N. 79 SENTENZA 7 - 8 aprile 2014

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Bilancio e contabilita' pubblica - Concorso finanziario delle Regioni al patto di stabilita' - Ammontare determinato in relazione alle spese da ciascuna sostenute per i consumi intermedi. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 16, commi 1 e 2. -

      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 16, commi 1
e 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135,  promosso  dalla  Regione
Lombardia con ricorso notificato il 13 ottobre  2012,  depositato  in
cancelleria il 22 ottobre 2012 ed iscritto al  n.  162  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  28  gennaio  2014  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    uditi l'avvocato  Fabio  Cintioli  per  la  Regione  Lombardia  e
l'avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il  13  ottobre  2012,  depositato  il
successivo  22  ottobre,  la  Regione  Lombardia,  in   persona   del
Presidente della Giunta regionale pro-tempore, ha proposto  questione
di legittimita' costituzionale,  in  via  principale,  dell'art.  16,
commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio  2012,  n.  95  (Disposizioni
urgenti per la revisione della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei
servizi ai cittadini nonche'  misure  di  rafforzamento  patrimoniale
delle imprese del settore bancario), convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1,  comma  1,  della  legge  7  agosto  2012,  n.  135,  in
riferimento agli artt. 3, 5, 117 e 119 Cost. 
    1.2.- La ricorrente premette che le censure sono rivolte ai commi
1 e 2 del citato art. 16, i  quali  stabiliscono  il  concorso  delle
Regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica  anche
mediante la riduzione delle spese per i consumi intermedi (comma 1). 
    In vista del raggiungimento di tale obiettivo, le  norme  citate,
in primo luogo,  determinano  l'ammontare  complessivo  del  concorso
finanziario delle Regioni agli  obiettivi  del  patto  di  stabilita'
interno, con riferimento agli anni 2012, 2013, 2014  e  «a  decorrere
dal  2015»  (comma  2,  primo  periodo);  poi,  dispongono   che   la
ripartizione di tale concorso  fra  le  Regioni  e'  determinata  con
delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,  le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, anche  tenendo
conto  delle  analisi  della   spesa   effettuate   dal   commissario
straordinario di cui all'art. 2 del decreto-legge 7 maggio  2012,  n.
52  (Disposizioni  urgenti  per  la  razionalizzazione  della   spesa
pubblica), convertito, modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,  della
legge 6 luglio 2012, n. 94,  con  delibera  che  e'  recepita  da  un
apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il
30 settembre 2012 (comma 2, secondo  periodo);  prevedono,  altresi',
che, in caso  di  mancata  delibera  della  predetta  Conferenza,  il
decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  e'  comunque
emanato entro  il  15  ottobre  2012,  «ripartendo  la  riduzione  in
proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi  desunte,  per
l'anno 2011, dal  SIOPE»  (comma  2,  terzo  periodo).  Stabiliscono,
inoltre, che,  «con  decreto  del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, sentita la Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono
individuate le risorse a qualunque titolo  dovute  dallo  Stato  alle
regioni a  statuto  ordinario,  incluse  le  risorse  destinate  alla
programmazione regionale del Fondo per le  aree  sottoutilizzate,  ed
escluse quelle  destinate  al  finanziamento  corrente  del  Servizio
sanitario nazionale e del  trasporto  pubblico  locale,  che  vengono
ridotte, per ciascuna Regione, in misura corrispondente agli  importi
stabiliti ai sensi del primo, del secondo e del terzo periodo» (comma
2,  quarto  periodo).  Prescrivono,   infine,   che   «in   caso   di
insufficienza delle predette risorse le regioni sono tenute a versare
all'entrata del bilancio dello Stato  le  somme  residue»  (comma  2,
ultimo periodo). 
    1.3.- Le richiamate disposizioni sono censurate,  anzitutto,  per
violazione degli artt. 3, 5,  117,  commi  primo,  secondo,  terzo  e
quarto, e 119 Cost., nella parte in cui suddividono la riduzione  dei
trasferimenti  statali  tra  le  Regioni  in  relazione  ai   consumi
intermedi. Cosi' disponendo, infatti, esse sarebbero, in primo luogo,
irragionevoli e determinerebbero l'effetto di penalizzare le  Regioni
piu' virtuose nella gestione delle risorse.  Secondo  la  ricorrente,
infatti, ad essere  maggiormente  colpite  sarebbero  proprio  quelle
Regioni che abbiano mantenuto entro livelli ragionevolmente contenuti
la  propria  dimensione  organizzativa,  favorendo  l'outsourcing   e
ricercando  all'esterno  dell'apparato  amministrativo  regionale  la
migliore efficienza, impiegando le risorse conseguite a  questo  tipo
di risparmi nell'incremento dei livelli del servizio pubblico: il che
comprometterebbe il piu' corretto  sviluppo  delle  autonomie  e  del
decentramento, cosi' come voluto dall'art. 5 Cost. Dette disposizioni
condizionerebbero ed  orienterebbero  la  gestione  organizzativa  ed
amministrativa regionale per il futuro, comprimendone le  competenze,
in violazione dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,  ed  oltretutto
optando per un criterio organizzativo  che  non  sarebbe  affatto  in
armonia  con  gli  obiettivi  di   risanamento   finanziario   e   di
contenimento  della  spesa  pubblica   i   quali,   a   loro   volta,
corrispondono al fine dell'equilibrio dei bilanci regionali,  nonche'
ai  «vincoli  economici  e  finanziari   derivanti   dall'ordinamento
dell'Unione europea» (art. 117, primo comma, Cost.). 
