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N. 64 SENTENZA 10 febbraio - 24 marzo 2016

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Riduzione dei canoni dei contratti
  di  locazione  passiva  aventi   ad   oggetto   immobili   ad   uso
  istituzionale e dei costi derivanti dagli utilizzi  in  assenza  di
  titolo degli stessi immobili - Applicazione alle Regioni in assenza
  dell'adozione di misure alternative di contenimento della spesa. 
- Decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti  per  la
  competitivita'  e  la  giustizia   sociale)   -   convertito,   con
  modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n.
  89 - art. 24, comma 4. 
-   
(GU n.13 del 30-3-2016 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Alessandro CRISCUOLO; 
Giudici :Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,
  Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,  Silvana
  SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  24,  comma
4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66  (Misure  urgenti  per  la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 18 agosto
2014, depositato in cancelleria il 22 agosto 2014 ed iscritto  al  n.
63 del registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  2016  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi  Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 18  agosto  2014  e  depositato  il
successivo 22 agosto (reg. ric. n. 63 del 2014), la Regione Veneto ha
impugnato, tra l'altro, l'art. 24,  comma  4,  del  decreto-legge  24
aprile 2014, n.  66  (Misure  urgenti  per  la  competitivita'  e  la
giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma
1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, in riferimento  agli  artt.  3,
97, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, nonche' al «principio
di leale collaborazione di cui all'articolo 120» Cost. 
    1.1.- La  disposizione  impugnata  ha  modificato  l'art.  3  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135. 
    Essa ha previsto, in primo luogo, alla lettera a), che «al  comma
4 le parole "1° gennaio 2015"  sono  sostituite  con  le  parole  "1°
luglio 2014"». A seguito di tale modificazione, il comma 4  dell'art.
3 del d.l. n. 95 del 2012 stabilisce che «Ai  fini  del  contenimento
della spesa pubblica,  con  riferimento  ai  contratti  di  locazione
passiva aventi ad oggetto  immobili  a  uso  istituzionale  stipulati
dalle  Amministrazioni  centrali,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica ai sensi  dell'articolo  1,  comma  3,  della
legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonche' dalle Autorita'  indipendenti
ivi inclusa la Commissione nazionale  per  le  societa'  e  la  borsa
(Consob) i canoni di locazione sono ridotti a decorrere dal 1° luglio
2014 della misura del 15 per cento di quanto attualmente corrisposto.
A  decorrere  dalla  data  dell'entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto  la  riduzione  di  cui  al  periodo
precedente si applica comunque ai contratti di  locazione  scaduti  o
rinnovati dopo tale data. La riduzione del  canone  di  locazione  si
inserisce  automaticamente  nei   contratti   in   corso   ai   sensi
dell'articolo 1339 c.c., anche  in  deroga  alle  eventuali  clausole
difformi apposte  dalle  parti,  salvo  il  diritto  di  recesso  del
locatore. Analoga riduzione si applica anche agli utilizzi in  essere
in assenza di titolo alla data di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto. Il rinnovo del rapporto di locazione e' consentito  solo  in
presenza e coesistenza delle seguenti condizioni:  a)  disponibilita'
delle risorse finanziarie necessarie per  il  pagamento  dei  canoni,
degli oneri e dei costi d'uso, per il periodo di durata del contratto
di locazione; b) permanenza per le Amministrazioni dello Stato  delle
esigenze allocative in relazione ai fabbisogni  espressi  agli  esiti
dei piani di razionalizzazione di cui  dell'articolo  2,  comma  222,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ove gia' definiti,  nonche'  di
quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle  strutture  previste
dalle norme vigenti». 
    In secondo luogo, la norma impugnata ha  disposto,  alla  lettera
b), che «il comma 7 e' sostituito dal seguente:  "7.  Fermo  restando
quanto previsto dal comma 10, le previsioni di cui ai commi da 4 a  6
si applicano altresi' alle altre amministrazioni di cui  all'articolo
1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in  quanto
compatibili. Le regioni e le province autonome di  Trento  e  Bolzano
possono adottare  misure  alternative  di  contenimento  della  spesa
corrente al fine  di  conseguire  risparmi  non  inferiori  a  quelli
derivanti dall'applicazione della presente disposizione."». 
    La ricorrente sottolinea come tale disposizione abbia esteso alle
Regioni l'applicazione, oltre che del citato comma 4, anche del comma
6 del d.l. n. 95 del 2012, secondo cui «Per i contratti di  locazione
passiva,  aventi  ad  oggetto  immobili  ad  uso   istituzionale   di
proprieta'  di  terzi,   di   nuova   stipulazione   a   cura   delle
Amministrazioni di cui al comma 4, si applica la riduzione del 15 per
cento sul canone congruito dall'Agenzia del demanio,  ferma  restando
la permanenza dei fabbisogni espressi ai sensi dell'articolo 2, comma
222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nell'ambito dei  piani  di
razionalizzazione  ove  gia'   definiti,   nonche'   in   quelli   di
riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme
vigenti». 
    1.2.- Tanto premesso,  la  Regione  Veneto  passa  a  esporre  le
proprie censure. 
    1.2.1.- La ricorrente afferma, anzitutto, che l'impugnato comma 4
dell'art. 24 del d.l. n. 66 del 2014, imponendo alle Regioni,  «senza
intesa», una misura permanente e  dettagliata  di  riduzione  di  una
specifica voce di spesa,  costituisce  «una  disposizione  puntuale»,
priva della natura di principio fondamentale di  coordinamento  della
finanza pubblica, e contrasta, percio',  con  gli  artt.  117,  terzo
comma, e 119 Cost. 
    La stessa Regione aggiunge che «Al riguardo si rimanda pienamente
alle motivazioni, che  si  ripropongono  interamente,  sviluppate  ai
punti precedenti riguardo alla violazione degli art. 117, III  comma,
119 Cost. (ivi compresa anche la violazione dei commi III  e  IV  per
l'effetto  perequativo  implicito  e  distorto  che  le  disposizioni
impugnate producono) e del principio di leale collaborazione  di  cui
all'articolo 120 della Costituzione». 
