primo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  n.   122   del   2010,   e   successive
modificazioni, che, con riferimento ai vincoli derivanti dal patto di
stabilita' interno, prevedeva il divieto per i Comuni con popolazione
inferiore a 30.000 abitanti di costituire  societa'.  Tale  comma  e'
stato abrogato dall'art. 1, comma 561, della legge 27 dicembre  2013,
n. 147  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriannuale dello Stato - Legge di stabilita' 2014), a decorrere dal
1° gennaio 2014. 
    Il relativo potere e' attribuito  al  Prefetto  che  lo  esercita
senza margini  di  discrezionalita'  e,  qualora  rilevi  la  mancata
attuazione di quanto stabilito dalle menzionate disposizioni, assegna
agli  enti  inadempienti  un  termine  perentorio   per   provvedere.
L'inutile decorso di detto termine rende applicabile l'art. 8,  commi
1, 2, 3 e 5 della legge n. 131 del 2003. Il citato art. 8,  comma  1,
prevede l'assegnazione all'ente interessato di un (ulteriore) congruo
termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari. 
    Il fondamento di tale potere, che si risolve in una attivita'  di
mero accertamento, e' nell'art. 120, secondo comma, Cost. Come questa
Corte ha osservato, il testo  attuale  di  tale  disposizione  deriva
«dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema  di  piu'
largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma,
la possibilita' di tutelare, anche al di la' degli  specifici  ambiti
delle  materie  coinvolte  e   del   riparto   costituzionale   delle
attribuzioni  amministrative,  taluni  interessi  essenziali   -   il
rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, la  salvaguardia
dell'incolumita' e della sicurezza pubblica, la tutela  in  tutto  il
territorio  nazionale  dei  livelli  essenziali   delle   prestazioni
concernenti  i  diritti  civili  e   sociali   -   che   il   sistema
costituzionale attribuisce alla responsabilita' dello Stato».  Quanto
alla  «unita'  giuridica»  e  alla  «unita'  economica»,  «si  tratta
all'evidenza del richiamo ad interessi  "naturalmente"  facenti  capo
allo Stato, come ultimo responsabile del mantenimento della unita'  e
indivisibilita' della  Repubblica  garantita  dall'articolo  5  della
Costituzione» (sentenza n. 43 del 2004). 
    Tali principi sono stati poi ribaditi, con l'affermazione che  la
disposizione di cui all'art. 120, secondo comma, Cost.  «e'  posta  a
presidio  di  fondamentali  esigenze   di   eguaglianza,   sicurezza,
legalita', che il mancato o l'illegittimo esercizio delle  competenze
attribuite, nei precedenti artt. 117 e  118,  agli  enti  sub-statali
potrebbe  lasciare  insoddisfatte  o  pregiudicare   gravemente.   Si
evidenzia insomma, con tratti di assoluta chiarezza - si  pensi  alla
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali, che forma oggetto della competenza  legislativa  di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera m) - un legame indissolubile
tra il conferimento  di  una  attribuzione  e  la  previsione  di  un
intervento sostitutivo diretto a garantire che la finalita' cui  essa
e'   preordinata   non   sacrifichi   l'unita'    e    la    coerenza
dell'ordinamento. La previsione  del  potere  sostitutivo  fa  dunque
sistema con le norme costituzionali di allocazione delle  competenze,
assicurando comunque, nelle ipotesi  patologiche,  un  intervento  di
organi centrali a tutela di interessi unitari» (sentenza n.  236  del
2004, paragrafo 4.1 del Considerato in diritto). 
    Nel caso di specie, come sopra si e' notato, la norma oggetto  di
censura e' finalizzata ad  assicurare  che  i  principi  fissati  dal
legislatore statale (nel quadro della manovra di coordinamento  della
finanza  pubblica  qui  in  esame)  non  restino   inattuati,   cosi'
compromettendo le prospettive di risanamento del bilancio pubblico ed
incorrendo anche in violazione della normativa comunitaria. 
    Non e' esatto,  dunque,  che  il  citato  art.  28  si  ponga  in
contrasto con l'art. 120, secondo comma, Cost.  E'  vero,  piuttosto,
che una (eventuale) protratta  inerzia  degli  enti  sub-statali  nel
realizzare iniziative richieste dall'esigenza  di  tutelare  l'unita'
giuridica o l'unita' economica dello Stato giustifica  la  previsione
di un potere  sostitutivo,  che  consenta  un  intervento  di  organi
centrali a salvaguardia di interessi generali ed unitari. 
    Alla stregua  delle  considerazioni  che  precedono,  dunque,  la
questione non e' fondata. 
    13.- La Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe (reg.
ric. n. 141 del 2011), censura l'art. 16 del d.l. n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. 
    Dopo avere riassunto i primi 16  commi  della  norma  citata,  la
ricorrente  sostiene  che  il  comma  1  sarebbe   costituzionalmente
illegittimo «nella  misura  in  cui  pretende  di  allocare  funzioni
amministrative  in  ambiti  di  competenza   legislativa   regionale,
concorrente e residuale, violando cosi' l'art. 117,  terzo  e  quarto
comma, e l'art. 118, secondo comma, Cost.». 
    In  particolare,  l'illegittimita'  costituzionale   sarebbe   da
individuare  nella  conformazione  generale  dell'ambito  applicativo
della norma  considerata.  Essa,  infatti,  riguarderebbe  «tutte  le
funzioni amministrative» esercitate dagli enti locali  in  questione,
in qualunque materia si collochino. 
    Ancora   piu'    evidente,    poi,    sarebbe    l'illegittimita'
costituzionale della norma in esame, nella parte in cui  pretende  di
allocare tutte le funzioni  amministrative  riguardanti  «i  "servizi
pubblici" svolti dagli enti locali». Sarebbe principio costante della
giurisprudenza  costituzionale  che   i   servizi   pubblici   locali
costituiscono  un  ambito  affidato   alla   competenza   legislativa
residuale regionale. 
    La questione ha ad oggetto il comma 1 della norma  censurata.  Il
detto comma e' stato modificato dallo ius superveniens di cui al d.l.
n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del
2012, e la relativa censura e' stata  ritenuta  non  suscettibile  di
trasferimento sulla nuova norma, non avente  carattere  satisfattivo.
Pertanto, la relativa questione e' stata dichiarata inammissibile per
sopravvenuto difetto d'interesse (paragrafo 4.2  del  Considerato  in
diritto). Si deve rinviare, dunque, ai rilievi svolti in quella sede. 
    14.-   La   Regione   Puglia,   poi,   deduce    l'illegittimita'
costituzionale dei commi da 2 a 16 della citata norma,  che  regolano
l'ordinamento dell'unione dei  Comuni,  «rendendo  peraltro  la  loro
istituzione, ove ricorrano le condizioni  previste,  obbligatorie  da
parte degli enti locali interessati». 
    Tali  disposizioni  sarebbero   costituzionalmente   illegittime,
perche' in violazione della competenza  legislativa  residuale  delle
Regioni in materia di «ordinamento degli enti locali».  Al  riguardo,
non potrebbe trovare applicazione l'art. 117, secondo comma,  lettera
p), Cost., che fa riferimento ai Comuni, alle Province e alle  Citta'
metropolitane, con indicazione da  ritenere  tassativa,  dalla  quale
sono quindi escluse le unioni di Comuni. 
    Il carattere obbligatorio dell'esercizio di tutte le  funzioni  e
di  tutti  i  servizi  mediante  due  forme  associative  (unione   o
convenzione) violerebbe gli artt. 114, 117 e 118 Cost. Il legislatore
statale non potrebbe spingersi fino al punto  di  sottrarre  all'ente
Comune la titolarita' delle funzioni e dei servizi, se  non  violando
il secondo comma dell'art. 114 Cost.  Inoltre,  prevedere  una  forma
associativa titolare della  gestione  di  ogni  funzione  e  servizio
assegnato ai Comuni membri, della quale  questi  ultimi  sono  tenuti
obbligatoriamente a fare  parte,  impone  a  questa  classe  di  enti
territoriali vincoli e  limiti  che  li  differenziano  completamente
dagli altri, ai quali i vincoli stessi non si applicano. 
    Tale differenziazione si porrebbe in netto  contrasto  tanto  con
l'art. 114, quanto anche con l'art. 118 Cost., nella  misura  in  cui
prevede forme associate obbligatorie  per  l'esercizio  di  tutte  le
funzioni e di tutti  i  servizi.  Una  simile  scelta  creerebbe  due
diverse  classi   di   Comuni   con   caratteristiche   istituzionali
differenti, articolando in maniera rigida e definitiva un livello  di
governo, quello comunale, che l'art.  114  Cost.  vuole  ispirato  al
principio di eguaglianza e di pari dignita' istituzionale. 
    Inoltre, sarebbe da escludere che la legge statale possa  imporre
forme associate di esercizio delle funzioni  proprie  dei  Comuni  e,
comunque, di quelle  ad  essi  assegnate  da  leggi  regionali.  Tale
principio,  ad  avviso  della  ricorrente,  non  avrebbe   fondamento
costituzionale. 
    Altro vizio di legittimita' costituzionale sarebbe  attinente  al
carattere alternativo delle possibili  forme  associative  (unione  e
convenzione), rimesso ai Comuni  e  all'apprezzamento  del  Ministero
dell'interno (art. 16, comma 16). Per questa parte il testo normativo
incorrerebbe nella violazione dei principi  di  ragionevolezza  e  di
buon andamento, in quanto attribuirebbe effetti analoghi a due  forme
associative assai diverse. 
    Sarebbe, inoltre, costituzionalmente illegittimo l'art. 16, comma
4, ultimo periodo, del d.l. n. 138 del 2011, per violazione dell'art.
117,  sesto  comma,  Cost.,  perche'  autorizzerebbe  un  regolamento
statale in una materia di competenza residuale regionale. 
    Detta norma e' stata modificata  in  modo  non  satisfattivo  dal
citato ius superveniens. Sul punto valgono le osservazioni svolte  in
ordine  alla  non  trasferibilita'  della   relativa   questione   di
legittimita' costituzionale che hanno determinato la dichiarazione di
inammissibilita' per sopravvenuta carenza d'interesse (paragrafo  5.6
del Considerato in diritto). 
    Con riferimento al comma 16 dell'art. 16  del  d.l.  n.  138  del
2011,  non  ricompreso   nella   sostituzione   operata   dallo   ius
superveniens, si rinvia a quanto posto in evidenza nel paragrafo 4.17
del Considerato in diritto, circa la dichiarazione  della  cessazione
della materia del contendere. 
    In relazione, poi, ai commi 2, 3 5, 7, 9, 11, 12 e  15  dell'art.
16, rilevano le  considerazioni  gia'  svolte,  rispettivamente,  nei
paragrafi 4.3, 4.4, 4.6, 4.8, 4.10, 4.12, 4.13 e 4.16 del Considerato
in diritto, con riguardo alla cessazione della materia del contendere
o  all'inammissibilita'  delle  relative  questioni  di  legittimita'
costituzionale. 
    In riferimento al comma 4 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito dall'art. 19, commi 2 e  5,  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012; ai  commi
6 e 9 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del  2011,  nel  testo  sostituito
dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del  2012,  valgono  le
argomentazioni secondo cui, come gia' si e' precisato nei paragrafi 6
e 6.1 del Considerato in diritto, la materia alla quale devono essere
ascritte le disposizioni censurate e' il «coordinamento della finanza
pubblica». 
    Pertanto, la questione deve essere dichiarata non fondata. 
    Residuano il comma 5 dell'art. 16 del d.l. n.  138  del  2011,  e
l'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del  2012,  nonche'  il  comma  10
dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, nel testo sostituito dall'art.
19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, per i quali e' stata dichiarata
la illegittimita' costituzionale parziale  nei  termini  indicati  ai
paragrafi 9.1 e 9.2 del Considerato in diritto. 
    15.- Le  Regioni  Emilia-Romagna,  Liguria  ed  Umbria,  con  tre
ricorsi di analogo tenore (reg. ric. numeri 144, 146 e 147 del 2011),
hanno promosso questioni  di  legittimita'  costituzionale,  tra  gli
altri, del citato art. 16  nella  sua  interezza.  La  norma  sarebbe
costituzionalmente illegittima per difetto del  requisito  dei  «casi
straordinari di necessita' e d'urgenza» richiesti dall'art. 77, primo
e secondo comma, Cost. 
    Invero,  si  tratterebbe  di   norme   ordinamentali,   incidenti
profondamente sullo status istituzionale dei Comuni. I commi da  1  a
16 imporrebbero a questi enti, con popolazione fino a 1.000 abitanti,
la gestione associata ed altre modalita' vincolate per l'esercizio di
tutte le funzioni  amministrative  e  per  la  gestione  di  tutti  i
servizi,  definendo,  altresi',  minutamente   l'istituzione   e   la
composizione  degli  organi  di  una  nuova  forma  di   associazione
obbligatoria  denominata  unione,  mentre  i  commi  da   17   a   21
innoverebbero nella composizione e  nell'articolazione  degli  organi
dei Comuni in genere, incidendo sulla loro autonomia organizzativa  e
sul loro attuale funzionamento, disponendo in materia di retribuzione
dei componenti degli organi di governo degli enti territoriali. 
    Le ricorrenti  notano  come  lo  stesso  d.l.  n.  138  del  2011
stabilisca che la disciplina varata non e' di immediata  applicazione
(comma 9). Risulterebbe  evidente,  dunque,  che  l'attuazione  delle
disposizioni in  questione  non  sarebbe  destinata  a  compiersi,  e
nemmeno ad iniziare, nell'immediato. 
    Risulterebbe del pari evidente che, entro quel termine,  ed  anzi
molto prima, si  sarebbe  potuto  attivare  e  portare  a  compimento
l'ordinario procedimento legislativo, ne' si potrebbe  replicare  che
l'urgenza sarebbe ravvisabile  in  altre  disposizioni  del  medesimo
decreto, perche' tale argomento, anziche' giustificare,  aggraverebbe
il vulnus alle regole sulle competenze costituzionali. 
    Si dovrebbe ancora considerare che le disposizioni introdotte non
soltanto sarebbero destinate ad essere attuate in un momento  lontano
nel tempo, ma neppure sarebbero connesse a risparmi di spesa certi  e
rilevanti,  perche'   i   contenuti   delle   norme   censurate   non
sembrerebbero  rispondere  in  modo  adeguato  alle   finalita'   del
contenimento delle spese degli enti territoriali, non essendo nemmeno
quantificati i supposti risparmi. Pertanto,  mentre  gli  effetti  di
innovazione  ordinamentale  della  nuova   normativa   sarebbero   di
grandissima  rilevanza,  quelli  sul  contenimento  della  spesa   si
rivelano incerti ed eventuali. 
    Richiamata la sentenza  di  questa  Corte  n.  29  del  1995,  le
ricorrenti osservano che, secondo la  giurisprudenza  costituzionale,
la mancanza dei presupposti della  decretazione  d'urgenza  puo'  dar
luogo ad un vizio di legittimita' dell'atto «solo quando essa  appaia
chiara e manifesta perche'  solo  in  questo  caso  il  sindacato  di
legittimita' della Corte non rischia di sovrapporsi alla  valutazione
di opportunita' politica riservata al Parlamento»  (sentenza  n.  398
del 1998). Tuttavia,  un  decreto-legge  che  pospone  l'operativita'
delle proprie misure ad una data indefinita, comunque non prevedibile
prima  di  un  anno  dalla  sua  entrata   in   vigore,   apparirebbe
incompatibile con quella «immediata applicazione»  che  la  legge  23
agosto  1988,  n.  400  (Disciplina  dell'attivita'  di   Governo   e
ordinamento  della  Presidenza  del  Consiglio  dei   Ministri),   in
attuazione  dell'art.  77  Cost.,  pone  come   vincolo   al   potere
governativo di decretazione d'urgenza. 