    Esse, inoltre, conterrebbero una disciplina che va ben al di  la'
della determinazione dei principi  di  «coordinamento  della  finanza
pubblica» e che sarebbe, quindi,  lesiva  dell'autonomia  finanziaria
regionale, considerato che gli stringenti limiti  di  spesa  da  esse
introdotti, corrispondenti a "tagli tematici", mirati su  determinati
capitoli, sarebbero calibrati in maniera tale da  non  lasciare  alle
Regioni medesime la facolta' di scegliere il modo in  cui  effettuare
il risparmio di spesa, determinando un indebito condizionamento nelle
scelte e nell'attivita' della Regione, senza peraltro  avere  neppure
carattere transitorio (riguardando gli anni  2012-2014  e  quelli  «a
decorrere dall'anno 2015»). 
    Ulteriori censure sono poi rivolte all'art. 16, commi 1 e 2,  del
d.l. n. 95 del 2012, con riferimento agli artt. 117 e  119,  terzo  e
quinto comma, Cost.  Le  citate  disposizioni,  nella  parte  in  cui
prevedono che i tagli sui trasferimenti statali  siano  piu'  elevati
per le Regioni che abbiano consumi intermedi piu' alti, ritenuti  una
manifestazione   di   "ricchezza",   produrrebbero,   infatti,    una
perequazione irragionevole e dannosa per il futuro e sganciata  dagli
obiettivi di solidarieta', e lesiva del  terzo  comma  dell'art.  119
Cost.  che  ancora  il  funzionamento  del  fondo  perequativo   alla
capacita' fiscale delle medesime Regioni, nonche'  del  quinto  comma
dello stesso art. 119 Cost., che prevede che gli oneri necessari  per
la rimozione degli squilibri economico-sociali e la promozione  dello
sviluppo  economico  delle  Regioni  meno  avanzate  debbano   essere
sostenuti dallo Stato e non dalle altre Regioni  e  devono  garantire
risorse aggiuntive rispetto a quelle reperite per  l'esercizio  delle
normali funzioni. 
    2.- Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto, nell'atto  di  costituzione  e  nella  memoria
depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica, che il ricorso venga
dichiarato inammissibile e comunque rigettato. 
    2.1.- Ad avviso della difesa statale  l'operato  del  legislatore
sarebbe  del  tutto  legittimo,  posto  che,  con   le   disposizioni
censurate, avrebbe perseguito obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica, incidendo su una voce di spesa complessiva, quella relativa
ai consumi intermedi, senza peraltro determinarne gli strumenti e  le
modalita', ma lasciando liberi gli  enti  di  individuare  le  misure
necessarie  al  fine  del  contenimento  della  spesa,  nel  rispetto
dell'art. 117, terzo comma, Cost. e dell'art. 119, primo comma, Cost.
Inoltre, la difesa statale precisa che il riferimento alle spese  per
i  consumi  intermedi,  ai  fini   del   riparto   fra   le   Regioni
dell'ammontare complessivo del concorso  finanziario  regionale  alle
spese, diviene esclusivo nella sola ipotesi, delineata al comma 2 del
medesimo art. 16, nella quale non si  abbia  la  deliberazione  della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome di Trento e Bolzano, ipotesi residuale. 
    La questione proposta in riferimento all'art. 117, terzo comma, e
119,  primo  comma,  Cost.  sarebbe,  prima  ancora  che   infondata,
inammissibile, non risultando la sussistenza di un vulnus diretto  ed
immediato  alla  finanza  regionale,  posto  che  la  ricorrente  non
fornirebbe alcuna dimostrazione  concreta  che  l'intervento  statale
«altera gravemente il rapporto tra complessivi  bisogni  regionali  e
insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte» (sentenze n.  246  del
2012 e n. 145 del 2008) e determina squilibri economico-finanziari  e
considerato che il riferimento  operato  dal  legislatore  alla  voce
generale  "spese  per  consumi  intermedi"   non   conterrebbe,   ne'
prefigurerebbe alcun vincolo puntuale e specifico per  il  successivo
comportamento degli enti. 
    Priva di  fondamento  sarebbe,  poi,  la  censura  di  violazione
dell'art. 117, quarto  comma,  Cost.,  per  avere  la  legge  statale
violato la competenza legislativa regionale residuale in  materia  di
«organizzazione dei pubblici uffici». La norma impugnata, infatti, si
limiterebbe a prevedere la riduzione dei trasferimenti operati  dallo
Stato a vantaggio  delle  Regioni,  senza  imporre  alcuna  specifica
modalita' operativa circa gli strumenti con cui attuare il  risparmio
di spesa. 
