N. 236 SENTENZA 17 - 24 luglio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Enti locali - Imposizione agli enti locali dell'obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Asserita lesione della competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione - Insussistenza - Applicazione della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 24-bis, che rimette l'applicazione delle norme introdotte dal decreto alle procedure previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione - Non fondatezza delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, commi 1, 2, 3, 5 e 6. - Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4 e 54. Enti locali - Imposizione agli enti locali dell'obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite - Ricorso della Regione Sardegna - Asserita lesione della competenza legislativa esclusiva nelle materie dell'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione, dell'ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni e delle biblioteche e musei di enti locali - Insussistenza - Applicazione della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 24-bis, che rimette l'applicazione delle norme introdotte dal decreto alle procedure previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione - Non fondatezza delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, commi 1, 2 e 3. - Statuto della Regione Sardegna, artt. 3 e 7. Regioni (in genere) - Enti locali - Previsione che "Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost., o funzioni amministrative spettanti a Comuni, province e Citta' metropolitane ai sensi dell'art. 118 della Costituzione" - Ricorsi delle Regioni Lazio e Veneto - Asserita lesione della potesta' legislativa in materia di organizzazione regionale - Asserita violazione dell'autonomia finanziaria regionale - Asserita violazione dell'autonomia statutaria - Insussistenza - Erroneo presupposto interpretativo circa l'ambito applicativo della disposizione censurata, che non concerne l'organizzazione e le funzioni delle Regioni - Non fondatezza della questione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, comma 1. - Costituzione, artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 123. Enti locali - Imposizione agli enti locali dell'obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite - Ricorsi delle Regioni Lazio e Veneto - Asserita violazione della potesta' regolamentare degli enti locali - Asserita violazione dell'autonomia finanziaria degli enti locali - Insussistenza - Norma espressiva di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica - Non fondatezza della questione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, comma 1. - Costituzione, artt. 117, comma sesto, e 119. Enti locali - Imposizione agli enti locali dell'obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite - Esclusione delle aziende speciali, degli enti e delle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali - Ricorso della Regione Veneto - Asserita lesione della potesta' legislativa in materia di organizzazione regionale - Insussistenza - Disposizione che non concerne l'organizzazione e le funzioni delle Regioni - Non fondatezza della questione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, comma 1-bis. - Costituzione, art. 117, quarto comma. Enti locali - Imposizione agli enti locali dell'obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite - Previsione di una procedura concertata per la ricognizione di tutti gli "enti, agenzie e organismi" e per la definizione, mediante intesa, da adottarsi in sede di Conferenza unificata, dei "criteri e della tempistica" per l'attuazione della norma - Ricorso della Regione Lazio - Asserita lesione della potesta' legislativa in materia di organizzazione regionale - Asserita violazione dell'autonomia finanziaria - Insussistenza - Norme che si rivolgono esclusivamente a soggetti che svolgono funzioni di Comuni, Province e Citta' metropolitane, non lesive di prerogative regionali - Non fondatezza della questione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, commi 2 e 3. - Costituzione, artt. 117, terzo comma, e 119. Enti locali - Imposizione agli enti locali dell'obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite - Previsione che «decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, se le Regioni, le Province e i Comuni non hanno dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma 1 sono soppressi" - Previsione che "sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi" - Insufficiente individuazione degli enti soppressi in via automatica - Manifesta irragionevolezza - Illegittimita' costituzionale - Assorbimento delle ulteriori censure. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, comma 4. - Costituzione, art. 3 (artt. 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 123). Enti locali - Imposizione agli enti locali dell'obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite - Previsione che «ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le regioni si adeguano ai principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgono, ai sensi dell'articolo 118, della Costituzione, funzioni amministrative conferite alle medesime regioni» - Ricorso della Regione Veneto - Asserita lesione della potesta' legislativa in materia di organizzazione regionale - Asserita violazione dell'autonomia finanziaria - Insussistenza - Norma espressiva di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica - Non fondatezza della questione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, comma 5. - Costituzione, artt. 117, terzo comma, e 119. Enti locali - Divieto per gli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o piu' funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'articolo 118 Cost. - Ricorso della Regione Veneto - Asserite invasione in una materia riservata alla potesta' legislativa regionale, interferenza con l'autonomia amministrativa e finanziaria degli Enti locali, interferenza con il potere di conferire funzioni amministrative agli Enti locali - Insussistenza - Divieto che opera solo nei limiti della necessaria riduzione del 20 per cento dei costi relativi al loro funzionamento - Non fondatezza nei sensi di cui in motivazione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 9, comma 6. - Costituzione, artt. 3, 97, 117, commi secondo e quarto, 118 e 119.

      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'articolo 9, commi
1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e 6, del decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,  n.  135,  promossi  dalle
Regioni Lazio e Veneto e dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia
e Sardegna con ricorsi notificati rispettivamente il 12-17, il 12, il
15 e il 12 ottobre 2012, depositati in cancelleria il 16, il 17 e  il
19 ottobre 2012 ed iscritti ai nn. 145, 151, 159 e 160  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  18  giugno  2013  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi gli  avvocati  Massimo  Luciani  per  la  Regione  autonoma
Sardegna, Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Luigi  Manzi
e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon per  la
Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  e  l'avvocato  dello  Stato
Gabriella D'Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 12 ottobre  2012  e  depositato  il
successivo 16 ottobre la Regione Lazio ha impugnato, tra  gli  altri,
l'articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2012,  n.
95 (Disposizioni urgenti per la revisione della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure  di  rafforzamento
patrimoniale delle imprese del  settore  bancario),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,  n.  135,  per  violazione
degli artt. 117, commi quarto e sesto, e 123 della Costituzione. 
    Il ricorrente premette che la  norma  impugnata,  nel  dichiarato
intento di realizzare il contenimento della spesa e il corrispondente
conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha  stabilito  che
«Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in  ogni  caso,
assicurano, la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura  non
inferiore al 20%, enti,  agenzie  e  organismi  comunque  denominati.
[...] che esercitano, alla data di entrata  in  vigore  del  decreto,
anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all'art.  117,
secondo comma, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti  a
Comuni, Province e Citta' metropolitane ai sensi dell'art. 118  della
Costituzione». 
    Il legislatore ha previsto un'apposita  procedura  articolata  in
tre passaggi: a) ricognizione, entro tre mesi dall'entrata in  vigore
del decreto, di tutti gli «enti, agenzie e organismi» che  esercitano
funzioni fondamentali o, in ogni caso, di tipo  amministrativo  degli
enti locali (comma 2); b) definizione, mediante intesa  da  adottarsi
in sede di Conferenza Unificata, dei «criteri e della tempistica» per
l'attuazione della norma (comma 3);  c)  soppressione  ope  legis  di
tutti gli enti, agenzie e  organismi,  con  conseguente  nullita'  di
tutti gli atti  successivamente  adottati,  qualora  le  Regioni,  le
Province e i Comuni, decorsi nove  mesi  dalla  data  di  entrata  in
vigore del decreto, non  abbiano  concretamente  dato  attuazione  al
precetto normativo (comma 4). 
    Poste  tali  premesse,  secondo  la   Regione   ricorrente,   non
dovrebbero nutrirsi dubbi  sul  fatto  che  la  disciplina  impugnata
contrasti con gli art. 123 e  117,  comma  quarto,  Cost.,  incidendo
indebitamente  sulla  sfera   di   autonomia   organizzativa   e   di
funzionamento dell'amministrazione regionale. 
    A  tale  proposito  la  ricorrente  ribadisce  che   i   principi
fondamentali di organizzazione e funzionamento  regionale  attengono,
ai   sensi   dell'art.   123   Cost.,    all'autonomia    statutaria,
nell'esercizio  della  quale  la  Regione  Lazio  ha  individuato   e
disciplinato puntualmente una serie di strutture organizzative, quali
le «Agenzie regionali» (art. 54 dello statuto),  gli  «enti  pubblici
dipendenti dalla Regione» (art. 55 dello statuto),  le  «societa'  ed
altri  enti  privati  a  partecipazione  regionale»  (art.  56  dello
statuto), rimettendo alla  legge  regionale  la  disciplina  relativa
all'istituzione e al funzionamento di tali organismi. 
    La  materia  «organizzazione   amministrativa»   della   Regione,
inoltre, ricade, in forza dell'art. 117, comma quarto,  Cost.,  nella
propria  potesta'  legislativa   residuale   e   non   sono   ammesse
interferenze ad opera del legislatore statale. 
    Sulla base  di  cio',  la  Regione  conclude  nel  senso  che  il
censurato art. 9, commi l, 2, 3 e  4  -  per  effetto  del  quale  e'
prevista la «soppressione» o  l'«accorpamento»  di  enti,  agenzie  e
organismi   comunque   denominati   -    deve    essere    dichiarato
costituzionalmente illegittimo per violazione dei citati articoli 123
e 117, comma quarto, Cost., trattandosi di previsione che  incide  in
via immediata sui predetti ambiti materiali di competenza regionale. 
    L'illegittimita'    costituzionale    dello    stesso    articolo
rileverebbe, altresi', sotto un ulteriore e concorrente  profilo.  Il
comma  l,  infatti,  impone  anche  agli  enti  locali  l'obbligo  di
soppressione  o  accorpamento  di  agenzie  ed  enti  che  esercitino
funzioni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto  contrasto
con l'art. 117, comma sesto, Cost.,  che  riconosce,  come  noto,  ai
predetti enti la potesta' regolamentare  in  ordine  alla  disciplina
dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle   funzioni   loro
attribuite, le quali possono essere svolte attraverso  enti,  agenzie
ed organismi vari. 