    Denunciato il vizio che, ad avviso delle ricorrenti,  inficerebbe
l'intera disciplina dettata dall'art. 16, le Regioni  rivendicano  la
loro legittimazione a farlo valere. 
    Richiamata la costante giurisprudenza costituzionale  sul  punto,
esse osservano che, per  quanto  tale  giurisprudenza  «abbia  finora
impedito alle Regioni di poter far valere i vizi "formali" degli atti
legislativi, la Corte non ha mai dichiarato  questa  preclusione  nei
confronti del soggetto Regione in quanto tale, ma in  relazione  alla
particolare    (e    particolarmente     restrittiva)     definizione
dell'interesse ad agire». Come sottolineato dalla sentenza n. 216 del
2008, perche' tale interesse sia ritenuto  ammissibile  e'  richiesto
che «l'iniziativa assunta dalle Regioni ricorrenti sia oggettivamente
diretta a conseguire l'utilita' propria», in  quanto  la  sussistenza
dell'interesse ad agire puo' essere postulata «soltanto  quando  esso
presenti le  caratteristiche  della  concretezza  e  dell'attualita',
consistendo in quella utilita' diretta ed immediata che  il  soggetto
che agisce puo' ottenere con il provvedimento richiesto al giudice». 
    Ad avviso delle ricorrenti, pero', «l'utilita' propria, diretta e
immediata» non potrebbe esser fatta coincidere con  la  difesa  della
specifica  attribuzione  legislativa  assegnata  alla  Regione,   dal
momento che la  violazione  di  questa  costituirebbe  un  vulnus  al
riparto costituzionale delle competenze denunciabile per  se  stesso,
senza che venga in rilievo la specifica forma  dell'atto  legislativo
che ne e' responsabile. 
    Le  «prerogative   costituzionali»   delle   Regioni,   pertanto,
dovrebbero estendersi, ad avviso di  queste  ultime,  anche  al  loro
status costituzionale ed al ruolo  ad  esse  assegnato  nei  processi
decisionali. E lo stesso dovrebbe dirsi anche  per  i  Comuni,  quali
enti  che  primariamente  «costituiscono»  la  Repubblica,  ai  sensi
dell'art. 114 Cost., «che ugualmente la violazione della  regola  del
procedimento legislativo ordinario ha privato della  possibilita'  di
far valere la propria voce». 
    Inoltre, la  questione  della  legittimita'  di  anticipare,  con
misure di urgenza, interventi di natura ordinamentale, che dovrebbero
essere affrontati nel quadro di un riordinamento organico del sistema
dei livelli territoriali di governo, si porrebbe  «ormai  in  termini
acuti, oltre che dal punto di vista del "buon  governo"  del  sistema
repubblicano»,  anche  nell'assetto  delle  relazioni  costituzionali
intercorrenti  tra  Stato  e  Regioni,   le   quali,   per   costante
affermazione di questa Corte, dovrebbero ispirarsi  al  principio  di
leale collaborazione. 
    Sarebbe  evidente  che,  nello  stesso  arco  temporale   fissato
dall'art. 16, comma 9, si sarebbe potuto  giungere  ad  un  testo  di
riforma meditato e  condiviso,  dagli  effetti  assai  piu'  vasti  e
benefici. Il che sarebbe stato denunziato dal documento approvato  il
23 giugno 2010  dalla  Conferenza  delle  Regioni  e  delle  Province
autonome. 
    Queste ultime sarebbero state coinvolte in «defatiganti procedure
di negoziazione, che avrebbero dovuto portare ad un riassetto  chiaro
ed equilibrato, come da tutti auspicato, dei poteri  locali  e  delle
relazioni,  anche  finanziarie,  tra  Stato,  Regioni   e   autonomie
territoriali». Esse, pero', sarebbero del tutto  inutili  se  poi  al
Governo fosse consentito di modificare  in  modo  unilaterale  tratti
fondamentali del quadro istituzionale. 
    Ad avviso delle ricorrenti, cio' verrebbe a ledere  non  soltanto
un generico quadro di buoni rapporti tra Stato e  Regioni,  ma  anche
tutti  quei  vincoli  procedurali  che  le  stesse  leggi  di  delega
normalmente prevedono per  dare  attuazione  al  principio  di  leale
collaborazione. 
    Per questi motivi le tre Regioni ricorrenti ritengono  di  essere
legittimate  a   far   valere,   in   relazione   alle   disposizioni
ordinamentali di cui all'art. 16, la violazione dell'art.  77  Cost.,
per quanto riguarda la carenza dei  presupposti  della  necessita'  e
dell'urgenza,  nonche'  per  violazione  degli   artt.   114   (ruolo
costituzionale delle Regioni) e 118, primo  comma  (come  espressione
del piu' generale principio di sussidiarieta'), ed infine dell'art. 5
Cost.,  come  implicito  riconoscimento  del   principio   di   leale
collaborazione. 
    La questione e' inammissibile. 
    Si deve premettere che l'assunto, secondo cui  l'intero  art.  16
introdurrebbe norme ordinamentali dirette ad  incidere  profondamente
sullo status istituzionale dei Comuni, non puo' essere condiviso.  In
effetti,  le  disposizioni  censurate   non   alterano   il   tessuto
strutturale e il sistema delle autonomie locali, ma  sono  dirette  a
realizzare, per i Comuni  con  popolazione  fino  a  1.000  abitanti,
l'esercizio in forma associata delle funzioni  amministrative  e  dei
servizi pubblici, mediante  unioni  di  Comuni,  secondo  un  modello
peraltro  gia'  presente  nell'ordinamento,  sia  pure   con   talune
differenze di disciplina (art. 32 del TUEL). 
    Cio'  detto  per  l'esatto  inquadramento  della  questione,   va
rilevato  che,  per  costante  orientamento  di  questa  Corte,  sono
ammissibili questioni di legittimita' costituzionale  prospettate  da
una Regione, nell'ambito di un giudizio in via principale, in  ordine
a parametri diversi da quelli riguardanti il riparto delle competenze
legislative tra lo Stato e le Regioni, contenuti nel Titolo V,  Parte
seconda, della Costituzione, purche'  sia  possibile  riscontrare  la
ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto  e  il  soggetto
ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le
ragioni della lamentata lesione (ex plurimis,  sentenze  n.  234  del
2013, n. 22 del 2012, n. 128 del 2011, n. 326, n. 156, n. 52 e n.  40
del 2010, n. 341 del 2009). 
    Nel caso di specie non e' ravvisabile alcuna ridondanza del vizio
denunciato (asserita violazione dell'art. 77, primo e secondo  comma,
nonche' dell'art. 5, Cost.) sulle competenze  legislative  regionali.
La tesi secondo cui le  «prerogative  costituzionali»  delle  Regioni
dovrebbero estendersi anche al loro status costituzionale e al  ruolo
ad esse  assegnato  nei  processi  decisionali  si  rivela  meramente
assertiva  e  non  consente  d'individuare  la  specifica  competenza
regionale che, nel caso in esame, risulterebbe lesa e le  ragioni  di
tale lesione. 
    Ne' giova il richiamo agli artt. 114 e 118, primo  comma,  Cost.,
stante la genericita'  dell'allegazione  e  il  difetto  di  adeguata
motivazione in ordine alle  ragioni  per  le  quali  le  disposizioni
censurate comporterebbero la violazione dei parametri di riferimento. 
    15.1.-  Le  Regioni  Emilia-Romagna,  Liguria  e   Umbria   hanno
promosso, poi, questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  16
del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 148 del 2011, quanto ai commi da 1  a  16,  per  violazione  degli
artt. 114, primo e secondo comma, 117, primo, secondo comma,  lettera
p), e quarto comma, 118 e 133,  secondo  comma,  Cost.,  nonche'  per
violazione del principio di non discriminazione, di ragionevolezza  e
di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui agli artt. 3
e 97 Cost. 
    Dopo aver riassunto il contenuto della  normativa  censurata,  le
disposizioni costituzionali riguardanti i Comuni e le competenze che,
in relazione  ad  essi,  spettano  allo  Stato  e  alle  Regioni,  le
ricorrenti osservano che il quadro di garanzie  costituzionali  delle
autonomie locali e il relativo riparto  di  competenze  vanno  tenuti
presenti anche nell'affrontare il  problema  -  che  le  Regioni  non
ignorano - delle insufficienti dimensioni di molti Comuni italiani. 
    Si tratta di un problema complesso, che non puo'  essere  risolto
in modo sbrigativo (come farebbe la normativa impugnata) mediante  lo
svuotamento istituzionale dei  Comuni  con  popolazione  inferiore  a
1.000  abitanti,  privandoli  delle  funzioni,  strutture  e  risorse
finanziarie e disponendo la loro pratica  sostituzione  con  un  ente
nuovo, l'unione, nella quale finirebbe per "sciogliersi" ogni  Comune
la cui popolazione non superi la soglia indicata. Si  tratterebbe  di
un ente  non  presente  nella  tipologia  costituzionale  degli  enti
costitutivi della Repubblica e privo  di  legittimazione  democratica
diretta, come peraltro rilevato nel corso dei lavori preparatori. 
    In  effetti,  altro  sarebbe  promuovere   entita'   associative,
attraverso le quali i  Comuni  associati  possano  meglio  esercitare
alcune delle proprie funzioni,  fermo  restando  il  nucleo  centrale
della loro  consistenza,  altro  sarebbe  ridurre  i  Comuni  a  mere
strutture di rappresentanza, da aggregare in altro ente che  dovrebbe
assorbire, pressoche' integralmente, le funzioni, le strutture  e  le
risorse del Comuni originari. 
    Invero,  quanto  alle   funzioni,   le   disposizioni   censurate
priverebbero i Comuni interessati di tutte le funzioni amministrative
e di gestione dei  servizi  pubblici.  Quanto  all'organizzazione,  i
consigli  comunali  resterebbero  come  semplici  organi  d'indirizzo
(comma 9). Gli stessi  sindaci  dei  Comuni  diventerebbero  semplici
rappresentanti nel  Consiglio  dell'unione,  mentre  le  funzioni  di
sindaco sarebbero assunte dal presidente dell'unione (comma 12). 
    Risulterebbe palese, dunque, che il  disegno  delle  disposizioni
dettate dall'art. 16,  nei  commi  da  1  a  16,  sarebbe  quello  di
sostituire nella sostanza i  Comuni  di  piccole  dimensioni  con  le
unioni. Tale disegno, pero', contrasterebbe con le  garanzie  che  la
Costituzione offre a tutti i Comuni e  costituirebbe  un  aggiramento
delle apposite procedure e competenze  che  essa  stabilisce  per  la
creazione di nuovi Comuni e per  il  mutamento  delle  circoscrizioni
comunali. 
    In altre parole, le disposizioni  impugnate  costituirebbero  non
soltanto superamento  dei  poteri  statali  previsti  dall'art.  117,
secondo comma, ma anche violazione dell'art. 133  Cost.  Soltanto  in
apparenza il legislatore statale disporrebbe  di  organi  e  funzioni
degli enti locali, perche' in  realta'  sarebbe  alterata  la  stessa
mappa dell'autonomia  comunale,  costituzionalmente  garantita  dalle
peculiari procedure appositamente apprestate dall'art. 133 Cost. 
    Il complesso normativo costituito dall'art. 16, commi da 1 a  16,
non sarebbe dunque compatibile con i principi costituzionali esposti.
Lo stesso principio di sussidiarieta' subirebbe  una  violazione,  in
quanto la «differenziazione» dei Comuni e  delle  loro  funzioni  non
potrebbe essere disgiunta da una considerazione, in  concreto,  della
capacita' amministrativa e di gestione che distingue gli enti  minori
in ogni diversa  realta'  del  Paese  e  non  potrebbe  ridursi  alla
privazione delle funzioni dei Comuni minori. 
    Inoltre, risulterebbe violata  la  Carta  europea  dell'autonomia
locale, a cui e' stata data esecuzione con la legge 30 dicembre 1989,
n. 439 (Ratifica ed esecuzione  della  convenzione  europea  relativa
alla Carta europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il  15
ottobre 1985). Il contrasto sussisterebbe, in particolare, con l'art.
3 di tale atto. 
    Andrebbe notato, tra l'altro, che spesso i Comuni con popolazione
non superiore a 1.000 abitanti non sono contigui, sicche'  tali  enti
devono partecipare ad unioni comprendenti Comuni che affidano ad esse
soltanto alcune delle proprie funzioni, mantenendo per il  resto  (ed
ovviamente) la pienezza della propria natura di Comuni. 
    La   situazione   istituzionale,   dunque,   risulterebbe   anche
«fortemente asimmetrica e disuguale», con il solo Comune  minore  che
perde nella sostanza la propria natura di vero Comune a favore di una
unione che  per  tutti  gli  altri  Comuni  rimane  un'organizzazione
settoriale di servizio. 
    Ad avviso delle ricorrenti risulterebbero violati, oltre all'art.
114 Cost., anche gli artt. 3 e 97  Cost.,  in  quanto  sarebbe  stata
adottata una soluzione discriminatrice, priva di ragionevolezza e  in
contrasto col principio di buon andamento dell'amministrazione. 
    Le disposizioni impugnate violerebbero, altresi',  le  competenze
residuali delle  Regioni  in  materia  di  associazionismo  tra  enti
locali. 
    Infatti, come confermato da questa Corte  (sentenza  n.  456  del
2005), nello stabilire la  competenza  statale  l'art.  117,  secondo
comma, lettera p), Cost., «fa espresso riferimento  ai  Comuni,  alle
Province e alle Citta' metropolitane e l'indicazione  deve  ritenersi
tassativa». 
    Pertanto, la  potesta'  legislativa  dello  Stato  si  fermerebbe
all'ordinamento degli enti locali e non  si  estenderebbe  alle  loro
forme  associative.  In  effetti,  la  giurisprudenza  costituzionale
avrebbe  in   diverse   occasioni   confermato   l'incompetenza   del
legislatore statale ad intervenire in un ambito, quello  delle  forme
associative,  riconducibile  alla  potesta'   legislativa   regionale
residuale. 
    Ne conseguirebbe che l'intera disciplina  della  speciale  unione
prevista dai commi da 1 a 16 dell'art. 16, a maggior ragione  per  il
suo   carattere   dettagliato   e   minuzioso,    si    presenterebbe
costituzionalmente illegittima per lesione della competenza residuale
delle Regioni in materia di associazionismo degli enti locali. 
    Da ultimo, e in subordine, le ricorrenti  deducono  la  specifica
illegittimita' costituzionale di talune disposizioni dell'art. 16 che
prevedono    poteri    regolativi    e     amministrativi     statali
nell'applicazione della normativa impugnata. 
    In  particolare:  il  comma  4  dispone,  tra  l'altro,  che  con
regolamento - da adottare ai sensi dell'art. 17, comma 1, della legge
n. 400 del 1988 - su proposta del Ministro dell'interno, di  concerto
con il Ministro per le riforme per il federalismo, sono  disciplinati
il procedimento amministrativo-contabile di formazione  e  variazione
del  documento  programmatico,  i  poteri  di  vigilanza  sulla   sua
attuazione e la successione nei rapporti amministrativo-contabili tra
ciascun Comune e l'unione. Si tratterebbe, in realta', di  un  potere
non riconducibile ad alcuna materia di competenza statale. 