    Tale rinvio deve intendersi riferito alle motivazioni  sviluppate
nei tre precedenti punti del ricorso regionale,  con  i  quali,  alle
pagine da 2 a 19  dello  stesso,  la  Regione  Veneto  ha  denunciato
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 8, commi 4, 6 e 10, e 46,
commi 6 e 7 (punto 1), 14, commi 1, 2 e 4-ter (punto 2), e 15  (punto
3), del d.l. n. 66 del 2014. 
    1.2.2.- La Regione ricorrente asserisce poi che  la  disposizione
impugnata, «imponendo una generalizzata  ed  irragionevole  riduzione
dei  canoni  di  locazione  a  prescindere  dalla  loro  congruita'»,
violerebbe anche gli artt. 3 e 97 Cost. Tale violazione  ridonderebbe
in una lesione delle  competenze  costituzionalmente  garantite  alla
Regione   e,   in   particolare,   dell'autonomia   finanziaria    ed
organizzativa della stessa, atteso  che  «le  Regioni  sono  comunque
tenute a garantire [...] risparmi non inferiori  a  quelli  derivanti
dall'applicazione   dei   criteri   irragionevoli   stabiliti   dalla
disposizione impugnata». 
    2.- Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le  questioni   proposte   siano   dichiarate
inammissibili o, comunque, infondate. 
    Nelle proprie deduzioni, il Presidente del Consiglio dei ministri
si e' limitato, peraltro, ad una generale illustrazione, da un  lato,
dell'art. 119 Cost. e della sua attuazione da parte  del  legislatore
ordinario, dall'altro, dei rapporti finanziari  tra  lo  Stato  e  le
Regioni e Province ad autonomia speciale. 
    3.- In data 10 novembre 2015, la Regione Veneto ha depositato una
memoria illustrativa con  la  quale,  nel  rinnovare  la  domanda  di
accoglimento  del  ricorso,  ha   chiesto,   altresi',   alla   Corte
costituzionale, di dichiarare l'inammissibilita'  della  costituzione
in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    3.1.-  A  fondamento  di  tale  ultima  richiesta,   la   Regione
ricorrente evidenzia che l'atto mediante il quale il  Presidente  del
Consiglio dei  ministri  si  e'  costituito  in  giudizio,  ancorche'
nell'epigrafe  indichi  esattamente  il  ricorso   regionale   e   le
disposizioni  con  esso  impugnate,  contiene  una  motivazione   non
pertinente all'oggetto del ricorso, nella quale  le  norme  impugnate
non sono mai citate e non viene spesa alcuna argomentazione a  difesa
della  legittimita'   costituzionale   delle   stesse.   Secondo   la
ricorrente, qualora la costituzione del Presidente del Consiglio  dei
ministri fosse ritenuta ammissibile, il  proprio  diritto  di  difesa
sarebbe leso, atteso  che  essa  non  ha  avuto  la  possibilita'  di
replicare alle argomentazioni svolte nell'atto  di  costituzione,  in
quanto le stesse non sono pertinenti al giudizio. 
    3.2.- Nel merito, la ricorrente precisa ulteriormente le  ragioni
per le quali la disposizione  impugnata  violerebbe  gli  artt.  117,
terzo comma, 119 e 120 Cost. 
    In primo luogo, essa conterrebbe  non  principi  fondamentali  di
coordinamento della  finanza  pubblica,  ma  una  misura  puntuale  e
dettagliata, quale la riduzione  del  15  per  cento  dei  canoni  di
locazione, «peraltro in assenza di intesa» (sono citate  le  sentenze
della Corte costituzionale n. 148 del 2012, n. 232 del 2011,  n.  326
del 2010 e n. 159 del 2008). 
    In secondo luogo, la prevista  riduzione  della  spesa  regionale
avrebbe carattere permanente (sono citate  le  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 79 del 2014 e n. 193 del 2012). 
    Sarebbe quindi confermato che la  norma  impugnata  travalica  la
funzione di coordinamento della finanza pubblica e si traduce in  una
misura  di  contenimento  della  spesa  «priva  degli  indispensabili
elementi di  razionalita',  di  efficacia  e  di  sostenibilita'  che
dovrebbero [...] informare tale funzione». 
    La Regione Veneto sottolinea inoltre che la norma  impugnata  non
contiene alcun riferimento a livelli standard di spesa o a prezzi  di
riferimento o anche all'ammontare medio dei canoni di locazione e che
essa si applica in modo  generalizzato  a  tutte  le  Regioni,  senza
alcuna considerazione dei  livelli  di  spesa  storica  sostenuti  da
ciascuna Regione con riguardo ai canoni di locazione e  senza  alcuna
valutazione circa l'appropriatezza dei canoni corrisposti. La  stessa
ricorrente evidenzia come  al  Governo  non  mancassero  elementi  di
conoscenza al riguardo, tenuto conto  che  i  bilanci  delle  Regioni
riclassificati in modo omogeneo sono disponibili dall'anno  2009,  in
forza  dell'art.  19-bis  del  d.l.  25  settembre   2009,   n.   135
(Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari  e  per
l'esecuzione di sentenze della Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
europee), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 20 novembre 2009, n. 166, e che, grazie al progetto governativo
soldipubblici.gov.it, le spese per singole  voci  di  spesa  di  ogni
Regione  sono  a   disposizione   dei   cittadini.   Sarebbe   quindi
irragionevole - sempre secondo la ricorrente  -  che,  nonostante  la
possibilita'  di  accedere  a  tali  informazioni,  la   disposizione
impugnata preveda una riduzione meramente  lineare  della  spesa  per
locazioni, prescindendo dalla considerazione dello sforzo fatto dalle
Regioni virtuose, che potrebbero  non  avere  margini  per  ulteriori
riduzioni ed incorrere in «pericolose ed anti economiche  risoluzioni
dei contratti». Tale lineare riduzione penalizzerebbe, in effetti, le
Regioni che hanno gia' adottato misure di contenimento  della  spesa,
riducendola  a  livelli  tali  da  renderne  difficile   un'ulteriore
compressione,  senza  con  cio'  compromettere  il   buon   andamento
dell'amministrazione regionale. 
