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N. 7 SENTENZA 22 novembre 2016- 11 gennaio 2017

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Casse di previdenza - Riduzione della spesa per consumi  intermedi  -
  Versamento annuale dei risparmi al bilancio dello Stato. 
- Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95  (Disposizioni  urgenti  per  la
  revisione della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
  cittadini  nonche'  misure  di  rafforzamento  patrimoniale   delle
  imprese del settore bancario) - convertito, con  modificazioni,  in
  legge 7 agosto 2012, n. 135 - art. 8, comma 3. 
-   
(GU n.3 del 18-1-2017 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Paolo GROSSI; 
Giudici :Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario
  MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria
  de PRETIS, Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3,
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito,  con  modificazioni,  in  legge  7
agosto 2012, n. 135, promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento
vertente tra la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a  favore
dei  dottori  commercialisti  -  CNPADC  ed  altri  e  il   Ministero
dell'economia e delle finanze ed altro, con ordinanza  del  4  giugno
2015, iscritta al n. 208 del registro  ordinanze  2015  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42,  prima   serie
speciale, dell'anno 2015. 
    Visti l'atto di costituzione della Cassa nazionale di  previdenza
ed assistenza a favore dei dottori commercialisti -  CNPADC,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  novembre  2016  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi l'avvocato  Aristide  Police  per  la  Cassa  nazionale  di
previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti - CNPADC
e l'avvocato dello  Stato  Amedeo  Elefante  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza iscritta al n. 208 del registro  ordinanze  del
2015, il Consiglio di Stato ha sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012,
n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, in legge 7 agosto  2012,  n.  135  -  con  particolare
riguardo al primo, terzo e quarto periodo della  disposizione  -  per
violazione degli  artt.  2,  3,  23,  35,  36,  38,  53  e  97  della
Costituzione. 
    La questione trae origine dall'appello della Cassa  Nazionale  di
Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti (CNPADC)
e da due iscritti alla Cassa in proprio, sigg. W.A. e R.G.,  proposto
contro la sentenza del Tar Lazio - Roma n. 6103 del 18  giugno  2013,
che aveva rigettato il ricorso avverso  i  provvedimenti  applicativi
dell'art. 8 cit. 
    La norma censurata impone alle Casse di  previdenza  privatizzate
di cui al decreto legislativo 30  giugno  1994,  n.  509  (Attuazione
della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre
1993, n. 537, in materia  di  trasformazione  in  persone  giuridiche
private di  enti  gestori  di  forme  obbligatorie  di  previdenza  e
assistenza), in  forza  della  loro  inclusione  nell'elenco  redatto
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell'articolo
1,  comma  2,  della  legge  30  dicembre  2009,  n.  196  (Legge  di
contabilita'  e  finanza  pubblica),  di   adottare   interventi   di
razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi  intermedi
in modo da assicurare risparmi corrispondenti al 5 per cento  per  il
2012 ed al 10 per cento a partire  dal  2013,  nonche'  di  riversare
annualmente i risparmi di spesa, cosi' conseguiti sui propri  consumi
intermedi, al bilancio dello Stato. 
    In punto di rilevanza, osserva il Consiglio di Stato che gli atti
impugnati sarebbero applicativi dell'art. 8, comma 3, del d.l. n.  95
del 2012, per la parte in cui assoggettano anche la CNPADC al  regime
di versamento previsto dalla predetta  norma;  nella  misura  in  cui
determinano l'imposizione del versamento anche da parte  della  Cassa
appellante, troverebbero il loro diretto e completo presupposto nella
previsione normativa della cui costituzionalita' si dubita e, dunque,
il problema della loro legittimita' non discenderebbe dalla  presenza
di  eventuali  vizi  di  legittimita',  bensi'   dalla   legittimita'
costituzionale del loro fondamento normativo. 
    Ne', secondo  il  rimettente,  la  questione  apparirebbe  ex  se
risolvibile affermando o negando la natura pubblicistica delle  Casse
di previdenza,  posto  che  il  legislatore  avrebbe  "legificato"  i
predetti elenchi e, pertanto, in assenza  di  specifiche  censure  di
illegittimita'  costituzionale  avverso  le  normative  che  a  detti
elenchi fanno rinvio, non ci si potrebbe che limitare a prendere atto
di tale scelta legislativa. 
    Secondo il Consiglio di Stato non sarebbe dirimente la  questione
della natura della personalita'  giuridica  (di  diritto  pubblico  o
privato) delle Casse di previdenza (ovvero della loro  assimilazione,
nominativamente  disposta,  alle   amministrazioni   pubbliche)   ma,
piuttosto, assumerebbe rilievo la provenienza, da  soggetti  privati,
della contribuzione destinata a costituire le risorse per  il  futuro
trattamento pensionistico agli iscritti  alla  Cassa  di  previdenza,
nonche'  il  fatto  che  la  disposizione  impugnata  non  incida  su
trasferimenti a carico  della  finanza  pubblica,  nella  specie  non
presenti, bensi'  imponga  un  prelievo  percentualmente  determinato
sulla misura dei c.d. consumi intermedi, che avrebbero  parimenti  la
loro fonte nelle  somme  percepite  dai  propri  iscritti  e  la  cui
disponibilita' dovrebbe essere  mantenuta  nella  piena  ed  autonoma
determinazione della Cassa medesima. 
    Tanto premesso, il Consiglio di Stato ritiene che l'art. 8, comma
3, del d.l. n. 95 del 2012, imponendo un versamento  obbligatorio  in
favore dello Stato di parte delle somme frutto dei contributi versati
dagli iscritti, finirebbe con il distrarre dette somme, in  dotazione
alla Cassa, dalla loro causa tipica e dalla  ragione,  normativamente
prevista,  che  ne  legittima  l'imposizione.  La   distrazione   dal
perseguimento delle finalita' che  sono  alla  base  dell'imposizione
coattiva integrerebbe la violazione dell'art. 23 Cost., in quanto  il
potere impositivo attribuito alle Casse previdenziali verso i  propri
iscritti sarebbe legato al perseguimento delle predette  finalita'  e
non potrebbe essere vanificato  destinando  parte  delle  risorse  ad
esigenze generali di finanza pubblica. 
    La disposizione impugnata violerebbe altresi' gli artt. 35, 36  e
38, comma 2, Cost., poiche', sottraendo  parte  dei  contributi  alle
Casse,  il  legislatore  inciderebbe  sulla  misura  del  trattamento
pensionistico, da intendersi anche come  «retribuzione  differita»  e
contravverrebbe all'esigenza di  assicurare  mezzi  adeguati  per  le
esigenze connesse alla vecchiaia del lavoratore;  piu'  in  generale,
inciderebbe sulla finalita' di tutela del lavoro,  costituzionalmente
garantita. 
    Inoltre, l'art. 8, comma 3 cit., si porrebbe in conflitto con gli
artt.  2,  3  e  97  Cost.,  in  quanto  il  prelievo  ivi   previsto
inciderebbe, in modo  non  ragionevole,  sulla  autonomia  dell'ente,
impedendo al medesimo di poter  disporre  delle  somme  derivanti  da
contribuzioni  dei  propri  iscritti,  per  destinarle  ad   esigenze
strumentali alla realizzazione delle  finalita'  previdenziali.  Esso
inciderebbe,  altresi',  sul  principio  di  buon   andamento   delle
amministrazioni  pubbliche,  posto  che  non   realizzerebbe   alcuna
economicita' dell'azione amministrativa,  e  determinerebbe  altresi'
una distrazione di somme dalla loro finalita' tipica. 