    Del pari illegittimo risulterebbe il comma 16 per violazione  del
principio di leale collaborazione, in quanto il  legislatore  statale
avrebbe  del  tutto  pretermesso  le  Regioni  nella  valutazione   -
demandata in via  esclusiva  al  Ministro  dell'interno  -  circa  il
conseguimento,  da  parte  dei  Comuni  gia'   coinvolti   in   forme
associative di cui all'art. 30 del TUEL, di «significativi livelli di
efficacia ed efficienza nella gestione, mediante  convenzione,  delle
rispettive attribuzioni». 
    Anche in questo caso e' necessario richiamare  le  considerazioni
svolte nei paragrafi da 4 a 4.18 del Considerato in diritto  in  tema
di ius superveniens. 
    All'esito  della  verifica  all'uopo  effettuata,  le   questioni
promosse con riferimento ai commi 1, 3, 4, 5, 9, 11,  12  e  15  sono
state dichiarate inammissibili e per quelle riferite ai commi 2, 7  e
16 e' stata dichiarata la cessazione della materia del contendere. 
    In riferimento al comma 4 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito dall'art. 19, commi 2 e  5,  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  135  del  2012,  e  ai
commi 6 e 9 dell'art.  16  del  d.l.  n.  138  del  2011,  nel  testo
sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, valgono le
argomentazioni secondo cui, come gia' si e' precisato nei paragrafi 6
e 6.1 del Considerato in diritto, la materia alla quale devono essere
ascritte le disposizioni censurate e' il coordinamento della  finanza
pubblica. Pertanto, la questione deve essere dichiarata non fondata. 
    Residuano il comma 5 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del  2011,  nel
testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  e
l'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del  2012,  nonche'  il  comma  10
dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, nel testo sostituito dall'art.
19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, per i quali e' stata dichiarata
la illegittimita' costituzionale parziale  nei  termini  indicati  ai
paragrafi 9.1 e 9.2 del Considerato in diritto. 
    16.- La Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe (reg.
ric.  n.  145  del  2011),  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 16 e, specificamente, degli originari  commi
1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 28 del d.l. n.  138
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,
per violazione degli artt. 97, 114, 117 e 118 Cost. 
    In primo luogo, la ricorrente osserva  che  le  norme  perseguono
l'obiettivo della riduzione dei costi  relativi  alla  rappresentanza
politica, allo scopo di assicurare il conseguimento  degli  obiettivi
di coordinamento della  finanza  pubblica,  nonche'  il  contenimento
delle spese degli enti locali. 
    In secondo luogo, la difesa regionale rileva che l'intervento  e'
dichiaratamente finalizzato alla razionalizzazione delle modalita' di
organizzazione delle funzioni comunali,  per  migliorare  l'esercizio
delle funzioni  amministrative  e  l'offerta  dei  servizi  pubblici.
Deduce  che,  «qualora  il  testo  legislativo  in   esame   trovasse
appropriata collocazione tra gli strumenti necessari a perseguire  la
riduzione dei costi ed  inserito  tra  le  azioni  indispensabili  al
raggiungimento dei noti e difficili obiettivi di finanza pubblica, le
puntuali disposizioni in esso contenute dovrebbero  appartenere  alla
categoria delle cosiddette  "norme  di  coordinamento  della  finanza
pubblica"  ed  automaticamente  ascriversi  all'omonima  materia   di
competenza concorrente ai sensi del  comma  terzo  dell'articolo  117
della Costituzione». Richiama, quindi,  i  principi  affermati  dalla
giurisprudenza costituzionale in tale materia e sostiene che, invece,
le disposizioni censurate integrerebbero una disciplina di  dettaglio
ed auto-applicativa che non potrebbe essere ricondotta  alla  nozione
di principio  fondamentale  della  materia  del  coordinamento  della
finanza pubblica. Invero, si tratterebbe di imposizioni di  carattere
imperativo  e  puntuale  «a  cui  soggiacciono  in  via  diretta   le
amministrazioni comunali ed in via riflessa le  Regioni,  alle  quali
non e' lasciata  alcuna  autonomia  opzionale  in  aperta  violazione
dell'articolo 117 della Costituzione, secondo  comma».  Tale  censura
andrebbe «riproposta in relazione al comma 7  dell'articolo  16,  che
impone ex lege  la  cessazione  delle  precedenti  forme  associative
previste nel decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267»  .Ad  avviso
della  ricorrente,  nelle  disposizioni  in  esame   per   un   verso
risulterebbe assente la necessaria indicazione del risparmio di spesa
conseguente,  per  altro  verso  «l'effetto  dirompente  della  norma
risulta piu' di carattere ordinamentale che finanziario». 
    La Regione, poi, dubita che la razionalizzazione  delle  funzioni
amministrative  e  dei  servizi  pubblici   di   spettanza   comunale
«costituisca un profilo riconducibile de plano alla  lettera  p)  del
comma secondo dell'articolo 117 della Costituzione», e  richiama,  al
riguardo, la giurisprudenza di questa  Corte  in  tema  di  comunita'
montane, osservando che, se a queste ultime  e'  stata  riconosciuta,
pur  non  essendo  enti   costituzionalmente   garantiti,   specifica
autonomia statutaria  e  regolamentare,  analoga  autonomia  dovrebbe
essere riconosciuta alle nuove figure di unioni di Comuni, anche  per
quanto concerne l'individuazione dei propri organi di governo. 
    Invece - prosegue la ricorrente - l'art. 16, nei commi  da  10  a
14, disciplina  appunto  gli  organi  di  governo  dell'unione,  ente
diverso ed autonomo dalle amministrazioni  di  cui  si  compone.  Per
conseguenza, non essendo tali unioni giuridicamente  assimilabili  ai
Comuni, esse sarebbero escluse  dall'ambito  di  riferimento  proprio
degli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), Cost. e,  per  cio'
stesso, non  imputabili  alla  titolarita'  legislativa  statale,  ma
ascrivibili alla potesta' legislativa residuale delle Regioni. 
    Inoltre, andrebbe  considerato  che  la  titolarita'  legislativa
regionale in materia di associazionismo  sarebbe  stata  riconosciuta
dall'art. 14, commi da 27 a 31 (in particolare, dal  comma  30),  del
d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  n.
122 del 2010. Non sarebbe dato comprendere perche', a breve  distanza
di tempo, essa dovrebbe essere disconosciuta  dalle  disposizioni  in
esame. Tale successione di leggi dai contenuti inconciliabili sarebbe
suscettibile di  generare  una  insostenibile  incertezza  normativa,
oltre a pregiudicare la concreta operativita'  delle  amministrazioni
comunali,  anche  per  quanto  concerne  l'esercizio  delle  funzioni
amministrative di competenza regionale, in violazione  del  principio
di buon andamento dell'azione amministrativa  tutelato  dall'art.  97
Cost. 
    Ancora, le norme in esame  sarebbero  lesive  delle  attribuzioni
costituzionalmente   riconosciute   alle   Regioni   in    tema    di
associazionismo  comunale,   non   soltanto   per   quanto   concerne
l'esercizio  della  potesta'  legislativa,  ma   anche   per   quella
amministrativa, ai sensi dell'art. 118 Cost. 
    Infatti, «il contenuto di  dettaglio  espresso,  con  imposizione
autoritativa, nelle disposizioni  censurate,  anche  relativamente  a
funzioni diverse da quelle  di  esclusiva  spettanza  statale,  nella
misura in cui si riferisce a funzioni  amministrative  di  competenza
regionale, non puo' non  generare  un'evidente  violazione  anche  al
riparto di competenze amministrative di cui  all'articolo  118  della
Costituzione». 
    Il modello di unione di Comuni imposto dallo Stato, connotato  da
genericita' e indifferenziazione,  non  sarebbe  idoneo  a  garantire
l'efficienza organizzativa quale portato delle  allocazioni  ottimali
delle  funzioni,  in  ossequio   ai   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e  immediatezza  che  dovrebbero  caratterizzare  il
sistema di amministrazione locale. Il conferimento, fatto  agli  enti
locali con legge regionale, di funzioni amministrative nelle  materie
di  competenza  legislativa  regionale,  costituirebbe   appunto   la
declinazione  dei  detti  principi,  allo  scopo  di   razionalizzare
l'esercizio delle funzioni amministrative.  Analoga  valutazione,  in
ordine  alle  caratteristiche  peculiari   delle   singole   funzioni
suscettibili di diversa allocazione,  spetterebbe  allo  Stato  nelle
materie  di  sua  esclusiva  attribuzione.  Invece,  la  compressione
indebita delle funzioni amministrative  di  spettanza  regionale  per
effetto di interventi normativi statali violerebbe l'art.  118  Cost.
in  riferimento  alle  prerogative  regionali  circa  l'esercizio  di
funzioni amministrative. 
    La Regione Veneto censura, poi, l'intero art. 16 del d.l. n.  138
del 2011, che consta di 31 commi, per violazione dell'art. 117, sesto
comma, Cost. Al riguardo, osserva come la norma censurata,  imponendo
una determinata forma organizzativa di tipo  associativo,  violerebbe
il richiamato  parametro  costituzionale,  che  riconosce  ai  Comuni
autonoma   potesta'   regolamentare   in   ordine   alla   disciplina
dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle   funzioni   loro
attribuite  ed  a  tale  ambito   andrebbe   ricondotta   la   scelta
concretantesi   nell'esercizio   delle   funzioni    secondo    forme
associative. 
    Del  resto,  la  liberta'  di  organizzazione  riconosciuta   dal
legislatore statale ai Comuni sarebbe  indiscutibile  e  testimoniata
dalla  pluralita'  di  disposizioni  in  materia  di  associazionismo
comunale presenti nell'ordinamento. 
    La ricorrente censura, ancora, l'art. 16, comma  28,  del  citato
decreto il quale individua i poteri attribuiti al Prefetto allo scopo
di  vigilare  in  ordine  al  veloce  conseguimento  degli  obiettivi
individuati. 
    Dopo aver riportato il contenuto della  disposizione,  la  difesa
regionale rileva che  il  potere  sostitutivo  regolato  dalla  norma
sembra esulare dall'ambito proprio dell'art. 120 Cost., che  consente
al Governo di  sostituirsi  legittimamente  agli  organi  dei  Comuni
soltanto nelle ipotesi ivi tassativamente elencate. 
    Sarebbe palese che nessuna di tali ipotesi possa  attagliarsi  ad
un contesto come quello oggetto della norma censurata, nel quale, per
esplicita affermazione del medesimo legislatore  statale,  gli  unici
obiettivi  posti  a  fondamento  dell'intervento  sono  quelli  della
semplificazione e della riduzione delle spese. 
    Ne'  sarebbe  condivisibile  la  posizione   interpretativa   che
vorrebbe ricondurre il potere sostitutivo de quo  ad  una  (ritenuta)
preminente esigenza di garanzia dell'unita' economica, intesa come il
complesso  della  macroeconomia  nazionale,  costituita  da   moneta,
risparmio e mercati  finanziari,  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost., in  quanto  la  finalita'  di  contenimento
della spesa  pubblica  sarebbe  perseguibile  dallo  Stato  con  mere
previsioni  normative  di  principio,  nell'alveo  del   sistema   di
coordinamento della finanza  pubblica  di  cui  all'art.  117,  terzo
comma,  Cost.,  e  non  potrebbe,  quindi,  legittimare   il   potere
sostitutivo statale in argomento. 
    Ad avviso della ricorrente, la circostanza  che  tale  potere  si
configuri come straordinario  e  collocato  in  posizione  aggiuntiva
rispetto ad altre ipotesi di potere sostitutivo cosiddetto ordinario,
non potrebbe consentire alcuna violazione del riparto  di  competenze
garantito dagli artt. 117 e 118 Cost. 
    Se, infatti, il potere sostitutivo straordinario  si  pone  quale
presidio ad esigenze avvertite  come  fondamentali,  di  eguaglianza,
sicurezza e legalita' la cui tutela  appare  necessaria  al  fine  di
garantire unita' e coerenza dell'ordinamento, mentre quello ordinario
e' correlato all'esercizio della potesta' legislativa statale e  alla
potesta'  concernente  l'esercizio  delle   funzioni   amministrative
attribuite ai sensi dell'art. 118 Cost., le esigenze di coordinamento
della finanza pubblica,  sottese  alla  disposizione  censurata,  non
sarebbero in alcun caso perseguibili anche mediante il ricorso ad  un
intervento sostitutivo straordinario, ma al piu', a quello  ordinario
nei termini sopra indicati. 
    In sostanza, si profilerebbe la violazione degli artt. 117 e  118
Cost., perche' il  mero  principio  di  coordinamento  della  finanza
pubblica  sarebbe   strumentale   all'esercizio   di   una   funzione
amministrativa che,  in  conformita'  all'art.  118  Cost.,  potrebbe
rientrare anche in ambiti di competenza regionale. 
    Le questioni cosi' riassunte  sono  in  parte  inammissibili,  in
parte non fondate. 
    Al riguardo, vanno richiamati gli argomenti svolti nel  paragrafo
che precede e nei paragrafi da 4 a 4.18 del Considerato in diritto. 
    Le questioni promosse in ordine all'art. 16 del d.l. n.  138  del
2011 (poi convertito), commi 1, 3, 4, 5, 11,  12  e  15,  sono  state
dichiarate inammissibili per sopravvenuto difetto d'interesse. 
    Sulle questioni promosse in ordine alla citata norma, commi 2,  7
e 16 e' stata dichiarata la cessazione della materia del contendere. 
    In riferimento ai commi 6 e 9 dell'art. 16 del d.l.  n.  138  del
2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95  del
2012,  valgono  le  argomentazioni  secondo  cui,  come  gia'  si  e'
precisato nei paragrafi 6  e  6.1  del  Considerato  in  diritto,  la
materia alla quale devono essere ascritte le  disposizioni  censurate
e' il coordinamento della finanza pubblica. 
    Pertanto, le questioni devono essere dichiarate non fondate. 
    Con  specifico  riferimento,  poi,  alla  censura   promossa   in
relazione all'intero art. 16  per  violazione  dell'art.  117,  sesto
comma, Cost., deve rilevarsi come la stessa sia  stata  formulata  in
termini generici, non essendo chiare le ragioni per le quali tutte le
disposizioni censurate comporterebbero la violazione del parametro di
riferimento. In difetto di motivazione, sia pure in forma  sintetica,
in ordine al collegamento tra le argomentazioni svolte nel ricorso  e
le singole disposizioni, dal contenuto non omogeneo, deve dichiararsi
l'inammissibilita'   della   detta    questione    di    legittimita'
costituzionale. 
    La questione promossa dalla ricorrente con riferimento  al  comma
28 dell'art. 16, del  d.l.  n.  138  del  2011,  oggetto  di  censure
specifiche non  e'  fondata  per  le  medesime  ragioni  esposte  nel
precedente paragrafo 12 del Considerato in diritto. 
    17.- La Regione Campania, con il  ricorso  indicato  in  epigrafe
(reg. ric. n. 153 del 2011), ha promosso, tra l'altro,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 1, del  d.l.  n.  138
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,
per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera  p),  terzo  e
quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 Cost. 