    In tale prospettiva, sarebbero  violati  anche  il  principio  di
ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost. e quello del  buon  andamento
della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 97 Cost., «con una
diretta ricaduta sull'autonomia regionale che risulta limitata  nella
propria capacita' organizzativa e finanziaria». 
    La ricorrente deduce infine che le  menzionate  violazioni  della
Costituzione non  sarebbero  evitate  dalla  facolta'  concessa  alle
Regioni di adottare misure di contenimento  della  spesa,  che  siano
alternative alla riduzione dei canoni di locazione.  Tale  previsione
impone, infatti, alle Regioni che abbiano gia' ridotto la  spesa  per
locazioni in termini ottimali, di ridurre altre  voci  di  spesa,  in
modo da conseguire un risparmio pari a quello che  sarebbe  risultato
dall'applicazione  dell'irragionevole  riduzione   dei   canoni.   In
proposito, la Regione Veneto afferma conclusivamente che «Non  vi  e'
alcun nesso logico per cui, avendo una Regione raggiunto  un  livello
ottimale di spesa nell'ambito delle locazioni, questa sia costretta a
ridurre ad esempio la spesa sociale,  perche'  comunque  obbligata  a
realizzare un risparmio». 
    4.- Il 10 novembre 2015, anche il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha  depositato  una  memoria,  con  la  quale  ribadisce  la
richiesta che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o,
comunque, infondate. 
    A tale ultimo riguardo, la difesa dello Stato evidenzia  come  la
disposizione impugnata abbia lasciato alle  Regioni  la  facolta'  di
adottare misure di contenimento della spesa corrente alternative alla
riduzione dei canoni di locazione pure prevista dall'art.  24,  comma
4, del  d.l.  n.  66  del  2014,  con  la  conseguenza  che  in  tale
disposizione non potrebbe ravvisarsi  alcuna  lesione  dell'autonomia
regionale (e' citata la sentenza della Corte costituzionale n. 63 del
2013). La  difesa  della  parte  resistente  aggiunge  che  la  norma
censurata si inserisce in una  serie  di  disposizioni  di  carattere
straordinario finalizzate al contenimento della spesa pubblica ed  al
rispetto dell'equilibrio di  bilancio,  le  quali  hanno  interessato
anche il contenimento  dei  costi  per  beni  immobili  di  tutte  le
amministrazioni pubbliche, con la  previsione  di  limiti  stringenti
all'acquisto ed alla vendita di immobili ed alle locazioni passive  e
l'accentramento delle relative decisioni  nell'Agenzia  del  demanio,
secondo quanto previsto dall'art. 12 del d.l. 6 luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  15
luglio 2011, n. 111. 
    Sempre  a  proposito  della  lamentata  invasione  dell'autonomia
legislativa regionale,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
ritiene che sussistano, nella specie, le condizioni individuate dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale per  la  qualificazione  di
disposizioni di legge statale che fissano  limiti  di  spesa  per  le
Regioni quali principi fondamentali di  coordinamento  della  finanza
pubblica (e' citata la sentenza n. 205 del 2013). Lo  Stato  avrebbe,
percio',  esercitato  la  potesta'  legislativa  ad  esso  attribuita
dall'art. 117, terzo comma, Cost.  Da  cio'  deriverebbe,  inoltre  -
sempre ad avviso della  difesa  statale  -  che  la  doglianza  della
Regione ricorrente relativa alla mancanza di forme  di  intesa  debba
essere ritenuta non conferente. 
    5.-  Il  18  gennaio  2016,  la  Regione  Veneto  ha   depositato
un'ulteriore memoria illustrativa, con la  quale  ha  replicato  alla
memoria depositata dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    La Regione ricorrente ha, in particolare, negato che le  sentenze
della Corte costituzionale n. 63 e n. 205 del 2013, richiamate  dalla
difesa  statale  nell'anzidetta  memoria,   siano   pertinenti   alle
questioni promosse ed ha ribadito che la normativa impugnata  prevede
una misura puntuale e permanente di limitazione della spesa regionale
-  da  ritenere,  percio',  illegittima  sulla  base  della  costante
giurisprudenza  costituzionale  -  nonche'  l'irragionevolezza  della
previsione che consente alle Regioni, invece di diminuire i canoni di
locazione passiva, di ridurre altre voci di spesa, deducendo che tale
riduzione sarebbe anche «indebitamente imposta, perche' completamente
al di fuori dello scopo effettivo perseguito dalla stessa  norma»  di
razionalizzare la spesa per gli immobili  ad  uso  istituzionale.  La
difesa   regionale   afferma,   percio',   conclusivamente   che   la
disposizione impugnata viola l'art. 3 Cost. «anche sotto  il  profilo
della mancanza di proporzionalita' al fine». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Regione  Veneto  ha  promosso  questioni  principali  di
legittimita'   costituzionale   di    numerose    disposizioni    del
decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti   per   la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,  n.
89. 
    Di tali questioni, vengono qui  in  esame  esclusivamente  quelle
riguardanti  l'art.  24,  comma  4,  di  detto  d.l.,  impugnato  per
contrasto con gli  artt.  3,  97,  117,  terzo  comma,  e  119  della
Costituzione, nonche' con il «principio di  leale  collaborazione  di
cui  all'articolo  120»  Cost.  Resta  quindi  riservata  a  separate
pronunce la decisione delle questioni di legittimita'  costituzionale
promosse  dalla  medesima  Regione  Veneto  nei  confronti  di  altre
disposizioni del d.l. n. 66 del 2014. 
    2.- La disposizione  impugnata  ha  modificato  i  commi  4  e  7
dell'art. 3 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni  urgenti  per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135. 