    Inammissibili sarebbero, infine, le censure di  violazione  degli
artt. 3 e 5 Cost., in quanto riferite a parametri  non  attinenti  al
riparto delle competenze, senza che sia desunta  la  compressione  di
sfere di attribuzione regionale,  nonche'  le  censure  proposte  nei
confronti dell'art. 119, terzo e quinto comma, Cost., in quanto volte
ad ipotizzare l'esistenza di trattamenti disomogenei e di  violazioni
di precetti costituzionali senza  definirne  puntualmente  essenza  e
consistenza. 
    3.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Lombardia dubita della legittimita' costituzionale
dell'art. 16, commi 1 e 2, del decreto-legge 6  luglio  2012,  n.  95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.
135. 
    Le  citate  disposizioni  sono  impugnate  nella  parte  in  cui:
stabiliscono che  le  Regioni  concorrono  alla  realizzazione  degli
obiettivi di finanza pubblica anche mediante la riduzione delle spese
per  i  consumi  intermedi   (comma   1);   determinano   l'ammontare
complessivo di tale concorso con riferimento agli  anni  2012,  2013,
2014 e «a decorrere dal 2015» (comma 2,  primo  periodo);  dispongono
che la ripartizione di tale concorso fra le  Regioni  e'  determinata
con delibera della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le Regioni e le Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  anche
tenendo conto delle analisi della spesa  effettuate  dal  commissario
straordinario di cui all'art. 2 del decreto-legge 7 maggio  2012,  n.
52  (Disposizioni  urgenti  per  la  razionalizzazione  della   spesa
pubblica), convertito, modificazioni, dall'art.  1,  comma  1,  della
legge 6 luglio 2012, n. 94, delibera che e' recepita da  un  apposito
decreto del Ministero dell'economia  e  delle  finanze  entro  il  30
settembre 2012 (comma 2, secondo periodo); prevedono che, in caso  di
mancata delibera della predetta Conferenza, il decreto del  Ministero
dell'economia e delle finanze e' comunque emanato entro il 15 ottobre
2012, «ripartendo la riduzione in proporzione  alle  spese  sostenute
per consumi intermedi desunte, per l'anno 2011, dal SIOPE» (comma  2,
terzo periodo). Esse sono, inoltre, censurate la'  dove  stabiliscono
che «le risorse a qualunque titolo dovute dallo Stato alle Regioni  a
statuto ordinario, incluse le risorse destinate  alla  programmazione
regionale del Fondo per le aree sottoutilizzate,  ed  escluse  quelle
destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario  nazionale
e  del  trasporto  pubblico  locale»,  determinate  con  decreto  del
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  sentita  la  Conferenza
permanente Stato-Regioni, «vengono ridotte, per ciascuna Regione,  in
misura corrispondente agli importi stabiliti ai sensi del primo,  del
secondo e del terzo periodo» (comma 2, quarto periodo) e che «in caso
di insufficienza delle predette risorse  le  Regioni  sono  tenute  a
versare all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue» (comma
2, ultimo periodo). 
    Secondo la ricorrente, i richiamati commi 1 e 2 dell'art. 16  del
d.l.  n.  95  del  2012,  ripartendo  tra  le  Regioni  il   concorso
finanziario agli obiettivi del patto di stabilita' in relazione  alle
spese per i consumi intermedi, violerebbero  gli  artt.  3,  5,  117,
primo, secondo, terzo e quarto  comma,  e  119  Cost.  Essi,  infatti
determinerebbero,  irragionevolmente,  l'effetto  di  penalizzare  le
Regioni piu' virtuose nella gestione delle risorse,  e  cioe'  quelle
che abbiano contenuto la propria dimensione organizzativa, impiegando
le risorse conseguite  a  questo  tipo  di  risparmi  per  migliorare
l'efficienza   del   servizio    pubblico;    condizionerebbero    ed
orienterebbero la gestione organizzativa ed amministrativa  regionale
per  il  futuro,  comprimendo  la   relativa   competenza   regionale
residuale, oltretutto in favore di un criterio organizzativo che  non
sarebbe  affatto  in  armonia  con  gli  obiettivi   di   risanamento
finanziario  e  di  contenimento   della   spesa   pubblica   imposti
dall'ordinamento dell'Unione europea; infine, lederebbero l'autonomia
finanziaria  regionale,  introducendo  stringenti  limiti  di  spesa,
corrispondenti a "tagli tematici", mirati  su  determinati  capitoli,
calibrati in maniera tale  da  non  lasciare  alle  Regioni  medesime
alcuna facolta' di scegliere il modo in cui effettuare  il  risparmio
di spesa e  senza,  peraltro,  avere  neppure  carattere  transitorio
(riguardando gli anni  2012-2014  e  quelli  «a  decorrere  dall'anno
2015»). 
    Le medesime norme, nella parte in cui prevedono che i  tagli  sui
trasferimenti statali siano piu' elevati per le Regioni  che  abbiano
consumi  intermedi  piu'  alti,  ritenuti   una   manifestazione   di
"ricchezza", sarebbero inoltre lesive degli artt. 117 e 119, terzo  e
quinto  comma,  Cost.,  sotto  un  altro  profilo.   Esse,   infatti,
produrrebbero una perequazione irragionevole e dannosa per il  futuro
e sganciata dagli obiettivi di solidarieta', lesiva del  terzo  comma
dell'art. 119 Cost. che ancora il funzionamento del fondo perequativo
alla capacita' fiscale delle medesime  Regioni,  nonche'  del  quinto
comma dello  stesso  art.  119  Cost.,  che  prevede  che  gli  oneri
necessari per la rimozione degli  squilibri  economico-sociali  e  la
promozione dello  sviluppo  economico  delle  Regioni  meno  avanzate
debbano essere sostenuti dallo Stato e  non  dalle  altre  Regioni  e
devono garantire risorse aggiuntive rispetto a  quelle  reperite  per
l'esercizio delle normali funzioni. 