    La ricorrente ritiene che la norma censurata, nella parte in  cui
«al primo comma dell'art. 16, dispone che i  Comuni  con  popolazione
fino a 1.000 abitanti esercitano obbligatoriamente in forma associata
tutte le funzioni amministrative e  tutti  i  servizi  pubblici  loro
spettanti sulla base della legislazione vigente mediante un'unione di
Comuni ai sensi dell'art.  32  del  D.Lgs.  n.  267/2000  (T.U.  Enti
locali)», violerebbe: a) l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.,  in
quanto  inciderebbe  illegittimamente  sulla  sfera   di   competenze
legislative che la Costituzione  riserva  alla  competenza  residuale
delle Regioni; b) l'art. 117, secondo comma,  lettera  p),  Cost.  in
quanto, a proposito della competenza esclusiva  statale,  relativa  a
«legislazione elettorale, organi di governo e  funzioni  fondamentali
di  Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane»,  la  giurisprudenza
costituzionale avrebbe sottolineato che tale disposto dovrebbe essere
inteso  in  senso  restrittivo;  c)  in  subordine,  l'art.  118,  in
combinato disposto con l'art. 117 Cost.,  in  materia  di  disciplina
dell'esercizio delle funzioni  amministrative  da  parte  degli  enti
locali, perche' la norma impugnata,  nel  richiamare  indistintamente
tali  funzioni  esercitate  dai  Comuni,  avrebbe   compreso   quelle
ricadenti  in  ambiti  materiali  regionali,  in  contrasto  con   le
attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione. 
    Inoltre, la norma censurata, nella parte  in  cui  determina  una
profonda incisione delle prerogative  costituzionali  delle  Regioni,
peggiorata dalle gravose conseguenze derivanti dal  mancato  rispetto
delle regole richiamate, violerebbe l'art. 119, quarto comma,  Cost.,
per  lesione  del  principio  di  corrispondenza  tra   le   funzioni
decentrate e le risorse necessarie a consentire di  far  fronte  alle
funzioni stesse. 
    La questione e' inammissibile. 
    Infatti, essa ha per oggetto l'art. 16, comma 1, del d.l. n.  138
del 2011  (e  successiva  legge  di  conversione),  cioe'  una  norma
sostituita dalla normativa sopravvenuta  in  senso  non  satisfattivo
(art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012). 
    Pertanto, la questione non e' trasferibile sul nuovo testo  e  la
norma impugnata non ha avuto applicazione. 
    18.- La Regione Lombardia, con il ricorso  indicato  in  epigrafe
(reg. ric. n. 155 del 2011), ha promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale - in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma,
119, 120 e 133, secondo comma, Cost. - dell'art. 16 del d.l.  n.  138
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011. 
    La ricorrente censura l'intero art. 16 del d.l. n. 138  del  2011
(poi convertito), nella  parte  in  cui  dispone  che  i  Comuni  con
popolazione fino a 1.000  abitanti  esercitano  obbligatoriamente  in
forma associata tutte le funzioni amministrative e  tutti  i  servizi
pubblici  loro  spettanti  sulla  base  della  legislazione  vigente,
mediante un'unione di Comuni; detta norma violerebbe l'art 117, terzo
e quarto comma, Cost. in quanto andrebbe ad incidere illegittimamente
sulla sfera di competenze legislative  che  la  Costituzione  riserva
alle Regioni in via residuale. 
    Inoltre,  impugna  la  stessa   norma,   nella   parte   in   cui
determinerebbe   una    profonda    incisione    delle    prerogative
costituzionali delle Regioni, con effetti  pregiudizievoli  in  danno
della finanza regionale, in violazione dell'art. 119,  quarto  comma,
Cost., per lesione del principio di corrispondenza  tra  le  funzioni
decentrate e  le  risorse  necessarie  a  consentire  di  far  fronte
all'esercizio delle funzioni stesse. 
    Infine, censura l'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011,  nella  parte
in cui prevede l'istituzione di un ulteriore ente locale, coincidente
con la sostanziale fusione dei  Comuni  partecipanti,  in  violazione
dell'art.  133,  secondo  comma,  Cost.  che  riconosce  in  capo  al
legislatore  regionale,  sentite  le  popolazioni   interessate,   la
competenza  in  materia  di  istituzione  di  nuovi   Comuni   e   di
modificazione delle circoscrizioni e  denominazioni  di  quelle  gia'
esistenti. 
    Ancora, la Regione denunzia l'art. 16, comma 1, del d.l.  n.  138
del 2011, nella parte in cui inciderebbe illegittimamente sulla sfera
di competenze legislative che la Costituzione riserva alle Regioni in
materia di disciplina  delle  forme  associative  degli  enti  locali
presenti sul loro territorio, cosi'  violando  l'art.  117,  terzo  e
quarto comma, Cost.,  nonche'  il  principio  fondamentale  di  leale
collaborazione, sancito dall'art. 120 Cost. 
    Con riferimento alla censura relativa all'art. 16,  comma  1,  si
rinvia alle argomentazioni poste a fondamento della dichiarazione  di
inammissibilita'  esposte  nel  paragrafo  4.2  del  Considerato   in
diritto. 
    Con specifico riferimento, poi, alle censure mosse  in  relazione
all'intero art. 16 del d.l. n. 138 del  2011,  per  violazione  degli
artt. 117, terzo e quarto comma, 119 e 133, secondo comma, Cost., pur
volendo  ritenere  che  esse  siano  circoscritte  alle  disposizioni
riguardanti l'unione di Comuni, deve rilevarsi come le stesse,  oltre
a non essere riferite a specifici commi,  siano  state  formulate  in
termini generici, non essendo chiare le ragioni per le quali tutte le
disposizioni censurate comporterebbero la violazione dei parametri di
riferimento. In difetto di motivazione, sia pure in forma  sintetica,
in ordine al collegamento tra le argomentazioni svolte nel ricorso  e
le singole disposizioni, dal contenuto non omogeneo, deve dichiararsi
l'inammissibilita'   delle   dette    questioni    di    legittimita'
costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2013  e  n.  249  del
2009). 
    19.- La Regione autonoma Sardegna, con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe (reg. ric. n.  160  del  2011),  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.l. n.  138  del  2011,
commi da 1 a 3, 22 e 24, 4, 8, 9, 10, 13 e 14, da 17 a  21,  25,  26,
27, 28, 30 e 31. Dopo aver riassunto il  contenuto  precettivo  della
normativa in esame, la ricorrente sostiene che essa violerebbe l'art.
3, primo comma, lettera b), della legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale della Sardegna), nonche',  limitatamente
al comma 4, ultimo periodo, anche l'art. 117, sesto comma, Cost. 
    La ricorrente non ignora che il  comma  29  del  citato  art.  16
prevede quella che sembra  una  disposizione  di  salvaguardia  delle
competenze delle autonomie speciali, ma  sostiene  che  essa,  a  ben
vedere, non escluderebbe la lesione delle attribuzioni della  Regione
autonoma Sardegna per due ordini di motivi. 
    In primo luogo, andrebbe considerato che l'art. 3,  primo  comma,
lettera b), dello statuto  speciale  dispone  che  essa  ha  potesta'
legislativa nella materia dell'«ordinamento degli enti locali e delle
relative circoscrizioni», onde sarebbe evidente che, in  presenza  di
tale norma  e  della  relativa  garanzia,  la  semplice  applicazione
dell'art. 16 agli enti territoriali sardi, ancorche' con le modalita'
di cui al comma 29, sarebbe gia' di  per  se'  lesiva  dell'autonomia
regionale. Si tratterebbe, dunque, di una  clausola  di  mero  stile,
perche' la normativa statale - nella materia di cui al citato art. 3,
comma 1, lettera  b),  dello  statuto  -  non  potrebbe  avere  alcun
ingresso, nemmeno nelle forme cautelative della previsione censurata. 
    In secondo  luogo,  la  norma  in  esame  non  introdurrebbe  una
normativa  di  carattere  generale  o   limitata   ai   principi   di
semplificazione, accorpamento di funzioni e riduzione degli enti  non
necessari, bensi' un'autoritativa e  unilaterale  determinazione  del
livello demografico della cosiddetta intercomunalita', cui seguirebbe
una regolamentazione di estremo dettaglio, della quale la Regione non
potrebbe che prendere atto, recependole in via automatica. 
    Per queste ragioni l'art.  16  citato,  nonostante  la  (pretesa)
formula di salvaguardia, lederebbe  le  attribuzioni  conferite  alla
Sardegna dalla menzionata disposizione statutaria. 
    La tesi non puo' essere condivisa. 
    Al riguardo, si deve premettere che l'art. 16 del d.l. n. 138 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  148  del  2011,
reca al comma 29 la  seguente  norma:  «Le  disposizioni  di  cui  al
presente articolo si applicano ai comuni appartenenti alle regioni  a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano nel
rispetto degli statuti  delle  regioni  e  province  medesime,  delle
relative norme di attuazione e secondo quanto previsto  dall'articolo
27 della legge 5 maggio 2009, n. 42». 
    Quest'ultima norma, al comma 1,  cosi'  dispone:  «Le  regioni  a
statuto speciale e le province autonome  di  Trento  e  Bolzano,  nel
rispetto degli statuti speciali, concorrono  al  conseguimento  degli
obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'  ed  all'esercizio  dei
diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al  patto  di  stabilita'
interno e  all'assolvimento  degli  obblighi  posti  dall'ordinamento
comunitario, secondo  criteri  e  modalita'  stabiliti  da  norme  di
attuazione dei rispettivi statuti,  da  definire,  con  le  procedure
previste dagli statuti medesimi, e secondo il principio  di  graduale
superamento del criterio della spesa storica di cui  all'articolo  2,
comma 2, lettera m)». 
    Questa Corte, esaminando la norma ora riportata, ha chiarito  che
essa «possiede  una  portata  generale  ed  esclude  -  ove  non  sia
espressamente disposto in senso contrario per casi specifici  da  una
norma successiva - che  le  previsioni  finalizzate  al  contenimento
della spesa pubblica possano essere ritenute applicabili alle Regioni
a statuto speciale al di fuori delle particolari  procedure  previste
dai rispettivi statuti» (sentenza n. 193 del  2012,  paragrafo  2.3.2
del Considerato in diritto). 
    La medesima sentenza, nel ribadire quanto sopra riportato  e  con
specifico riferimento all'art.  16,  comma  29,  (paragrafo  3.2  del
Considerato  in  diritto),  ha  precisato  che  esso  contiene   «una
specifica clausola di salvaguardia che fa  salvo,  espressamente,  il
metodo pattizio (ex art.  27  della  legge  n.  42  del  2009)  nella
determinazione dei  criteri  e  delle  modalita'  di  concorso  delle
autonomie speciali alla  realizzazione  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica». 
    Inoltre, la legge di conversione n. 148 del 2011, ha inserito nel
testo del d.l. l'art. 19-bis, alla stregua  del  quale  «L'attuazione
delle disposizioni del  presente  decreto  nelle  regioni  a  statuto
speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano avviene nel
rispetto dei loro statuti e delle  relative  norme  di  attuazione  e
secondo quanto previsto dall'articolo 27 della legge 5  maggio  2009,
n. 42». 
    In tal modo la clausola, ab origine circoscritta al solo art. 16,
e' stata estesa all'intero decreto-legge come convertito. 
    Anche sul citato art. 19-bis  questa  Corte  si  e'  pronunziata,
escludendo che essa costituisca una mera formula di stile,  priva  di
significato normativo, ed affermando  che,  invece,  «ha  la  precisa
funzione di rendere applicabile il decreto  agli  enti  ad  autonomia
differenziata solo a condizione che siano  "rispettati"  gli  statuti
speciali  [...]»  (sentenza  n.  241  del  2012,  paragrafo  4.2  del
Considerato in diritto). 
    Pertanto, alla stregua delle  considerazioni  che  precedono,  le
questioni promosse dalla  Regione  autonoma  Sardegna  devono  essere
dichiarate non fondate, in quanto la  normativa  censurata  non  puo'
essere  ritenuta  applicabile  alla  Regione  al   di   fuori   delle
particolari procedure contemplate dallo statuto, stante  la  clausola
di salvaguardia prevista dall'art. 19-bis del d.l. n. 138  del  2011,
come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,  che
ha ampliato l'ambito applicativo del citato comma 29 dell'art. 16 del
medesimo decreto-legge. 
    Le questioni, pertanto, devono  essere  dichiarate  non  fondate.
Ogni altro profilo rimane assorbito. 
    20.- La Regione Lazio, con il ricorso indicato in epigrafe  (reg.
ric.  n.  145  del  2012),  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale  del  d.l.   n.   95   del   2012,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, limitatamente agli  artt.
4, 9, 17, 18 e 19. 
    In questa sede saranno trattate le questioni attinenti  ai  commi
2, 5 e 6 del citato art.  19,  essendo  state  riservate  a  separata
pronuncia quelle relative alle altre disposizioni impugnate. 
    La ricorrente censura l'art. 19 nella parte in cui conferma, «per
i Comuni con popolazione  fino  a  1.000  abitanti,  l'obbligo,  gia'
prescritto dal comma 17, lettera a), dell'art. 16 del d.l. n. 138 del
2011, di esercitare obbligatoriamente in  forma  associata,  mediante
unione, tutte le funzioni amministrative e tutti i  servizi  pubblici
loro spettanti». In realta',  il  richiamo  al  menzionato  art.  17,
lettera a), non e' esatto,  perche'  tale  disposizione  riguarda  la
composizione del consiglio comunale per i Comuni con popolazione fino
a 1.000 abitanti. Come risulta dal tenore della doglianza, la Regione
intende riferirsi all'art. 16, comma 1, del d.l. n. 138 del 2011, nel
testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012. 
    Quanto all'assunto che «le Regioni, nelle materie di cui all'art.
117,  commi  terzo  e  quarto,  Cost.,  individuano   le   dimensioni
territoriali   per    l'esercizio    delle    funzioni    in    forma
obbligatoriamente  associata,  mediante  unioni  e  convenzioni»,  il
riferimento sembra essere all'art. 19, comma 5. 
    Secondo la ricorrente, tale disciplina  sarebbe  illegittima  per
violazione del  combinato  disposto  dell'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), nonche' terzo e quarto comma,  Cost.  Infatti,  in  forza
delle disposizioni sopra menzionate, la disciplina delle associazioni
degli enti locali andrebbe ricondotta alla competenza normativa della
Regione e non gia' dello Stato, che dovrebbe limitarsi a stabilire le
regole in tema di  «legislazione  elettorale,  organi  di  governo  e
funzioni fondamentali di Comuni, Province  e  Citta'  metropolitane»,
con esclusione di tutti gli aspetti riguardanti l'associazionismo  di
tali enti. 
    Con  specifico  riferimento  alle  censure  mosse  in   relazione
all'art. 19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n. 95 del 2012, per  violazione
dell'art. 117, secondo comma,  lettera  p),  terzo  e  quarto  comma,
Cost., deve rilevarsi come le stesse siano state formulate in termini
generici, non essendo chiarite le  ragioni  per  le  quali  tutte  le
disposizioni censurate comporterebbero la violazione dei parametri di
riferimento. In difetto di motivazione, sia pure in forma  sintetica,
in ordine al collegamento tra le argomentazioni svolte nel ricorso  e
le singole disposizioni, dal contenuto non omogeneo, deve dichiararsi
l'inammissibilita'   delle   dette    questioni    di    legittimita'
costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2013  e  n.  249  del
2009). 