    Quanto al comma 4  di  tale  articolo,  essa  ha  previsto,  alla
lettera a), la sostituzione delle parole «1°  gennaio  2015»  con  le
parole «1° luglio 2014». A seguito di tale modificazione, il comma  4
dell'art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, nei cinque  periodi  in  cui  e'
suddiviso, stabilisce che: «Ai  fini  del  contenimento  della  spesa
pubblica», i canoni dei contratti  di  locazione  passiva  aventi  ad
oggetto immobili ad uso istituzionale stipulati dalle Amministrazioni
centrali  nonche'  dalle  Autorita'  indipendenti  (ivi  inclusa   la
Commissione nazionale per le societa' e la borsa),  «sono  ridotti  a
decorrere dal 1° luglio 2014 della misura del 15 per cento di  quanto
attualmente corrisposto» (primo periodo); che, a decorrere dalla data
dell'entrata in vigore  della  legge  di  conversione  del  d.l.,  la
medesima riduzione «si applica comunque  ai  contratti  di  locazione
scaduti o rinnovati  dopo  tale  data»  (secondo  periodo);  che  «La
riduzione del canone di locazione si  inserisce  automaticamente  nei
contratti in corso ai sensi dell'articolo 1339 c.c., anche in  deroga
alle eventuali  clausole  difformi  apposte  dalle  parti,  salvo  il
diritto di  recesso  del  locatore»  (terzo  periodo);  che  «Analoga
riduzione si applica anche agli utilizzi  in  essere  in  assenza  di
titolo alla data di entrata in  vigore  del  [...]  decreto»  (quarto
periodo). Il quinto periodo del citato comma 4 stabilisce  infine  le
condizioni in presenza delle  quali  e'  consentito  il  rinnovo  del
rapporto di locazione. 
    Quanto al comma 7 dell'art.  3  del  d.l.  n.  95  del  2012,  la
disposizione  impugnata  ne  ha  previsto,  alla   lettera   b),   la
sostituzione nel modo seguente: «Fermo restando quanto  previsto  dal
comma 10, le previsioni di cui  ai  commi  da  4  a  6  si  applicano
altresi' alle altre amministrazioni di cui all'articolo 1,  comma  2,
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in quanto compatibili.
Le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  possono
adottare misure alternative di contenimento della spesa  corrente  al
fine  di  conseguire  risparmi  non  inferiori  a  quelli   derivanti
dall'applicazione della presente disposizione». 
    La Regione Veneto sottolinea come tale disposizione abbia  esteso
alle  Regioni  -  in  quanto  amministrazioni  comprese   nell'elenco
dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
pubbliche amministrazioni) - l'applicazione,  oltre  che  del  citato
comma 4, anche del comma 6 dell'art. 3  del  d.l.  n.  95  del  2012,
secondo cui «Per i contratti di locazione passiva, aventi ad  oggetto
immobili ad uso  istituzionale  di  proprieta'  di  terzi,  di  nuova
stipulazione a cura della Amministrazioni  di  cui  al  comma  4,  si
applica  la  riduzione  del  15  per  cento  sul   canone   congruito
dall'Agenzia del demanio, ferma restando la permanenza dei fabbisogni
espressi ai sensi dell'articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre
2009, n. 191, nell'ambito dei piani  di  razionalizzazione  ove  gia'
definiti, nonche' in quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle
strutture previste dalle norme vigenti». 
    Ad avviso della ricorrente, l'impugnato art.  24,  comma  4,  del
d.l. n. 66 del  2014,  estendendo  alle  Regioni  l'applicazione,  in
quanto compatibili, dei citati commi 4 e 6 dell'art. 3 del d.l. n. 95
del 2012, si pone in contrasto con plurimi parametri  costituzionali.
Esso lederebbe, anzitutto, gli artt. 117, terzo comma, e 119,  Cost.,
perche' imporrebbe alle Regioni una misura puntuale  di  contenimento
permanente di una specifica voce  di  spesa,  dettando  cosi',  nella
materia concorrente del coordinamento  della  finanza  pubblica,  una
disposizione priva del carattere di principio  fondamentale.  Sarebbe
violato, in secondo luogo, il «principio di leale  collaborazione  di
cui all'articolo 120» Cost., perche' la detta misura di  contenimento
della spesa e' stata prevista «senza intesa». Il denunciato art.  24,
comma 4, contrasterebbe, in terzo luogo,  con  l'art.  119,  terzo  e
quarto comma, Cost., «per l'effetto perequativo implicito e  distorto
che le disposizioni impugnate producono». Sarebbero, infine, violati,
anche gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto la normativa censurata impone
«una generalizzata e irragionevole riduzione dei canoni di  locazione
a prescindere dalla loro congruita'». 
    3.- Va rilevato che, ancorche' la Regione ricorrente dichiari  di
impugnare, in generale, il comma 4 dell'art. 24 del d.l.  n.  66  del
2014,  le  doglianze  da  essa   avanzate   concernono   in   realta'
esclusivamente la lettera  b)  di  tale  comma.  Esse  investono,  in
particolare, il primo periodo di  tale  lettera,  limitatamente  alla
parte  in  cui  prevede  l'applicazione  alle  Regioni,   in   quanto
compatibili, delle disposizioni dei commi 4, primo, secondo, terzo  e
quarto periodo, e  6  dell'art.  3  del  d.l.  n.  95  del  2012  che
stabiliscono la riduzione  dei  canoni  dei  contratti  di  locazione
passiva aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale e  dei  costi
derivanti dagli utilizzi in assenza di titolo degli stessi  immobili.
Inoltre, esse riguardano il secondo periodo della  medesima  lettera,
che consente alle Regioni di adottare misure  di  contenimento  della
spesa corrente alternative alle menzionate riduzioni. 
    Nessuna doglianza la Regione Veneto ha, in effetti, avanzato  nei
confronti della lettera a) del comma 4 dell'art. 24 del  d.l.  n.  66
del 2014, ne' della lettera b) di tale  comma,  nella  parte  in  cui
questa prevede l'applicazione alle Regioni  del  quinto  periodo  del
comma 4 e del comma 5 dell'art. 3 del d.l. n. 95 del 2012. 