    2.- Occorre, preliminarmente, rilevare che  l'impugnato  comma  2
dell'art. 16 del d.l. n. 95 del 2012 e' stato modificato dall'art. 1,
commi 117, lettere a) e b), e 468, della legge 24 dicembre  2012,  n.
228  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato - legge di stabilita' 2013), a decorrere  dal
1° gennaio 2013. 
    Le  modifiche  apportate   alla   disposizione   impugnata   sono
costituite, essenzialmente: dall'aumento  degli  importi  previsti  a
titolo di concorso delle Regioni alla realizzazione  degli  obiettivi
del patto di stabilita' interno delle  Regioni  («Gli  obiettivi  del
patto di stabilita' interno delle regioni a  statuto  ordinario  sono
rideterminati in modo tale da assicurare l'importo di 700 milioni  di
euro per l'anno 2012 e di 2.000 [nel testo precedente:1.000]  milioni
di euro per ciascuno degli anni  2013  e  2014  e  2.050  [nel  testo
precedente:1.050] milioni di euro a decorrere dall'anno 2015»:  cosi'
il comma 2, primo periodo); dalla previsione che  la  delibera  della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  Regioni  e  le
Province autonome,  con  la  quale  e'  determinato  l'ammontare  del
concorso finanziario di ciascuna Regione, e' recepita con decreto del
Ministero dell'economia e delle finanze che e' emanato «entro  il  15
febbraio di ciascun anno» e non  piu'  «entro  il  15  ottobre  2012»
(cosi' il comma 2, secondo periodo); infine, dall'introduzione  della
previsione che le riduzioni delle risorse dovute a  qualunque  titolo
dallo Stato alle Regioni sono determinate «per l'importo  complessivo
di 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e  1.050
milioni di euro a decorrere dall'anno 2015», per ciascuna Regione  in
misura «proporzionale» (e non  piu'  «corrispondente»)  agli  importi
stabiliti ai sensi del primo, del secondo e del terzo periodo» (cosi'
comma 2, quarto periodo). 
    Questa Corte ha costantemente affermato che, nell'ipotesi in  cui
le modifiche normative non siano satisfattive rispetto alle  censure,
la questione di costituzionalita' deve essere trasferita sulla  nuova
disposizione, salvo che quest'ultima appaia dotata  di  un  contenuto
radicalmente innovativo rispetto alla norma originaria (ex  plurimis,
sentenze n. 219 del 2013, n. 193 e n. 30 del 2012). 
    Nella specie, le modifiche di cui si e' riferito non hanno mutato
la portata precettiva della norma impugnata; anzi, per  certi  versi,
hanno aggravato i contenuti asseritamente lesivi della stessa, con la
conseguenza che la questione deve ritenersi trasferita sul testo oggi
vigente dell'art. 16, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012. 
    3.- Ancora in linea preliminare,  occorre  valutare  l'eccezione,
sollevata dalla difesa statale,  di  inammissibilita'  delle  censure
promosse nei confronti dell'art. 16, commi 1 e 2, del d.l. n. 95  del
2012, in riferimento agli artt. 3 e 5 Cost., in quanto sono  relative
a parametri non attinenti al riparto delle competenze  e  dalla  loro
pretesa violazione non sarebbe desunta la compressione  di  sfere  di
attribuzione regionale. 
    3.1.- L'eccezione e' fondata. 
    La  ricorrente  contesta  l'irragionevolezza   della   disciplina
impugnata senza dimostrare in che modo tale pretesa  irragionevolezza
della disciplina determinerebbe, anche in ipotesi, una lesione  della
competenza regionale e, per giunta, senza fornire  argomenti  atti  a
dimostrare  per  quale  motivo   detta   disciplina   finirebbe   per
penalizzare le Regioni piu' virtuose. 
    Deve, pertanto, dichiararsi l'inammissibilita' della questione di
legittimita' costituzionale proposta in relazione agli artt.  3  e  5
Cost., posto che, in riferimento ad essa,  «il  ricorso  e'  generico
quanto  alla  motivazione  e  carente  [...]  quanto   alla   pretesa
ridondanza della disposizione impugnata sulla lesione  delle  proprie
competenze» (sentenza n. 246 del 2012). 
    4.- Deve, altresi', essere  dichiarata  l'inammissibilita'  delle
questioni proposte in relazione all'art. 117, primo e secondo  comma,
Cost. 