    21.- La Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe (reg.
ric.  n.  151  del  2012),  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale di numerose norme del d.l. n. 95 del 2012, convertito,
con modificazioni, dalla legge n.  135  del  2012,  e  tra  le  altre
dell'art. 19, commi 2, 5 e 6. 
    La ricorrente, premesso che l'art. 19 del decreto citato riscrive
(tra l'altro) la disciplina di cui ai primi 16 commi dell'art. 16 del
d.l. n. 138 del 2011, pone l'accento sul citato  art.  19,  comma  2,
nella parte in cui  sostituisce  il  menzionato  art.  16,  comma  1,
regolando l'esercizio associato, ad opera dei Comuni con  popolazione
fino a 1.000 abitanti, mediante unione di Comuni  o  convenzione,  di
tutte le funzioni e di tutti i servizi pubblici loro spettanti  sulla
base  della  legislazione  vigente  e  non  soltanto  delle  funzioni
fondamentali. 
    Richiama, inoltre, il medesimo art. 19, comma 2, nella  parte  in
cui modifica  l'art.  16,  comma  12,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
concernente  l'esercizio  in  forma  associata  assicurato   mediante
convenzioni, ai sensi dell'art. 30 del TUEL, nonche' nella  parte  in
cui modifica lo stesso art. 16,  comma  4,  circa  la  determinazione
della complessiva popolazione dell'unione  residente  nei  rispettivi
territori, e nella parte in cui modifica il comma 5  di  quest'ultima
norma, relativo  alla  proposta  di  aggregazione  da  avanzare  alla
Regione. 
    Censura, ancora, l'art. 16, commi 2, 3, dal 6 all'11, e  13,  del
d.l. n. 138 del 2011, come sostituiti dal citato art. 19, comma 2,  e
sostiene  che  la  normativa  suddetta   sarebbe   costituzionalmente
illegittima  per  violazione,  innanzitutto,  dell'art.  117,  quarto
comma, in combinato disposto con i commi secondo e terzo, Cost.,  dal
quale sarebbe dato desumere che la materia «forme associative tra gli
enti  locali»  rientrerebbe  nella  potesta'  legislativa   regionale
residuale. E' richiamata, in proposito, la giurisprudenza  di  questa
Corte sulle comunita' montane, costituenti un caso speciale di unione
di Comuni. Ad avviso  della  ricorrente,  i  principi  affermati  con
riferimento a tali enti dovrebbero valere  anche  per  le  unioni  di
Comuni. 
    Non sarebbe sostenibile che l'art. 19 del d.l. n.  95  del  2012,
relativo all'unione tra Comuni e alle convenzioni tra gli stessi  sia
espressione della  potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in
materia di «legislazione elettorale, organi  di  governo  e  funzioni
fondamentali di Comuni, Province  e  Citta'  metropolitane»,  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera  p),  Cost.  Come  affermato  da
questa Corte in tema di comunita' montane,  la  suddetta  elencazione
dovrebbe ritenersi tassativa e non comprende le unioni. 
    Un ulteriore profilo di illegittimita'  costituzionale  andrebbe,
poi, rilevato  nei  confronti  del  citato  art.  19,  comma  2,  per
violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Il  legislatore
statale avrebbe espressamente affermato che le  disposizioni  dettate
dal  menzionato  art.   19,   comma   2,   costituirebbero   principi
fondamentali  nella  materia   del   «coordinamento   della   finanza
pubblica», il che sarebbe da escludere. 
    Andrebbe ribadito che la  disciplina  di  principio  dei  vincoli
finanziari, cioe'  il  contesto  normativo  rimesso  alla  competenza
legislativa statale, sarebbe compatibile con l'autonomia  degli  enti
costituzionalmente garantiti, come le Regioni e  i  Comuni,  soltanto
qualora  stabilisca  in  modo   tassativo   un   limite   complessivo
d'intervento - avente ad oggetto o l'entita' del disavanzo  di  parte
corrente o i fattori di crescita della  spesa  corrente  -  lasciando
agli enti stessi piena autonomia  e  liberta'  di  allocazione  delle
risorse fra i diversi ambiti ed obiettivi di  spesa,  come  affermato
dalla giurisprudenza di questa Corte.  Poiche'  tali  requisiti,  nel
caso in  esame,  non  sussisterebbero,  si  dovrebbe  concludere  per
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012,
poi convertito, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Sarebbe, altresi', violato l'art. 118, primo  comma,  Cost.,  che
disporrebbe circa l'attribuzione delle funzioni amministrative  senza
alcun riferimento alle unioni di Comuni. 
    Risulterebbe violato anche  l'art.  118,  secondo  comma,  Cost.,
perche' sarebbe leso il potere regionale di conferire, mediante legge
della Regione, funzioni amministrative ai Comuni  (e  non  ad  unioni
degli stessi, imposte o autorizzate dallo Stato). 
    Infine, sarebbero violati l'art. 119 Cost.,  anche  con  riguardo
all'autonomia finanziaria di entrata e di spesa dei  Comuni,  nonche'
gli artt. 3 e 97 Cost., specialmente perche' i Comuni con popolazione
fino  a  5.000  abitanti  sarebbero  obbligati  (in  violazione   del
principio costituzionale di differenziazione) all'esercizio  mediante
unione di Comuni o convenzione delle loro funzioni fondamentali. 
    Le questioni promosse in relazione all'art. 19, commi 2, 5  e  6,
del d.l. n. 95 del 2012, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.  sono
inammissibili. 
    Esse, infatti, si riferiscono a parametri che  non  attengono  al
riparto delle  competenze  legislative  tra  Stato  e  Regioni  e  la
ricorrente non ha chiarito  in  alcun  modo  la  ridondanza  di  tale
violazione  sul  detto  riparto  di   competenze,   con   conseguente
compromissione  delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
garantite. 
    Del pari inammissibile e' la  questione  promossa  nei  confronti
delle  citate  disposizioni  con  riferimento  all'art.  119   Cost.,
«peraltro anche con riguardo all'autonomia finanziaria di  entrata  e
di spesa dei Comuni». 
    Infatti,  la  pretesa  violazione  del  parametro  costituzionale
invocato  non  e'  sorretta  da  alcuna  adeguata  argomentazione  e,
pertanto, ha carattere generico. 
    Le questioni promosse in relazione all'art. 19, commi 2, 5  e  6,
del d.l. n. 95 del 2012, in riferimento all'art. 118, primo e secondo
comma, Cost., non sono fondate. 
    Non e' configurabile la violazione dell'art.  118,  primo  comma,
Cost., perche' la mancata previsione dell'unione  tra  gli  enti  cui
attribuire le funzioni amministrative non postula affatto il  divieto
di modificarne con legge le modalita' di  esercizio  delle  funzioni,
disponendo che esse avvengano in forma associata. 
    Quanto alla presunta violazione  dell'art.  118,  secondo  comma,
Cost., si deve osservare che, come il dettato normativo espressamente
dispone, «I Comuni,  le  Province  e  le  Citta'  metropolitane  sono
titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con
legge statale o regionale, secondo le rispettive  competenze»,  cosi'
ribadendo la  potesta'  legislativa  dello  Stato  e  delle  Regioni,
naturalmente nel rispetto delle proprie competenze. 
    Le questioni promosse in relazione all'art. 19, commi 2, 5  e  6,
del  d.l.  n.  95  del  2012,  in  riferimento  all'art.  117  Cost.,
ripropongono l'esame di norme gia' scrutinate dalla Corte  in  ordine
alle censure, promosse con i primi ricorsi, ritenute trasferibili sul
testo sopravvenuto dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011. 
    Al riguardo, alla luce del tenore delle censure,  possono  essere
richiamate argomentazioni gia' svolte. 
    In  particolare,  si  tratta  di  quelle  relative  alle  censure
promosse nei confronti dell'art. 16, comma 4, del  d.l.  n.  138  del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel
testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 5, del d.l. n. 95 del 2012, in relazione ai quali
si rinvia alle considerazioni poste a fondamento della  pronunzia  di
non fondatezza svolte nei  paragrafi  6  e  6.1  del  Considerato  in
diritto. 
    Vengono, poi, in rilievo l'art. 16, comma 5, del d.l. n. 138  del
2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95  del
2012, e l'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012, per i  quali  la
Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale parziale  per  le
ragioni esposte nel paragrafo 9.1 del Considerato in diritto; 
    Si tratta, ancora, dell'art. 16, commi 6 e 9, del d.l. n. 138 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel
testo sostituito dall'art. 19, comma 2,  del  d.l.  n.  95  del  2012
convertito, con modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  in
relazione ai quali devono essere ribadite le argomentazione  poste  a
fondamento della pronunzia di non fondatezza svolte nei paragrafi 6 e
6.1 del Considerato in diritto; 
    Ed, infine, la Regione censura l'art. 16, comma 10, del  d.l.  n.
138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  148  del
2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, per
il quale  la  Corte  ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
parziale sui rilievi formulati nel paragrafo 9.2 del  Considerato  in
diritto. 
    Le questioni promosse con riferimento ai restanti commi (1, 2, 3,
8, 11, 12 e 13), non sono fondate, salvo per quanto concerne il comma
7 del novellato art. 16 del d.l. n. 95 del 2012. 
    In via preliminare, si deve ribadire che la normativa in esame e'
riconducibile  alla  materia   del   «coordinamento   della   finanza
pubblica», nel cui ambito l'istituzione delle unioni e' qualificabile
come normativa statale  di  principio,  finalizzata  al  contenimento
delle spese degli enti  territoriali  e  suscettibile  d'incidere  su
materie di competenza regionale, anche di tipo residuale. 
    Al  riguardo,  vanno  richiamate  le  argomentazioni  svolte   in
precedenza (paragrafi 6 e 6.1 del Considerato in diritto). 
    Come emerge dalla giurisprudenza ivi menzionata, questa Corte  ha
piu' volte affermato che le Regioni e gli enti locali sono  tenuti  a
concorrere alle manovre volte  al  risanamento  dei  conti  pubblici,
anche al fine di garantire l'osservanza  degli  obblighi  assunti  in
sede europea, e che  le  misure  adottate  a  tal  fine  dallo  Stato
costituiscono   inevitabili   limitazioni,    in    via    indiretta,
all'autonomia  finanziaria  e  organizzativa   regionale   e   locale
(sentenza n. 219 del 2013, paragrafo 17 del Considerato in diritto, e
sentenza n. 36 del 2004). 
    E' vero che, per costante orientamento  della  giurisprudenza  di
questa Corte, norme statali  che  fissano  limiti  alla  spesa  delle
Regioni  e  degli   enti   locali   possono   qualificarsi   principi
fondamentali di coordinamento della finanza  pubblica  alla  seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi (ex
plurimis, sentenze n. 237 del 2009; n. 289 e n. 120 del 2008). E' pur
vero, pero', che il suddetto orientamento si e' manifestato, in linea
di principio, in casi nei quali l'incidenza sulla spesa  corrente  e'
immediato, trattandosi di  governare  o  correggere,  per  l'appunto,
flussi finanziari, non gia' quando si tratti di interventi  volti  ad
incidere soltanto in via indiretta sulla  spesa.  In  altri  termini,
occorre tenere conto della peculiarita' di fattispecie come quella in
esame, nella quale il contenimento della spesa pubblica consegue  non
a manovre di tipo contabile, bensi' a modifiche  delle  modalita'  di
esercizio di determinate funzioni. 
    Le  dedotte  violazioni  dell'art.   117   Cost.,   dunque,   non
sussistono. 
    A conclusioni parzialmente diverse  bisogna  giungere  in  ordine
all'art. 16, comma 7, del d.l. n. 138 del 2011, nel testo  sostituito
dall'art. 19, comma 2, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012. 
    L'attuale comma 7 cosi' dispone: «Il  consiglio  e'  composto  da
tutti i sindaci dei comuni che sono membri  dell'unione  nonche',  in
prima applicazione, da due consiglieri comunali per ciascuno di essi.
I consiglieri di cui al primo periodo sono eletti,  non  oltre  venti
giorni dopo la data di istituzione dell'unione in tutti i comuni  che
sono membri dell'unione dai  rispettivi  consigli  comunali,  con  la
garanzia  che  uno  dei  due  appartenga   alle   opposizioni.   Fino
all'elezione del presidente dell'unione ai sensi del comma  8,  primo
periodo, il sindaco del comune avente il maggior numero  di  abitanti
tra quelli che sono membri dell'unione esercita tutte le funzioni  di
competenza dell'unione medesima. Al consiglio spettano le  competenze
attribuite dal citato testo unico di cui al  decreto  legislativo  n.
267 del 2000 al consiglio comunale, fermo  restando  quanto  previsto
dal comma 2 del presente articolo». 
    Il contenuto precettivo della norma deve ritenersi in larga parte
coessenziale al principio fondamentale di coordinamento della finanza
pubblica, sopra richiamato, perche'  dette  modalita'  procedimentali
sono necessarie per il funzionamento dell'unione. 
    Non altrettanto puo' dirsi, pero', per la proposizione, contenuta
nel secondo periodo, in base alla quale i consiglieri di cui al primo
periodo sono eletti «con la garanzia che uno dei due appartenga  alle
opposizioni».  Si   tratta   di   una   disposizione   esulante   dal
coordinamento della finanza pubblica, attenendo,  piu'  propriamente,
all'ambito dell'ordinamento dell'unione. 
    Pertanto, deve essere dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 16, comma 7, del  d.l.  n.138  del  2011,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148  del  2011,  nel  testo  sostituito
dall'art. 19, comma 2, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, limitatamente alle parole
«,con la garanzia che uno dei due appartenga alle opposizioni». 
    La Regione Veneto con il ricorso ha formulato  anche  istanza  di
sospensione cautelare degli artt. 17, 18 e 19  del  d.l.  n.  95  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  135  del  2012.
L'istanza, pero', e' assorbita dalla decisione di merito che precede. 
    22.- La Regione Campania, con il  ricorso  indicato  in  epigrafe
(reg. ric. n. 153 del 2012), ha impugnato numerose  disposizioni  del
d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  n.
135 del 2012. Tra le altre, ha impugnato l'art. 19, commi 2, 5  e  6,
che ora formera' oggetto di  esame,  restando  riservata  a  separate
pronunzie la  decisione  sulle  restanti  questioni  di  legittimita'
costituzionale. 
    Ad avviso della ricorrente, la norma censurata sarebbe gravemente
lesiva  delle  prerogative  regionali.  La  nuova  formulazione   del
menzionato articolo definirebbe l'esercizio  associato  di  tutte  le
funzioni e di tutti i servizi, per i Comuni fino  a  1.000  abitanti,
come non piu' obbligatorio, bensi' alternativo alle modalita' di  cui
all'art. 14 del d.l. n. 78 del 2010. Tuttavia, non vi sarebbe  dubbio
che la disposizione statale  continui  ad  incidere  illegittimamente
sulla sfera di competenza legislativa  riservata  dalla  Costituzione
alle Regioni in materia di disciplina delle forme  associative  degli
enti locali presenti sul territorio. 
    In sostanza, anche dalla formulazione attuale del testo normativo
emergerebbe  l'istituzione  di  un  nuovo  ente  locale   dotato   di
competenza in  tema  di  programmazione  economico-finanziaria  e  di
gestione contabile, nonche' di potesta'  impositiva  e  patrimoniale.