    Da tanto consegue che l'oggetto delle  questioni  promosse  dalla
ricorrente deve ritenersi limitato all'art. 24, comma 4, lettera  b),
del d.l. n. 66 del 2014, nella parte in cui  prevede  l'adozione,  da
parte delle Regioni (e delle Province autonome) delle misure  di  cui
ai commi 4, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e 6  dell'art.  3
del d.l. n. 95  del  2012  o,  comunque,  di  misure  alternative  di
contenimento della spesa corrente. 
    4.- La Regione Veneto, con la memoria depositata il  10  novembre
2015, ha eccepito l'inammissibilita' della costituzione  in  giudizio
del Presidente del Consiglio dei ministri. Pur indicando esattamente,
nell'epigrafe, il ricorso e le disposizioni con esso impugnate,  essa
conterrebbe deduzioni non pertinenti  all'oggetto  dell'impugnazione,
nelle quali le dette disposizioni non vengono mai menzionate. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    E' vero che la memoria, depositata il 18 settembre 2014, con  cui
il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  si  e'  costituito  nel
giudizio   non   contiene   argomentazioni   difensive    concernenti
specificamente l'impugnato art. 24, comma 4, del d.l. n. 66 del 2014.
In tale atto di costituzione la difesa statale,  oltre  a  concludere
per l'inammissibilita' o l'infondatezza delle questioni promosse,  al
fine di argomentare tali conclusioni, si e' infatti limitata  ad  una
generale illustrazione, da un lato, dell'art. 119 Cost. e  della  sua
attuazione  da  parte  del  legislatore  ordinario,  dall'altro,  dei
rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni e Province ad autonomia
speciale (quale non e', evidentemente, la ricorrente). 
    Cio' non incide, tuttavia, sull'ammissibilita' della costituzione
in giudizio. Questa Corte ha, infatti,  ripetutamente  precisato  che
l'art. 19, comma 3, delle norme integrative  per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale, in base al quale  l'atto  di  costituzione
della parte resistente contiene  «le  conclusioni  e  l'illustrazione
delle stesse», «mira [...] a stimolare l'apporto argomentativo  delle
parti, senza che siano prefigurabili  conseguenze  sanzionatorie  nel
caso di mancata illustrazione delle conclusioni formulate»  (sentenza
n. 87 del 2012;  nello  stesso  senso,  sentenza  n.  168  del  2010,
ordinanza n. 156 del 2012). 
    Anche l'inconferenza delle argomentazioni addotte non incide, per
analoghe ragioni, sull'ammissibilita' della costituzione in  giudizio
della parte resistente. 
    5.- Devono ora essere esaminati, sempre  in  via  preliminare,  i
profili di ammissibilita' delle questioni promosse. 
    5.1.- Innanzitutto, va rilevato che  le  deduzioni  svolte  dalla
Regione Veneto con le memorie depositate sono  ammissibili  solo  nei
limiti in cui hanno prospettato argomenti a sostegno delle  questioni
promosse  con  il  ricorso  e  non  censure   ulteriori,   come,   in
particolare, quella - avanzata soltanto con la memoria depositata  il
18 gennaio 2016 - relativa alla violazione dell'art. 3  Cost.  «anche
sotto  il  profilo  della  mancanza  di  proporzionalita'  al  fine».
L'oggetto  del  giudizio  di  costituzionalita'  in  via  principale,
infatti, e' limitato ai  parametri  e  alle  questioni  indicate  nel
ricorso introduttivo e la parte ricorrente non puo' introdurre  nuove
censure dopo  l'esaurimento  del  termine  perentorio  assegnato  per
impugnare le  leggi  in  via  principale  (ex  plurimis,  da  ultimo,
sentenza n. 153 del 2015). 
    5.2.- In secondo luogo, deve essere dichiarata l'inammissibilita'
delle questioni  promosse  in  riferimento  al  «principio  di  leale
collaborazione di cui all'articolo 120» Cost., e all'art. 119,  terzo
e quarto comma, Cost. 
    Questa Corte ha piu'  volte  chiarito  che  «il  ricorso  in  via
principale [...]  deve  contenere  una  argomentazione  di  merito  a
sostegno   della    richiesta    declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale, giacche'  l'esigenza  di  un'adeguata  motivazione  a
supporto della impugnativa si pone in termini perfino piu'  pregnanti
nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali»  (sentenza  n.  82
del 2015). 
    Nel caso di specie, al fine di argomentare le  censure  proposte,
la Regione Veneto si  e'  limitata  ad  affermare,  con  riguardo  al
principio  di  leale  collaborazione,  che  la  prevista  misura   di
contenimento della spesa e' stata imposta alle Regioni «senza intesa»
e, con riguardo all'art. 119, terzo e quarto comma, Cost., che la sua
lesione si determina «per l'effetto perequativo implicito e  distorto
che le disposizioni impugnate producono». 
    Da tali argomentazioni  non  si  ricava  un'adeguata  motivazione
delle anzidette censure. 
    Quanto al principio di leale collaborazione,  la  ricorrente  non
ha, infatti, specificato  le  ragioni  della  violazione,  ma  si  e'
limitata  ad  invocare,   in   modo   anapodittico,   la   necessita'
dell'intesa, senza chiarire perche' la Costituzione imporrebbe, nella
fattispecie, il coinvolgimento delle Regioni. Tra l'altro, in base al
costante  orientamento  di  questa  Corte,  «il  principio  di  leale
collaborazione, ove non sia specificamente previsto,  non  si  impone
nel procedimento legislativo» (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 43
del 2016, sentenze n. 13 del 2015, n. 36 del 2014, n. 121  del  2013,
n. 203 e n. 164 del 2012). 
    Quanto all'art. 119, terzo  e  quarto  comma,  Cost.,  la  stessa
ricorrente ha omesso di specificare in che modo l'impugnato art.  24,
comma 4, lettera b), produrrebbe un «effetto perequativo implicito» e
perche' tale effetto debba ritenersi in  contrasto  con  i  parametri
invocati. 