    Infatti, con riferimento all'art. 117, secondo comma,  Cost.,  il
ricorrente non svolge alcuna  motivazione,  limitandosi  ad  indicare
solo numericamente tale parametro costituzionale, peraltro in maniera
generica. Con riguardo, invece, all'art. 117, primo comma, Cost.,  la
Regione,  pur  denunciando  la  violazione  dei   vincoli   economici
derivanti  dall'ordinamento  dell'Unione  europea,   non   solo   non
specifica quali sarebbero le norme dell'Unione europea che  sarebbero
lese, ma non svolge neppure alcuna argomentazione atta a spiegare per
quale ragione la prevista ripartizione tra le Regioni  dell'ammontare
del concorso finanziario al  patto  di  stabilita'  in  relazione  ai
consumi intermedi indurrebbe  le  Regioni  medesime  ad  adottare  un
criterio di organizzazione non in armonia con i vincoli  economici  e
finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. 
    5.- La Regione Lombardia censura, inoltre, l'art. 16, commi  1  e
2, del d.l.  n.  95  del  2012,  nella  parte  in  cui,  determinando
l'ammontare del concorso finanziario di ciascuna Regione al patto  di
stabilita' in relazione all'ammontare delle  spese  sostenute  per  i
consumi intermedi, recherebbe una disciplina che va  ben  al  di  la'
della determinazione dei principi  di  «coordinamento  della  finanza
pubblica»,  la   quale   sarebbe,   quindi,   lesiva   dell'autonomia
finanziaria regionale (artt. 117, terzo comma, e  119,  primo  comma,
Cost.), tale, peraltro, da  condizionare  ed  orientare  la  gestione
organizzativa  ed  amministrativa  regionale,  in  violazione   anche
dell'art. 117, quarto comma, Cost. Infatti, gli stringenti limiti  di
spesa da essa introdotti, riferiti a  specifici  capitoli,  sarebbero
determinati in maniera tale da non lasciare alla Regione medesima  la
facolta' di scegliere il modo  in  cui  effettuare  il  risparmio  di
spesa, in tal modo condizionandone l'attivita', senza peraltro  avere
neppure carattere  transitorio,  riguardando  gli  anni  2012-2014  e
quelli «a decorrere dall'anno 2015». 
    5.1.- In  linea  preliminare,  occorre  valutare  l'eccezione  di
inammissibilita' della predetta  questione,  sollevata  dalla  difesa
statale  sulla  base  dell'assunto  che  non  sarebbe   adeguatamente
dimostrata la sussistenza di un  vulnus  diretto  ed  immediato  alla
finanza regionale, in specie con  riferimento  alla  circostanza  che
l'intervento  statale  altererebbe   gravemente   il   rapporto   tra
complessivi bisogni regionali e  insieme  dei  mezzi  finanziari  per
farvi  fronte,  ne'  sarebbe  adeguatamente   motivata   la   pretesa
determinazione di vincolo puntuali e specifici all'autonomia di spesa
ed organizzativa delle Regioni. 
    5.1.1.- L'eccezione e' priva di fondamento. 
    Nella specie, la Regione ricorrente impugna le norme citate nella
parte in cui, stabilendo che l'ammontare del concorso finanziario  di
ciascuna Regione al patto di stabilita' e' determinato  in  relazione
all'ammontare delle spese sostenute  dalle  medesime  per  i  consumi
intermedi, conterrebbero disposizioni dettagliate  non  qualificabili
quali principi fondamentali di coordinamento della  finanza  pubblica
ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.  e  quindi  tali  da
comprimere oltre il consentito l'autonomia di  spesa  delle  Regioni,
tutelata dall'art. 119, primo comma, Cost., in  quanto  incidenti  su
uno  specifico  capitolo  di  spesa  e  non  sulla   spesa   corrente
complessivamente  considerata.  Posto  che  a  nulla  rileva,  a  tal
proposito, la dimostrazione dell'esistenza di un  vulnus  diretto  ed
immediato alla finanza regionale, la valutazione circa la  fondatezza
di tali  assunti  rientra  nel  giudizio  inerente  al  merito  della
questione. 
    5.2.- Nel merito, la questione e' fondata nei limiti  di  seguito
precisati. 
    Questa Corte ha  da  tempo  riconosciuto  che  la  finanza  delle
Regioni, delle Province autonome e degli enti locali e' «parte  della
finanza pubblica allargata» (sentenze n. 267 del 2006 e  n.  425  del
2004). Pertanto, «il legislatore statale puo' legittimamente  imporre
alle Regioni vincoli alle politiche di bilancio  -  anche  se  questi
ultimi, indirettamente, vengono ad incidere sull'autonomia  regionale
di  spesa  -  per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  volte   a
salvaguardare [...]  l'equilibrio  unitario  della  finanza  pubblica
complessiva,  in  connessione  con  il  perseguimento  di   obiettivi
nazionali, condizionati anche da obblighi  comunitari»  (sentenza  n.
237 del 2009; nello stesso senso sentenze n. 52 del 2010 e n. 139 del
2009).  Questi  vincoli,  tuttavia,  perche'   possano   considerarsi
rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti  locali,  devono
riguardare «l'entita' del disavanzo di parte corrente»  oppure  -  ma
solo «in  vista  degli  specifici  obiettivi  di  riequilibrio  della
finanza pubblica perseguiti dal legislatore  statale  -  la  crescita
della spesa corrente» (sentenza n. 182 del 2011), in quanto, ove  non
contenuta, ineludibilmente destinata a produrre disavanzo e quindi  a
porre a rischio  gli  obiettivi  di  finanza  pubblica  e  con  essi,
indirettamente, anche i  vincoli  economici  e  finanziari  derivanti
dall'ordinamento dell'Unione europea. 