    A seguito della riforma del titolo V della Costituzione,  che  ha
delineato un nuovo quadro delle funzioni e dei poteri  dei  Comuni  e
delle  Province  (e  delle  Citta'   metropolitane),   e'   possibile
individuare un fondamento di  rango  costituzionale  alla  disciplina
delle funzioni e dell'organizzazione degli enti locali.  Inoltre,  la
lesione delle menzionate sfere di autonomia costituzionale  garantite
in  capo  alle  Regioni  e  agli  enti  locali  non  sarebbe  esclusa
dall'individuazione, da parte del legislatore  statale,  dell'accordo
in  Conferenza  unificata  e  dal  richiamo  al  principio  di  leale
collaborazione per l'attuazione della norma. 
    Tali meccanismi di raccordo si mostrano inidonei  ad  evitare  le
lesioni di competenza prospettate, ove si consideri che, per espressa
previsione  normativa  (comma  4),  si   procedera'   comunque   alla
soppressione ope legis  di  enti,  agenzie  ed  organismi  vari,  con
conseguente nullita' degli atti da essi adottati, qualora la  Regione
e  gli  enti  locali  laziali  non  abbiano  dato,  entro  nove  mesi
dall'entrata in vigore del decreto - e, dunque, in un arco  temporale
ristretto - intera attuazione al dettato normativo statale. 
    La ricorrente censura anche l'eccessiva astrattezza e genericita'
del meccanismo volto ad individuare i «criteri e la  tempistica»  per
l'attuazione della norma, ove si consideri che tali  criteri  saranno
facilmente applicabili nelle sole ipotesi di enti  ed  organismi  che
risultino, in maniera inequivocabile, inutili ed  antieconomici.  Nei
restanti casi,  tuttavia,  sarebbe  particolarmente  difficoltosa  la
ricerca di presupposti univoci e precisi sulla cui base procedere, in
vista dell'unica finalita' di ridurre del  20  per  cento  gli  oneri
finanziari, alla  soppressione  o  all'accorpamento  degli  organismi
contemplati dalla norma. 
    La Regione evidenzia che la  richiamata  disciplina  statale,  la
quale fa leva su finalita' formalmente connesse al  «coordinamento  e
al conseguimento degli obiettivi  di  finanza  pubblica»,  non  possa
ritenersi legittimamente adottata dallo  Stato  nell'esercizio  della
propria competenza legislativa concorrente in tema di  «coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario», prevista  dall'art.
117, comma terzo, Cost. e dall'art. 119, comma secondo, Cost. 
    La  ricorrente,  a  tal  proposito,  richiama  la  giurisprudenza
costituzionale che ha negato ogni  valore  all'autoqualificazione  ai
fini dell'individuazione della materia  cui  ascrivere  la  normativa
impugnata (sentenza n.  247  del  2010),  dovendosi  far  riferimento
all'oggetto della disciplina medesima. 
    Secondo  la  Regione,  il   legislatore   statale   non   sarebbe
intervenuto, se non in termini meramente marginali e riflessi,  nella
materia «coordinamento della finanza pubblica», rispetto alla  quale,
peraltro,  lo  Stato  deve  in  ogni   caso   limitarsi   a   dettare
esclusivamente norme di principio  e  non  di  dettaglio  come  nella
presente  circostanza.  In  realta',   l'oggetto   della   disciplina
impugnata sarebbe rappresentato da un  vasto  e  profondo  intervento
modificativo dell'assetto organizzativo regionale, rispetto al quale,
tuttavia, lo Stato non potrebbe vantare alcuna competenza. 
    Sulla base di queste considerazioni  la  Regione  chiede  che  la
norma impugnata sia  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  per
violazione degli artt. 117, commi quarto e sesto, e 123 Cost. 
    1.1.- In data 26 novembre 2012 si e' costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  dello
Stato,  concludendo  nel  senso  dell'infondatezza  delle   questioni
sollevate dalla Regione Lazio. 
    La difesa statale evidenzia che gli obblighi  di  soppressione  o
accorpamento o riduzione degli oneri finanziari sono  motivati  dalle
esigenze di coordinamento  e  di  conseguimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica, nonche' di contenimento della spesa e  di  migliore
svolgimento delle funzioni amministrative.  Il  processo  di  riforma
degli enti pubblici strumentali e', d'altronde, gia' da diversi  anni
al centro di numerosi interventi normativi diretti a procedere ad una
loro drastica riduzione, per razionalizzare  il  funzionamento  della
pubblica amministrazione e contenere le spese della stessa. 
    L'Avvocatura   dello    Stato    richiama    la    giurisprudenza
costituzionale secondo cui le disposizioni statali  che  intervengono
in tema di coordinamento  della  finanza  pubblica  possono  incidere
anche sulla materia dell'organizzazione  e  del  funzionamento  della
Regione (sentenza n. 159 del 2008),  riconducibile  al  comma  quarto
dell'art. 117 Cost. (sentenze n. 188 del 2007, n. 2 del 2004 e n. 274
del 2003). Le norme statali  che  fissano  limiti  alla  spesa  delle
Regioni  e  degli   enti   locali   possono   qualificarsi   principi
fondamentali di coordinamento della finanza  pubblica  alla  seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il  perseguimento  dei  suddetti  obiettivi
(sentenze n. 142 del 2012, n. 139 del 2009,  n.  289  e  n.  120  del
2008). 
    Entrambi i requisiti sarebbero nel caso di specie rispettati.  La
disposizione in esame, infatti, in attuazione dell'obiettivo generale
di contenere una  voce  importante  della  spesa  pubblica  corrente,
prevede un'articolata procedura (commi 2  e  3)  in  cui  s'innestano
diversi momenti di raccordo tra lo Stato  e  le  Regioni  e  distinti
adempimenti per pervenire, entro il termine individuato dalla  norma,
alla soppressione degli enti, il tutto nel rispetto del principio  di
leale collaborazione. In  particolare,  il  comma  2  vincola  ad  un
accordo, da perseguire in sede  di  Conferenza  unificata  (ai  sensi
dell'art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281,  recante
«Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per  le  materie  ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni, con la Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie  locali»),  la
ricognizione degli enti da sopprimere o  da  accorpare.  Il  comma  3
rimanda ad un'intesa - da concludere  nella  stessa  sede,  ai  sensi
dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni
per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica  alla   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e sulla base del principio  di
leale collaborazione - per cio' che  concerne  la  definizione  delle
modalita' e della tempistica per l'attuazione degli obblighi  di  cui
alla norma in commento. La previsione finale, secondo cui, in caso di
mancato intervento da parte degli enti territoriali interessati entro
il termine di 9 mesi, si determina  l'automatica  soppressione  degli
enti  e  vengono  colpiti  da  nullita'  tutti  gli  atti  da  questi
successivamente adottati,  ponendosi  al  termine  di  una  procedura
caratterizzata da numerosi momenti di concertazione che lasciano alle
regioni  ampie  possibilita'  di  autonome  scelte  in  merito   alla
razionalizzazione  degli  enti  strumentali,   rappresenta,   invero,
strumento di concreta attuazione della disposizione in esame, al fine
di realizzare gli obiettivi indicati dal legislatore statale. 
    2.- Con ricorso notificato il 12 ottobre  2012  e  depositato  il
successivo 17 ottobre la Regione Veneto ha impugnato, tra gli  altri,
l'art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 per violazione degli artt. 117,  118
e 119 Cost. 
    Dopo aver  riportato  il  contenuto  della  norma  impugnata,  la
ricorrente evidenzia che la stessa non contiene principi fondamentali
di  «coordinamento  della  finanza  pubblica»  dettati  dallo   Stato
nell'esercizio della sua potesta' legislativa concorrente e,  dunque,
si pone in contrasto con l'art. 117, comma terzo, Cost. 
    La  Regione  Veneto  richiama  la  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale  con  la  quale  si  e'  affermato  che   quando   una
disposizione di legge statale imponga- come  nel  caso  di  specie  -
vincoli ad una singola voce di spesa  delle  Regioni  (o  degli  Enti
locali),  essa  deve  considerarsi  costituzionalmente   illegittima,
perche'  «pone  un  precetto  specifico   e   puntuale,   comprimendo
l'autonomia finanziaria regionale ed eccedendo dall'ambito dei poteri
statali  in  materia  di  coordinamento   della   finanza   pubblica»
risolvendosi  cio'  «in  un'indebita  invasione  dell'area  riservata
dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali» (sentenze  n.  182  del
2011 e n. 157 del 2007). 
    In particolare, secondo la ricorrente,  i  commi  l,  l-bis  e  4
dell'art. 9 porrebbero chiaramente precetti specifici e puntuali  che
comprimono l'autonomia finanziaria regionale:  alle  Regioni  sarebbe
impedito il contenimento della spesa pubblica per  il  tramite  della
riduzione di voci di spesa diverse da quelle rappresentate dagli enti
che  svolgono  funzioni  amministrative  regionali  (comma  l);  alle
Regioni sarebbe impedito il contenimento della spesa pubblica per  il
tramite della  soppressione  o  dell'accorpamento  o  comunque  della
riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali  o  di  enti  (o
istituzioni) che gestiscano servizi socio-assistenziali, educativi  e
culturali (comma lbis). 
    La violazione degli artt. 118 e  119  Cost.  sarebbe  evidente  e
consequenziale rispetto alla  gia'  denunciata  violazione  dell'art.
117, comma terzo, Cost. 
    Lo stesso  comma  5,  imponendo  alle  Regioni  di  adeguarsi  ai
principi di cui al comma l, relativamente agli enti, alle agenzie  ed
agli organismi comunque denominati e di qualsiasi natura che svolgano
ai sensi dell'art.118 Cost. funzioni  amministrative  conferite  alle
medesime Regioni, imporrebbe, in realta', alle Regioni di ridurre una
singola, specifica  e  ben  individuata  voce  di  spesa,  in  palese
contrasto  con  gli  artt.117  e   119   della   Costituzione,   come
riconosciuto dalla Corte costituzionale nella  sentenza  n.  157  del
2007. 