Sarebbe prevista, altresi', la successione dell'unione  nei  rapporti
giuridici inerenti alle funzioni ed ai servizi ad essa affidati,  con
trasferimento  di  risorse  umane  e  strumentali.  L'unione  avrebbe
potesta' statutaria propria e propri organi, alla  cui  proclamazione
seguirebbe la decadenza di diritto delle giunte  dei  singoli  Comuni
associati. Infine, sarebbe  previsto  l'obbligo  per  la  Regione  di
sancire l'istituzione di tutte  le  unioni  del  proprio  territorio,
attenendosi  alle  proposte  di  aggregazione  formulate  dai  Comuni
interessati, sulla base  dei  criteri  demografici  prescritti  dalla
normativa statale. Sarebbe violato, dunque, il riparto di  competenze
delineato dagli artt. 117 e 118 Cost. 
    Per   escludere   l'illegittimita'   dell'intervento    normativo
censurato non si potrebbe invocare la competenza esclusiva statale ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera  p),  Cost.,  perche'  la
giurisprudenza costituzionale avrebbe da tempo chiarito che il titolo
di competenza previsto dalla norma ora citata sarebbe  tassativamente
rivolto  agli  enti  elencati  nell'art.  114  Cost.  Al   di   fuori
dell'ambito materiale cosi' circoscritto, la  disciplina  degli  enti
locali dovrebbe essere ricondotta nella  competenza  residuale  delle
Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.  Cio'  anche  al
fine di garantire la possibilita' per la singola Regione,  nel  ruolo
di  ente  rappresentativo  delle   diverse   istanze   presenti   sul
territorio, di provvedere all'adozione  di  misure  differenziate  in
considerazione   delle   esigenze   espresse   dalla   comunita'   di
riferimento,  in   osservanza   dei   principi   di   sussidiarieta',
adeguatezza e differenziazione. 
    Tali  considerazioni   troverebbero   conferma   nella   costante
giurisprudenza costituzionale, sviluppatasi in particolare in  merito
alla disciplina delle comunita' montane, anch'essa  rientrante  nella
competenza residuale delle Regioni e, senza dubbio, applicabile anche
alle unioni di Comuni. 
    Cosi' ricostruito il riparto di attribuzioni tra Stato e  Regioni
in  materia,  risulterebbe  netto  il  contrasto   delle   previsioni
impugnate con il dettato  costituzionale,  derivandone  la  manifesta
violazione delle competenze normative regionali. 
    In via subordinata, l'art. 16 del d.l.  n.  138  del  2011,  come
novellato dal citato art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, risulterebbe in
contrasto con il dettato dell'art. 118,  in  combinato  disposto  con
l'art. 117 Cost. 
    Andrebbe ricordato come, ai sensi del detto art. 118 Cost., nella
formulazione successiva alla riforma del Titolo V della Parte seconda
della Costituzione, siano attribuite in via di  principio  ai  Comuni
tutte le funzioni amministrative, salva la possibilita' che le stesse
siano  conferite,  sulla  base  dei   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza, ai livelli di governo  superiori,  al
fine di garantirne il migliore esercizio. 
    Come affermato dalla Corte con la sentenza n. 43 del 2004,  sara'
sempre la legge, statale o regionale, in relazione al  riparto  delle
competenze legislative, ad operare  la  concreta  collocazione  delle
funzioni. Pertanto, non si potrebbe dubitare che la competenza  della
Regione  in  materia  di  disciplina  dell'esercizio  delle  funzioni
amministrative  sussista  ogni  qual   volta   le   funzioni   stesse
interessino  ambiti  materiali  di   diretta   pertinenza   regionale
(esclusiva o concorrente). 
    La questione promossa in relazione all'art. 19, commi 2, 5  e  6,
del d.l. n. 95 del 2012, in riferimento all'art.  118  Cost.  non  e'
fondata. 
    Come piu' volte ricordato, la mancata previsione dell'unione  tra
gli enti  cui  attribuire  le  funzioni  amministrative  non  postula
affatto il divieto di modificare con legge le modalita' di  esercizio
delle funzioni stesse, disponendo che esse siano esercitate in  forma
associata. 
    Si e' gia' posto in evidenza nel paragrafo 21 del Considerato  in
diritto, dedicato al ricorso n. 151 del 2012, proposto dalla  Regione
Veneto, che le questioni relative all'art. 19, commi 2, 5  e  6,  del
d.l. n. 95 del 2012, promosse  in  riferimento  all'art.  117  Cost.,
ripropongono l'esame di norme gia' scrutinate dalla Corte  in  ordine
alle censure ritenute trasferibili sul testo  sopravvenuto  dell'art.
16 del d.l. n. 138 del 2011. 
    Anche in questo caso  il  contenuto  delle  censure  consente  di
rinviare alle argomentazioni gia' svolte. 
    Si tratta, infatti, dell'art. 16, comma 4, del d.l.  n.  138  del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel
testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 5, del d.l. n. 95 del 2012, in relazione ai quali
valgono le considerazioni poste a fondamento della pronunzia  di  non
fondatezza svolte nei paragrafi 6 e 6.1 del Considerato in diritto. 
    Con riferimento all'art. 16, comma 5, del d.l. n. 138  del  2011,
nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del  2012,
e all'art. 19, comma 6,  del  d.l.  n.  95  del  2012,  la  Corte  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale parziale  per  le  ragioni
esposte nel paragrafo 9.1 del Considerato in diritto. 
    In relazione all'art. 16, commi 6 e 9, del d.l. n. 138 del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  135  del  2012,  vanno
ribadite le argomentazioni poste a fondamento della pronunzia di  non
fondatezza svolte nei paragrafi 6 e 6.1 del Considerato in diritto. 
    Infine, circa l'art. 16, comma 10, del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, la  Corte
ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  parziale  sui  rilievi
formulati nel paragrafo 9.2 del Considerato in diritto. 
    Anche in tal  caso  le  questioni  promosse  con  riferimento  ai
restanti commi (1, 2, 3, 8, 11, 12 e 13), non sono fondate, salvo per
quanto concerne il comma 7 del novellato art. 16 del d.l. n. 138  del
2011. 
    Come si e' gia' chiarito, finalita' del provvedimento  in  esame,
che riguarda i Comuni aventi popolazione fino a  1.000  abitanti,  e'
quella di razionalizzare  e  ridurre  la  spesa  pubblica  attraverso
l'esercizio associato delle funzioni  e  dei  servizi  pubblici  loro
spettanti (paragrafi 6 e 6.1 del Considerato in diritto).  Si  tratta
di  una  normativa  di  principio  nella   materia   (di   competenza
concorrente) del coordinamento  della  finanza  pubblica  (art.  117,
terzo  comma,  Cost.).  Da  tale  natura  discende,  in  forza  della
giurisprudenza di questa Corte, la legittimita' dell'incidenza  della
censurata disciplina sia sull'autonomia di spesa  delle  Regioni  (ex
plurimis, sentenze n. 91 del 2011, n. 27 del 2010, n. 456  e  n.  244
del 2005), sia  su  ogni  tipo  di  potesta'  legislativa  regionale,
compresa quella residuale in materia di unione di Comuni. 
    Pertanto, non sussiste il denunziato contrasto circa  il  riparto
costituzionale delle attribuzioni tra Stato e Regioni. 
    A conclusioni parzialmente diverse  bisogna  giungere  in  ordine
all'art. 16, comma 7, del d.l. n. 138 del 2011, nel testo  sostituito
dall'art. 19, comma 2, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012  (che  ha  sostituito  gli
originari commi da 1 a 16 con gli attuali commi da 1 a 13). 
    Sul punto si rinvia alle argomentazioni svolte nel paragrafo  21,
del  Considerato  in  diritto  in  ordine   alla   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale parziale dello stesso art. 16, comma 7,
del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l.
n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del
2012. 
    23.- La Regione autonoma Sardegna, con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe  (reg.  ric.  n.  160  del  2012),  ha  impugnato   numerose
disposizioni  del  d.l.  n.  95  del  2012,   (poi   convertito)   e,
segnatamente, ha censurato l'intero  art.  19,  comma  2,  del  detto
provvedimento normativo, con riferimento  all'art.  3,  primo  comma,
lettera b), del proprio statuto speciale e  all'art.  117,  quarto  e
sesto comma, Cost. 
    Al riguardo, si deve  osservare,  in  via  preliminare,  che  nel
citato d.l. n. 95 del 2012, in sede di conversione,  attuata  con  la
legge n. 135 del  2012,  e'  stata  inserita  con  l'art.  24-bis  la
seguente clausola di  salvaguardia:  «Fermo  restando  il  contributo
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di  Trento
e Bolzano all'azione di  risanamento  cosi'  come  determinata  dagli
articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del  presente  decreto  si
applicano alle  predette  regioni  e  province  autonome  secondo  le
procedure previste dai rispettivi statuti speciali e  dalle  relative
norme di attuazione, anche con riferimento  agli  enti  locali  delle
autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia  di  finanza
locale,  agli  enti  ed  organismi  strumentali  dei  predetti   enti
territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o
provinciale». 
    La suddetta clausola e' stata gia' esaminata da questa Corte,  la
quale ha cosi' deciso: «Le questioni sollevate dalle Regioni autonome
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna non sono  fondate.  La  clausola  di
salvaguardia prevista dall'art.  24-bis  del  d.l.  n.  95  del  2012
rimette  l'applicazione  delle  norme  introdotte  dal  decreto  alle
procedure previste dagli statuti speciali e dalle relative  norme  di
attuazione. Tale clausola e' stata introdotta in sede di conversione,
alla fine del testo del d.l. n. 95 del 2012,  proprio  per  garantire
che il contributo delle Regioni  a  statuto  speciale  all'azione  di
risanamento venga realizzato rispettando i rapporti e i  vincoli  che
gli statuti speciali stabiliscono tra livello nazionale e  Regioni  a
statuto speciale. Essa dunque non costituisce  una  mera  formula  di
stile, priva di significato normativo, ma ha la "precisa funzione  di
rendere applicabile il decreto agli enti ad  autonomia  differenziata
solo a  condizione  che  siano  'rispettati'  gli  statuti  speciali"
(sentenza n. 241 del 2012) ed i particolari percorsi procedurali  ivi
previsti per la modificazione delle norme di attuazione degli statuti
medesimi. La previsione di  una  procedura  "garantita"  al  fine  di
applicare agli enti ad autonomia  speciale  la  normativa  introdotta
esclude, percio', l'automatica efficacia  della  disciplina  prevista
dal decreto-legge per le Regioni a statuto ordinario (sentenza n. 178
del 2012). Le norme dell'art. 9 del d.l. n. 95 del 2012, dunque,  non
sono immediatamente applicabili alle Regioni ad  autonomia  speciale,
ma richiedono il recepimento tramite le apposite procedure prescritte
dalla  normativa  statutaria   e   di   attuazione   statutaria.   La
partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla procedura
impedisce  che  possano  introdursi  norme  lesive  degli  statuti  e
determina l'infondatezza  delle  questioni  sollevate  dalle  Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna (sentenze n. 178 del 2012 e
n. 145 del 2008)» (sentenza  n.  236  del  2013,  paragrafo  2.1  del
Considerato  in  diritto;  alle  stesse  conclusioni  era  giunta  la
sentenza n. 229 del 2013, paragrafo 10.2 del Considerato in diritto). 
    Alla ritenuta applicabilita' della  detta  clausola  consegue  la
declaratoria  di  non  fondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate nel presente giudizio dalla Regione autonoma
Sardegna. 
    24.- La Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe (reg.
ric.  n.  172  del  2012),  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  135  del  2012,  per
violazione degli artt. 117,  secondo,  terzo  e  quarto  comma,  118,
secondo comma, 119, primo, secondo e sesto comma, Cost. 
    Ad avviso della ricorrente, i nuovi commi da 4 a 10 dell'art.  16
del d.l. n. 138 del 2011, nel testo in vigore per effetto del d.l. n.
95 del 2012, nonche' i commi 5 e 6 dell'art. 19 del d.l.  n.  95  del
2012,  sarebbero  senz'altro   da   ritenere   incostituzionali   per
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera p), e quarto  comma,
Cost. 
    Invero, lo Stato non disporrebbe della competenza  legislativa  a
dettare una disciplina generale per gli  enti  locali  differenti  da
quelli espressamente indicati dall'art. 117, secondo  comma,  lettera
p), Cost., in quanto, a  seguito  della  riforma  costituzionale  del
2001, non avrebbe piu' una competenza  generale  in  questa  materia,
potendo  adottare  soltanto  le  norme  inerenti  alla   legislazione
elettorale, alle funzioni fondamentali e agli organi  di  governo  di
Province, Comuni e Citta'  metropolitane.  Pertanto,  il  legislatore
statale  ordinario  non  avrebbe  alcun   titolo   per   disciplinare
l'istituzione e l'organizzazione di enti locali differenti da  quelli
ora menzionati,  quali  le  unioni  di  Comuni,  specialmente  se  la
predetta disciplina pretenda di assumere (come nella  specie)  natura
vincolante e conformativa delle potesta' normative  e  amministrative
della Regione e dei Comuni interessati. Si tratterebbe,  infatti,  di
un ambito oggi affidato alla potesta'  regionale  residuale,  di  cui
all'art. 117, quarto comma, Cost. 
    Di qui la palese violazione, ad opera  delle  disposizioni  sopra
menzionate, dell'art. 117, secondo comma, lettera p), e quarto comma,
Cost. 
    Diversa   considerazione,   invece,   meriterebbero   le    norme
concernenti le funzioni che le unioni  di  Comuni  sono  destinate  a
svolgere (e' richiamato, a  titolo  di  esempio,  il  nuovo  comma  1
dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, come sostituito  dal  comma  2
dell'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012). 
    Si  tratterebbe  di  una  disposizione   che   interviene   nella
individuazione del livello istituzionale di esercizio delle  funzioni
amministrative, perche' renderebbe possibile che  esse  siano  svolte
presso un ente  locale  diverso  da  quello  comunale,  anche  se  di
carattere  associativo  e  frutto  della  partecipazione  dei  Comuni
stessi. 
    In questo quadro, la Regione Puglia ritiene di  poter  concludere
sul punto come segue. 
    La legge ordinaria dello Stato potrebbe certamente dettare  norme
di tal genere in relazione a materie  nelle  quali  disponga  di  una
competenza esclusiva, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, Cost., e
la  ricorrente  non  intenderebbe  disconoscere   questa   competenza
statale, neppure in relazione alle funzioni ricadenti in  materia  di
competenza concorrente, dal  momento  che  alla  norma  in  questione
sarebbe  senz'altro  possibile  riconoscere   natura   di   principio
fondamentale. 
    Del pari certamente, pero', lo Stato non avrebbe alcun titolo per
dettare la  disciplina  sopra  richiamata  per  quelle  funzioni  che
risultino ascrivibili ad ambiti materiali differenti da quelli di cui
al secondo e terzo comma dell'art. 117 Cost. 
    Di qui la conclusione secondo la quale il nuovo art. 16, comma 1,
del d.l. n. 138 del 2011, come sostituito dal comma  2  dell'art.  19
del d.l. n. 95 del 2012, sarebbe costituzionalmente illegittimo nella
parte in cui si rivolge anche a funzioni  ricadenti  nell'ambito  del
quarto  comma  dell'art.  117   Cost.,   per   violazione   di   tale
disposizione, nonche' dell'art. 118, secondo comma, Cost.,  il  quale
prescrive che le funzioni amministrative siano allocate, in  base  al
principio di sussidiarieta', dal legislatore competente per materia. 