    Sulle richiamate indicazioni trovano fondamento  le  disposizioni
censurate, nella parte in cui,  «ai  fini  della  tutela  dell'unita'
economica della Repubblica» (comma 1) ed in vista della realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica, determinano, in linea  generale,
gli  obiettivi  del  patto  di  stabilita'  interno  delle   Regioni,
strettamente strumentali ai primi. In coerenza con tale  scopo,  esse
prescrivono che l'ammontare complessivo del concorso  finanziario  di
ciascuna Regione al rispetto dei  predetti  obiettivi  del  patto  di
stabilita' (comma 2) sia determinato dalla Conferenza permanente  per
i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province  autonome,  la  cui
delibera, adottata anche tenendo  conto  delle  analisi  della  spesa
effettuate dal commissario straordinario di cui all'art. 2  del  d.l.
n. 52 del 2012,  deve  essere  recepita  con  decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio  di  ciascun  anno,
sempre in considerazione della necessita' di assicurare  il  rispetto
dei vincoli di finanza pubblica. 
    Nel terzo periodo del comma 2, l'art.  16,  tuttavia,  stabilisce
che, «in caso di mancata deliberazione  della  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e  le  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano, il decreto del Ministero dell'economia  e  delle
finanze e' comunque emanato entro il 15 febbraio di ciascun  anno»  e
che la determinazione del concorso finanziario di ciascuna regione e'
effettuata esclusivamente «in proporzione alle  spese  sostenute  per
consumi intermedi» e cioe' a quei consumi che, secondo la definizione
fornita dal Regolamento CE 25 giugno 1996, n. 2223  (Regolamento  del
Consiglio relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali
nella Comunita'), «rappresentano il valore dei  beni  e  dei  servizi
consumati quali input in un processo di produzione». 
    La richiamata disposizione e', pertanto, chiaramente  finalizzata
a sanzionare e quindi ad imporre alle Regioni il  contenimento  della
spesa corrente, non complessivamente considerata,  ma  con  specifico
riguardo alla categoria dei suddetti consumi intermedi. 
    A  tal  proposito  occorre  ricordare   che   questa   Corte   ha
ripetutamente affermato che  e'  consentito  al  legislatore  statale
imporre  limiti  alla  spesa  di  enti  pubblici  regionali,  che  si
configurano quali principi di «coordinamento della finanza pubblica»,
anche nel caso in cui gli «obiettivi di riequilibrio della  medesima»
tocchino singole voci di  spesa  a  condizione  che:  tali  obiettivi
consistano in «un contenimento complessivo, anche  se  non  generale,
della spesa corrente», in  quanto  dette  voci  corrispondano  ad  un
«importante aggregato della spesa di parte corrente», come  nel  caso
delle spese per il personale (sentenze n. 287 del 2013 e n.  169  del
2007); il citato contenimento sia comunque «transitorio»,  in  quanto
necessario a fronteggiare una situazione  contingente,  e  non  siano
previsti  «in  modo  esaustivo   strumenti   o   modalita'   per   il
perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenze n. 23  e  n.  22  del
2014; n. 236, n. 229 e n. 205 del 2013; n. 193 del 2012; n.  169  del
2007). 
    Orbene,  la  citata  disposizione  soddisfa   solo   alcuni   dei
richiamati requisiti, nella parte in cui  stabilisce  che  le  misure
restrittive incidono sui consumi intermedi, i quali costituiscono «un
rilevante aggregato della spesa di parte corrente» ed «una delle piu'
frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico» (sentenza n.  289
del 2008), e non  detta  specifiche  modalita'  operative  circa  gli
strumenti con cui attuare il risparmio  sulla  spesa  per  i  consumi
intermedi,  che   restano,   pertanto,   almeno   in   parte,   nella
discrezionalita'  della  Regione.   Ma   non   soddisfa,   viceversa,
l'ulteriore condizione della necessaria "transitorieta'" delle misure
restrittive (fra le tante, sentenze n. 256,  n.  229  e  n.  205  del
2013), nella parte  in  cui  stabilisce  che  dette  misure,  che  si
impongono all'autonomia di spesa ed organizzativa della Regione, sono
adottate non per un periodo limitato, per fronteggiare una situazione
contingente, ma a  tempo  indeterminato,  disponendo  l'adozione  del
decreto ministeriale «entro il 15 febbraio di ciascun anno». 
    Considerato che questa Corte non puo' stabilire a sua discrezione
l'arco  temporale  di  operativita'  delle  norme  in  esame,   cosi'
sostituendosi al legislatore, occorre dedurre dalla  trama  normativa
censurata un termine finale che  consenta  di  assicurare  la  natura
transitoria delle misure  previste  e,  allo  stesso  tempo,  di  non
stravolgere gli equilibri della finanza pubblica, specie in relazione
all'anno finanziario in corso (sentenza n. 193 del 2012). L'esame del
primo e del quarto periodo del comma 2 dell'art. 16 in esame consente
di  individuare  quale  dies  ad  quem  l'anno  2015,   espressamente
richiamato in entrambi i suddetti periodi la' dove e' determinato  il
concorso finanziario delle Regioni al patto  di  stabilita'  per  gli
anni 2012, 2013 e 2014 e «a decorrere dall'anno 2015». 