    Infine, secondo il giudice a quo, la norma  impugnata  violerebbe
gli artt. 3 e 53 Cost. in quanto, dovendosi ritenere che i contributi
versati dagli iscritti siano assimilabili  ai  tributi,  il  prelievo
corrispondente al versamento imposto alla  Cassa,  stabilito  in  una
percentuale fissa in  relazione  alla  spesa  per  consumi  intermedi
dell'anno 2010, non  terrebbe  in  considerazione  ne'  la  capacita'
contributiva   del   soggetto,   ne'   qualsivoglia    criterio    di
progressivita', in cio' determinando altresi' sia una  disparita'  di
trattamento tra soggetti destinatari di una medesima  percentuale  di
esazione,   indipendentemente   dalla   loro   soggettiva   capacita'
contributiva, sia una palese irragionevolezza della previsione. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, deducendo l'inammissibilita'  o,  comunque,  l'infondatezza
delle questioni. 
    Rammenta la difesa erariale che l'art. 8, comma 3, del d.l. n. 95
del 2012, fa parte di una serie di misure tese alla razionalizzazione
e   riduzione   della   spesa   pubblica   contenute   nel   suddetto
decreto-legge,  che  ha  esteso  anche   agli   enti   pubblici   non
territoriali gli obiettivi comuni di contenimento della spesa. 
    L'ambito di applicazione soggettivo delle  suddette  disposizioni
sarebbe quindi stabilito dall'art. 1, comma 2, della  legge  196  del
2009, nel testo modificato dal d.l. 2 marzo 2012,  n.  16,  il  quale
prevede che «ai fini della applicazione delle disposizioni in materia
di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono,  per
l'anno 2011, gli  enti  e  i  soggetti  indicati  a  fini  statistici
nell'elenco  oggetto  del  comunicato  dell'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato  in  pari  data
nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonche', a
decorrere dall'anno 2012, gli enti  e  i  soggetti  indicati  a  fini
statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto  del  comunicato
del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato  in  pari
data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana  n.  228,  le
Autorita'  indipendenti  e,  comunque,  le  amministrazioni  di   cui
all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.
165, e successive modificazioni». 
    Secondo l'interveniente,  il  legislatore  in  tal  modo  avrebbe
stabilito  che  tutte  le  amministrazioni  pubbliche,   cosi'   come
individuate dall'elenco ISTAT cui la legge rinvia, siano destinatarie
delle disposizioni in materia di contenimento della  spesa  pubblica.
L'inclusione di un ente nell'elenco ISTAT - e, di conseguenza, la sua
qualificazione  a  tali  fini  quale  «pubblica  amministrazione»   -
costituirebbe il presupposto per la soggezione all'art. 8,  comma  3,
del d.l. n. 95 del 2012. A  tali  obblighi  sarebbero  dunque  tenuti
tutti gli enti per il solo fatto  di  essere  compresi  nel  predetto
elenco. 
    Poiche' con l'art. 1, comma 2, della legge n. 196  del  2009,  il
legislatore avrebbe sostanzialmente recepito, in via legislativa,  il
predetto elenco ISTAT,  ne  discenderebbe  che,  da  un  canto,  ogni
modificazione  del  suddetto  elenco  non   potrebbe   che   avvenire
attraverso una legge di approvazione; dall'altro, che ogni  questione
relativa alla legittimita' o meno dell'inclusione di un ente in  tale
elenco, essendo rimessa alla discrezionalita'  del  legislatore,  non
potrebbe  che  essere  censurata  nella   forme   del   giudizio   di
legittimita' costituzionale. 
    Secondo la  difesa  erariale,  pertanto,  non  sarebbe  possibile
censurare la legge  che  assoggetta  la  CNPADC  ai  tagli  di  spesa
previsti dalle disposizioni sulla c.d. spending review contenute  nel
d.l. n. 95 del 2012,  se  non  dopo  aver  censurato  la  legge  che,
includendo  la  CNPADC  all'interno  dell'elenco  ISTAT,  le  avrebbe
conferito la qualifica di pubblica amministrazione. Poiche', difatti,
l'art. 8, comma 3, del d.l. 6 luglio 2012 non viene contestato da  un
punto di vista «oggettivo» (vale a dire con riferimento  alle  misure
di contenimento dallo stesso previste), bensi' da un punto  di  vista
«soggettivo» (lamentando la CNPADC di  essere  stata  inclusa  tra  i
destinatari di dette  misure)  e  poiche'  l'ambito  di  applicazione
soggettivo delle misure  previste  nell'ambito  della  c.d.  spending
review  viene  individuato,  per  relationem,   tramite   il   rinvio
all'elenco ISTAT delle pubbliche amministrazioni, sarebbe evidente  -
secondo il Presidente del Consiglio dei ministri - che contestare  la
legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 3, del d.l. n. 95  del
2012 significherebbe censurare la legittimita'  costituzionale  della
qualificazione della Cassa come pubblica amministrazione,  che  pero'
non e' oggetto di doglianza da parte del giudice a quo. 
    Secondo la difesa erariale,  pertanto,  contrariamente  a  quanto
ritenuto dal Consiglio di Stato, la questione  relativa  alla  natura
pubblica o privata della Cassa non potrebbe essere considerata  priva
di rilevanza ai fini della valutazione da effettuarsi in ordine  alla
fondatezza della questione di  costituzionalita'  della  disposizione
impugnata. Poiche', difatti, a mente  dell'art.  1,  comma  1,  della
legge 196 del 2009, «[l]e  amministrazioni  pubbliche  concorrono  al
perseguimento degli obiettivi di  finanza  pubblica  "...definiti  in
ambito nazionale in coerenza con le procedure e i  criteri  stabiliti
dall'Unione   europea..."   e   ne   condividono    le    conseguenti
responsabilita'», l'inserimento delle Casse di previdenza nell'elenco
ISTAT le avrebbe necessariamente gravate dell'obbligo di  contribuire
alle manovre di bilancio ed ai provvedimenti  di  contenimento  della
spesa pubblica. 
    Rammenta  ulteriormente  la  difesa  erariale,  che   lo   stesso
Consiglio di Stato, in una precedente decisione (sentenza n. 6014 del
28 novembre 2012), avrebbe  affermato  che  l'inclusione  nell'elenco
ISTAT delle stesse  «non  e',  infatti,  frutto  di  una  valutazione
arbitraria dell'Amministrazione, ma, al contrario,  corrisponde  alla
qualificazione pubblica degli stessi e  ai  criteri  stabiliti  dalla
legge in coerenza  con  i  principi  desumibili  dall'art.  81  della
Costituzione e con il principio di  uguaglianza  di  cui  all'art.  3
della Costituzione». 
    Osserva il Presidente del Consiglio dei ministri che, anche se si
dovessero qualificare come privati i contributi  versati  alla  Cassa
dagli iscritti, la questione di legittimita'  costituzionale  sarebbe
comunque infondata in quanto l'art. 8, comma 3,  cit.,  richiederebbe
come  unico  requisito,  per   l'assoggettamento   alle   misure   di
contenimento previste nell'ambito  della  c.d.  spending  review,  la
natura  di  pubblica  amministrazione  del  destinatario,  tanto  che
sarebbe  bastato  considerare  che  la  CNPADC  fosse  una   pubblica
amministrazione per concludere nel senso della infondatezza. 
    In ogni caso, secondo  la  difesa  erariale,  il  giudice  a  quo
sarebbe comunque incorso in errore, anche nel considerare private  le
risorse gestite dal fondo.  A  giudizio  dell'interveniente,  invece,
tali risorse deriverebbero la propria natura da quella pubblica della
Cassa e dalle funzioni da essa svolte, sicche' i  due  aspetti  della
vicenda non potrebbero essere singolarmente  considerati,  in  quanto
l'uno (la funzione previdenziale  pubblica  svolta  dalla  Cassa  con
conseguente vincolo di destinazione sulle  somme  da  essa  gestite),
influirebbe inevitabilmente sull'altro (natura della prestazione). 