    La Regione Veneto censura anche il  comma  6  dell'art.  9  nella
parte in cui che vieta agli Enti locali di istituire enti, agenzie  o
organismi che esercitino una o piu' funzioni fondamentali e  funzioni
amministrative loro conferite ai sensi dell'art. 118 Cost. 
    Tale  norma  esulerebbe  dalle  materie  che  l'art.  117,  comma
secondo,  lettera  p),  Cost.  riserva  alla   potesta'   legislativa
esclusiva dello Stato. Inoltre risulterebbe violato anche l'art.  118
Cost. perche' una siffatta disciplina  interferisce  con  l'autonomia
amministrativa degli Enti locali e con il  potere  delle  Regioni  di
conferire funzioni amministrative agli Enti locali. 
    Infine, la  Regione  ritiene  violato  anche  l'art.  119  Cost.,
perche' la norma impugnata interferisce pesantemente con  l'autonomia
finanziaria regionale e locale. 
    A tal proposito la  ricorrente  evidenzia  che  le  Regioni  sono
legittimate a denunciare l'illegittimita' costituzionale di una legge
statale anche per violazione  delle  competenze  proprie  degli  Enti
locali purche' la «stretta connessione, in particolare [...] in  tema
di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle
delle autonomie locali consenta di  ritenere  che  la  lesione  delle
competenze  locali  sia  potenzialmente  idonea  a  determinare   una
vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n.169 e n. 95  del
2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). 
    La ricorrente lamenta anche la violazione  degli  artt.  3  e  97
Cost., in quanto il legislatore  statale  avrebbe  imposto  dall'alto
divieti e vincoli, piuttosto  che  sollecitare  correzioni  idonee  a
coniugare la ricchezza  dei  diversi  modelli  organizzativi  con  la
necessita' di contenimento della spesa pubblica in contrasto  con  il
principio di ragionevolezza. 
    2.1.- In data 21 novembre 2012 si e' costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  dello
Stato,  concludendo  nel  senso  dell'infondatezza  delle   questioni
sollevate dalla Regione Veneto. 
    Nell'atto di costituzione vengono sviluppate  difese  analoghe  a
quelle svolte nell'atto  di  costituzione  contro  il  ricorso  della
Regione Lazio che sono state sopra riportate. 
    3.- Con ricorso notificato il 15 ottobre  2012  e  depositato  il
successivo 19 ottobre la Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  ha
impugnato, tra gli altri, l'art. 9, commi 1, 2, 3 e 4, del d.l. n. 95
del  2012,  per  violazione  degli  artt.  4   e   54   della   legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia Giulia), nonche'  degli  artt.  3,  97  e  117,  comma
quarto, Cost. 
    Preliminarmente,  la   Regione   evidenzia   che   l'impugnazione
dell'art. 9 avviene in subordine,  per  l'ipotesi  che  esso  risulti
applicabile alla Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia.  Infatti,
secondo la ricorrente, la norma impugnata  non  sarebbe  destinata  a
vincolarla, per il disposto della clausola  di  salvaguardia  di  cui
all'art. 24-bis del d.l. n. 95 del  2012,  secondo  la  quale  «fermo
restando il contributo delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle
province autonome di Trento e di Bolzano  all'azione  di  risanamento
cosi'  come  determinata  dagli  articoli  15  e  16,  comma  3,   le
disposizioni del presente decreto si applicano alle predette  regioni
e province autonome secondo  le  procedure  previste  dai  rispettivi
statuti speciali e dalle relative  norme  di  attuazione,  anche  con
riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che  esercitano
le funzioni in materia di finanza  locale,  agli  enti  ed  organismi
strumentali dei predetti  enti  territoriali  e  agli  altri  enti  o
organismi ad ordinamento regionale o provinciale». 
    Pertanto  non  sarebbero  vincolanti  per  la  Regione  tutte  le
disposizioni che non contengono una specifica affermazione  circa  la
loro applicabilita' alle autonomie speciali. 
    Inoltre, secondo la  ricorrente,  l'art.  9  non  porrebbe  alcun
vincolo ai modi con i quali in  futuro  le  «procedure  previste  dai
rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione»  ne
disciplineranno eventualmente l'applicazione (sentenze n. 198, n. 193
e n. 178 del 2012). 
    La Regione ritiene che  la  non  applicabilita'  dell'art.9  alle
autonomie speciali, in forza  della  clausola  di  salvaguardia,  non
possa essere contraddetta da quanto statuito con la sentenza  n.  289
del 2008 perche'  in  quel  caso  la  clausola  di  salvaguardia  era
formulata in modo del  tutto  generico  tale  da  non  consentire  la
disapplicazione delle norme di quel decreto.  Infatti  non  risultava
neppure  precisato  «quali   norme   (dovessero)   considerarsi   non
applicabili alla  ricorrente  per  incompatibilita'  con  lo  statuto
speciale e con le relative  norme  di  attuazione  e  quali,  invece,
(dovessero) ritenersi applicabili». 
    Mentre nel caso in esame  la  clausola  di  salvaguardia  di  cui
all'art. 24-bis individuerebbe con  precisione  le  disposizioni  che
rimangono  applicabili,  con  cio'  individuando  precisamente  anche
quelle non applicabili, costituite dall'insieme delle altre. 
    Inoltre, l'art. 24-bis non condizionerebbe l'applicabilita' delle
disposizioni  in  questione   ad   un   indeterminato   giudizio   di
compatibilita', ma la escluderebbe direttamente, rinviandola  per  il
futuro alle «procedure previste dai  rispettivi  statuti  speciali  e
dalle relative norme di attuazione», cioe' ad ulteriori e futuri atti
normativi, il cui contenuto e' vincolato solo dallo statuto  e  dalla
stessa Costituzione. 
    La ricorrente, tuttavia, nel caso la  Corte  ritenga  applicabile
l'art. 9 in esame anche alla Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia,
censura la norma per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. 
    La  disposizione  impugnata  avrebbe,  secondo   la   ricorrente,
contenuto  prettamente  organizzativo  e  violerebbe  la   competenza
primaria regionale  di  cui  all'art.  4,  numero  l,  dello  statuto
speciale di autonomia, in materia di ordinamento degli Uffici e degli
Enti dipendenti dalla Regione (oltre che la competenza  residuale  in
materia riconosciuta a tutte le Regioni). 
    La  parte  della  norma  che  si  riferisce  agli  enti   locali,
violerebbe sia la competenza legislativa primaria  della  Regione  in
materia di ordinamento degli enti locali prevista dall'art. 4, numero
l-bis,  dello  statuto  speciale  di  autonomia,  sia  la  competenza
regionale in materia di finanza  locale  prevista  dall'art.  54  del
medesimo statuto (secondo il quale «allo scopo di adeguare le finanze
delle Province e dei Comuni  al  raggiungimento  delle  finalita'  ed
all'esercizio delle funzioni  stabilite  dalle  leggi,  il  Consiglio
regionale puo' assegnare ad essi annualmente una quota delle  entrate
della Regione») e dalle norme di attuazione di  cui  all'art.  9  del
decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di  attuazione  dello
Statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in  materia  di
ordinamento degli enti locali e delle relative  circoscrizioni),  che
ha precisato che «spetta alla regione disciplinare la finanza locale,
l'ordinamento  finanziario   e   contabile,   l'amministrazione   del
patrimonio e i contratti degli enti locali»  (comma  l),  e  che  «la
regione finanzia gli enti locali  con  oneri  a  carico  del  proprio
bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3» (comma 2). 
    La Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  sottolinea,  inoltre,
che la legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2011)», in attuazione di un accordo stipulato tra  Regione
e Stato, ha stabilito  le  modalita'  con  cui  la  medesima  Regione
concorre agli  obiettivi  di  finanza  pubblica  e,  soprattutto,  ha
stabilito  chiaramente  che  lo  Stato  non  puo'  dettare  norme  di
coordinamento finanziario in relazione agli enti  locali  del  Friuli
Venezia Giulia i cui costi, del resto, sono a carico della Regione. 
    La ricorrente evidenzia che la citata legge n. 220 del 2010 si e'
basata su un accordo e non puo' essere unilateralmente  derogata  dal
legislatore statale, pena la violazione del  principio  pattizio  che
domina i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali. 
    Risulterebbe,  infine,  violata   anche   la   stessa   autonomia
organizzativa degli  enti  locali,  garantita  dall'art.  114,  comma
secondo, Cost., nonche' dall'art.117, comma sesto (secondo  periodo),
Cost.,  in  tema,  rispettivamente,   di   autonomia   statutaria   e
regolamentare. 
    Le    disposizioni    sopra     riportate     sarebbero,     poi,
costituzionalmente illegittime per ulteriori specifiche  ragioni.  In
primo luogo, sarebbe illegittimo il  vincolo  posto  dal  comma  l  a
Regioni, Province e Comuni teso a sopprimere o accorpare  gli  «enti,
agenzie  e  organismi  comunque  denominati  e  di  qualsiasi  natura
giuridica», o a  ridurre  almeno  nella  misura  del  20%  gli  oneri
finanziari relativi ad essi. 
    Quanto alla soppressione,  si  tratterebbe  di  un  irragionevole
vincolo alla autonomia  organizzativa  della  Regione  e  degli  enti
autonomi, smentito del resto dallo stesso legislatore, che lo pone in
alternativa alla predetta riduzione degli oneri finanziari. 