    Sempre al fine di argomentare (anche) su tali censure, la Regione
Veneto ha aggiunto che «si rimanda pienamente alle  motivazioni,  che
si ripropongono interamente, sviluppate ai  punti  precedenti».  Tale
rinvio, tuttavia, appare generico e pertanto non idoneo a superare le
indicate inadeguatezze motivazionali. Le richiamate motivazioni  sono
relative alle ragioni della  ritenuta  incostituzionalita'  di  altre
impugnate disposizioni del d.l. n. 66 del 2014 - gli artt.  8,  commi
4, 6 e 10, e 46, commi 6 e 7, 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15  -  e  non
spiegano, quindi, perche' la diversa previsione dell'art.  24,  comma
4, lettera b), dello stesso decreto, contrasterebbe con il  principio
di leale collaborazione e con l'art. 119, terzo e quarto comma, Cost.
(in tema di motivazione per relationem, sentenza n. 19 del 2015). 
    Deve  percio'  concludersi  che  le  motivazioni  addotte   dalla
ricorrente a sostegno delle  questioni  promosse  in  riferimento  al
«principio di leale collaborazione di cui all'articolo 120» Cost.,  e
all'art. 119, terzo e quarto comma, Cost. non raggiungono  la  soglia
minima di chiarezza e di completezza cui e' subordinata, in base alla
giurisprudenza di questa Corte, l'ammissibilita' delle impugnative in
via principale. 
    6.- Sono ora da esaminare nel  merito  le  questioni  prospettate
dalla Regione Veneto in riferimento, da  un  lato,  agli  artt.  117,
terzo comma, e 119 Cost., dall'altro, agli artt. 3 e 97 Cost. 
    6.1.- Come si e' detto, secondo la ricorrente,  l'impugnato  art.
24, comma 4, lettera b), in  primo  luogo,  invaderebbe  la  potesta'
legislativa regionale  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., perche' imporrebbe
alle Regioni una misura puntuale di contenimento  permanente  di  una
specifica  voce  di  spesa,  priva   del   carattere   di   principio
fondamentale.  Esso  lederebbe,  altresi',  l'autonomia   finanziaria
regionale, garantita dall'art. 119 Cost. 
    In proposito, va  rammentato  che  questa  Corte  ha  piu'  volte
affermato che la finanza delle Regioni,  delle  Province  autonome  e
degli enti locali e' «parte della finanza pubblica allargata» e  che,
pertanto,  «il  legislatore  statale  puo',  con  una  disciplina  di
principio, legittimamente imporre alle Regioni e  agli  enti  locali,
per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  connesse  ad  obiettivi
nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle
politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente,
in  limitazioni  indirette  all'autonomia   di   spesa   degli   enti
territoriali» (sentenza n.  44  del  2014;  nello  stesso  senso,  ex
plurimis, sentenze n. 79 del 2014 e n. 182 del 2011). 
    Sempre in base ad un orientamento ormai costante di questa Corte,
le disposizioni statali che impongono  limiti  alla  spesa  regionale
sono configurabili quali principi fondamentali di coordinamento della
finanza pubblica, alla duplice condizione che: a) prevedano un limite
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente,  che  lasci
alle Regioni liberta' di allocazione  delle  risorse  tra  i  diversi
ambiti  ed  obiettivi  di  spesa;  b)  abbiano  il  carattere   della
transitorieta' (ex plurimis, sentenze n. 79 e n. 44 del 2014, n.  205
del 2013). 
    Con riguardo alla prima  di  tali  condizioni,  questa  Corte  ha
affermato che essa deve ritenersi soddisfatta anche  da  disposizioni
statali che prevedono «puntuali misure di riduzione [...] di  singole
voci di spesa»,  sempre  che  «da  esse  possa  desumersi  un  limite
complessivo, nell'ambito del  quale  le  Regioni  restano  libere  di
allocare le risorse tra  i  diversi  ambiti  e  obiettivi  di  spesa»
(sentenza  n.  139  del  2012),  essendo,  in  tale  caso,  possibile
«l'estrapolazione, dalle singole disposizioni  statali,  di  principi
rispettosi  di  uno  spazio   aperto   all'esercizio   dell'autonomia
regionale» (sentenze n. 139 del 2012 e n. 182 del 2011; nello  stesso
senso, sentenze n. 236 e n. 36 del 2013, n. 262 e n. 211 del 2012). 
    Va,  infine,  rammentato   che   i   principi   fondamentali   di
coordinamento della finanza  pubblica  sono  applicabili  anche  alle
autonomie speciali (da ultimo,  ex  plurimis,  sentenza  n.  156  del
2015). 
    6.1.1.-  La  disposizione  censurata  soddisfa  la  prima   delle
menzionate condizioni di legittimita' delle disposizioni statali  che
impongono limiti alla spesa regionale. 
    L'art. 24, comma  4,  lettera  b),  del  d.l.  n.  66  del  2014,
nell'intento  di  contenere  detta  spesa,  ha   anzitutto   disposto
l'applicazione alle Regioni, in quanto compatibili, delle  previsioni
dei commi 4 e 6 dell'art. 3 del d.l. n. 95 del 2012 che  stabiliscono
la riduzione del 15 per cento dei canoni dei contratti  di  locazione
passiva, aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale  (oltre  che
un'analoga riduzione nei casi di utilizzo senza titolo di tali beni). 