    A riprova  della  natura  pubblica  delle  risorse  della  Cassa,
secondo  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  vi   sarebbe
l'obbligatorieta' dei contributi, il potere di esazione dei  medesimi
e, infine, l'impossibilita' per gli  iscritti  di  poter  liberamente
disporre di quanto versato. 
    Con riferimento alla denunciata violazione dell'art. 23  e  degli
artt. 3 e 53 Cost., obietta il Presidente del Consiglio dei  ministri
che, con l'introduzione dell'obbligo di versare allo Stato i risparmi
di spesa conseguiti dalle Casse professionali, non si sarebbe  inteso
introdurre un tributo,  in  quanto  si  tratterebbe  di  disposizioni
rivolte   a   tutte   le   amministrazioni    pubbliche,    affinche'
contribuiscano al consolidamento del processo di razionalizzazione  e
revisione della spesa e, quindi, non vi  sarebbe  alcuna  prestazione
patrimoniale imposta, ma solo una redistribuzione  delle  risorse  di
finanza  pubblica.  Procedendo  dal  presupposto  che  la  CNAPDC  e'
un'amministrazione pubblica, sarebbe evidente, per la Presidenza  del
Consiglio  dei  ministri,  che  non  sarebbe  ipotizzabile  ne'   una
violazione dell'art. 3 Cost., in quanto la Cassa e' colpita dai tagli
di spesa come tutte le altre amministrazioni, ne' dell'art. 23 Cost.,
in quanto non si sarebbe in presenza di una prestazione patrimoniale,
ma di una misura trasversale che incide sul  patrimonio  di  ciascuna
amministrazione. Ne', tanto meno, secondo la difesa erariale  sarebbe
configurabile una  violazione  dell'art.  53  Cost.,  in  quanto  non
verrebbe in  rilievo  il  principio  di  capacita'  contributiva  dei
singoli iscritti  alla  Cassa,  non  trovandosi  in  presenza  di  un
tributo, ma  di  una  operazione  di  redistribuzione  della  finanza
pubblica. 
    Neppure, secondo l'interveniente, la norma impugnata si  porrebbe
in contrasto con gli artt. 35,  36,  38,  comma  secondo,  Cost.,  in
quanto non vi sarebbero  ragioni  perche'  la  finalita'  (pubblica),
svolta   delle   casse   previdenziali    tramite    l'accantonamento
obbligatorio di una quota di reddito  professionale,  avrebbe  dovuto
condurre ad esentare la Cassa, rispetto  a  quanto  previsto  per  le
altre  pubbliche  amministrazioni,  dall'obbligo  di  versamento  del
risparmio per consumi intermedi  a  favore  dell'Erario,  misura  che
rientrerebbe tra  gli  interventi  correttivi  di  finanza  pubblica,
coinvolgenti anche gli enti privatizzati. 
    Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, ad escludere la
violazione degli artt. 35, 36 e 38 Cost.,  influirebbe,  inoltre,  il
fatto che, allo stato, non vi  sarebbe  prova  alcuna  che  le  norme
sospettate  di  incostituzionalita'   possano   aver   inciso   sulle
prestazioni a favore dei liberi professionisti iscritti  alle  Casse,
tanto che la stessa CNPADC, nelle proprie difese, avrebbe prospettato
come mera eventualita', che, per  effetto  delle  disposizioni  della
c.d. spending review, possa esservi un depauperamento del monte delle
contribuzioni dei professionisti  iscritti  alla  Cassa.  Quindi,  la
disposizione  impugnata  non  avrebbe   direttamente   inciso   sulle
prestazioni a favore dei liberi professionisti iscritti  alle  Casse,
dato che non  sarebbe  stata  dimostrata  alcuna  decurtazione  delle
prestazioni previdenziali loro assicurate in base alle norme vigenti. 
    Infine, osserva il Presidente del Consiglio dei ministri  che  la
pretesa  violazione  dei  principi   costituzionali   invocati,   non
deriverebbe dal d.l. n. 95 del 2012, che individua solo  l'ambito  di
applicazione soggettiva delle misure di tagli  alla  spesa  pubblica,
facendo riferimento alla nozione di  «pubblica  amministrazione»,  ma
dagli elenchi ISTAT che hanno disposto la suddetta equiparazione.  Si
tratterebbe di restrizioni di spesa imposte soprattutto  ai  soggetti
che beneficiano di contributi e  finanziamenti  pubblici,  necessarie
per garantire il rispetto del  principio  del  pareggio  di  bilancio
sancito dall'art. 81 Cost., anche alla  luce  degli  impegni  assunti
dall'Italia con le autorita' europee. 
    Secondo il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  quindi,  nel
valutare la conformita' alla Costituzione della norma  censurata,  si
dovrebbero tenere a mente  anche  le  ragioni  che  hanno  spinto  il
legislatore a predisporre una disciplina tanto rigorosa, e quindi  si
imporrebbe di ponderare adeguatamente l'art. 81 Cost. con  gli  altri
parametri costituzionali  richiamati  dal  Consiglio  di  Stato,  nel
rispetto dei principi di proporzionalita' e ragionevolezza, posta  la
necessita' di individuare un  punto  di  equilibrio  dinamico  e  non
prefissato, in anticipo tra  tutti  i  vari  diritti  tutelati  dalla
Costituzione. 
    3.- Si e' costituita in giudizio  anche  la  Cassa  Nazionale  di
Previdenza  ed  Assistenza  a  favore  dei  Dottori   Commercialisti,
svolgendo argomentazioni a sostegno dell'accoglimento della questione
di legittimita' costituzionale sollevata. 
    Secondo la parte, l'art. 8, comma 3, secondo periodo, del d.l. n.
95 del 2012, si rivelerebbe incostituzionale perche',  con  esso,  il
legislatore avrebbe introdotto  una  forma  di  surrettizio  prelievo
tributario - destinato ai soli enti previdenziali privatizzati -  del
tutto svincolato dal rispetto dei noti parametri di ragionevolezza  e
progressivita', attraverso il quale le risorse private devolute  alla
gestione della  CNPADC  e  destinate  all'erogazione  di  trattamenti
previdenziali ed assistenziali sono trasferite  all'erario,  per  non
meglio specificate esigenze finanziarie pubbliche. 
    Evidenzia che gli enti previdenziali  privatizzati  a  mente  del
d.lgs. n. 509 del 1994 non beneficiano  di  alcun  trasferimento  e/o
finanziamento pubblico e non godono di alcuna garanzia da parte dello
Stato,  per  quanto  attiene  ad  un'eventuale  situazione  di  grave
disavanzo, essendo,  anzi,  previsto  il  ricorso  alla  liquidazione
coatta   amministrativa   laddove   sia   impossibile    ripristinare
l'originario equilibrio economico-finanziario. 
    Rammenta, inoltre, che la Corte  Costituzionale,  nella  sentenza
[recte: ordinanza] n. 214 del 1999, ha sottolineato come il d.lgs. n.
509 del  1994  abbia  introdotto  un  «nuovo  sistema  autofinanziato
conseguente alla  privatizzazione».  Un  conto  sarebbe,  quindi,  la
rilevanza pubblicistica che connota sia la funzione  che  l'attivita'
della Cassa, ed un altro l'origine e la natura delle risorse  in  se'
considerate. 
    In sostanza, l'assenza di un contributo pubblico escluderebbe  la
natura pubblica del patrimonio. 