    Deve,    pertanto,     essere     dichiarata     l'illegittimita'
costituzionale, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma,
e 119, primo comma, Cost., del terzo periodo del comma 2 dell'art. 16
del d.l. n. 95 del 2012, nella parte in cui non prevede che, in  caso
di mancata deliberazione della Conferenza permanente per  i  rapporti
tra lo Stato, le Regioni e  le  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, il decreto del Ministero dell'economia e delle  finanze  «e'
comunque emanato  entro  il  15  febbraio  di  ciascun  anno»,  «sino
all'anno 2015». 
    6.- I commi 1 e 2 (piu'  precisamente  il  quarto  ed  il  quinto
periodo del comma 2) dell'art. 16 del  d.l.  n.  95  del  2012  sono,
infine censurati dalla ricorrente per violazione dell'art. 119, terzo
e quinto comma, Cost. 
    Essi, nella parte in cui stabiliscono che le risorse a  qualunque
titolo dovute dallo Stato alle  Regioni  a  statuto  ordinario  siano
ridotte in misura maggiore nei confronti delle  Regioni  che  abbiano
effettuato maggiori spese  per  i  consumi  intermedi,  ritenute  una
manifestazione di "ricchezza", fino al punto da imporre alle medesime
Regioni la restituzione allo Stato  delle  risorse  gia'  trasferite,
produrrebbero una perequazione lesiva del terzo comma  dell'art.  119
Cost.  che  ancora  il  funzionamento  del  fondo  perequativo   alla
capacita' fiscale, nonche' del quinto comma  del  medesimo  art.  119
Cost., che prevede che gli oneri necessari  per  la  rimozione  degli
squilibri economico-sociali e la promozione dello sviluppo  economico
delle Regioni meno avanzate debbano essere sostenuti  dallo  Stato  e
non  dalle  altre  Regioni  e  devono  garantire  risorse  aggiuntive
rispetto a quelle reperite per l'esercizio delle normali funzioni. 
    6.1.- Preliminarmente, e' stata eccepita l'inammissibilita' della
questione in quanto essa consisterebbe nella denuncia di  trattamenti
disomogenei e di violazioni di precetti costituzionali non  assistita
da adeguata argomentazione. 
    6.1.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    La ricorrente contesta che la previsione in  base  alla  quale  i
trasferimenti  statali  sono  maggiormente  ridotti  a  carico  delle
Regioni che abbiano sostenuto maggiori spese per i consumi intermedi,
intese quali manifestazioni di ricchezza, ed in specie la  previsione
che, nell'ipotesi in cui le predette spese siano molto elevate  e  le
risorse statali da  trasferire  insufficienti,  le  medesime  Regioni
siano tenute a versare all'entrata del bilancio dello Stato le  somme
residue,  darebbero  forma  ad  una  perequazione  costituzionalmente
illegittima in quanto  non  calibrata  sulla  capacita'  fiscale  dei
territori (art. 119, terzo comma, Cost.) e non  realizzata  a  carico
dello Stato  ed  in  vista  della  necessita'  di  garantire  risorse
aggiuntive, come imposto dal quinto comma dell'art. 119 Cost. 
    La  censura  risulta,  pertanto,   adeguatamente   motivata.   La
valutazione circa la fondatezza degli argomenti svolti a suo sostegno
appartiene al sindacato di merito. 
    6.2.- Nel merito, la questione e' fondata nei termini di  seguito
precisati. 
    Sempre nell'ambito del  concorso  degli  enti  territoriali  alla
realizzazione degli obiettivi  di  finanza  pubblica  (comma  1),  il
censurato art. 16 del d.l. n. 95 del 2012,  dopo  aver  stabilito  le
modalita' del concorso finanziario  delle  Regioni  al  conseguimento
degli obiettivi del patto  di  stabilita'  interno  delle  Regioni  a
statuto ordinario (comma 2, dal  primo  al  terzo  periodo),  dispone
anche la riduzione delle «risorse a  qualunque  titolo  dovute  dallo
Stato alle regioni a statuto ordinario, incluse le risorse  destinate
alla programmazione regionale del Fondo per le  aree  sottoutilizzate
ed escluse quelle destinate al finanziamento  corrente  del  Servizio
sanitario nazionale e del trasporto pubblico locale» (quarto  periodo
del comma 2). 
    Tale riduzione e' determinata, per ciascuna Regione,  «in  misura
proporzionale», fra l'altro, anche alle spese sostenute per i consumi
intermedi (quarto periodo del comma 2), al  punto  che  «in  caso  di
insufficienza delle predette risorse le regioni sono tenute a versare
all'entrata del  bilancio  dello  Stato  le  somme  residue»  (ultimo
periodo del comma 2). 