    Si tratta, all'evidenza, di una puntuale misura di  riduzione  di
una specifica spesa, relativa, in particolare, ai singoli  menzionati
canoni  di  locazione  passiva.  La  stessa  impugnata  disposizione,
tuttavia,  consente  alle  Regioni  (e  alle  Province  autonome)  di
adottare, in luogo  dell'anzidetta  misura,  «misure  alternative  di
contenimento della spesa  corrente»,  purche'  queste  consentano  di
conseguire risparmi non inferiori a quelli derivanti dalla  riduzione
dei canoni. L'attribuzione di tale facolta' dimostra che la  prevista
riduzione della spesa relativa ai  canoni  di  locazione  passiva  e'
vincolante,  in  realta',  per  le  Regioni,  non  nel  senso   della
necessaria osservanza di tale specifico precetto - gli enti regionali
possono infatti adottare misure di contenimento della spesa  corrente
alternative  a  quella  da  esso  prevista  -  ma  solo  come  limite
complessivo di spesa. Il contenuto  inderogabile  della  disposizione
impugnata consiste, in effetti, esclusivamente nell'obbligo,  per  le
Regioni, di  ridurre  la  propria  spesa  corrente  di  un  ammontare
complessivo non inferiore a quello derivante dall'applicazione  della
riduzione dei canoni di locazione; la quale costituisce, dunque, solo
uno dei possibili strumenti di contenimento della spesa regionale. 
    Ne  deriva  che  l'impugnato  art.  24,  comma  4,  lettera   b),
similmente alle disposizioni  scrutinate  da  questa  Corte  con  gli
arresti da  ultimo  menzionati  -  le  quali  prevedevano  un'analoga
limitazione del proprio contenuto inderogabile - detta  una  puntuale
misura di riduzione di una singola spesa, ma cio' non esclude che  da
esso «possa desumersi un limite complessivo, nell'ambito del quale le
Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti ed
obiettivi di spesa» (sentenza  n.  139  del  2012).  Anche  la  norma
impugnata, dunque, «non intende  imporre  alle  Regioni  l'osservanza
puntuale e incondizionata dei singoli precetti di cui  si  compone  e
puo' considerarsi espressione  di  un  principio  fondamentale  della
finanza pubblica» (sentenze n. 139 del 2012 e n. 182 del 2011). 
    6.1.2.- L'impugnato art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n.  66
del  2014,  non  soddisfa,  invece,  la  seconda   delle   menzionate
condizioni  di  legittimita'   delle   disposizioni   statali,   che,
nell'imporre limiti alla spesa regionale, devono caratterizzarsi  per
la transitorieta'. Le disposizioni restrittive della spesa  regionale
devono dunque operare per un periodo di  tempo  definito,  in  quanto
necessarie a fronteggiare una situazione contingente (sentenza n.  79
del 2014). 
    Le misure di riduzione della spesa per canoni di locazione e  per
utilizzi senza titolo previste dai commi 4 e 6 dell'art. 3  del  d.l.
n. 95 del 2012 - di cui il censurato art. 24, comma  4,  lettera  b),
dispone l'applicazione alle Regioni - producono  effetto,  viceversa,
per  un  arco  temporale  indefinito,  in  quanto  dipendente   dalla
variabile durata dei contratti e degli utilizzi senza titolo ai quali
esse si applicano (e, nel caso dei  contratti  scaduti  o  rinnovati,
anche dalla diversa  data  di  scadenza  o  rinnovo  di  questi).  La
mancanza di precisi limiti temporali di  efficacia  e',  poi,  ancora
piu' evidente, nella misura di  riduzione  del  canone  prevista  dal
comma 6 dell'art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, la quale, stante la  sua
applicazione ai contratti «di nuova stipulazione», opera su  tutti  i
futuri contratti stipulati ex novo dalle Regioni, dopo  l'entrata  in
vigore del d.l. n. 66 del 2014. 
    A questa Corte non compete di sostituirsi  al  legislatore  nello
stabilire discrezionalmente l'arco temporale  di  operativita'  della
normativa in esame. Occorre, tuttavia, desumere dalle caratteristiche
dell'intervento legislativo  in  questione  «un  termine  finale  che
consenta di assicurare la natura transitoria delle misure previste e,
allo stesso tempo, di non stravolgere  gli  equilibri  della  finanza
pubblica,  specie  in  relazione  all'anno  finanziario   in   corso»
(sentenze n. 79 del 2014 e n. 193 del 2012). 
    Questa  Corte  ha   gia'   posto   in   evidenza   il   carattere
necessariamente pluriennale delle politiche di bilancio (sentenze  n.
178 del 2015 e n. 310 del 2013), che vengono scandite dalla legge  di
stabilita' lungo un arco temporale, di  regola,  triennale  (art.  11
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di  contabilita'
e finanza pubblica»). Nel caso di specie, il d.l. n. 66 del  2014  e'
intervenuto a correggere i conti pubblici con riferimento al triennio
considerato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge  di
stabilita' 2014), che,  salvo  espresse  disposizioni  contrarie,  si
riferisce agli anni dal 2014 al 2016 (sentenza n. 43 del 2016). 
    Le caratteristiche dell'intervento legislativo in cui l'impugnato
art. 24, comma 4, lettera b) si inserisce, consentono di  individuare
l'anno 2016, quale termine entro cui circoscrivere,  allo  stato,  le
misure restrittive della spesa regionale. 
    6.1.3.- L'art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 64 del  2014,
e', pertanto, costituzionalmente illegittimo,  per  violazione  degli
artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., nella parte in cui  non  prevede
che le misure di cui ai commi  4,  primo,  secondo,  terzo  e  quarto
periodo, e 6 dell'art. 3 del d.l. n. 95 del  2012,  e,  comunque,  le
misure di contenimento della spesa corrente ad esse alternative, sono
adottate dalle Regioni e dalle  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano «sino all'anno 2016». 
    6.2.- Ad avviso della Regione Veneto, l'impugnato art. 24,  comma
4, lettera b), violerebbe, anche gli artt. 3 e 97  Cost.,  in  quanto
impone «una generalizzata e irragionevole  riduzione  dei  canoni  di
locazione a prescindere dalla loro congruita'». 
    La violazione di questi  ultimi  parametri  ridonderebbe  in  una
lesione dell'autonomia finanziaria  e  organizzativa  della  Regione,
atteso che  «le  Regioni  sono  comunque  tenute  a  garantire  [...]
risparmi non  inferiori  a  quelli  derivanti  dall'applicazione  dei
criteri irragionevoli stabiliti dalla disposizione impugnata». 