    Con riferimento alla violazione degli artt. 3, 35, 36,  38  e  97
Cost., la parte sostiene che il legislatore, con la norma  impugnata,
non  abbia  operato   un   ragionevole   bilanciamento   dei   valori
costituzionali (sentenza n. 70 del 2015) della tutela, anche  futura,
dei  lavoratori  e  delle  esigenze  di  risanamento  delle   finanze
pubbliche e sarebbe, comunque, discriminatoria, in quanto  colpirebbe
esclusivamente alcune categorie di lavoratori per il  solo  fatto  di
esercitare professioni  regolamentate  con  obbligo  d'iscrizione  ai
relativi enti previdenziali. Evidenzia, che i consumi  intermedi  non
costituiscono una spesa per l'erario, ma sarebbero espressione  della
autonomia gestionale,  organizzativa  e  contabile  riconosciuta  dal
d.lgs. n. 509 del 1994 agli enti  previdenziali  privatizzati,  quale
corollario dell'obbligo dei medesimi di  attenersi  ad  una  rigorosa
gestione economico-finanziaria tale  da  assicurare  l'equilibrio  di
bilancio, pena la liquidazione  coatta  amministrativa,  senza  poter
accedere a finanziamenti pubblici. 
    Ne  deriverebbe,  quindi,  secondo  la  medesima,  la  violazione
dell'art.  97  Cost.,  in  quanto  la  norma  impugnata  colpisce  il
patrimonio vincolato della Cassa, formato da versamenti  dei  privati
destinati   all'erogazione   di    prestazioni    previdenziali    ed
assistenziali, costituzionalmente garantite dall'art. 38 Cost. 
    La norma impugnata violerebbe ulteriormente  gli  artt.  3  e  97
Cost., perche' il prelievo imposto inciderebbe in misura  strutturale
sulla capacita' della Cassa di perseguire efficacemente le  finalita'
attribuite dalla legge, sebbene la Corte (sentenza n. 178  del  2015)
abbia  riconosciuto  che   «l'emergenza   economica»,   pur   potendo
giustificare  interventi  eccezionali,  non  consenta  di  introdurre
misure strutturali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe il Consiglio di Stato ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma
3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario),  convertito  con  modificazioni  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento agli artt.
2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97 della Costituzione, nella parte in  cui
applica anche alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per  i
dottori commercialisti (CNPADC) un prelievo  commisurato  alle  spese
per consumi intermedi dell'esercizio 2010. 
    L'art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 stabilisce che: «Ferme
restando le misure di contenimento della spesa  gia'  previste  dalle
vigenti disposizioni, al fine di assicurare la riduzione delle  spese
per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato  agli
enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di
autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione, come individuati dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge  31
dicembre 2009,  n.  196,  nonche'  alle  autorita'  indipendenti  ivi
inclusa la Commissione nazionale per le societa' e la borsa  (Consob)
con esclusione delle regioni, delle province autonome di Trento e  di
Bolzano,  degli  enti  locali,  degli  enti  del  servizio  sanitario
nazionale, e delle  universita'  e  degli  enti  di  ricerca  di  cui
all'allegato n. 3, sono  ridotti  in  misura  pari  al  5  per  cento
nell'anno 2012 e al 10 per cento a  decorrere  dall'anno  2013  della
spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010. Nel caso in cui
per effetto delle operazioni di gestione la  predetta  riduzione  non
fosse possibile, per gli enti interessati si applica la  disposizione
di cui  ai  periodi  successivi.  Gli  enti  e  gli  organismi  anche
costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria,  che
non  ricevono  trasferimenti  dal  bilancio  dello   Stato   adottano
interventi di razionalizzazione per  la  riduzione  della  spesa  per
consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti  alle
misure indicate nel periodo precedente; le somme  derivanti  da  tale
riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo  dell'entrata
del bilancio dello Stato entro il 30  giugno  di  ciascun  anno.  Per
l'anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il  presente
comma non si applica agli enti e organismi  vigilati  dalle  regioni,
dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali». 
    1.1.- Secondo il rimettente la norma violerebbe gli artt. 35,  36
e 38, secondo comma,  Cost.,  in  quanto,  per  esigenze  di  finanza
pubblica, distrarrebbe somme destinate a finalita' previdenziali, con
cio' incidendo sulla misura del trattamento pensionistico inteso come
«retribuzione  differita»,  tenuto  anche  conto  delle   particolari
caratteristiche del sistema mutualistico introdotto per la  Cassa  in
questione dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509  (Attuazione
della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre
1993, n. 537, in materia  di  trasformazione  in  persone  giuridiche
private di  enti  gestori  di  forme  obbligatorie  di  previdenza  e
assistenza). 
    Il Consiglio di Stato ritiene inoltre che siano violati gli artt.
2, 3 e 97 Cost. poiche' il prelievo imposto  dal  censurato  art.  8,
comma  3,  inciderebbe  in  modo   non   ragionevole   sull'autonomia
dell'ente,  sulla  disponibilita'  e  sulla  destinazione  di   somme
derivanti dalle contribuzioni dei propri iscritti. Infatti, mentre il
prelievo risponderebbe a  logica  per  le  amministrazioni  pubbliche
finanziate dallo Stato, per la CNPADC, che deve gestire la previdenza
in  regime  di  autofinanziamento,  esso  sarebbe   irragionevole   e
contrario alle finalita' statutarie della Cassa stessa.  Il  prelievo
contrasterebbe altresi' con il principio di  buon  andamento  di  cui
all'art. 97 Cost., considerato che determinerebbe la  distrazione  di
somme dalla loro finalita' tipica ed una  sostanziale  riduzione  del
finanziamento  delle  prestazioni   pensionistiche,   piuttosto   che
realizzare una maggiore economicita' dell'azione amministrativa. 
    Inoltre,  secondo  il  rimettente,  la   disposizione   impugnata
violerebbe anche gli artt. 3 e 53 Cost. Cio' in  quanto  il  prelievo
imposto dalla norma  in  questione,  essendo  determinato  in  misura
percentuale su quanto complessivamente speso  dall'ente  per  consumi
intermedi nell'anno 2010, non sarebbe progressivo e non  terrebbe  in
alcun conto la capacita' contributiva del soggetto,  determinando  in
tal modo una disparita' di trattamento tra  soggetti  destinatari  di
una medesima percentuale di esazione. 
    Infine,  secondo  il   rimettente   la   disposizione   impugnata
violerebbe l'art. 23 Cost., in quanto, nel  prevedere  il  versamento
obbligatorio di una parte dei contributi  previdenziali  dei  privati
iscritti all'ente, distrarrebbe dette somme dalla loro causa tipica. 
    1.2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  deducendo  l'inammissibilita'  o  comunque  l'infondatezza
delle questioni. 
    A  suo  avviso  la  questione  di   legittimita'   costituzionale
sollevata dal giudice a quo sarebbe inammissibile  in  ragione  della
consequenzialita'    tra    iscrizione    nell'elenco     predisposto
dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e debenza del prelievo.
Evidenzia  in  proposito  che  il  giudice  rimettente  non   avrebbe
impugnato l'art. 1, comma 2, della legge 31  dicembre  2009,  n.  196
(Legge  di  contabilita'  e  finanza  pubblica):  tale  disposizione,
includendo la CNPADC nell'elenco ISTAT, costituirebbe il  presupposto
del prelievo a favore dell'Erario, sicche' la prescrizione  impugnata
realizzerebbe, in ragione di detta propedeutica iscrizione, un regime
unitario di partecipazione agli obiettivi  di  finanza  pubblica  per
tutti  gli  enti  appartenenti   al   consolidato   delle   pubbliche
amministrazioni. 
    Nel merito, la difesa  erariale  rileva  che,  nell'ambito  delle
misure tese alla razionalizzazione e riduzione della spesa  pubblica,
il d.l. n. 95 de 2012 sulla cosiddetta spending review avrebbe esteso
agli enti pubblici non territoriali gli obiettivi di contenimento tra
i quali quelli contenuti nell'art. 8, comma 3, di detto decreto. 
    Secondo l'intervenuto, il legislatore avrebbe  individuato  quali
destinatari delle disposizioni in materia di contenimento della spesa
pubblica tutte  le  amministrazioni  pubbliche  comprese  nell'elenco
ISTAT cui la legge rinvia. L'inclusione di un ente nell'elenco  ISTAT
- e, pertanto, la sua qualificazione quale pubblica amministrazione -
costituirebbe il presupposto per la soggezione all'art. 8,  comma  3,
d.l. n. 95 del 2012. 