    Analoghe argomentazioni sarebbero valide anche per  i  primi  due
periodi del nuovo comma 3 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, come
sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  nonche'
per il nuovo comma 12 del citato art. 16 del d.l. n.  138  del  2011,
come risultante dalle modifiche apportate dall'art. 19, comma 2,  del
d.l. n. 95 del 2012. 
    Il menzionato comma 12 sarebbe costituzionalmente illegittimo per
violazione dell'art. 117, quarto comma, Cost., nella parte in cui  si
rivolge anche a  funzioni  ascrivibili  alle  materie  di  competenza
residuale regionale. Sarebbe appena il caso  di  notare  che,  questa
volta, non verrebbe in rilievo quale parametro  l'art.  118,  secondo
comma. Cost., perche' la norma in questione, diversamente  da  quella
prima considerata, non sarebbe norma sulla allocazione  di  funzioni,
ma inciderebbe soltanto sul loro esercizio. 
    Infine, e' censurato il nuovo comma 2 dell'art. 16  del  d.l.  n.
138 del 2001, come sostituito dal comma 2 dell'art. 19 in esame  (che
affida alle unioni di Comuni la titolarita' della potesta' impositiva
sui tributi locali degli enti associati, nonche' quella patrimoniale,
con  riferimento  alle  funzioni  da  essi   esercitate   per   mezzo
dell'unione). Tale previsione violerebbe l'art. 119, primo, secondo e
sesto comma, Cost., i quali impedirebbero che la legge statale  possa
sottrarre  autonomia  impositiva  e  di   entrata   nonche'   risorse
patrimoniali  agli  enti  autonomi  costitutivi   della   Repubblica,
attribuendole a  nuovi  e  diversi  enti  territoriali,  travalicando
inoltre i limiti imposti alla potesta'  legislativa  dello  Stato  in
materia di  «coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema
tributario». 
    La ricorrente illustra, quindi, tali censure nel quadro dell'art.
119 Cost., sostenendo che  il  legislatore  competente  ben  potrebbe
attribuire ad enti locali, diversi da quelli indicati nella norma ora
citata, ed anche a enti associativi, la  possibilita'  di  esercitare
autonomia di entrata e di  spesa,  imponendo  le  relative  norme  di
coordinamento, ma  non  potrebbe  attribuire  alle  unioni  spazi  di
autonomia di entrata, sottraendola ai Comuni che  ne  fanno  parte  e
pretendendo  di  disciplinare   l'intera   materia   della   potesta'
impositiva e delle entrate di questi enti. 
    In via preliminare, si ricorda che  le  disposizioni  di  cui  ai
commi da 4 a 10 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011  nel  testo  in
vigore all'esito della sostituzione operata dall'art. 19 del d.l.  n.
95 del 2012, sono state gia' scrutinate dalla Corte. 
    Infatti, le censure mosse con riferimento al comma 4 dell'art. 16
del d.l. n.  138  del  2011  nel  testo  in  vigore  all'esito  della
sostituzione operata dall'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012,  esaminato
unitamente al comma 5 dell'art. 19 del d.l.  n.  95  del  2012,  sono
state ritenute non fondate alla luce dei rilievi svolti nei paragrafi
6, 6.1 e 7 del Considerato in diritto. 
    Allo stesso modo sono state dichiarate  non  fondate  le  censure
promosse con riferimento ai commi 6 e 9 dell'art. 16 del d.l. n.  138
del 2011 nel testo in vigore  all'esito  della  sostituzione  operata
dall'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, esaminati nei paragrafi 6,  6.1
e 9 del Considerato in diritto. 
    Trattandosi di  censure  dal  tenore  sostanzialmente  analogo  a
quelle gia' esaminate, questa Corte non puo' che ribadire le medesime
ragioni di non fondatezza. 
    Il comma 5 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011,  nel  testo  in
vigore all'esito della sostituzione operata dall'art. 19 del d.l.  n.
95 del 2012, esaminato congiuntamente al comma  6  dell'art.  19  del
d.l. n. 95 del 2012, che ne ripropone il  contenuto,  e'  stato,  con
quest'ultimo,   oggetto   di    dichiarazione    di    illegittimita'
costituzionale per le ragioni esposte nel paragrafo 9 del Considerato
in  diritto,  limitatamente  alle  parole  «,   a   maggioranza   dei
componenti,». 
    Il comma 7 dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011,  nel  testo  in
vigore all'esito della sostituzione operata dall'art. 19 del d.l.  n.
95 del 2012, e' stato  oggetto  di  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale al paragrafo 21  del  Considerato  in  diritto,  nella
parte in cui (secondo periodo) dispone che i consiglieri ivi indicati
sono eletti  «con  la  garanzia  che  uno  dei  due  appartenga  alle
opposizioni». 
    Il comma 10 dell'art. 16 del n. 138 del 2011, nel testo in vigore
all'esito della sostituzione operata dall'art. 19 del d.l. n. 95  del
2012,  e'  stato   oggetto   di   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale  al  paragrafo  9.2.  del  Considerato   in   diritto,
limitatamente alle parole «, con deliberazione a maggioranza assoluta
dei propri componenti,». 
    Per cio' che riguarda i commi 1, 2, 3, 8 e 12 dell'art. 16 del n.
138 del 2011,  nel  testo  in  vigore  all'esito  della  sostituzione
operata dall'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, anch'essi gia'  oggetto
di  precedente  scrutinio,  vanno  ancora  una  volta  richiamate  le
argomentazioni svolte in precedenza  (in  particolare,  paragrafi  6,
6.1, 7 e 9 del Considerato in diritto), con le quali si e'  precisato
che le norme in esame  costituiscono  normativa  di  principio  nella
materia del «coordinamento della finanza pubblica», che puo' incidere
su una  o  piu'  materie  di  competenza  regionale,  anche  di  tipo
residuale, e determinare una, sia pur  parziale,  compressione  degli
spazi entro cui possono esercitarsi le competenze  legislative  (art.
117, terzo comma, Cost.) e amministrative (art. 118, primo e  secondo
comma, Cost.). 
    Cio' vale anche per la censura mossa dalla  ricorrente  al  nuovo
comma 2 dell'art. 16 del  d.l.  n.  138  del  2011,  come  sostituito
dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, poi convertito, nella
parte  in  cui  affida  all'unione  la  titolarita'  della   potesta'
impositiva sui tributi locali dei Comuni  associati,  nonche'  quella
patrimoniale, con riferimento alle funzioni da  essi  esercitate  per
mezzo dell'unione medesima.  Ad  avviso  della  Regione  Puglia  tale
previsione violerebbe l'art.  119,  primo,  secondo  e  sesto  comma,
Cost., i quali, nel riconoscere  esclusivamente  agli  enti  autonomi
costitutivi della Repubblica l'autonomia finanziaria di entrata e  di
spesa, il potere di stabilire «tributi ed entrate propri», nonche' la
disponibilita' di un proprio patrimonio, impedirebbero che  la  legge
statale possa sottrarre autonomia impositiva e  di  entrata,  nonche'
risorse patrimoniali ai suddetti enti, attribuendole in titolarita' a
nuovi e diversi enti territoriali. 
    Orbene, a prescindere dal rilievo che l'affidamento non  riguarda
l'attribuzione della intera potesta' impositiva, ma  soltanto  quella
riferita  alle  funzioni  esercitate  dai  Comuni  stessi  per  mezzo
dell'unione, sicche'  l'imputazione  a  quest'ultima  della  potesta'
impositiva cosi' circoscritta appare coerente, si deve replicare  che
ancora una volta il titolo legittimante  e'  il  coordinamento  della
finanza pubblica,  perseguito  attraverso  l'istituzione  dell'unione
che, pero', ha bisogno di risorse per perseguire le sue finalita'. 
    Di qui la non fondatezza  delle  questioni,  con  riferimento  ai
parametri evocati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di legittimita' costituzionale del decreto-legge 13  agosto
2011,  n.  138  (Ulteriori  misure  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, promosse
dalle  Regioni  Toscana,  Lazio,  Puglia,   Emilia-Romagna,   Veneto,
Liguria,  Umbria,  Campania,  Lombardia,  e  dalla  Regione  autonoma
Sardegna con i ricorsi indicati in  epigrafe,  nonche'  la  decisione
delle  ulteriori  questioni  di   legittimita'   costituzionale   del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135,  promosse  dalle  Regioni
Lazio, Veneto, Campania, Puglia, e dalla  Regione  autonoma  Sardegna
con i ricorsi indicati in epigrafe; 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  16,  comma
5, del d.l. n. 138 del 2011,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art.  19,  comma  2,
del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni,  dalla  legge
n. 135 del 2012, limitatamente  alle  parole  «,  a  maggioranza  dei
componenti,», nonche' dell'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012,
convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135   del   2012,
limitatamente alle parole «, a maggioranza dei componenti,»; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  16,  comma
10, del d.l. n. 138 del 2011, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art.  19,  comma  2,
del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni,  dalla  legge
n. 135 del 2012, limitatamente alle parole  «,  con  deliberazione  a
maggioranza assoluta dei propri componenti,»; 
    3) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  16,  comma
7, del d.l. n. 138 del 2011,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art.  19,  comma  2,
del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni,  dalla  legge
n. 135 del 2012, limitatamente alle parole «, con la garanzia che uno
dei due appartenga alle opposizioni»; 
    4) dichiara cessata la materia  del  contendere  in  ordine  alle
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 1, 3, 4,
5, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 28, del d.l. n. 138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,  promosse
dalla Regione Lazio, in riferimento agli artt.  117,  secondo  comma,
lettera p) e quarto comma, in combinato  disposto,  agli  artt.  118,
133, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 9, comma  2,  della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3  (Modifiche  al  titolo  V
parte seconda della Costituzione), nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione, con il ricorso n. 134 del 2011; 
    5) dichiara cessata la materia  del  contendere  in  ordine  alle
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma  2,  del
d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
148  del  2011,  nella  formulazione  antecedente   la   sostituzione
introdotta  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promosse
dalla Regione Puglia, in riferimento agli  artt.  114,  117,  secondo
comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 118 Cost., con il  ricorso
n. 141 del 2011; dalla Regione Emilia-Romagna,  in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e
quarto comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 144 del 2011;  dalla
Regione Veneto, in riferimento agli artt.  97,  114,  secondo  comma,
117, secondo comma, lettera p), terzo e sesto comma, e 118 Cost., con
il ricorso n. 145 del 2011; dalla  Regione  Liguria,  in  riferimento
agli artt. 3, 5, 77, primo e secondo  comma,  97,  114,  117,  primo,
secondo e quarto comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso  n.  146  del
2011; dalla Regione Umbria, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo
e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma,  118  e
133 Cost., con il ricorso n. 147 del 2011; 
    6) dichiara cessata la materia  del  contendere  in  ordine  alle
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma  7,  del
d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
148  del  2011,  nella  formulazione  antecedente   la   sostituzione
introdotta  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promosse
dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 117, secondo  comma,
lettera p), terzo e  quarto  comma,  133,  secondo  comma,  anche  in
relazione agli artt. 114, 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., con  il
ricorso n. 133 del 2011; dalla Regione Puglia,  in  riferimento  agli
artt. 114, 117, secondo comma, lettera p), terzo e  quarto  comma,  e
118  Cost.,  con  il  ricorso  n.  141  del   2011;   dalla   Regione
Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo  e  secondo
comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133  Cost.,
con il ricorso n. 144 del 2011; dalla Regione Veneto, in  riferimento
agli artt. 97, 114, secondo comma, 117, secondo  comma,  lettera  p),
terzo e sesto comma, e 118 Cost., con il ricorso  n.  145  del  2011;
dalla Regione Liguria, in riferimento agli artt. 3, 5,  77,  primo  e
secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133
Cost., con il ricorso n. 146  del  2011;  dalla  Regione  Umbria,  in
riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117,
primo, secondo e quarto comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 147
del 2011; 
    7) dichiara cessata la materia  del  contendere  in  ordine  alle
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 16,  del
d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
148  del  2011,  nella  formulazione  antecedente   la   sostituzione
introdotta  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promosse
dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 3, 97, 117,  secondo
comma, lettera p), terzo e quarto comma, 133, secondo comma, anche in
relazione agli artt. 114, 117, quarto comma, 118 e 119 e al principio
di leale collaborazione, con  il  ricorso  n.  133  del  2011;  dalla
Regione Puglia, in riferimento agli artt. 3, 97,  114,  117,  secondo
comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 118 Cost., con il  ricorso
n. 141 del 2011; dalla Regione Emilia-Romagna,  in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e
quarto  comma,  118  e  133  Cost.,   e   al   principio   di   leale
collaborazione, con il ricorso n. 144 del 2011; dalla Regione Veneto,
in riferimento agli artt. 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma,
lettera p), terzo e sesto comma, e 118 Cost., con il ricorso  n.  145
del 2011; dalla Regione Liguria, in riferimento agli artt. 3, 5,  77,
primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e  quarto  comma,
118 e 133 Cost., e al  principio  di  leale  collaborazione,  con  il
ricorso n. 146 del 2011; dalla Regione Umbria,  in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e
quarto  comma,  118  e  133  Cost.,   e   al   principio   di   leale
collaborazione, con il ricorso n. 147 del 2011; 
    8)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 1,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  148  del  2011,  nella
formulazione antecedente la  sostituzione  introdotta  dall'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 135 del  2012,  promosse  dalla  Regione  Toscana,  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto
comma, 133, secondo comma, anche in relazione agli  artt.  114,  117,
quarto comma, 118 e 119 Cost., con il ricorso n. 133 del 2011;  dalla
Regione Puglia, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto  comma,
e 118, secondo comma, Cost., con il ricorso n. 141  del  2011;  dalla
Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 3, 5, 77,  primo  e
secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133
Cost., con il ricorso n. 144  del  2011;  dalla  Regione  Veneto,  in
riferimento agli artt. 97, 114, secondo comma,  117,  secondo  comma,
lettera p), terzo e sesto comma, 118 Cost., con il ricorso n. 145 del
2011; dalla Regione Liguria, in riferimento  agli  artt.  3,  5,  77,
primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e  quarto  comma,
118 e 133 Cost., con il  ricorso  n.  146  del  2011;  dalla  Regione
Umbria, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo  e  secondo  comma,
97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133 Cost.  con  il
ricorso n. 147 del 2011; dalla Regione Campania, in riferimento  agli
artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 118, in
combinato disposto con gli artt. 117 e 119, quarto comma, Cost.,  con
il ricorso n. 153 del 2011; dalla Regione Lombardia,  in  riferimento
agli artt. 117, terzo e quarto comma, 119, quarto comma, 133, secondo
comma, e 120 Cost., con il ricorso n. 155 del 2011; 
    9)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 3,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  148  del  2011,  nella
formulazione antecedente la  sostituzione  introdotta  dall'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 135 del  2012,  promosse  dalla  Regione  Toscana,  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto
comma, 133, secondo comma, anche in relazione agli  artt.  114,  117,
quarto comma, 118 e 119 Cost., con il ricorso n. 133 del 2011;  dalla
Regione Puglia, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera
p), terzo e quarto comma, 114 e 118 Cost., con il ricorso n. 141  del
2011; dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt.  3,  5,
77, primo e secondo comma, 97, 114,  117,  primo,  secondo  e  quarto
comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 144 del 2011; dalla Regione
Veneto, in riferimento  agli  artt.  97,  114,  secondo  comma,  117,
secondo comma, lettera p), terzo e sesto comma, e 118 Cost.,  con  il
ricorso n. 145 del 2011; dalla Regione Liguria, in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e
quarto comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 146 del 2011;  dalla
Regione Umbria, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo  e  secondo
comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133  Cost.,
con il ricorso n. 147 del 2011; 
    10)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 4,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  148  del  2011,  nella
formulazione antecedente la  sostituzione  introdotta  dall'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 135 del  2012,  promosse  dalla  Regione  Toscana,  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto
comma, 133, secondo comma, anche in relazione agli  artt.  114,  117,
quarto comma, 118 e 119 Cost., con il ricorso n. 133 del 2011;  dalla
Regione Puglia, in riferimento agli artt. 114,  117,  secondo  comma,
lettera p), terzo, quarto e sesto comma, e 118 Cost., con il  ricorso
n. 141 del 2011; dalla Regione Emilia-Romagna,  in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo,  secondo,
quarto e sesto comma, 118 e  133  Cost.,  e  al  principio  di  leale
collaborazione, con il ricorso n. 144 del 2011; dalla Regione Veneto,
in riferimento agli artt. 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma,
lettera p), terzo e sesto comma, e 118 Cost., con il ricorso  n.  145
del 2011; dalla Regione Liguria, in riferimento agli artt. 3, 5,  77,
primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo, quarto  e  sesto
comma, 118 e 133 Cost., e al principio di leale  collaborazione,  con
il ricorso n. 146 del 2011; dalla Regione Umbria, in riferimento agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo,  secondo,
quarto e sesto comma, 118 e  133  Cost.,  e  al  principio  di  leale
collaborazione con il ricorso n. 147 del 2011; 
    11)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 5, del d.l.  13  agosto  2011,  n.
138, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  148  del  2011,
nella formulazione antecedente la sostituzione  introdotta  dall'art.
19, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con  modificazioni,
dalla legge n. 135 del  2012,  promosse  dalla  Regione  Toscana,  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto
comma, 133, secondo comma, anche in relazione agli  artt.  114,  117,
quarto comma, 118 e 119 Cost., con il ricorso n. 133 del 2011;  dalla
Regione Puglia, in riferimento agli artt. 114,  117,  secondo  comma,
lettera p), terzo e quarto comma, e 118 Cost., con il ricorso n.  141
del 2011; dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt.  3,
5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo  e  quarto
comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 144 del 2011; dalla Regione
Veneto, in riferimento  agli  artt.  97,  114,  secondo  comma,  117,
secondo comma, lettera p), terzo e sesto comma, e 118 Cost.,  con  il
ricorso n. 145 del 2011; dalla Regione Liguria, in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e
quarto comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 146 del 2011;  dalla
Regione Umbria, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo  e  secondo
comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133  Cost.,
con il ricorso n. 147 del 2011; 
    12)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 9,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  148  del  2011,  nella
formulazione antecedente la  sostituzione  introdotta  dall'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 135  del  2012,  promosse  dalla  Regione  Puglia,  in
riferimento agli artt. 114, 117, secondo comma, lettera p),  terzo  e
quarto comma, e 118 Cost., con il ricorso  n.  141  del  2011;  dalla
Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 3, 5, 77,  primo  e
secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133
Cost., con il ricorso n. 144  del  2011;  dalla  Regione  Veneto,  in
riferimento all'art. 117, sesto comma, Cost., con il ricorso  n.  145
del 2011; dalla Regione Liguria, in riferimento agli artt. 3, 5,  77,
primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e  quarto  comma,
118 e 133 Cost., con il  ricorso  n.  146  del  2011;  dalla  Regione
Umbria, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo  e  secondo  comma,
97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133 Cost., con  il
ricorso n. 147 del 2011; 
    13)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 11, del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  148  del  2011,  nella
formulazione antecedente la  sostituzione  introdotta  dall'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 135 del  2012,  promosse  dalla  Regione  Toscana,  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto
comma, e 133, secondo comma, anche in relazione agli artt. 114,  117,
quarto comma, 118 e 119 Cost., con il ricorso n. 133 del 2011;  dalla
Regione Puglia, in riferimento agli artt. 114,  117,  secondo  comma,
lettera p), terzo e quarto comma, e 118 Cost., con il ricorso n.  141
del 2011; dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt.  3,
5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo  e  quarto
comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 144 del 2011; dalla Regione
Veneto, in riferimento  agli  artt.  97,  114,  secondo  comma,  117,
secondo comma, lettera p), terzo e sesto comma, e 118 Cost.,  con  il
ricorso n. 145 del 2011; dalla Regione Liguria, in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e
quarto comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 146 del 2011;  dalla
Regione Umbria, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo  e  secondo
comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e  133  Cost.
con il ricorso n. 147 del 2011; 
    14)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 12, del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  148  del  2011,  nella
formulazione antecedente la  sostituzione  introdotta  dall'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 135 del  2012,  promosse  dalla  Regione  Toscana,  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto
comma, e 133, secondo comma, anche in relazione agli artt. 114,  117,
quarto comma, 118 e 119 Cost., con il ricorso n. 133 del 2011;  dalla
Regione Puglia, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera
p), terzo e quarto comma, 114 e 118 Cost. con il ricorso n.  141  del
2011; dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt.  3,  5,
77, primo e secondo comma, 97, 114,  117,  primo,  secondo  e  quarto
comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 144 del 2011; dalla Regione
Veneto, in riferimento  agli  artt.  97,  114,  secondo  comma,  117,
secondo comma, lettera p), terzo e sesto comma, e 118 Cost.,  con  il
ricorso n. 145 del 2011; dalla Regione Liguria, in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e
quarto comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 146 del 2011;  dalla
Regione Umbria, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo  e  secondo
comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133  Cost.,
con il ricorso n. 147 del 2011; 
    15)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 15, del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  148  del  2011,  nella
formulazione antecedente la  sostituzione  introdotta  dall'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 135 del  2012,  promosse  dalla  Regione  Toscana,  in
riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto
comma, e 133, secondo comma, anche in relazione agli artt. 114,  117,
quarto comma, 118 e 119 Cost., con il ricorso n. 133 del 2011;  dalla
Regione Puglia, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera
p), terzo e quarto comma, 114 e 118 Cost. con il ricorso n.  141  del
2011; dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt.  3,  5,
77, primo e secondo comma, 97, 114,  117,  primo,  secondo  e  quarto
comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 144 del 2011; dalla Regione
Veneto, in riferimento  agli  artt.  97,  114,  secondo  comma,  117,
secondo comma, lettera p), terzo e sesto comma, e 118 Cost.,  con  il
ricorso n. 145 del 2011; dalla Regione Liguria, in  riferimento  agli
artt. 3, 5, 77, primo e secondo comma, 97, 114, 117, primo, secondo e
quarto comma, 118 e 133 Cost., con il ricorso n. 146 del 2011;  dalla
Regione Umbria, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, primo  e  secondo
comma, 97, 114, 117, primo, secondo e quarto comma, 118 e 133  Cost.,
con il ricorso n. 147 del 2011; 
    16)  dichiara  inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 17, lettera a), del  d.l.  n.  138
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,
promosse dalla Regione Toscana, in riferimento  agli  artt.  3  e  97
Cost., con il ricorso n. 133 del 2011; 
    17)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 4,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 5, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012; dell'art.  16,  comma  5,
del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l.
n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del
2012, e dell'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del  2012,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012; dell'art.  16,  commi
6, 9 e 10, del d.l. n. 138 del 2011, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma
2, del d.l. n. 95 del  2012,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 135 del 2012,  promosse  dalla  Regione  Emilia-Romagna,  in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., con il ricorso n. 144 del 2011; 
    18)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 4,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 5, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012; dell'art.  16,  comma  5,
del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l.
n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del
2012, e dell'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del  2012,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012; dell'art.  16,  commi
6, 9 e 10, del d.l. n. 138 del 2011, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma
2, del d.l. n. 95 del  2012,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 135 del 2012, promosse dalla Regione Liguria, in riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost., con il ricorso n. 146 del 2011; 
    19)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 4,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 5, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012; dell'art.  16,  comma  5,
del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge
n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l.
n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del
2012, e dell'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del  2012,  convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012; dell'art.  16,  commi
6, 9 e 10, del d.l. n. 138 del 2011, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma
2, del d.l. n. 95 del  2012,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 135 del 2012, promosse dalla Regione Umbria, in  riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost., con il ricorso n. 147 del 2011; 
    20)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 5,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 6, del d.l.  n.  95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012; dell'art. 16, commi 6,  9
e 10, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni,  dalla
legge n. 148 del 2011, nel testo sostituito dall'art.  19,  comma  2,
del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni,  dalla  legge
n. 135 del  2012,  promosse  dalla  Regione  Veneto,  in  riferimento
all'art. 97 Cost., con il ricorso n. 145 del 2011; 
    21)  dichiara  inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,  promossa  dalle  Regioni
Emilia-Romagna, Liguria e Umbria, in riferimento agli  artt.  5,  77,
primo e secondo comma, 114 e 118, primo comma, Cost., con  i  ricorsi
n. 144, 146 e 147 del 2011; 
    22)  dichiara  inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,  promossa  dalla  Regione
Veneto, in riferimento all'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  con  il
ricorso n. 145 del 2011; 
    23)  dichiara  inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,  promossa  dalla  Regione
Lombardia, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma,  119,
quarto comma, e 133, secondo comma, Cost., con il ricorso n. 155  del
2011; 
    24)  dichiara  inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promossa
dalla Regione Lazio, in  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera p), terzo e quarto comma, Cost., con il ricorso  n.  145  del
2012; 
    25)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promosse
dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., con  il
ricorso n. 151 del 2012; 
    26)  dichiara  inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promosse
dalla Regione Veneto, in  riferimento  all'art.  119  Cost.,  con  il
ricorso n. 151 del 2012; 
    27)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 4,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 5, del d.l. n. 95 del 2012; dell'art.  16,  comma
5, del d.l. n. 138 del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma
2, del d.l. n. 95 del 2012, e dell'art. 19, comma 6, del d.l.  n.  95
del 2012; dell'art. 16, commi 6, 9 e 10, del d.l. n.  138  del  2011,
nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del  2012;
dell'art. 16, commi 17, lettera a), 19, 20, e 21, del d.l. n. 138 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge  n.  148  del  2011,
promosse dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt.  114,  133,
secondo comma, anche in relazione agli artt. 114 e 117, quarto comma,
Cost., con il ricorso n. 133 del 2011; 
    28)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, commi 6 e 9, del d.l. n. 138  del  2011,
nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del  2012,
promosse dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt.  114,  117,
terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., con  il  ricorso  n.  133  del
2011; 
    29)  dichiara  non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 5, del d.l. n. 138 del  2011,  nel
testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012; dell'art.  16,  commi
6, 9 e 10, del d.l. n. 138 del 2011, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge n. 148 del  2011,  promossa  dalla  Regione  Toscana,  in
riferimento al principio di leale collaborazione, con il  ricorso  n.
133 del 2011; 
    30)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, commi 17, lettera a), 19, 20 e  21,  del
d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
148 del 2011, promosse dalla Regione Toscana, in riferimento all'art.
117, terzo, quarto e sesto comma, ultima parte, Cost., con il ricorso
n. 133 del 2011; 
    31)  dichiara  non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 28, del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,  promossa
dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 117, terzo e  quarto
comma, e 120, secondo comma, Cost., con il ricorso n. 133 del 2011; 
    32)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 4,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 5, del d.l. n. 95 del 2012; dell'art. 16, commi 6
e 9, del d.l. n. 138 del 2011, nel  testo  sostituito  dall'art.  19,
comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, promosse dalla Regione  Puglia,  in
riferimento agli artt. 114, 117, secondo comma, lettera p),  terzo  e
quarto comma, e 118 Cost., con il ricorso n. 141 del 2011; 
    33)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 4,  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, nel testo
sostituito  dall'art.  19,  comma  2,  del  d.l.  n.  95  del   2012,
convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  n.  135  del  2012,  e
dell'art. 19, comma 5, del d.l. n. 95 del 2012; dell'art. 16, commi 6
e 9, del d.l. n. 138 del 2011, nel  testo  sostituito  dall'art.  19,
comma  2,  del  d.l.  n.  95  del  2012,   promosse   dalle   Regioni
Emilia-Romagna, Liguria e Umbria,  in  riferimento  agli  artt.  114,
primo e secondo comma, 117, primo, secondo comma, lettera p),  118  e
133 Cost. con i ricorsi n. 144, 146 e 147 del 2011; 
    34)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, commi 6 e 9, del d.l. n. 138  del  2011,
nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n. 95 del  2012,
promosse dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, secondo
comma, lettera p), secondo e sesto comma, e 118 Cost., con il ricorso
n. 145 del 2011; 
    35)  dichiara  non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, comma 28, del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,  promossa
dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 Cost.,
con il ricorso n. 145 del 2011; 
    36)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011,  promosse  dalla  Regione
autonoma Sardegna, in riferimento all'art. 3,  primo  comma,  lettera
b), della legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  3  (Statuto
speciale per la Sardegna) e,  limitatamente  all'art.  16,  comma  4,
ultimo  periodo,  del  d.l.  n.  138  del   2011,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, in  riferimento  all'art.
3, primo comma, lettera b),  della  legge  cost.  n.  3  del  1948  e
all'art. 117, sesto comma, Cost., con il ricorso n. 160 del 2011; 
    37)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promosse
dalla Regione Veneto, in riferimento all'art. 118,  primo  e  secondo
comma, Cost., con il ricorso n. 151 del 2012; 
    38)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, commi 1, 2, 3, 8, 11, 12 e 13, del  d.l.
n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  148
del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n.  95
del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,
promosse dalla Regione Veneto, in riferimento all'art. 117 Cost., con
il ricorso n. 151 del 2012; 
    39)  dichiara  non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19, commi 2, 5 e 6, del d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promossa
dalla Regione Campania, in riferimento all'art.  118  Cost.,  con  il
ricorso n. 153 del 2012; 
    40)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, commi 1, 2, 3, 8, 11, 12 e 13, del  d.l.
n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  148
del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n.  95
del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,
promosse dalla Regione Campania, in riferimento all'art.  117  Cost.,
con il ricorso n. 153 del 2012; 
    41)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 19, comma  2,  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,  promosse
dalla Regione autonoma Sardegna, in  riferimento  all'art.  3,  primo
comma, lettera b), della legge cost. n. 3 del 1948, e  all'art.  117,
quarto e sesto comma, Cost., con il ricorso n. 160 del 2012; 
    42)  dichiara  non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 16, commi 1, 2, 3, 4, 6, 8, 9 e 12, del d.l.
n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.  148
del 2011, nel testo sostituito dall'art. 19, comma 2, del d.l. n.  95
del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,
e dell'art. 19, comma 5, del d.l. n. 95  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2011,  promosse  dalla  Regione
Puglia, in riferimento agli artt. 117,  secondo  comma,  lettera  p),
terzo e quarto comma, 118, secondo comma, e  119,  primo,  secondo  e
sesto comma, Cost., con il ricorso n. 172 del 2012. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2014. 
 
                                F.to: 
                    Gaetano SILVESTRI, Presidente 
                   Alessandro CRISCUOLO, Redattore 
                   Massimiliano BONI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2014. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Massimiliano BONI