    6.2.1.- Va affermata l'ammissibilita' di tali censure,  ancorche'
promosse  in  riferimento  a  parametri   estranei   a   quelli   che
sovrintendono al riparto delle competenze legislative tra lo Stato  e
le Regioni. Risulta, infatti, evidente che  la  denunciata  riduzione
dei canoni,  se  irragionevole  sotto  il  profilo  dedotto,  sarebbe
suscettibile di incidere  sulla  possibilita',  per  le  Regioni,  di
acquisire la disponibilita' degli immobili necessari allo svolgimento
della propria attivita' istituzionale e di tradursi, quindi,  in  una
lesione  dell'autonomia  organizzativa  garantita   ai   detti   enti
dall'art. 117, quarto comma, Cost. 
    6.2.2.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    Nella  memoria  depositata  il  10  novembre  2015,  la   Regione
ricorrente ha addotto ulteriori argomenti a sostegno  della  proposta
questione. Essa ha rappresentato che la  disposizione  impugnata,  in
primo  luogo,  potrebbe  farla  incorrere  in  «pericolose  ed   anti
economiche risoluzioni dei contratti»; in secondo luogo, non terrebbe
conto dei livelli di spesa storica sostenuti da ciascuna Regione  per
i canoni di locazione, del fatto che la Regione Veneto  avrebbe  gia'
ridotto al massimo la voce di  spesa  per  locazioni  e  non  avrebbe
ulteriori margini di diminuzione della stessa, che la Regione Veneto,
con riguardo a tale voce, sarebbe «virtuosa» rispetto ad altre. 
    A  proposito  di  quest'ultimo  gruppo  di  argomenti,  si   deve
osservare come gli stessi siano palesemente non  pertinenti  rispetto
alla normativa impugnata. Questa, infatti, prevede la  riduzione  non
della complessiva voce di spesa relativa ai canoni dei  contratti  di
locazione  passiva  delle  Regioni  -  cio'  che  i  detti  argomenti
mostrano,  invece,  di  presupporre  -  ma  dei  canoni  dei  singoli
contratti di locazione. 
    Tanto chiarito, la  questione  proposta  deve  essere  scrutinata
considerando l'impugnato art.  24,  comma  4,  lettera  b),  nel  suo
complesso, tenendo conto, cioe', di entrambi i periodi di cui esso si
compone. In tale prospettiva, deve osservarsi che la norma censurata,
«ai fini del contenimento della finanza pubblica» (comma 4  dell'art.
3 del d.l.  n.  95  del  2012,  da  essa  richiamato),  ha  anzitutto
stabilito, nel suo primo periodo, la riduzione percentuale, da  parte
delle Regioni e delle Province autonome, della spesa  per  i  singoli
contratti di locazione passiva e utilizzi in assenza di titolo  degli
immobili ad  uso  istituzionale.  Tale  specifica  misura  -  che  si
inserisce in una realta' di fatto  caratterizzata  dalla  contrazione
dei  valori  locativi  verificatasi  nel  mercato  immobiliare  -  e'
prevista, come si e' visto, in termini  di  derogabilita'.  Siamo  in
presenza di uno degli strumenti, ma non  del  solo,  che  le  Regioni
possono utilizzare per conseguire l'obiettivo del contenimento  della
finanza pubblica, poiche' a norma del secondo periodo  dell'impugnato
art. 24, comma 4, lettera b), esse possono adottare altre  misure  di
contenimento della spesa corrente idonee ad ottenere  l'ammontare  di
risparmi ad esse inderogabilmente imposto. 
    La facolta' di  modulare  discrezionalmente  la  riduzione  della
spesa, attribuita alle Regioni dalla norma impugnata, considerata nel
suo complesso, consente non solo, come si e' detto, di assicurare  il
rispetto, sotto tale aspetto, dell'autonomia  finanziaria  regionale,
ma anche di escludere la violazione,  con  riguardo  al  profilo  qui
dedotto, dei principi di ragionevolezza e  di  buon  andamento  della
pubblica   amministrazione.   Questa   conclusione    discende,    in
particolare, dalla considerazione che, ogni qual  volta  una  Regione
ritenesse che l'applicazione delle norme che prevedono  la  riduzione
dei canoni di locazione possa farla incorrere in «pericolose ed  anti
economiche  risoluzioni  dei  contratti»  o,   comunque,   comportare
difficolta' nell'acquisizione  della  disponibilita'  degli  immobili
necessari allo svolgimento  della  propria  attivita'  istituzionale,
essa  potra'  decidere,  esercitando  la  citata  facolta',  di   non
applicarle, cosi' escludendo in  radice  ogni  paventata  conseguenza
irragionevole  o  pregiudizievole  del  buon  andamento   della   sua
amministrazione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riservata  a  separate  pronunce  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di legittimita' costituzionale del decreto-legge 24  aprile
2014, n. 66 (Misure urgenti per  la  competitivita'  e  la  giustizia
sociale), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della
legge 23 giugno 2014, n. 89, promosse dalla  Regione  Veneto  con  il
ricorso indicato in epigrafe; 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  24,  comma
4, lettera b), del  decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure
urgenti per la competitivita' e la  giustizia  sociale),  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 23 giugno  2014,
n. 89, nella parte in cui non prevede che le misure di cui  ai  commi
4, primo, secondo, terzo e  quarto  periodo,  e  6  dell'art.  3  del
decreto-legge  6  luglio  2012,  95  (Disposizioni  urgenti  per   la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario) e, comunque, le misure  di  contenimento  della
spesa corrente ad esse alternative, sono  adottate  dalle  Regioni  e
dalle Province autonome di Trento e di Bolzano «sino all'anno 2016»; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 66  del
2014, promosse, in riferimento agli artt. 119, terzo e quarto  comma,
della Costituzione, e al «principio di leale  collaborazione  di  cui
all'articolo 120» Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato
in epigrafe; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 66  del
2014, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dalla Regione
Veneto con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2016. 
 
                                F.to: 
                  Alessandro CRISCUOLO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                   Carmelinda MORANO, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2016. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Carmelinda MORANO