    Ad avviso della difesa erariale non sarebbe  possibile  censurare
la legge che assoggetta la CNPADC alle riduzioni  di  spesa  previste
dal decreto sulla spending review se non dopo aver censurato la legge
che, includendo il predetto ente all'interno  dell'elenco  ISTAT,  lo
qualifica come pubblica amministrazione. La CNPADC invece non avrebbe
impugnato tale normativa. 
    Il Presidente del Consiglio rileva inoltre che anche  le  risorse
gestite  dal  fondo  avrebbero  natura  pubblica.  Tale  connotazione
deriverebbe, oltre che dal  carattere  pubblicistico  delle  funzioni
svolte dalla Cassa, dal fatto: a) che i contributi degli iscritti non
sono volontari ma imposti da specifica normativa;  b)  che  gli  enti
privatizzati hanno un potere autoritativo di esazione dei contributi;
c) che gli iscritti non hanno facolta'  di  disporre  liberamente  di
quanto versato. 
    Da cio' discenderebbe che l'art. 8, comma 3, del d.l. n.  95  del
2012 non violerebbe l'art. 3  Cost.,  in  quanto  i  tagli  di  spesa
colpirebbero tutte le amministrazioni pubbliche inserite  nell'elenco
ISTAT. 
    Secondo il Presidente del Consiglio, la norma  impugnata  non  si
porrebbe neppure in contrasto con gli artt.  35,  36  e  38,  secondo
comma, Cost., in considerazione della natura pubblica della CNPADC  e
dei fondi  di  cui  essa  dispone.  Cio'  giustificherebbe  anche  il
versamento obbligatorio dei risparmi all'Erario per la  realizzazione
di interventi correttivi di finanza pubblica da  parte  dello  Stato,
ipotesi non lesiva dei precetti contenuti negli artt. 38 e 97 Cost. 
    Infine, secondo l'intervenuto non  sarebbe  stata  fornita  prova
degli effetti negativi ipoteticamente prodotti dalla norma impugnata,
in quanto i professionisti iscritti alla Cassa non  avrebbero  subito
decurtazioni delle prestazioni previdenziali  loro  assicurate  dalle
norme vigenti. 
    2.- Ai fini  della  presente  decisione  sono  necessarie  alcune
premesse. 
    L'elenco delle amministrazioni pubbliche  appartenenti  al  conto
economico consolidato previsto dall'art. 1, comma 3, della  legge  n.
196 del 2009 - come modificato dal decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16
(Disposizioni urgenti in materia di  semplificazioni  tributarie,  di
efficientamento e potenziamento  delle  procedure  di  accertamento),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  26
aprile 2012, n. 44 - e' stato  istituito  in  attuazione  di  precisi
obblighi comunitari sulla base di norme classificatorie e definitorie
proprie del sistema statistico nazionale ed  europeo,  ai  sensi  del
regolamento CE n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno 1996 modificato
dal Regolamento UE 549/2013 relativo al «Sistema  Europeo  dei  Conti
Nazionali e  Regionali  nell'Unione  Europea»  (SEC2010).  I  criteri
utilizzati    per    la    classificazione     sono     di     natura
statistico-economica. Tale regolamento e' servente  alla  definizione
delle politiche dell'Unione europea ed al monitoraggio delle economie
degli Stati membri e dell'Unione economica e monetaria (UEM), i quali
«richiedono informazioni comparabili, aggiornate e  affidabili  sulla
struttura dell'economia e l'evoluzione della situazione economica  di
ogni Stato membro o regione» (considerando n. 1 del regolamento UE n.
549/2013). 
    La Commissione utilizza  gli  aggregati  dei  conti  nazionali  e
regionali,  raccolti  attraverso  tali  informazioni,  per   i   fini
amministrativi dell'Unione  e,  in  particolare,  per  i  calcoli  di
bilancio. Dunque, il sistema  europeo  dei  conti,  disciplinato  dai
richiamati  regolamenti,  prevede  una  metodologia  finalizzata   al
monitoraggio della convergenza economica ed al conseguimento  di  uno
stretto coordinamento delle politiche finanziarie europee. 
    La CNPADC e'  classificata,  secondo  l'allegato  A  (Capitolo  2
«Unita'  e  insiemi  di  unita'»  -   I   settori   istituzionali   -
Amministrazioni pubbliche S.13) del regolamento UE n.  549/2013,  nel
sottosettore S.1314, afferente agli «Enti di previdenza e  assistenza
sociale»  (2.117),  il  quale  «comprende  le  unita'   istituzionali
centrali, di Stati federati e locali,  la  cui  attivita'  principale
consiste nell'erogare prestazioni sociali che rispondono ai  seguenti
due criteri: a) in forza di disposizioni legislative o  regolamentari
determinati gruppi della popolazione sono  tenuti  a  partecipare  al
regime o a versare contributi; b) le amministrazioni  pubbliche  sono
responsabili della gestione dell'istituzione per quanto  riguarda  la
fissazione o l'approvazione dei contributi  e  delle  prestazioni,  a
prescindere dal loro ruolo di organismo di sorveglianza o  di  datore
di lavoro». 
    Nell'ambito delle procedure di convergenza  verso  gli  obiettivi
europei di contenimento della spesa pubblica, l'inserimento  in  tale
elenco ha comportato per l'ente previdenziale  la  sottoposizione  ai
pertinenti vincoli di riduzione della spesa. Tuttavia,  a  differenza
della maggior parte degli  enti  pubblici  e  dei  soggetti  inseriti
nell'elenco, la CNPADC non gode di finanziamenti pubblici che -  anzi
-  sono  vietati  dalla  legge  istitutiva:  «Gli  enti   trasformati
continuano a svolgere le attivita' previdenziali e  assistenziali  in
atto  riconosciute  a  favore  delle  categorie   di   lavoratori   e
professionisti per le quali  sono  stati  originariamente  istituiti,
ferma  restando  la  obbligatorieta'   della   iscrizione   e   della
contribuzione. Agli enti stessi  non  sono  consentiti  finanziamenti
pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli  connessi  con
gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali» (art.  1,  comma
3, d.lgs. n. 509 del 1994). 
    E' altresi' utile un'ulteriore premessa circa la natura giuridica
della CNPADC e la sua sostanziale irrilevanza nell'ambito  del  thema
decidendum. 
    La trasformazione della Cassa operata dal d.lgs. n. 509 del 1994,
pur avendo inciso sulla forma giuridica dell'ente e  sulle  modalita'
organizzative delle sue funzioni,  non  ha  modificato  il  carattere
pubblicistico   dell'attivita'   istituzionale   di   previdenza   ed
assistenza, che mantiene non solo una funzione strettamente correlata
all'interesse pubblico di  assicurare  dette  prestazioni  sociali  a
particolari categorie di lavoratori, ma acquisisce un ruolo rilevante
in  ambito  europeo  attraverso  l'inclusione  delle  risultanze  del
relativo bilancio nel calcolo del prodotto nazionale lordo ai  prezzi
di mercato (PNLpm), mediante le uniformi regole di  contabilizzazione
del sistema europeo  dei  conti  economici  integrati.  Al  riguardo,
questa Corte ha  avuto  modo  di  affermare  che  «dal  quadro  cosi'
tracciato [dalla riforma] emerge che la  suddetta  trasformazione  ha
lasciato   immutato   il   carattere   pubblicistico   dell'attivita'
istituzionale  di  previdenza  ed  assistenza  svolta   dagli   enti,
articolandosi  invece  sul  diverso  piano  di  una  modifica   degli
strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei
soggetti stessi: l'obbligo contributivo  costituisce  un  corollario,
appunto,   della   rilevanza   pubblicistica   dell'inalterato   fine
previdenziale.  L'esclusione  di  un  intervento   a   carico   della
solidarieta' generale consegue alla stessa scelta di trasformare  gli
enti, in quanto implicita nella premessa che  nega  il  finanziamento
pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario»  (sentenza
n. 248 del 1997). 