    Tali disposizioni, in altri termini, nell'imporre il  taglio  dei
trasferimenti statali in favore delle Regioni ad autonomia  ordinaria
(taglio che, tuttavia, non tocca  le  risorse  relative  al  servizio
sanitario  ed   al   trasporto   pubblico   locale),   lo   commisura
all'ammontare delle spese  sostenute  dalle  Regioni  per  i  consumi
intermedi, nel senso di imporre maggiori riduzioni a  quelle  Regioni
che  abbiano  effettuato  maggiori  spese  per  i  suddetti   consumi
intermedi, fino al punto di costringere quelle  Regioni  che  abbiano
effettuato spese molto elevate per i consumi intermedi, superiori  ai
trasferimenti statali dovuti, a restituire al bilancio dello Stato le
somme residue. 
    In tal modo esse realizzano un effetto perequativo implicito,  ma
evidente, che discende dal collegare la riduzione  dei  trasferimenti
statali all'ammontare delle spese per  i  consumi  intermedi,  intese
quali manifestazioni, pur indirette, di ricchezza delle Regioni. 
    Una simile misura perequativa, tuttavia, contrasta con l'art. 119
Cost.  in  quanto  non  soddisfa  i  requisiti  ivi  prescritti,   in
particolare al terzo ed al quinto comma. 
    Questa Corte  ha  ripetutamente  affermato  che  «gli  interventi
statali fondati sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere
gli squilibri  economici  e  sociali,  devono  seguire  le  modalita'
fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost., senza alterare i  vincoli
generali di contenimento della spesa pubblica, che  non  possono  che
essere uniformi» (sentenze n. 46 del 2013 e n. 284 del  2009)  ed  ha
anche affermato che, ove le risorse acquisite siano destinate  ad  un
apposito fondo perequativo, esse devono essere  indirizzate  ai  soli
«territori con minore capacita'  fiscale  per  abitante»  (art.  119,
terzo comma, Cost.). 
    Infatti, «mentre il concorso agli obiettivi di  finanza  pubblica
e' un obbligo indefettibile di tutti gli enti  del  settore  pubblico
allargato di cui anche le Regioni devono farsi carico  attraverso  un
accollo  proporzionato  degli  oneri  complessivi  conseguenti   alle
manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52  del  2010),
la perequazione degli squilibri economici in  ambito  regionale  deve
rispettare le modalita' previste dalla Costituzione, di modo  che  il
loro impatto sui conti consolidati  delle  amministrazioni  pubbliche
possa essere fronteggiato ed eventualmente  redistribuito  attraverso
la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti  dal  vigente
ordinamento finanziario e contabile»  (sentenza  n.  176  del  2012).
Conseguentemente,  «gli  interventi  perequativi  e  solidali  devono
garantire  risorse  aggiuntive  rispetto  a   quelle   reperite   per
l'esercizio  delle  normali  funzioni»,  e  provenienti  dallo  Stato
(sentenza n. 176  del  2012),  devono  avere  uno  «specifico  ambito
territoriale  di  localizzazione»,  nonche'  «particolari   categorie
svantaggiate destinatarie» (sentenza n. 254 del 2013). 
    Nella specie, nessuna delle suddette condizioni  e'  soddisfatta,
posto che le disposizioni censurate non contengono  alcun  indice  da
cui possa trarsi la conclusione che le risorse in tal modo  acquisite
siano  destinate  ad  un  fondo  perequativo  indirizzato   ai   soli
«territori con minore capacita'  fiscale  per  abitante»  (art.  119,
terzo comma, Cost.), ne'  che  esse  siano  volte  a  fornire  quelle
«risorse aggiuntive», che lo Stato - dal quale, peraltro,  dovrebbero
provenire - destina esclusivamente a «determinate» Regioni per «scopi
diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119,  quinto
comma, Cost.: ex plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006;
n. 107 del 2005; n. 423, n. 320,  n.  49  e  n.  16  del  2004),  con
riferimento  a  specifici  ambiti  territoriali  e/o  a   particolari
categorie  svantaggiate.  Dal  tenore  delle  disposizioni  impugnate
emerge esclusivamente che il maggiore sacrificio imposto alle Regioni
per il solo fatto che hanno sostenuto maggiori spese  per  i  consumi
intermedi si risolve in una  corrispondente  maggiore  riduzione  dei
trasferimenti  statali,   ove   non   addirittura   nell'obbligo   di
restituzione  di  risorse  gia'  acquisite,  che  vengono  assicurate
all'entrata del bilancio dello Stato, senza alcuna indicazione  circa
la loro destinazione. 
    Deve,  pertanto,  dichiararsi   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 16, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012,  ultimo  periodo,  il
quale impone alle Regioni che abbiano sostenuto spese  molto  elevate
per i consumi intermedi, allorquando le risorse statali da trasferire
non siano  sufficienti  a  "coprire"  quelle  spese,  di  versare  al
bilancio dello Stato le somme residue; nonche' del medesimo art.  16,
comma 2, quarto periodo, nella parte in cui stabilisce che le risorse
a  qualunque  titolo  dovute  dallo  Stato  alle  Regioni  a  statuto
ordinario sono ridotte, per ciascuna Regione, in misura proporzionale
agli importi  stabiliti  anche  ai  sensi  «del  terzo  periodo»  del
medesimo comma e cioe' in proporzione  alle  spese  sostenute  per  i
consumi intermedi.