    Ma anche tale vincolo sarebbe illegittimo, in quanto relativo  ad
una specifica voce di spesa, che per giunta non  rappresenta  ne'  un
aggregato  complessivo  ne'  un  aggregato   significativo,   essendo
evidente che  sia  le  funzioni  che  le  strutture  che  attualmente
esercitano le funzioni dovrebbero essere ricollocate,  senza  neppure
la garanzia di una effettiva riduzione di spesa. 
    Ma anche ove, in denegata ipotesi, tale principio fosse in se'  e
per se' legittimo  come  principio  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, sarebbero comunque illegittime le norme dettagliate che  lo
accompagnano (sentenze 297 del 2009 e n. 159 del 2008). Cosi' sarebbe
per  la  norma  che   direttamente   esclude   l'applicazione   della
disposizione alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che
gestiscono  servizi  socio-assistenziali,  educativi   e   culturali,
anziche'  lasciare   tale   individuazione   alle   singole   regioni
interessate, che, tra l'altro, sono competenti anche per  le  materie
in questione. 
    Cosi' sarebbe per il comma 4, in base al  quale,  trascorsi  nove
mesi senza che le regioni,  le  province  e  i  comuni  abbiano  dato
attuazione a quanto disposto dal comma l, «gli enti, le agenzie e gli
organismi indicati al medesimo comma l sono soppressi», e «sono nulli
gli atti successivamente adottati dai medesimi». 
    Si  tratterebbe  di  un  intervento   non   consentito   rispetto
all'autonomia  organizzativa  della  ricorrente  Regione  (anche   in
relazione alla propria potesta' primaria in materia di enti locali  e
dei propri compiti in materia di finanza locale) e degli stessi  enti
locali. 
    La Regione ricorrente richiama la sentenza n. 237 del 2009 che ha
dichiarato illegittima una analoga disciplina di  dettaglio  ed  auto
applicativa.  Si  tratterebbe  inoltre  di  una   norma   del   tutto
irragionevole, in quanto la «soppressione», con  norma  generale,  di
strutture  non  precisamente  individuate,  e  la  dichiarazione   di
nullita' di atti anche essi non precisamente  individuati,  determina
una  situazione  di  incertezza  giuridica  con  riferimento  sia  al
personale che alle funzioni, mentre la transizione delle competenze a
organi e strutture non individuati ne comprometterebbe l'esercizio. 
    Alla  ricorrente  sembra,  dunque,  evidente  la  violazione  del
principio di ragionevolezza e di buon andamento di  cui  all'art.  97
Cost. 
    La  Regione  sarebbe  legittimata  ad  invocare  i  principi   di
ragionevolezza e buon andamento, perche'  le  norme  che  li  violano
inciderebbero su materie regionali (sentenze n. 80 e n. 22 del 2012),
anzi condizionerebbero la stessa organizzazione della Regione e degli
enti locali della Regione. 
    La ricorrente impugna per gli stessi  motivi  anche  il  comma  5
dell'art. 9 evidenziando l'oscurita' della norma  che,  peraltro,  si
porrebbe in contraddizione con il  comma  4,  rendendo  il  complesso
normativo ulteriormente incerto, con nuova violazione  dei  parametri
gia' esposti a proposito del comma 4. 
    Da ultimo, la Regione impugna il comma 6 dell'art. 9 nella  parte
in cui fa «divieto agli enti locali  di  istituire  enti,  agenzie  e
organismi comunque denominati e di qualsiasi  natura  giuridica,  che
esercitino una o piu' funzioni fondamentali e funzioni amministrative
loro conferite ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione». 
    Poiche' gli enti locali  non  hanno  altre  funzioni  che  quelle
fondamentali e le altre ad essi conferite, la norma si traduce in  un
divieto assoluto per essi di istituire  «enti,  agenzie  e  organismi
comunque denominati e di  qualsiasi  natura  giuridica».  Inoltre  la
norma e' destinata ad applicarsi a tutti gli enti locali,  eccettuato
forse il Comune di Roma per il suo speciale status di capitale. Nella
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il divieto  si  applicherebbe
al comune piu' piccolo cosi' come per i Comuni di  Udine  e  Trieste.
Nessuno di essi sarebbe  giuridicamente  in  grado  di  istituire  il
minimo  organismo,  comunque  denominato  e  di   «qualsiasi   natura
giuridica». 
    Una simile disposizione - nella sua estensione  indiscriminata  -
violerebbe  evidentemente  il  principio  di  ragionevolezza   e   di
proporzionalita',  non  essendovi  rapporto  alcuno  con  i  presunti
vantaggi per la finanza pubblica, la cui portata  del  resto  non  e'
neppure enunciata. 
    Vi  sarebbe,  infine,  l'evidente   violazione   della   potesta'
legislativa regionale in materia di ordinamento degli enti  locali  e
di finanza locale, nonche' dell'autonomia stessa  degli  enti  locali
interessati, come  protetta  dagli  artt.  114  e  117  Cost.,  sopra
indicati. 
    3.1.- In data 22 novembre 2012 si e' costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  dello
Stato,  concludendo  nel  senso  dell'infondatezza  delle   questioni
sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    La difesa statale rileva che le norme  censurate  sono  volte  ad
assicurare il coordinamento ed il conseguimento  degli  obiettivi  di
finanza  pubblica,  il  contenimento  della  spesa  ed  il   migliore
svolgimento delle funzioni amministrative e dispongono  che  Regioni,
Province e Comuni assicurino  la  riduzione  degli  oneri  finanziari
relativi ad  enti,  agenzie  ed  organismi  che  esercitino  funzioni
spettanti agli enti territoriali. Le stesse, pertanto, rientrerebbero
nella copertura statuale del coordinamento della finanza pubblica. 
    Inoltre, il legislatore statale avrebbe anche previsto  un  ampio
coinvolgimento  degli  enti  territoriali  interessati.  Si  prevede,
infatti, che la ricognizione di qualsivoglia ente avvenga in sede  di
accordo sancito nell'ambito della Conferenza unificata e che, quindi,
nella stessa sede, si provveda, mediante intesa, alla  individuazione
dei criteri e della tempistica per l'attuazione  di  quanto  previsto
dall'articolo e alla definizione delle modalita' di monitoraggio. 
    Il  legislatore,  pertanto,  avrebbe  prefigurato   un   percorso
procedurale dominato dal principio consensualistico cui conseguirebbe
l'infondatezza di tutte le doglianze formulate dalla ricorrente. 
    Per quanto riguarda le censure mosse ai profili  sanzionatori  in
caso  di  mancata  attuazione  del  disposto  di  cui  al  comma   l,
l'Avvocatura dello Stato  rileva  che,  anche  in  questo  caso,  gli
strumenti  previsti  dal  legislatore   costituiscono   principi   di
coordinamento della finanza pubblica  e  rientrano  nella  competenza
legislativa concorrente dello Stato, ai sensi  dell'art.  117,  comma
terzo, Cost. 
    Infine, quanto al comma 6, che  contiene  il  divieto  agli  enti
locali di istituire enti, agenzie ed organismi comunque denominati  e
di qualsiasi natura giuridica, i rilievi della regione non dovrebbero
essere   accolti,   atteso   che   anche   per   essi   varrebbe   la
riconducibilita' ai principi di coordinamento della finanza pubblica. 
    4.- Con ricorso notificato il 12 ottobre  2012  e  depositato  il
successivo 19 ottobre, la Regione autonoma Sardegna ha impugnato, tra
gli altri, l'art. 9, commi 1, 2, 3, e 4, del d.l. n. 95 del 2012, per
violazione degli artt. 3, comma 1, lettere a), b) e  q),  e  7  della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per  la
Sardegna), nonche' degli artt. 3, 117, comma terzo, e 119 Cost. 
    La Regione evidenzia che la norma impugnata regola nel  dettaglio
l'organizzazione amministrativa degli  enti  territoriali,  imponendo
alle Regioni e agli enti locali non solo una quota  di  risparmio  di
gestione  delle  funzioni   amministrative   cosi'   esercitate,   ma
obbligando  all'accorpamento  o   alla   soppressione   di   enti   e
organizzazioni, senza  considerare  che  la  Regione,  nell'esercizio
della  propria  competenza  legislativa   esclusiva   nelle   materie
«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione»,
«ordinamento degli enti locali e  delle  relative  circoscrizioni»  e
«biblioteche e musei di enti locali» (art. 3, comma 1, lettere a, b e
q, dello statuto  speciale  di  autonomia),  potrebbe  conseguire  il
medesimo risultato di contenimento della spesa  pubblica  utilizzando
le forme di gestione delle funzioni pubbliche  ritenute  piu'  idonee
allo scopo. 
    Per tale motivo la disposizione menzionata  violerebbe  le  norme
statutarie indicate, e, nello stesso tempo, anche l'art.  117,  comma
terzo, Cost., nella misura in cui detta norme  per  il  coordinamento
della finanza pubblica  che  travalicano  i  «principi  fondamentali»
della materia. 
    L'imposizione, ai fini del contenimento degli oneri della finanza
pubblica,   di   obblighi   che    si    ripercuotono    direttamente
sull'organizzazione degli enti locali  fa  si'  che  sia  lesa  anche
l'autonomia finanziaria  della  Regione,  di  cui  all'art.  7  dello
statuto speciale e all'art. 119 Cost., che tale autonomia tutelano. 