    3.-   Tanto    premesso,    l'eccezione    di    inammissibilita'
dell'Avvocatura dello Stato, argomentata  in  ragione  della  mancata
considerazione della iscrizione nell'elenco ISTAT e delle conseguenze
che  ne  deriverebbero  automaticamente  in  punto  di  debenza   del
prelievo, non puo' essere accolta. 
    Secondo la difesa dello Stato, il fatto che la CNPADC  sia  stata
individuata dalla legge quale componente dell'elenco  ISTAT,  nonche'
risulti destinataria delle disposizioni in  materia  di  contenimento
della spesa pubblica, costituirebbe indefettibile presupposto per  la
soggezione dell'ente previdenziale all'art. 8, comma 3, del  d.l.  n.
95 del  2012  e,  conseguentemente,  il  giudice  rimettente  avrebbe
compiuto una sorta di aberratio ictus, nel  censurare  la  legge  che
prevede il prelievo ai danni della CNPADC stessa anziche'  l'art.  1,
comma 2, della legge n. 196 del 2009, come modificato dal d.l. n.  16
del 2012, il quale, includendo il predetto  ente  nell'elenco  ISTAT,
comporterebbe  l'automatica  applicazione  del  prelievo   a   favore
dell'Erario. 
    Nella prospettazione del giudice rimettente, al contrario, non e'
contestata la legittimita' dell'inclusione della  CNPADC  nell'elenco
delle amministrazioni ISTAT e neppure  la  legittimita'  della  prima
parte della disposizione, laddove vengono dettate  norme  finalizzate
alla riduzione della spesa per consumi intermedi. 
    Infatti, se da un lato egli menziona l'intero comma  3,  compresa
la parte riferita  agli  enti  che  non  ricevono  trasferimenti  dal
bilancio dello Stato e la prescrizione  afferente  ad  interventi  di
razionalizzazione della spesa, dall'altro chiarisce che la  questione
riguarda  «gli  atti  impugnati,  nella  misura  in  cui  determinano
l'imposizione del versamento anche da parte della  Cassa  appellante,
trovan[d]o il loro diretto e completo  presupposto  nella  previsione
normativa della  cui  costituzionalita'  si  dubita,  e,  dunque,  il
problema della loro legittimita' (in parte qua)  non  discende  dalla
presenza di eventuali vizi di legittimita', bensi' dalla legittimita'
costituzionale del loro fondamento normativo». 
    Pertanto, l'eccezione d'inammissibilita' non puo' essere accolta,
dal momento che l'ordinanza di rimessione si limita a dubitare  della
legittimita' costituzionale  del  prelievo  operato  dal  legislatore
statale nei confronti della CNPADC, tema  che  costituisce  l'oggetto
del presente giudizio. 
    4.-   Venendo   al   merito,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3, 38 e  97  Cost.
con riguardo alla  sola  prescrizione  inerente  all'imposizione  del
versamento annuale nelle casse dello Stato, e' fondata. 
    Per  quanto  di  seguito  meglio  specificato,   la   scelta   di
privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del  bilancio  statale
rispetto alla garanzia, per  gli  iscritti  alla  CNPADC,  di  vedere
impiegato  il  risparmio  di  spesa  corrente  per   le   prestazioni
previdenziali non e' conforme ne' al canone della ragionevolezza, ne'
alla  tutela  dei  diritti  degli  iscritti  alla  Cassa,   garantita
dall'art.  38  Cost.,  ne'   al   buon   andamento   della   gestione
amministrativa della medesima. 
    4.1.- Sotto il  profilo  della  ragionevolezza,  l'art.  3  Cost.
risulta violato per l'incongrua  scelta  di  sacrificare  l'interesse
istituzionale della  CNPADC  ad  un  generico  e  macroeconomicamente
esiguo impiego nel bilancio statale. 
    L'esame del contesto  legislativo  rivela  come  la  disposizione
censurata operi in deroga all'ordinario  regime  di  autonomia  della
Cassa, in parte alterando il vincolo funzionale tra contributi  degli
iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali. 
    Prescindendo dall'indagine sulla natura del contributo, e  tenuto
conto che le politiche statali possono, in  particolari  contingenze,
incidere anche sull'autonomia finanziaria di un  ente  pubblico,  nel
caso in esame la  compressione  di  un  principio  di  sana  gestione
finanziaria, come quello inerente alla natura mutualistica degli enti
privatizzati di cui all'art. 1  del  d.lgs.  n.  509  del  1994,  non
risulta  proporzionato  all'alternativa  di  assicurare  un  prelievo
generico a favore del bilancio dello Stato. Mentre l'interesse  della
CNPADC e' specificamente riferibile alla  missione  istituzionale  di
gestire ed assicurare nel tempo  le  prestazioni  previdenziali  agli
associati, quello dello Stato e' - per obiettiva conformazione  della
norma impugnata - circoscritto alla generica copertura del  complesso
della spesa.  Nella  ponderazione  delle  due  finalita'  non  appare
ragionevole il sacrificio - a  beneficio  di  un  generico  interesse
dello Stato ad arricchire, in modo  peraltro  marginale,  le  proprie
dotazioni di entrata - di  quella  della  CNPADC,  che  e'  collegata
intrinsecamente  alla  necessaria  autosufficienza   della   gestione
pensionistica. 
    In particolare, con riguardo al  bilanciamento  tra  le  esigenze
istituzionali della Cassa e quelle del  bilancio  statale,  non  puo'
essere  condiviso  l'assunto  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato
secondo cui l'interesse dell'ente  previdenziale  a  mantenere  parte
delle risorse acquisite attraverso la  contribuzione  degli  iscritti
sarebbe recessivo rispetto all'esigenza di  prelevare  dette  risorse
«per garantire il rispetto del principio  del  pareggio  di  bilancio
sancito dall'art. 81 Cost. anche alla luce degli impegni assunti  dal
nostro Paese con le autorita' europee». 
    La difesa statale desume  un'arbitraria  correlazione  eziologica
tra l'art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009,  la  prima  parte
dell'art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del  2012,  non  contestata  dal
giudice rimettente, e la seconda parte del medesimo comma 3 dell'art.
8: l'iscrizione nell'elenco  ISTAT  della  CNPADC  non  comporterebbe
soltanto   la   considerazione   di   quest'ultima   nel    complesso
macroeconomico  della  finanza  pubblica  da  coordinare   attraverso
l'imposizione di economie della spesa per beni intermedi, ma anche il
prelievo di tali economie a beneficio dello Stato. Al contrario, come
gia' premesso, tale rapporto di causalita' tra le citate disposizioni
non sussiste. E' di tutta evidenza che la  prima  parte  della  norma
impugnata provvede in modo costituzionalmente legittimo ad assicurare
- attraverso il risparmio e  l'accantonamento  della  percentuale  di
spesa pertinente a  ciascuno  dei  soggetti  rientranti  nel  sistema
europeo dei conti nazionali e regionali dell'Unione europea-SEC  2010
-  il  coordinamento  della  finanza  pubblica   allargata   per   il
raggiungimento degli obiettivi concordati in sede europea, mentre  la
seconda parte introduce un finanziamento a favore dell'Erario. 
    Pertanto, e' la sola disposizione dell'art. 8, comma 3, impugnata
dal rimettente a porre in essere un prelievo indebito  nei  confronti
della   CNPADC   -   il    quale    determina,    nella    situazione
economico-patrimoniale della destinataria, una minusvalenza correlata
ad una speculare plusvalenza a favore  del  bilancio  dello  Stato  -
mentre quella che impone la riduzione degli oneri per beni intermedi,
oltre al coordinamento finalizzato al rispetto dei  vincoli  europei,
costituisce di per se' anche un  meccanismo  idoneo  a  rendere  piu'
efficiente la gestione pensionistica nella misura in  cui  riduce  le
spese correnti della Cassa, indirizzando il risparmio  alla  naturale
destinazione delle prestazioni previdenziali. 
    A parte il  fatto  che  nella  manovra  di  finanza  pubblica  il
contestato prelievo assume valore neutro, dal momento  che  il  saldo
complessivo  delle  risorse  disponibili  nel  consolidato   pubblico
risulta invariato, tale prelievo costituisce una scelta autonoma  del
legislatore statale (consistente nel trasferimento di  risorse  della
CNPADC al proprio  bilancio),  del  tutto  distinta  dall'adempimento
degli obblighi di riduzione della spesa concordati in sede europea. 
    Se, in astratto, non puo' essere  disconosciuta  la  possibilita'
per lo  Stato  di  disporre,  in  un  particolare  momento  di  crisi
economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che
- come la CNPADC - sostanzialmente  si  autofinanziano  attraverso  i
contributi dei propri iscritti, non e' invece conforme a Costituzione
articolare  la  norma  nel  senso  di  un  prelievo   strutturale   e
continuativo nei riguardi  di  un  ente  caratterizzato  da  funzioni
previdenziali  e  assistenziali  sottoposte   al   rigido   principio
dell'equilibrio tra risorse  versate  dagli  iscritti  e  prestazioni
rese. 
    Alla luce di tali considerazioni  risultano  capovolte  anche  le
argomentazioni  dell'Avvocatura   dello   Stato,   secondo   cui   la
fattispecie normativa in esame sarebbe  il  portato  di  un'«adeguata
ponderazione» delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica  di
cui  all'art.  81  Cost.  con  «gli  altri  parametri  costituzionali
richiamati dal Consiglio di Stato [...] nel rispetto dei principi  di
proporzionalita'  e  ragionevolezza  [...]  in  relazione  alla  pari
necessita'  di  rispetto  dell'art.  81  Cost.  ed  alla  luce  della
necessita' di individuare un  punto  di  equilibrio  dinamico  e  non
prefissato in anticipo tra tutti i vari diritti tutelati dalla  Carta
costituzionale». 
    Una valutazione in termini di proporzionalita' e  di  adeguatezza
tra i dialettici interessi  in  gioco  puo'  essere  realizzata  solo
all'interno   del   quadro   legislativo   della   materia   «secondo
determinazioni discrezionali del legislatore, le quali devono  essere
basate sul ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli
interessi costituzionali coinvolti nell'attuazione graduale  di  quei
principi,  compresi  quelli  connessi   alla   concreta   e   attuale
disponibilita' delle risorse finanziarie e dei  mezzi  necessari  per
far fronte ai relativi impegni di spesa» (sentenza n. 119 del  1991).
Infatti, se il costante orientamento di questa Corte e' nel senso che
il  legislatore  conserva  piena  liberta'  di  scelta  tra   sistemi
previdenziali   di   tipo   mutualistico   -   caratterizzati   dalla
corrispondenza  fra  rischio  e  contribuzione  e  da  una   rigorosa
proporzionalita' fra  contributi  e  prestazioni  previdenziali  -  e
sistemi  di  tipo  solidaristico   -   caratterizzati,   di   regola,
dall'irrilevanza della proporzionalita' tra contributi e  prestazioni
previdenziali - una volta scelta con chiarezza  la  prima  delle  due
opzioni, il bilanciamento degli  interessi  in  gioco  deve  avvenire
tenendo conto della soluzione normativa prevista dal  d.lgs.  n.  509
del 1994. 
    Nel caso in  esame,  quest'ultima  e'  nel  senso  di  realizzare
modalita' di finanziamento del  sistema  pensionistico  della  CNPADC
attraverso la capitalizzazione  dei  contributi  versati  da  ciascun
lavoratore prima della quiescenza. Tali contributi sono gestiti dalla
Cassa attraverso  criteri  di  autonomia  delineati  dal  legislatore
secondo accantonamenti a basso rischio,  cosicche',  al  momento  del
pensionamento,   ogni   lavoratore   ritira   il   proprio   montante
contributivo, cioe' quanto versato sino alla  quiescenza,  maggiorato
dai cosiddetti  coefficienti  di  trasformazione.  Questa  scelta  si
contrappone al sistema dell'Istituto nazionale di  previdenza  per  i
dipendenti  dell'amministrazione  pubblica  (INPDAP),  ora  confluito
nell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nel quale il
pagamento delle pensioni viene effettuato  utilizzando  i  contributi
correntemente versati dai  lavoratori  in  servizio  e  dai  relativi
datori di lavoro, senza che  si  effettui  alcun  accantonamento  dei
contributi stessi. 
    Negli anni '90 il legislatore italiano  ha  ritenuto  che  i  due
sistemi   potessero   coesistere   in   ragione   delle    specifiche
peculiarita'. Risulta, quindi,  evidente  come  in  quello  in  esame
esista  un  collegamento  chiaro  ed  indefettibile  fra  volume  dei
contributi versati e  livello  delle  prestazioni  rese,  legame  che
comporta un forte richiamo alla responsabilita'  del  gestore,  dalla
cui buona amministrazione dipende in sostanza il mantenimento  di  un
sistema che non puo' altrimenti finanziarsi. 
    In definitiva,  se  in  Costituzione  non  esiste  un  vincolo  a
realizzare un assetto organizzativo  autonomo  basato  sul  principio
mutualistico, occorre tuttavia evidenziare che, una volta scelta tale
soluzione, il  relativo  assetto  organizzativo  e  finanziario  deve
essere preservato in modo coerente con l'assunto dell'autosufficienza
economica,  dell'equilibrio  della  gestione   e   del   vincolo   di
destinazione tra contributi e prestazioni. 
    4.2.- Sotto il profilo del buon  andamento  di  cui  all'art.  97
Cost., non puo' essere ignorato che la riforma della CNPADC, avvenuta
in attuazione del portato normativo del d.lgs. n. 509  del  1994,  e'
ispirata dall'esigenza di percorrere una strada alternativa  di  tipo
mutualistico rispetto alla soluzione «generalista»  della  previdenza
dei  dipendenti  pubblici  rappresentata  dal  sistema  INPDAP,   ora
accorpato all'INPS. 
    Tale   alternativa   consiste   sostanzialmente    nell'autonomia
finanziaria comportante l'assoluto divieto di contribuzione da  parte
dello Stato, nonche' la ricerca di equilibri  di  lungo  periodo  sul
piano previdenziale, finanziario ed economico. 
    In definitiva, si tratta di un sistema progettato  e  finalizzato
all'equilibrio di lungo periodo di cui e' connotato  sintomatico  «la
previsione  di  una  riserva  legale,  al  fine  di   assicurare   la
continuita'  nell'erogazione  delle  prestazioni,   in   misura   non
inferiore a cinque annualita' dell'importo delle pensioni in  essere.
Ferme restando le riserve tecniche esistenti alla data di entrata  in
vigore del presente decreto, all'eventuale  adeguamento  di  esse  si
provvede, nella fase di prima applicazione,  mediante  accantonamenti
pari ad una annualita' per ogni biennio» (art. 1, comma 4, lettera c,
della legge n. 509 del 1994). 
    In tale contesto, le spese di gestione della CNPADC devono essere
ispirate  alla  logica  del  massimo  contenimento  e  della  massima
efficienza, dal  momento  che  il  finanziamento  di  tale  attivita'
strumentale grava sulle contribuzioni degli iscritti, cosicche'  ogni
spesa eccedente al necessario finisce per incidere negativamente  sul
sinallagma macroeconomico tra contribuzioni e prestazioni. 