    A questo proposito la ricorrente richiama la sentenza della Corte
costituzionale n. 82 del 2007 nella  quale  si  afferma  che  non  e'
contestabile «il potere del legislatore statale di imporre agli  enti
autonomi,  per  ragioni  di  coordinamento  finanziario  connesse  ad
obiettivi nazionali, condizionati anche  dagli  obblighi  comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si  traducono,
inevitabilmente, in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di  spesa
degli enti», e che, «in via transitoria e in  vista  degli  specifici
obiettivi di  riequilibrio  della  finanza  pubblica  perseguiti  dal
legislatore statale», possono anche imporsi limiti  complessivi  alla
crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza n. 36 del
2004). Tali vincoli devono ritenersi applicabili anche alle autonomie
speciali, in considerazione dell'obbligo generale  di  partecipazione
di  tutte  le  Regioni,  ivi  comprese  quelle  a  statuto  speciale,
all'azione di risanamento della finanza pubblica (sentenza n. 416 del
1995 e successivamente, anche se non con specifico  riferimento  alle
Regioni a statuto speciale, sentenze n. 417 del 2005, n. 353, n.  345
e n. 36 del 2004). Un tale obbligo, pero', deve essere contemperato e
coordinato con la speciale autonomia in materia  finanziaria  di  cui
godono le predette Regioni,  in  forza  dei  loro  statuti.  In  tale
prospettiva, la previsione normativa del metodo dell'accordo  tra  le
Regioni a statuto speciale  e  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, per la  determinazione  delle  spese  correnti  e  in  conto
capitale,  nonche'  dei   relativi   pagamenti,   deve   considerarsi
espressione   della   descritta   autonomia   finanziaria    e    del
contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei  limiti
alla spesa imposti dal cosiddetto «patto di stabilita'» (sentenza  n.
353 del 2004). 
    Pertanto, il legislatore  statale,  onde  conseguire  il  maggior
risparmio nello  svolgimento  delle  funzioni  pubbliche  degli  enti
locali, doveva limitarsi ad indicare il risparmio atteso, rispettando
l'autonomia organizzativa delle Regioni. 
    Ne' si potrebbe dire, ovviamente, che con l'articolo censurato il
legislatore statale  abbia  inteso  esercitare  la  propria  potesta'
esclusiva in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province  e
Citta' metropolitane», di cui all'art. 117,  comma  secondo,  lettera
p), Cost., per la semplice ragione che tale competenza  generale  non
puo' certo prevalere (secondo i comuni principi di risoluzione  delle
antinomie) su quella speciale dettata, in materia, dall'art. 3, comma
1,  lettere  a)  e  b),  dello  statuto  speciale,  che  affida  alla
competenza esclusiva  della  Regione  autonoma  Sardegna  le  materie
«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e
stato giuridico ed economico del personale» e «ordinamento degli enti
locali e delle relative circoscrizioni». 
    Senza  considerare,  inoltre,  che  l'art.  117,  comma  secondo,
lettera p), Cost., «concerne l'istituzione  e  la  regolazione  delle
funzioni amministrative, il procedimento da  seguire,  gli  interessi
pubblici da perseguire, mentre la disposizione censurata  agisce  sul
versante dell'organizzazione degli enti  al  fine  di  conseguire  un
ipotetico vantaggio di finanza pubblica». 
    Per quest'ultimo profilo, poi, sarebbe violato anche il principio
di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in relazione  all'art.  3,
comma 1, lettere a), b) e q), dello statuto speciale di  autonomia  ,
in  quanto  il  divieto  per  gli  enti  locali  di  istituire   enti
strumentali impedisce che Province e Comuni, anche in  ossequio  alla
normativa regionale, possano esercitare le proprie funzioni in regime
di intercomunalita', istituendo un apposito ente  associativo,  anche
qualora tale modello organizzativo comporti significative economie di
scala. 
    4.1.- In data 21 novembre 2011 si e' costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  dello
Stato  concludendo  nel  senso  dell'infondatezza   delle   questioni
sollevate dalla Regione autonoma Sardegna. 
    La difesa statale rileva  che  attraverso  le  misure  introdotte
dall'articolo impugnato il legislatore ha inteso assicurare, come  si
legge  al  comma  primo  dell'art.  9,   «il   coordinamento   e   il
conseguimento degli obiettivi di finanza  pubblica,  il  contenimento
della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative».
La norma segue le previsioni  restrittive  del  patto  di  stabilita'
interno di cui all'art. 14 del decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78
(Misure urgenti  in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2012, n. 122, il  cui  comma  32,  recante  il  divieto  di
costituire societa' per i comuni con una densita' abitativa inferiore
a determinati  parametri  e'  espressamente  richiamato  al  comma  7
dell'art. 9 in esame. 
    Sarebbe pertanto riduttiva e, comunque, infondata, l'impostazione
interpretativa che della  norma  in  esame  ha  dato  la  ricorrente,
omettendo di misurarne la legittimita' nel piu' ampio contesto  degli
interventi  legislativi  miranti  alla  realizzazione  del   medesimo
obiettivo del rispetto dei vincoli posti dal patto di stabilita'. 
    E' noto come il legislatore statale possa, con una disciplina  di
principio,  imporre  agli  enti  territoriali,  anche  ad   autonomia
speciale, determinati obblighi  volti  al  contenimento  della  spesa
pubblica a fini di coordinamento finanziario. Sotto tale profilo,  la
giurisprudenza della Corte ha elaborato una nozione ampia in  materia
di «principi fondamentali di coordinamento della  finanza  pubblica»,
precisando  che  la  piena  attuazione  del  suddetto  principio   di
coordinamento fa si' che la competenza statale non si  esaurisca  con
l'esercizio del potere legislativo, ma implichi anche «l'esercizio di
poteri  di  ordine  amministrativo,  di   regolazione   tecnica,   di
rilevazione di dati e di controllo» (sentenze n.  112  e  n.  29  del
2011, n. 57 del 2010). Peraltro, al comma  3  della  disposizione  in
esame, il legislatore introduce anche, quale presupposto  applicativo
delle nuove regole, una previsione di reciproca collaborazione tra lo
Stato e le Regioni, al fine di raggiungere, attraverso gli  strumenti
di leale cooperazione, una  soluzione  condivisa  sull'individuazione
dei criteri e della  tempistica  per  l'attuazione  del  sistema  che
contemperi le peculiarita' degli enti coinvolti. 
    5.-  In  prossimita'  dell'udienza  le  Regioni  Lazio,   Veneto,
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, hanno  presentato  memorie  con  le
quali  hanno  ribadito  le  ragioni  a  sostegno  dell'illegittimita'
costituzionale delle norme impugnate, insistendo  per  l'accoglimento
dei rispettivi ricorsi. 
    6.- L'Avvocatura dello Stato, sempre in prossimita' dell'udienza,
ha  presentato  memorie  con  le  quali  ha   ribadito   le   proprie
argomentazioni a sostegno dell'infondatezza dei ricorsi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Le Regioni Lazio, Veneto, Friuli-Venezia Giulia  e  Sardegna,
con distinti ricorsi, rispettivamente  contrassegnati  con  i  numeri
145, 151, 159 e  160  del  registro  ricorsi  dell'anno  2012,  hanno
sollevato,   in   via   principale,   questione    di    legittimita'
costituzionale tra gli altri dell'art. 9, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4,  5
e 6 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti  per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle  imprese
del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla  legge  7
agosto 2012, n. 135, in riferimento agli articoli 3, 97,  117,  commi
secondo, terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 123 della Costituzione. 
    Per  tutte  le  ricorrenti  il  punto  centrale  del  dubbio   di
costituzionalita' e' costituito, in sintesi, dalla  asserita  lesione
della  loro  potesta'  legislativa  in  materia  di   «organizzazione
regionale» di cui all'art. 117, comma quarto, Cost., dalla violazione
dell'autonomia finanziaria degli enti  locali  di  cui  all'art.  119
Cost. e dalla assenza di titoli  di  legittimazione  dello  Stato  ad
adottare la disciplina in esame. 
    La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  lamenta  anche  la
lesione da parte della norma impugnata degli artt. 4 e 54 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della  Regione
Friuli-Venezia  Giulia),  che  riserva  alla  competenza  legislativa
primaria della Regione la materia ordinamento degli  uffici  e  degli
Enti dipendenti dalla Regione mentre  la  Regione  autonoma  Sardegna
lamenta anche la violazione degli artt. 3, comma l, lettere a), b)  e
q), e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.  3  (Statuto
speciale per la Sardegna), ove si attribuisce alla  Regione  medesima
la competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento  degli
uffici e degli enti amministrativi della Regione», «ordinamento degli
enti locali e delle relative circoscrizioni» e «biblioteche  e  musei
di enti locali». 
    Stante  la  connessione  esistente  tra  i  predetti  ricorsi,  i
relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un'unica
pronuncia, la quale avra' ad oggetto esclusivamente le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  legislative  sopra
indicate, essendo riservata ad altre decisioni la  valutazione  delle
restanti questioni sollevate coi medesimi ricorsi dalle sopraindicate
Regioni. 
    2.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia   solleva   le
questioni di costituzionalita' solo in  via  cautelativa  qualora  si
ritenga l'art. 9 direttamente applicabile anche a Regioni e  Province
autonome. 
    In  realta',  secondo  la   ricorrente,   le   disposizioni   del
decreto-legge non sarebbero vincolanti per gli  enti  che  godono  di
autonomia speciale, dovendosi applicare la clausola  di  salvaguardia
di cui all'art. 24-bis del d.l. n. 95  del  2012,  secondo  la  quale
«fermo restando il contributo delle  Regioni  a  statuto  speciale  e
delle  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  all'azione  di
risanamento cosi' come determinata dagli articoli 15 e 16,  comma  3,
le disposizioni del  presente  decreto  si  applicano  alle  predette
regioni  e  province  autonome  secondo  le  procedure  previste  dai
rispettivi statuti speciali e dalle  relative  norme  di  attuazione,
anche con riferimento agli enti locali delle autonomie  speciali  che
esercitano le funzioni in materia di finanza  locale,  agli  enti  ed
organismi strumentali dei predetti enti  territoriali  e  agli  altri
enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale». 
    2.1.-   Le   questioni   sollevate   dalle    Regioni    autonome
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna non sono fondate. 
    La clausola di salvaguardia prevista dall'art. 24-bis del d.l. n.
95 del 2012 rimette l'applicazione delle norme introdotte dal decreto
alle procedure previste dagli statuti speciali e dalle relative norme
di attuazione. 
    Tale clausola e' stata introdotta, in sede di  conversione,  alla
fine del testo del d.l. n. 95 del 2012, proprio per garantire che  il
contributo delle Regioni a statuto speciale all'azione di risanamento
venga realizzato rispettando i rapporti e i vincoli che  gli  statuti
speciali stabiliscono tra  livello  nazionale  e  Regioni  a  statuto
speciale. Essa dunque non costituisce  una  mera  formula  di  stile,
priva di significato normativo, ma ha la «precisa funzione di rendere
applicabile il decreto agli enti ad autonomia  differenziata  solo  a
condizione che siano "rispettati" gli statuti speciali» (sentenza  n.
241 del 2012) ed i particolari percorsi procedurali ivi previsti  per
la modificazione delle norme di attuazione degli statuti medesimi. 
    La previsione di una procedura "garantita" al fine  di  applicare
agli enti ad autonomia  speciale  la  normativa  introdotta  esclude,
percio',  l'automatica  efficacia  della  disciplina   prevista   dal
decreto-legge per le Regioni a statuto ordinario (sentenza n. 178 del
2012). Le norme dell'art. 9 del d.l. n. 95 del 2012, dunque, non sono
immediatamente applicabili alle Regioni  ad  autonomia  speciale,  ma
richiedono il recepimento tramite le  apposite  procedure  prescritte
dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria. 
    La partecipazione delle Regioni e delle  Province  autonome  alla
procedura impedisce che possano introdursi norme lesive degli statuti
e determina l'infondatezza delle questioni  sollevate  dalle  Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna (sentenze n. 178 del 2012 e
n. 145 del 2008). 
    3.- La  prima  delle  questioni  sollevate,  comune  ai  restanti
ricorsi delle Regioni Lazio e Veneto, riguarda il comma 1 dell'art. 9
del d.l.  n.  95  del  2012  il  quale,  nel  dichiarato  intento  di
realizzare  il  contenimento  della   spesa   e   il   corrispondente
conseguimento degli obiettivi di  finanza  pubblica,  stabilisce  che
«Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in  ogni  caso,
assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in  misura  non
inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque  denominati  che
esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto, anche in  via
strumentale, funzioni  fondamentali  di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti a  Comuni,
province  e  Citta'  metropolitane  ai  sensi  dell'art.  118   della
Costituzione». 
    Vi e' da premettere  che,  per  la  migliore  comprensione  della
disposizione, sarebbe stato preferibile non spezzare il  collegamento
tra i primi due verbi («sopprimono o  accorpano»)  e  le  parole  che
fungono da complemento oggetto («enti, agenzie e  organismi  comunque
denominati»), spostando al termine  della  frase  il  terzo  verbo  e
l'espressione cui  viene  a  dare  significato  («o,  in  ogni  caso,
assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in  misura  non
inferiore al 20%»). 
    Secondo le Regioni ricorrenti, la norma sopra  citata  violerebbe
l'art. 117, comma quarto, Cost. in quanto  ascrivibile  alla  materia
«organizzazione amministrativa» delle Regioni. 
    La Regione Lazio evoca anche la violazione  dell'art.  123  Cost.
perche' i principi fondamentali  di  organizzazione  e  funzionamento
delle Regioni sono riservati all'autonomia statutaria. 
    La Regione  Veneto  lamenta  inoltre  l'illegittima  compressione
dell'autonomia finanziaria regionale in violazione degli  artt.  117,
comma terzo, e 118 Cost. 
    3.1.- La questione non e' fondata. 
    In  primo  luogo,   e'   necessario   individuare   l'ambito   di
applicazione dell'art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 in  quanto
le   Regioni   ricorrenti    incorrono    nell'erroneo    presupposto
interpretativo di ritenere che  tale  disposizione  disciplini  anche
l'accorpamento, la soppressione o la riduzione, nella misura  del  20
per cento  dei  costi,  degli  enti,  agenzie  e  organismi  comunque
denominati istituiti dalla Regione per lo svolgimento delle  funzioni
amministrative di propria competenza. 
    Infatti, come si e' detto, la principale delle censure svolte nei
ricorsi in esame riguarda la violazione della competenza  legislativa
residuale  delle  Regioni  in  ordine  alla  materia  «organizzazione
amministrativa  della  Regione  e  degli  enti  pubblici   regionali»
rientrante  nella  competenza  residuale  delle  Regioni   ai   sensi
dell'art.117, comma quarto, Cost. 
    L'art.  9,   comma   1,   invece,   prevede   esclusivamente   la
soppressione, l'accorpamento  e  la  riduzione  dei  costi  di  enti,
agenzie  o  organismi  comunque  denominati  e  di  qualsiasi  natura
giuridica che svolgano funzioni fondamentali di cui all'articolo 117,
comma secondo, lettera p), Cost. o funzioni amministrative  spettanti
a Comuni, Province e Citta'  metropolitane  ai  sensi  dell'art.  118
Cost. 
    La  disposizione  in  esame  individua,   dunque,   un   criterio
funzionale per circoscriverne l'ambito di  applicazione  rivolgendosi
solo ai soggetti - enti, agenzie e organismi  comunque  denominati  -
che operano nell'ambito di Comuni, Province e Citta' metropolitane. 
    Del resto, che gli enti strumentali delle Regioni  siano  esclusi
dall'ambito di applicazione della norma  non  e'  soltanto  affermato
nella Relazione al Senato del disegno di  legge  di  conversione  del
decreto-legge n.  95  del  2012,  nella  quale  si  precisa  che  «Si
introduce l'obbligo, con l'articolo 9, per gli enti  territoriali  di
sopprimere  o  accorpare  enti,  agenzie  ed  organismi  al  fine  di
raggiungere una riduzione degli oneri finanziari non inferiore al  20
per cento» e ribadito dal Relatore che ha illustrato il provvedimento
alla Commissione Bilancio della Camera nella  seduta  del  1°  agosto
2012, ma risulta dalla stessa lettera della disposizione legislativa.
Infatti  la  platea  dei  soggetti  destinatari  dell'intervento   e'
costituita esclusivamente da quelli  che  esercitano,  anche  in  via
strumentale, funzioni fondamentali (ai  sensi  dell'art.  117,  comma
secondo, lettera p, Cost.) o  funzioni  amministrative  spettanti  ai
suddetti enti locali ai sensi dell'art.  118  Cost.  Il  riferimento,
nell'incipit  della  disposizione,  alle  "Regioni"   deve,   quindi,
intendersi come una fuorviante indicazione del  soggetto,  dotato  di
potere legislativo, che, ai sensi del  comma  secondo  dell'art.  118
Cost., puo',  unitamente  allo  Stato,  conferire  agli  enti  locali
funzioni amministrative. 
    La disposizione che  potrebbe  interferire  con  l'organizzazione
amministrativa regionale e' il  comma  5  dell'art.  9,  che  prevede
l'obbligo per le Regioni di  procedere,  ai  fini  del  coordinamento
della finanza pubblica, all'adeguamento ai principi di cui al comma 1
relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque  denominati  e
di qualsiasi natura, che svolgano,  ai  sensi  dell'art.  118  Cost.,
funzioni conferite alle medesime Regioni. 
    Pertanto  le  censure  delle  ricorrenti  aventi  ad  oggetto  la
violazione da parte dell'art. 9, comma 1, del d.l.  n.  95  del  2012
della competenza legislativa residuale delle  Regioni  nella  materia
«organizzazione regionale» di cui all'art. 117, comma  quarto,  Cost.
non sono fondate. 
    Per lo stesso motivo, non sono fondate anche le censure  proposte
rispettivamente dalla Regione  Lazio  in  relazione  alla  violazione
dell'art.  123  Cost.,  che  rimette  alla  potesta'  statutaria   la
determinazione   dei   principi   fondamentali    dell'organizzazione
regionale (nei limiti  dei  principi  fondamentali)  e  quella  della
Regione Veneto, in relazione agli artt. 117, comma terzo, 118  e  119
Cost.  per  l'illegittima  compressione  dell'autonomia   finanziaria
regionale. 
    3.2.- La Regione Lazio impugna l'art. 9, comma 1, anche sotto  il
profilo dell'illegittima imposizione agli enti locali, da  parte  del
legislatore statale, dell'obbligo di soppressione o  accorpamento  di
agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni  loro
conferite, in aperto contrasto con l'art. 117,  comma  sesto,  Cost.,
che riconosce ai predetti enti la potesta'  regolamentare  in  ordine
alla  disciplina  dell'organizzazione  e  dello   svolgimento   delle
funzioni loro  attribuite,  le  quali  possono  essere  svolte  anche
attraverso enti, agenzie ed organismi vari. 
    La Regione Veneto, invece, lamenta la violazione, da parte  della
norma citata, dell'autonomia finanziaria degli  enti  locali  di  cui
all'art. 119 Cost.. 
    Va premesso che tali censure sono ammissibili in quanto,  secondo
la giurisprudenza di questa Corte,  le  Regioni  sono  legittimate  a
denunciare l'illegittimita' costituzionale di una legge statale anche
per violazione delle competenze proprie degli Enti locali perche'  la
«stretta  connessione  in  particolare  [...]  in  tema  di   finanza
regionale tra le attribuzioni  regionali  e  quelle  delle  autonomie
locali consent(e) di ritenere che la lesione delle competenze  locali
sia  potenzialmente  idonea  a  determinare  una  vulnerazione  delle
competenze regionali» (sentenze n. 298 del 2009, n. 169 del 2007,  n.
95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004). 
    3.3.- Le questioni non sono fondate. 
    Il legislatore motiva la previsione di obblighi di soppressione o
accorpamento o riduzione degli oneri finanziari con le  «esigenze  di
coordinamento, conseguimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica,
(di) contenimento della spesa  e  [...]  migliore  svolgimento  delle
funzioni amministrative». 
    Nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  e'  ormai   consolidato
l'orientamento secondo cui  il  legislatore  statale  puo',  con  una
disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni  e  agli
enti locali, per ragioni di  coordinamento  finanziario  connesse  ad
obiettivi nazionali, condizionati anche  dagli  obblighi  comunitari,
vincoli alle politiche di bilancio, anche  se  questi  si  traducono,
inevitabilmente, in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di  spesa
degli enti territoriali (ex plurimis, sentenze n. 182  del  2011,  n.
207 e n. 128 del 2010). 
    Questi vincoli  possono  considerarsi  rispettosi  dell'autonomia
delle Regioni e degli enti  locali  quando  stabiliscono  un  «limite
complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi   ampia   liberta'   di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di  spesa»
(sentenza n. 182 del 2011, nonche' sentenze n. 297 del 2009,  n.  289
del 2008 e n. 169 del 2007). 
    In altri termini, le  norme  statali  devono  limitarsi  a  porre
obiettivi di contenimento senza prevedere in modo esaustivo strumenti
e modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi in  modo  che
rimanga uno  spazio  aperto  all'esercizio  dell'autonomia  regionale
(sentenza n. 182  del  2011).  Inoltre,  la  disciplina  dettata  dal
legislatore non deve ledere il canone generale della ragionevolezza e
proporzionalita'  dell'intervento  normativo  rispetto  all'obiettivo
prefissato. 
    Sulla base delle considerazioni che precedono e  in  applicazione
dei canoni  interpretativi  sopra  indicati  deve  ritenersi  che  le
disposizioni contenute nell'art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del  2012
costituiscono effettivamente  espressione  di  principi  fondamentali
nella materia del coordinamento della finanza pubblica proprio per la
chiara finalita' di riduzione della spesa e per  la  proporzionalita'
dell'intervento rispetto al fine che il legislatore  statale  intende
perseguire. La norma impugnata, infatti,  dopo  aver  indicativamente
previsto la possibilita' di una soppressione  o  di  un  accorpamento
degli «enti, agenzie e  organismi  comunque  denominati»,  limita  il
contenuto  inderogabile  della  disposizione  al  risultato  di   una
riduzione del 20 per cento dei costi  del  funzionamento  degli  enti
strumentali degli enti  locali.  In  sostanza,  l'accorpamento  o  la
soppressione di taluni di questi enti puo' essere  lo  strumento,  ma
non il solo, per ottenere l'obiettivo di una  riduzione  del  20  per
cento dei costi. 
    Per il  raggiungimento  di  questo  obiettivo,  i  commi  2  e  3
prevedono un duplice procedimento volto  alla  ricognizione  di  tali
enti  e  all'individuazione  dei  criteri  e  della  tempistica   per
l'attuazione del principio posto dal comma 1  con  il  coinvolgimento
delle autonomie locali. Il comma 2 dell'art. 9, infatti, prevede  che
«con accordo  sancito  in  sede  di  Conferenza  unificata  ai  sensi
dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997,  n.  281,  si
provvede alla complessiva ricognizione degli enti,  delle  agenzie  e
degli organismi, comunque denominati e di qualsiasi natura  giuridica
di cui al comma 1» mentre il comma  3  rimanda  l'individuazione  dei
criteri e della tempistica per l'attuazione  della  norma  e  per  la
definizione delle modalita' di monitoraggio ad  un'intesa  «ai  sensi
dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e  sulla
base del principio di leale collaborazione». 
    Il  legislatore   statale   ha,   dunque,   previsto   un   ampio
coinvolgimento  anche  delle  autonomie  locali  nell'individuare  le
modalita' della riduzione dei costi degli enti  strumentali  mediante
lo strumento dell'intesa in sede di  Conferenza  unificata  ai  sensi
dell'art.  9  del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,   n.   281
(Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per  le  materie  ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali). 
    Deve, pertanto,  ritenersi  che  quanto  disposto  dal  comma  in
questione non comporti, di per se', una indebita invasione  dell'area
riservata dall'art. 119 Cost. all'autonomia degli enti locali, cui la
legge statale puo' legittimamente prescrivere criteri ed obiettivi di
riduzione  dei  costi.  Va  anche  sottolineato  che  l'obiettivo  di
riduzione degli oneri finanziari relativi agli  enti  strumentali  in
misura non inferiore  al  20  per  cento  e'  rispettoso  del  canone
generale  della  ragionevolezza  e  proporzionalita'  dell'intervento
normativo rispetto alla sfera di autonomia degli enti locali. 
    4.- Il comma 1-bis dell'art.  9  del  d.l.  n.  95  del  2012  e'
impugnato dalla sola  Regione  Veneto  nella  parte  in  cui  esclude
dall'ambito di applicazione del comma 1 le aziende speciali, gli enti
e  le  istituzioni  che   gestiscono   servizi   socio-assistenziali,
educativi e culturali. 
    Secondo la ricorrente, tale disposizione impedirebbe alle Regioni
il  contenimento  della  spesa  pubblica   per   il   tramite   della
soppressione o dell'accorpamento o  comunque  della  riduzione  degli
oneri finanziari di aziende speciali o di enti  (o  istituzioni)  che
gestiscano servizi socio-assistenziali, educativi e culturali. 
    4.1.- La questione non e' fondata. 
    Infatti, come si e' detto, gli  enti  strumentali  delle  Regioni
sono esclusi dall'ambito di applicazione del comma 1, che  invece  si
rivolge solo a enti, agenzie  e  organismi  comunque  denominati  che
svolgono funzioni amministrative -  fondamentali  o  conferite  -  di
Comuni, Province e Citta' metropolitane. 
    5.- La Regione Lazio impugna i commi 2 e 3 dell'art. 9  del  d.l.
n. 95 del 2012 nella parte in cui prevedono una procedura  concertata
per la ricognizione di tutti gli «enti, agenzie e organismi» e per la
definizione, mediante intesa, da  adottarsi  in  sede  di  Conferenza
unificata, dei «criteri e della tempistica»  per  l'attuazione  della
norma. 
    La ricorrente evidenzia l'eccessiva astrattezza e genericita' del
meccanismo volto all'individuazione dei criteri  e  della  tempistica
per l'attuazione della norma in assenza di titoli  di  legittimazione
statale, non essendo le  norme  citate  ascrivibili  alla  competenza
legislativa concorrente in materia di  «coordinamento  della  finanza
pubblica» di cui all'art. 117, comma terzo, Cost. e,  in  ogni  caso,
non potendosi qualificare le stesse quali norme  di  principio  nella
suddetta materia. 
    5.1.- La questione non e' fondata. 
    Il processo di razionalizzazione degli enti pubblici strumentali,
attraverso la loro trasformazione, soppressione o  accorpamento,  con
l'obiettivo  del  contenimento  dei  costi,  presenta   problematiche
particolarmente   complesse   in   relazione   alle    esigenze    di
riorganizzazione dell'esercizio delle funzioni precedentemente svolte
dagli enti in oggetto e al trasferimento del personale dipendente. 
    Va ribadito ancora una volta che le disposizioni di cui ai  commi
1, 2, 3 e 4 dell'art. 9 si rivolgono esclusivamente ad enti,  agenzie
e organismi comunque denominati  che  svolgono  funzioni  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane e, che pertanto, le stesse non ledono
alcuna prerogativa organizzativa o finanziaria regionale. 
    Il legislatore statale, con le  citate  disposizioni,  sempre  in
funzione dell'obiettivo di riduzione  della  spesa  corrente  per  il
funzionamento degli enti strumentali degli enti locali, si  limita  a
individuare un procedimento che vede  il  piu'  ampio  coinvolgimento
delle autonomie locali, oltre che delle stesse Regioni,  mediante  il
meccanismo dell'intesa in sede di conferenza unificata, per stabilire
concretamente  le  modalita'  con  le  quali  deve  essere  raggiunto
l'obiettivo prefissato di riduzione di spesa. 
    Ne consegue che le disposizioni impugnate, considerate  nel  loro
insieme e in relazione al risultato finale che esse si prefiggono  di
raggiungere, non si pongono in contrasto con  gli  artt.  117,  comma
terzo, e 119 Cost., in quanto non  prevedono  «in  modo  esaustivo  e
puntuale strumenti o modalita' per il perseguimento» di obiettivi  di
riequilibrio finanziario, non introducono limiti puntuali  a  singole
voci di spesa degli enti locali e, pertanto,  non  comportano  alcuna
indebita  invasione  dell'autonomia  finanziaria  degli  enti  locali
(sentenze n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010). 
    6.- Le Regioni ricorrenti impugnano anche il comma 4 dell'art.  9
del d.l. n. 95 del 2012. 
    Tale disposizione prevede che «decorsi nove mesi  dalla  data  di
entrata in vigore del decreto, se le Regioni, le Province e i  Comuni
non hanno dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le
agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma 1 sono  soppressi.
Sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi». 
    La Regione Lazio ritiene che detto comma violi l'art. 117,  comma
quarto,   Cost.   in   quanto   norma   ascrivibile   alla    materia
"organizzazione amministrativa" della  Regione  e  l'art.  123  Cost.
perche' i principi fondamentali  di  organizzazione  e  funzionamento
delle Regioni sono riservati all'autonomia statutaria. 
    La  Regione  Veneto   afferma   che   la   citata   disposizione,
introducendo precetti specifici e puntuali che chiaramente comprimono
l'autonomia finanziaria regionale e degli enti locali, si porrebbe in
contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 118 Cost.  Ritiene  anche
violati gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto sarebbe leso  il  principio
di "ragionevolezza della legislazione". 
    In particolare, la Regione lamenta,  da  un  lato  che  la  norma
impugnata non consente il contenimento della spesa  pubblica  per  il
tramite  della  riduzione  di  voci  di  spesa  diverse   da   quelle
rappresentate  dagli   enti   che   svolgono   determinate   funzioni
amministrative e dall'altro, che e' impedito  il  contenimento  della
spesa pubblica per il tramite della soppressione o  dell'accorpamento
o comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali
o di enti (o istituzioni) che gestiscono servizi socio-assistenziali,
educativi e culturali. 
    Va,  preliminarmente,  affermata  l'ammissibilita'  di  tutte  le
censure, anche se non riferite a parametri relativi al riparto  delle
competenze legislative. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,  infatti,  le
Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche  per  la
lesione di parametri diversi da  quelli  relativi  al  riparto  delle
competenze  legislative  ove  la   loro   violazione   comporti   una
compromissione  delle   attribuzioni   regionali   costituzionalmente
garantite  o  ridondi  sul  riparto  di  competenze  legislative  (ex
plurimis, sentenze n. 128 e n. 33del 2011, n. 156 e n. 52 del 2010). 
    Nel caso in esame l'automatica soppressione  di  tutti  gli  enti
strumentali degli enti locali impedisce che questi  possano  svolgere
anche le funzioni eventualmente conferite ai medesimi dal legislatore
regionale nell'esercizio delle proprie competenze legislative. 
    Risulta evidente, pertanto, che la questione, se  pure  sollevata
in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., coinvolga anche le attribuzioni
costituzionali delle Regioni. 
    6.1.- La questione e' fondata. 
    Il  legislatore  statale,  decorso  il  termine  di   nove   mesi
dall'approvazione del  decreto-legge,  sopprime  in  modo  indistinto
tutti gli enti  strumentali  che  svolgono  funzioni  fondamentali  o
conferite   di   Province   e   Comuni   senza   che   questi   siano
sufficientemente individuati. 
    L'incertezza circa i soggetti destinatari  della  norma  e'  tale
che, come si e' visto, lo  stesso  legislatore  statale  ha  ritenuto
necessario un procedimento concertato per la complessiva ricognizione
degli enti, delle agenzie e degli organismi, comunque denominati e di
qualsiasi  natura  giuridica  da  sopprimere  o   accorpare   e   per
l'individuazione dei criteri  e  della  tempistica  per  l'attuazione
della norma. 
    Risulta   palese,   pertanto,   la    contraddittorieta'    della
disposizione in esame, che stabilisce  la  soppressione  ex  lege  di
tutti gli enti comunque denominati allo scadere del termine  di  nove
mesi dall'approvazione del  decreto-legge  non  tenendo  conto  della
previsione di cui ai commi 2 e 3, istitutiva di un procedimento volto
alla ricognizione dei suddetti enti e all'individuazione dei  criteri
e della tempistica per l'attuazione della norma con il coinvolgimento
delle autonomie locali. 
    Inoltre, l'automatica soppressione di enti, agenzie  e  organismi
comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica  che  esercitano,
anche in  via  strumentale,  funzioni  nell'ambito  delle  competenze
spettanti  a  Comuni,  Province,  e  Citta'  metropolitane  ai  sensi
dell'art. 118 Cost., prima che tali  enti  locali  abbiano  proceduto
alla necessaria riorganizzazione, pone a rischio lo svolgimento delle
suddette funzioni, rischio ulteriormente aggravato  dalla  previsione
della nullita'  di  tutti  gli  atti  adottati  successivamente  allo
scadere del termine. 
    In conclusione, la difficolta' di  individuare  quali  siano  gli
enti strumentali effettivamente soppressi e  la  necessita'  per  gli
enti locali di riorganizzare i servizi e le funzioni da questi svolte
rendono l'art. 9, comma 4, del d.l. n.  95  del  2012  manifestamente
irragionevole 
    Restano assorbite  le  restanti  censure  della  norma  in  esame
sollevate  dalle  Regioni  Lazio  e  Veneto  in  relazione  ad  altri
parametri. 
    7.- La Regione Veneto impugna anche il comma 5  dell'art.  9  del
d.l. n. 95 del 2012 nella parte in cui  prevede  che:  «Ai  fini  del
coordinamento della finanza  pubblica,  le  regioni  si  adeguano  ai
principi di cui al  comma  1  relativamente  agli  enti,  agenzie  ed
organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgono, ai
sensi dell'articolo 118, della Costituzione, funzioni  amministrative
conferite alle medesime regioni». 
    Secondo  la  ricorrente,  in  tal  modo  il  legislatore  statale
imporrebbe alle Regioni di  ridurre  una  singola,  specifica  e  ben
individuata voce di spesa, in contrasto  con  gli  artt.  117,  comma
terzo, e 119 Cost. 
    7.1.- La questione non e' fondata. 
    Una volta riconosciuta al comma 1 dell'art. 9 del d.l. n. 95  del
2012 la natura di normativa di principio  nella  materia  concorrente
del coordinamento della finanza pubblica di cui all'art.  117,  comma
terzo, Cost. deve, a maggior ragione, riconoscersi la medesima natura
anche al successivo comma 5. 
    Con tale disposizione, infatti, il legislatore statale ha fissato
degli  obiettivi  di  riduzione  dei  costi  degli  enti  strumentali
lasciando alle Regioni, nell'esercizio delle loro competenze, il piu'
ampio spazio di autonomia per adeguarsi  ai  principi  stabiliti  dal
comma 1. Infatti, mentre con riferimento  alla  riduzione  dei  costi
degli enti strumentali degli enti locali, come si e' visto, e'  stata
prevista una procedura concertata  particolarmente  celere  per  dare
attuazione alla norma, invece, per quanto riguarda le Regioni non  e'
stato previsto alcun termine e non e' stata imposta alcuna  specifica
modalita' per l'adeguamento dell'ordinamento  regionale  ai  suddetti
principi. 
    La  disposizione   impugnata,   dunque,   costituisce   principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma
terzo,  Cost.)  ed  e'  pertanto  ascrivibile  a  tale  titolo   alla
competenza legislativa  concorrente  dello  Stato.  Ne  consegue  che
l'eventuale impatto di essa sull'autonomia finanziaria (119 Cost.) ed
organizzativa (117, comma quarto,  e  118  Cost.)  delle  Regioni  si
traduce in una «circostanza di fatto  come  tale  non  incidente  sul
piano della legittimita' costituzionale» (sentenza n. 40 del 2010, n.
169 del 2007 e n. 36 del 2004). 
    8.- La Regione Veneto, infine, impugna il comma 6 dell'art. 9 del
d.l. n. 95 del 2012, ritenendo che tale disposizione, nella parte  in
cui vieta agli Enti locali di istituire enti, agenzie o organismi che
esercitino una o piu' funzioni fondamentali e funzioni amministrative
loro conferite ai sensi dell'art. 118 Cost.,  violi  gli  artt.  117,
comma 2, lettera p), 118 e 119 Cost., perche', non disciplinando  gli
organi di governo e  le  funzioni  fondamentali  degli  Enti  locali,
invade una materia riservata alla potesta'  legislativa  regionale  e
interferisce con l'autonomia amministrativa e finanziaria degli  Enti
locali oltre che con il potere di conferire  funzioni  amministrative
agli Enti locali. 
    8.1.- La questione relativa al comma 6 dell'art. 9 del d.l. n. 95
del 2012 non e' fondata nei sensi di seguito precisati. 
    La norma impugnata stabilisce il divieto per gli enti  locali  di
istituire  enti,  agenzie  e  organismi  comunque  denominati  e   di
qualsiasi natura  giuridica,  che  esercitino  una  o  piu'  funzioni
fondamentali  e  funzioni  amministrative  loro  conferite  ai  sensi
dell'articolo 118 Cost. Tale disposizione deve essere necessariamente
coordinata  con  quanto  stabilito  nei  commi   precedenti   e,   in
particolare, nel comma 1. 
    Infatti  l'obiettivo  del  legislatore   e'   esclusivamente   la
riduzione dei costi relativi agli enti strumentali degli enti  locali
nella misura almeno del 20 per cento, anche mediante la  soppressione
o l'accorpamento dei medesimi. Pertanto la disposizione in esame deve
essere interpretata nel senso che il divieto di istituire nuovi  enti
strumentali opera solo nei limiti della necessaria riduzione  del  20
per cento dei costi relativi al loro funzionamento. Vale a dire  che,
se,  complessivamente,  le  spese  per  «enti,  agenzie  e  organismi
comunque denominati» di cui ai commi 1 e 6 del citato art.  9,  resta
al di sotto dell'80 per cento dei precedenti  oneri  finanziari,  non
opera il divieto di cui al comma 6. 
    Una siffatta interpretazione,  costituzionalmente  orientata,  si
rende necessaria anche  per  consentire  agli  enti  locali  di  dare
attuazione al comma 1 mediante l'accorpamento degli enti  strumentali
che svolgono funzioni fondamentali o conferite. In tal modo, infatti,
gli  enti  locali  potranno  procedere  all'accorpamento  degli  enti
strumentali  esistenti  anche  mediante  l'istituzione  di  un  nuovo
soggetto, purche' sia rispettato l'obiettivo di riduzione complessiva
dei costi.