    Secondo tale prospettiva - come gia'  rilevato  -  le  misure  di
contenimento della spesa per i beni intermedi stabilite dall'art.  8,
comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 sono utili non  solo  ad  assicurare
pro quota la  partecipazione  della  Cassa  al  raggiungimento  degli
obiettivi di finanza pubblica, ma anche a preservare da  un'eccessiva
espansione della spesa corrente una parte delle risorse  naturalmente
destinate alle  prestazioni  previdenziali,  salvaguardando  il  buon
andamento dell'ente in conformita' agli obiettivi della  riforma  del
1994. 
    Se la prima parte  dell'art.  1,  comma  3,  appare,  dunque,  un
efficace  strumento  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  la
seconda parte - nel destinare detto risparmio  all'Erario  -  collide
anche con l'art. 97 Cost., in  quanto  sottrae  alla  CNPADC  risorse
intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti. E, nel caso
di specie, non e' tanto l'entita' del prelievo - peraltro  esiguo  in
rapporto alla dimensione delle entrate dello Stato - a determinare la
non conformita'  a  Costituzione,  quanto  l'astratta  configurazione
della  norma,  che  aggredisce,  sotto  l'aspetto   strutturale,   la
correlazione  contributi-prestazioni,  nell'ambito  della  quale   si
articola  «la  naturale  missione»   della   CNPADC   di   preservare
l'autosufficienza del proprio sistema previdenziale. 
    4.3.- Con riguardo alla violazione dell'art. 38 Cost.,  non  sono
condivisibili le argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato,  secondo
cui il prelievo non  colpirebbe  le  situazioni  previdenziali  degli
iscritti, ma si limiterebbe ad incidere sul bilancio della Cassa. 
    Occorre a tal proposito ricordare che - per effetto della riforma
del  1994  -  le  posizioni   previdenziali   degli   iscritti   sono
collettivamente e singolarmente condizionate dalla regola per cui  la
prestazione  deve  essere  resa  solo  attraverso  la   contribuzione
capitalizzata del  destinatario  e  non  attraverso  l'impiego  delle
contribuzioni versate dagli altri iscritti  in  attivita'.  Cio'  con
assoluta esclusione - a  differenza  della  previdenza  dei  pubblici
dipendenti - di qualsiasi contribuzione  a  carico  dello  Stato  nel
momento in cui  il  flusso  finanziario  proveniente  dai  versamenti
contributivi non risulti sufficiente al pagamento  delle  prestazioni
dovute. 
    In sostanza,  in  un  sistema  ispirato  -  pur  nell'ambito  del
meccanismo contributivo - alla capitalizzazione dei contributi  degli
iscritti, l'ingerenza del prelievo statale rischia di  minare  quegli
equilibri che costituiscono  elemento  indefettibile  dell'esperienza
previdenziale autonoma. Questa Corte ha affermato che  la  scelta  di
dotare  le  Casse  di  previdenza  di  un  sistema  di   solidarieta'
endocategoriale basato sulla comunanza di interessi degli iscritti  -
cosicche' ciascuno di essi concorre  con  il  proprio  contributo  al
costo delle erogazioni delle quali si giova l'intera categoria - e di
vincolare  in  tal  senso  la  contribuzione   di   detti   soggetti,
costituisce soluzione del tutto ragionevole  e  idonea  a  «prevenire
situazioni di crisi finanziaria e dunque  di  garantire  l'erogazione
delle prestazioni [. E'] stato cosi' sancito il vincolo d'una riserva
legale a copertura per almeno cinque anni delle  pensioni  in  essere
(art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del  1994)  e,  piu'
recentemente in sede di riforma del sistema  pensionistico  generale,
e' stata  prevista  l'obbligatorieta'  della  predisposizione  di  un
bilancio tecnico  attuariale  per  un  arco  previsionale  di  almeno
quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335)».
Pertanto, «[l]a solidarieta' endocategoriale che il legislatore si e'
preoccupato di non far venire improvvisamente meno»,  e'  finalizzata
ad  «assicurare  l'idonea   provvista   di   mezzi:   considerazione,
quest'ultima, tanto piu' valida ora, in  un  sistema  dichiaratamente
autofinanziato», in  cui  «tale  previsione  "assicura  lo  strumento
meglio idoneo all'attuazione  di  finalita'  schiettamente  pubbliche
[...]".  Tanto  puo'  affermarsi  anche  con  riguardo   agli   scopi
previdenziali perseguiti [dalle  Casse  previdenziali  autonome]  nel
quadro della gia' richiamata solidarieta' interna ai  professionisti,
a vantaggio  dei  quali  l'ente  e'  stato  istituito:  la  comunanza
d'interessi degli iscritti comporta che ciascuno di essi concorra con
il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si  giova
l'intera categoria, di talche'  il  vincolo  puo'  dirsi  presupposto
prima ancora che imposto» (sentenza n. 248 del 1997). 
    Considerate le complesse problematiche alla base della deficienza
strutturale dei meccanismi  di  finanziamento  della  previdenza  dei
dipendenti pubblici, l'alternativo sistema,  voluto  dal  legislatore
per gli enti privatizzati in un periodo ormai  risalente,  merita  di
essere preservato da meccanismi - quali il prelievo a regime in esame
-  in  grado  di  scalfirne  gli  assunti  di  base.  Cio'  anche  in
considerazione del  fatto  che  detti  assunti  ne  hanno,  comunque,
garantito la sopravvivenza senza interventi di parte pubblica per  un
ragguardevole  periodo  di  tempo.  In  proposito  non  puo'   essere
sottovalutato come la tutela degli equilibri finanziari della  CNPADC
sia  intrinsecamente  funzionale  alla   garanzia   delle   posizioni
previdenziali degli associati, a sua volta riconducibile all'art.  38
Cost. 
    5.-  In  definitiva,  subordinare   le   esigenze   di   coerenza
dell'ordinamento previdenziale, disegnato dal d.lgs. n. 509 del  1994
in  senso  mutualistico  e  successivamente  perfezionato  attraverso
l'applicazione del sistema contributivo, ad un meccanismo di prelievo
di  importo  marginale  (anche  per  il  carattere   di   neutralita'
finanziaria  nell'ambito  della  manovra  complessiva)  non   risulta
coerente  ne'  in  grado  di  superare  i  test   di   ragionevolezza
precedentemente richiamati. 
    Infatti, proprio una ponderazione delle  esigenze  di  equilibrio
della finanza pubblica tende inevitabilmente verso  la  soluzione  di
non alterare la regola secondo cui i contributi degli  iscritti  alla
CNPADC devono assicurarne l'autosufficienza della gestione e la  resa
delle future prestazioni, in presenza di un chiaro divieto  normativo
all'intervento riequilibratore dello Stato. 
    Per quanto considerato, l'art. 8, comma 3, del  d.l.  n.  95  del
2012  deve  essere  dichiarato  costituzionalmente   illegittimo   in
riferimento agli artt. 3, 38 e 97 Cost. nella parte in cui  prescrive
che le somme derivanti dalle riduzioni  di  spesa  previste  da  tale
norma siano versate annualmente dalla CNPADC ad apposito capitolo  di
entrata del bilancio dello Stato. 
    6.- Restano assorbite le ulteriori censure sollevate dal  giudice
rimettente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  8,  comma  3,
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario),  convertito  con  modificazioni  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto  2012,  n.  135,  nella  parte  in  cui
prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi  previste
siano versate annualmente dalla  Cassa  nazionale  di  previdenza  ed
assistenza per i  dottori  commercialisti  ad  apposito  capitolo  di
entrata del bilancio dello Stato. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2016. 
 
                                F.to: 
                      Paolo GROSSI, Presidente 
                       Aldo CAROSI, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2017. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA