N. 229 SENTENZA 16 - 23 luglio 2013

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disposizioni che regolano la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche controllate, che producono beni o servizi strumentali all'attivita' delle pubbliche amministrazioni, al fine di ridurne il numero in vista della riduzione delle spese - Ricorso della Regione Veneto - Omessa enunciazione di censure - Inammissibilita' delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, comma 8-bis. - Costituzione, artt. 3, 97, 117, primo e quarto comma, 118 e 119. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disposizioni che regolano la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche controllate, che producono beni o servizi strumentali all'attivita' delle pubbliche amministrazioni, al fine di ridurne il numero in vista della riduzione delle spese - Ricorso della Regione Puglia - Censure prospettate con riferimento a parametri diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni - Assenza di motivazione in ordine alla ridondanza delle violazioni sul riparto delle competenze - Inammissibilita' delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 1 e 8. - Costituzione, artt. 41, 42, 43 e 77. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disposizioni che regolano la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche controllate, che producono beni o servizi strumentali all'attivita' delle pubbliche amministrazioni, al fine di ridurne il numero in vista della riduzione delle spese - Ricorso della Regione Veneto - Censure prospettate con riferimento a parametri diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni - Assenza di motivazione in ordine alla ridondanza delle violazioni sul riparto delle competenze - Inammissibilita' delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 1, 3, 3-sexies, 7, 8, 14. - Costituzione, artt. 3, 97 e 117, commi primo e quarto. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disposizioni che regolano la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche controllate, che producono beni o servizi strumentali all'attivita' delle pubbliche amministrazioni, al fine di ridurne il numero in vista della riduzione delle spese - Previsione che esclude l'applicazione delle predette disposizioni solo "qualora per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento non sia possibile per l'amministrazione pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato" - Previsione secondo cui, come regola, le pubbliche amministrazioni hanno l'obbligo di acquisire i servizi strumentali alle proprie attivita' sul mercato secondo le procedure concorrenziali - Previsione che, a partire dal 1 gennaio 2014, il ricorso agli affidamenti diretti sia limitato solo a favore di societa' a capitale interamente pubblico - Ricorsi delle Regioni Campania, Sardegna e Puglia - Ritenuta riproduzione di una disciplina sui servizi pubblici locali, gia' espunta dall'ordinamento a seguito del referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 e della sentenza n. 199 del 2012 - Asserita lesione delle competenze costituzionali e statutarie delle Regioni nella materia dei servizi pubblici, nonche' delle competenze regolamentari ed amministrative degli enti locali nella medesima materia - Insussistenza - Erroneita' del presupposto interpretativo - Disposizioni che sono rivolte alle societa' pubbliche strumentali e che non si applicano alle societa' che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica, incluse le societa' che gestiscono servizi pubblici locali - Non fondatezza delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 1, 2, 3, 7 ed 8. - Costituzione, artt. 75 e 136. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disposizioni che regolano la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche controllate, che producono beni o servizi strumentali all'attivita' delle pubbliche amministrazioni, al fine di ridurne il numero in vista della riduzione delle spese - Previsione che impone a tutte le amministrazioni, incluse quelle regionali, di sciogliere o privatizzare le societa' pubbliche strumentali che, nell'anno 2011, abbiano conseguito piu' del 90 per cento del proprio fatturato da prestazioni di servizi alla pubblica amministrazione controllante, sanzionandole, in caso di mancato adeguamento agli obblighi di scioglimento o privatizzazione, con il divieto del rinnovo di affidamenti in essere e di nuovi affidamenti diretti in favore delle predette societa' - Indebita interferenza, nella parte in cui le disposizioni si applicano alle Regioni ad autonomia ordinaria, sull'autonomia organizzativa e di funzionamento delle stesse, in quanto si esclude che esse possano continuare ad avvalersi di societa' in house, pur ricorrendo le condizioni prescritte dall'ordinamento dell'Unione europea - Violazione della competenza legislativa regionale nella materia residuale dell'organizzazione e nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica - Illegittimita' costituzionale in parte qua - Assorbimento delle ulteriori censure. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8. - Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto (artt. 118, 119 e 123). Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disposizioni che regolano la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche controllate, che producono beni o servizi strumentali all'attivita' delle pubbliche amministrazioni, al fine di ridurne il numero in vista della riduzione delle spese - Previsione che impone a tutte le amministrazioni, incluse quelle regionali, di sciogliere o privatizzare le societa' pubbliche strumentali che, nell'anno 2011, abbiano conseguito piu' del 90 per cento del proprio fatturato da prestazioni di servizi alla pubblica amministrazione controllante, sanzionandole, in caso di mancato adeguamento agli obblighi di scioglimento o privatizzazione, con il divieto del rinnovo di affidamenti in essere e di nuovi affidamenti diretti in favore delle predette societa' - Ricorsi delle Regioni Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e dalla Regione siciliana - Asserita lesione delle prerogative delle autonomie speciali - Insussistenza - Disposizioni che non si applicano alle medesime, in virtu' dell'operativita' della clausola di salvaguardia di cui all'art. 24-bis - Non fondatezza delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 1, 2, 3, 3-sexies ed 8. - Costituzione, artt. 75, 117, secondo e terzo comma, 118, primo e secondo comma, e 136; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, art. 4; statuto della Regione Sardegna, artt. 3, comma 1, lettere a), b) e g), e 4, comma 1, lettere f) e g), 7 ed 8; statuto della Regione siciliana, artt. 14, lettere o) e p), 15 e 17. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disposizioni che regolano la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche controllate, che producono beni o servizi strumentali all'attivita' delle pubbliche amministrazioni, al fine di ridurne il numero in vista della riduzione delle spese - Previsione che impone a tutte le amministrazioni, incluse quelle regionali, di sciogliere o privatizzare le societa' pubbliche strumentali che, nell'anno 2011, abbiano conseguito piu' del 90 per cento del proprio fatturato da prestazioni di servizi alla pubblica amministrazione controllante, sanzionandole, in caso di mancato adeguamento agli obblighi di scioglimento o privatizzazione, con il divieto del rinnovo di affidamenti in essere e di nuovi affidamenti diretti in favore delle predette societa' - Ricorsi delle Regioni Lazio, Veneto e Puglia - Asserita violazione delle attribuzioni costituzionali e statutarie degli enti locali - Insussistenza - Disposizioni adottate nell'esercizio della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali - Non fondatezza delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8. - Costituzione, artt. 5, 114, 117, sesto comma, e 118. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Determinazione del numero massimo dei componenti dei consigli di amministrazione delle societa' pubbliche di cui al comma 1 e delle societa' a totale partecipazione pubblica - Definizione delle modalita' di composizione dei predetti consigli e delle funzioni dei componenti - Ricorsi delle Regioni Veneto e Sardegna - Asserita violazione delle attribuzioni legislative regionali - Insussistenza - Disciplina riconducibile alla materia dell'ordinamento civile - Non fondatezza delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 4 e 5. - Costituzione, art. 117, terzo comma; statuto della Regione Sardegna, artt. 3 e 4. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti e del loro trattamento economico, nonche' delle forme di responsabilita' degli amministratori e dirigenti - Ricorsi delle Regioni Veneto e Sardegna - Asserita violazione delle attribuzioni legislative regionali - Insussistenza - Disciplina riconducibile alla materia dell'ordinamento civile - Non fondatezza delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 9, 10, 11 e 12. - Costituzione, art. 117, terzo comma; statuto della Regione Sardegna, artt. 3 e 4. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Acquisizione sul mercato di beni e servizi strumentali alla propria attivita' mediante le procedure concorrenziali previste dal codice dei contratti pubblici - Ricorsi delle Regioni Veneto, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia - Asserita violazione delle attribuzioni legislative regionali - Insussistenza - Disciplina riconducibile alla materia della tutela della concorrenza - Non fondatezza delle questioni. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, comma 7. - Costituzione, artt. 118 e 119; statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, art. 4; statuto della Regione Sardegna, artt. 3 e 4. Partecipazioni pubbliche - Societa' pubbliche strumentali - Disposizioni che regolano la messa in liquidazione e la privatizzazione di societa' pubbliche controllate, che producono beni o servizi strumentali all'attivita' delle pubbliche amministrazioni, al fine di ridurne il numero in vista della riduzione delle spese - Individuazione delle societa' cui non si applica la disciplina - Ricorso della Regione Veneto - Mancato coinvolgimento delle Regioni - Asserita lesione del principio di leale collaborazione - Insussistenza - Principio che non pertiene alla funzione legislativa - Non fondatezza della questione. - Decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135), art. 4, commi 3 e 13. - Costituzione, artt. 5, 117, terzo comma e 120.

      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 4, commi  1,
2, 3, 3-sexies, 4, 5, 6, 7, 8, 8-bis, 9, 10, 11,  12,  13  e  14  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 135, promossi con ricorsi delle Regioni Lazio,  Veneto,  Campania,
delle  Regioni  autonome  Friuli-Venezia  Giulia  e  Sardegna,  della
Regione siciliana e della Regione Puglia, notificati il 12-17, il 12,
il 13-17, il 15, il 12, il 13 e il 16-24 ottobre 2012, depositati  in
cancelleria il 16, il 17, il 18, il  19  e  il  23  ottobre  2012  ed
iscritti ai nn. 145, 151, 153, 159,  160,  170  e  171  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  18  giugno  2013  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione autonoma  della
Sardegna, Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Luigi  Manzi
e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Marcello  Collevecchio  per
la Regione Campania, Giandomenico  Falcon  per  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia,  Beatrice  Fiandaca  e  Marina  Valli  per  la
Regione siciliana e l'avvocato dello Stato Gabriella D'Avanzo per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 12-17  ottobre  2012  e  depositato
presso la cancelleria di questa Corte il 16 ottobre 2012  (reg.  ric.
n.  145  del  2012),  la  Regione  Lazio  ha  promosso  questione  di
legittimita'   costituzionale   di    numerose    disposizioni    del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
cittadini», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 135, fra le quali, in particolare, l'art. 4 ed in specie  i  commi
1, 3-sexies ed 8, in riferimento agli artt. 117, primo, terzo, quarto
e sesto comma, e 123, primo comma, Cost. ed  al  principio  di  leale
collaborazione. 
    1.1.- La ricorrente premette che l'art. 4,  rubricato  «Riduzione
di  spese,  messa  in  liquidazione  e  privatizzazione  di  societa'
pubbliche», detta una disciplina che interviene  in  via  diretta  ed
immediata su aspetti organizzativi e di funzionamento  amministrativo
regionale. In particolare, la  ricorrente  ricorda  che  il  predetto
articolo, al comma 1, impone alla Regione l'obbligo di procedere allo
scioglimento o, in alternativa, alla privatizzazione  delle  societa'
controllate dalla stessa  direttamente  o  indirettamente,  le  quali
abbiano conseguito nell'anno 2011  un  fatturato  da  prestazione  di
servizi in favore della pubblica amministrazione superiore al 90  per
cento dell'intero fatturato; al comma 3-sexies prevede che, entro tre
mesi dalla data di entrata in vigore della legge di  conversione  del
decreto, la Regione predisponga appositi piani di ristrutturazione  e
razionalizzazione delle societa' controllate, la cui approvazione  e'
subordinata al previo parere favorevole del Commissario straordinario
per la  razionalizzazione  della  spesa  per  l'acquisto  di  beni  e
servizi, al quale sono riconosciuti pregnanti poteri  decisionali  in
ordine alle scelte  organizzative  dell'ente;  infine,  al  comma  8,
limita la  possibilita'  di  procedere  all'affidamento  diretto  dei
servizi pubblici  locali  «solo  a  favore  di  societa'  a  capitale
interamente pubblico [...] a condizione che il valore  economico  del
servizio o dei beni  oggetto  dell'affidamento  sia  complessivamente
pari o inferiore a 200.000 euro annui». 
    Cosi' disponendo, il  citato  art.  4  inciderebbe  indebitamente
sull'autonomia organizzativa e di funzionamento  della  Regione,  con
conseguente lesione di competenze regionali  garantite  da  norme  di
rango costituzionale. 
    In particolare, la disciplina dettata dal comma 1, che impone  lo
scioglimento  ovvero  la  privatizzazione  di   tutte   le   societa'
direttamente o  indirettamente  controllate  dalla  Regione,  sarebbe
costituzionalmente  illegittima  per  violazione   della   competenza
statutaria in tema di determinazione  dei  principi  fondamentali  di
organizzazione e funzionamento della  Regione  di  cui  all'art.  123
Cost. Inoltre, sia il comma 1 che il comma 3-sexies del medesimo art.
4, nella parte in cui  subordinano  al  previo  parere  positivo  del
Commissario straordinario per la razionalizzazione  della  spesa  per
l'acquisto  di  beni  e   servizi   l'approvazione   dei   piani   di
ristrutturazione  e  razionalizzazione  delle  societa'   controllate
predisposti  dalla  Regione,  determinerebbero   la   lesione   della
competenza  regionale  residuale  in  materia   di   "enti   pubblici
regionali" e "organizzazione amministrativa"  di  cui  all'art.  117,
quarto comma, Cost.; mentre il comma 8 dello stesso  articolo,  nella
parte in cui dispone che l'affidamento diretto dei  servizi  pubblici
locali di rilevanza economica debba  avvenire,  previo  rispetto  dei
requisiti  richiesti   dalla   normativa   e   dalla   giurisprudenza
comunitaria per la gestione in house, «a  condizione  che  il  valore
economico del  servizio  o  dei  beni  oggetto  dell'affidamento  sia
complessivamente   pari   o   inferiore   a   200.000   euro   annui»
determinerebbe,   altresi',   una   menomazione   della    competenza
legislativa residuale  regionale  in  materia  di  servizi  pubblici,
nonche' la lesione della sfera di autonomia incomprimibile di cui gli
enti locali godono  in  virtu'  dell'art.  117,  sesto  comma,  Cost,
ponendosi peraltro in contrasto  con  la  normativa  comunitaria  che
consente la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente
locale,  allorquando  l'applicazione  delle  regole  di   concorrenza
ostacoli, in diritto o in  fatto,  la  «speciale  missione  dell'ente
pubblico» (art. 106 TFUE). I predetti commi  dell'art.  4  sarebbero,
inoltre, lesivi della competenza legislativa regionale concorrente in
materia  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,   nonche'   del
principio di leale collaborazione, che trova fondamento diretto negli
artt. 5 e 120 Cost., in quanto non lascerebbero  alla  Regione  alcun
margine di manovra in ordine  alle  scelte  volte  all'individuazione
degli strumenti e delle modalita' per il perseguimento degli indicati
obiettivi di contenimento della spesa pubblica. 
    2.- Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato presso
la cancelleria di questa Corte il 17 ottobre 2012 (reg. ric.  n.  151
del 2012), la Regione Veneto ha promosso  questione  di  legittimita'
costituzionale di numerose disposizioni del citato  d.l.  n.  95  del
2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, fra
le quali, in particolare, l'art. 4, in riferimento agli artt. 3,  97,
117, 118 e 119 Cost. ed al principio di leale collaborazione  di  cui
agli artt. 5 e 120 Cost. 
    La Regione deduce, in particolare, che i commi 1, 3, 3-sexies, 4,
5, 6, 7, 8, 8-bis, 9, 10, 11, 12 e 14  violano:  l'art.  117,  quarto
comma, Cost., che attribuisce alla Regione la competenza  legislativa
residuale in materia di organizzazione amministrativa della  Regione,
nonche', conseguentemente, gli artt.118  e  119  Cost.;  l'art.  117,
primo comma, Cost., nella parte in cui, eliminando  il  potere  delle
Regioni di procedere ad affidamenti in house, pacificamente  ammessi,
al ricorrere di determinati presupposti,  a  livello  di  ordinamento
comunitario, si porrebbero in  contrasto  con  le  indicazioni  della
giurisprudenza  comunitaria,  nonche'  con  la  Carta  europea  delle
autonomie locali; gli artt. 3 e 97  Cost.,  posto  che  alle  Regioni
sarebbero  impediti  gli  affidamenti  in  house  a  prescindere   da
qualsivoglia valutazione discrezionale da svolgersi nel rispetto  dei
principi   di   ragionevolezza   e   buon    andamento    dell'azione
amministrativa; l'art. 118, secondo comma, Cost., per la parte in cui
tali norme ledono le competenze amministrative degli  enti  locali  e
cio'  in  ragione  della  stretta  connessione  di  queste   con   le
attribuzioni regionali. 
    Inoltre, con specifico riferimento ai commi 4, 5, 9, 10, 11 e  12
del medesimo  art.  4,  la  ricorrente  deduce  la  violazione  della
competenza  legislativa   regionale   concorrente   in   materia   di
coordinamento della finanza  pubblica  di  cui  all'art.  117,  terzo
comma, Cost.; in relazione al comma 14 prospetta la violazione  della
potesta'   legislativa   regionale   residuale    in    materia    di
"organizzazione amministrativa della Regione", nonche' degli artt.  3
e 97 Cost. nella parte in cui, pur vietando di deferire in  arbitrato
le controversie tra le societa'  a  totale  partecipazione  pubblica,
diretta o indiretta, e le relative amministrazioni (anche  regionali)
detentrici  delle  partecipazioni  stesse,  fa  salve   le   clausole
arbitrali  contenute  nei  contratti  tra  le  amministrazioni  e  le
societa' pubbliche quando si siano gia' costituiti i relativi collegi
arbitrali; in relazione ai commi  3  e  13,  denuncia  la  violazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione  di  cui  agli  artt.  5  e  120  Cost.,  in   quanto,
nell'individuazione delle societa' cui non trova applicazione  l'art.
4 non e' previsto alcun coinvolgimento delle Regioni neppure mediante
l'intervento della Conferenza unificata Stato-Regioni. 
    3.- Con ricorso notificato il 13-17  ottobre  2012  e  depositato
presso la cancelleria di questa Corte il 18 ottobre 2012  (reg.  ric.
n. 153 del 2012), anche la Regione Campania ha promosso questione  di
legittimita' costituzionale di numerose disposizioni del citato  d.l.
n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del
2012, fra le quali, in particolare,  l'art.  4,  commi  3  ed  8,  in
relazione agli artt. 5, 41, 75, 114, 117, 118 e 136 Cost. 
    3.1.- Le predette  norme  sono,  in  primo  luogo,  censurate  in
riferimento agli artt. 5, 75, 114, 117, 118 e 136 Cost., nella  parte
in cui, delineando una procedura ad hoc per le  societa'  alle  quali
sia precluso un utile ed efficace ricorso al mercato  in  ragione  di
peculiari  caratteristiche,  nonche'  riducendo  la  possibilita'  di
affidamenti diretti dei servizi pubblici locali (commi 3 ed  8),  con
la piu' grave sanzione dello  scioglimento  o  della  privatizzazione
delle  societa'  controllate  direttamente  o  indirettamente   dalle
Regioni  e  dagli  enti  locali  (comma  1),  finisce  di  fatto  per
riprodurre una disciplina gia' espunta dall'ordinamento,  dapprima  a
seguito del referendum del 12-13 giugno 2011 e poi con la sentenza n.
199 del 2012, ledendo la competenza legislativa  regionale  residuale
in  materia  di  servizi  pubblici  locali,  che  si  era   riespansa
all'indomani della consultazione popolare e della decisione di questa
Corte.  Le  richiamate   disposizioni   lederebbero,   altresi',   la
competenza legislativa concorrente regionale in tema di coordinamento
della finanza pubblica, non recando principi di coordinamento, ma una
disciplina minuziosa e dettagliata. 
    Con specifico riferimento al comma 3, la Regione ne  denuncia  il
contrasto con gli artt. 41 e 114 Cost., nella parte in  cui  preclude
in radice alle Regioni la possibilita'  di  esercitare  attivita'  di
rilevanza   economica   in   precedenza   svolte   tramite   societa'
controllate. 
    Con riferimento al comma 8, nella parte in  cui  dispone  che,  a
decorrere dal 1° gennaio 2014, l'affidamento diretto  possa  avvenire
solo a favore  di  societa'  a  capitale  interamente  pubblico,  nel
rispetto dei requisiti richiesti dal diritto comunitario  in  materia
di in house providing purche' il valore economico del servizio o  dei
beni oggetto dell'affidamento  non  superi  200.000  euro  annui,  la
ricorrente denuncia la violazione dell'art. 117, primo  comma,  Cost.
per contrasto con i limiti  posti  dalla  configurazione  comunitaria
dell'in house. 
    4.- Con ricorso notificato il 15 ottobre 2012 e depositato presso
la cancelleria di questa Corte il 19 ottobre 2012 (reg. ric.  n.  159
del 2012), la Regione Friuli-Venezia Giulia ha promosso questione  di
legittimita' costituzionale di numerose disposizioni del d.l.  n.  95
del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,
fra le quali, in particolare, l'art. 4, commi 1, 2, 3,  7  ed  8,  in
riferimento all'art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.
1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) ed  all'art.
117, secondo e terzo comma, Cost. 
    4.1.- La Regione  premette  che  l'impugnazione  dell'art.  4  ha
carattere subordinato, per l'ipotesi in cui si dovesse intendere  che
tale  articolo  e'  destinato  ad  applicarsi  anche  nel  territorio
regionale o che comunque ponga  attualmente  limiti  o  vincoli  alla
Regione Friuli-Venezia Giulia, nonostante la presenza della  clausola
di salvaguardia di cui all'art. 24-bis del medesimo d.l. 
    4.2.- Ove, infatti, si ritenesse che  l'art.  4  sia  applicabile
anche  nelle  Regioni  ad  autonomia  speciale,  le  predette   norme
sarebbero lesive della potesta'  legislativa  regionale  primaria  in
materia di "ordinamento degli uffici e degli  enti  dipendenti  dalla
Regione", nonche' dei poteri legislativi riconosciuti  dall'art.  117
Cost., in quanto la decisione della  Regione  di  operare  attraverso
proprie strutture o attraverso societa' in  house  costituirebbe  una
scelta puramente organizzativa che non puo' essere compressa in  nome
di un generico coordinamento  finanziario,  privo  di  uno  specifico
contenuto economico, ne' in nome della tutela della  concorrenza,  in
quanto la problematica della concorrenza si porrebbe solo  una  volta
che  siano  state  operate  le  scelte  organizzative   dell'ente   e
quest'ultimo, una  volta  organizzatosi  (nell'ambito  della  propria
autonomia), ricorra al mercato. 
    5.- Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato presso
la cancelleria di questa Corte il 19 ottobre 2012 (reg. ric.  n.  160
del 2012),  anche  la  Regione  Sardegna  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale di numerose disposizioni del d.l.  n.  95
del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012,
fra le quali, in particolare, l'art. 4, in riferimento agli artt.  3,
4, 7 ed 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3  (Statuto
speciale per la Sardegna) ed agli artt. 3, 75, 117, 119 e 136 Cost. 
    5.1.- In via preliminare, la ricorrente precisa che gli  articoli
della Costituzione che riconoscono attribuzioni  costituzionali  alle
Regioni ordinarie sono richiamati ai sensi dell'art. 10  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al  titolo  V  della
parte seconda  della  Costituzione),  che  estende  alle  Regioni  ad
autonomia speciale le disposizioni di maggior favore per  le  Regioni
ordinarie nelle more della revisione dei loro statuti. 
    5.2.- Nel merito, la Regione censura, in particolare, i commi  1,
2, 5 ed 8 in relazione agli artt. 3, comma 1, lettere a), b) e g),  e
4, comma 1, lettere f) e g), dello statuto speciale,  per  violazione
delle  competenze  legislative  regionali  primarie   nelle   materie
"ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e
stato giuridico ed economico del personale", "ordinamento degli  enti
locali", "trasporti su linee  automobilistiche  e  tranviarie"  e  di
quelle concorrenti relative  alle  materie  "assunzione  di  pubblici
servizi" e "linee marittime ed aeree di cabotaggio fra i porti e  gli
scali  della  Regione",  nonche'  per  violazione  delle   competenze
legislative regionali concorrenti in materia di  coordinamento  della
finanza  pubblica.  Le  disposizioni  recate   dai   predetti   commi
sarebbero, inoltre, lesive degli artt. 75 e 136 Cost., in connessione
con gli artt. 117 e 3 e 4 dello statuto speciale, in quanto avrebbero
nuovamente innalzato una barriera nei confronti  dell'affidamento  in
house dei servizi pubblici locali, in contrasto con la  consultazione
referendaria del 12-13 giugno 2011, nonche' con  la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale  contenuta  nella  sentenza  di  questa
Corte  n.  199  del  2012,  sia  prevedendo  la  liquidazione  o   la
privatizzazione delle societa' in essere, sia, quanto all'affidamento
dei servizi pubblici locali, fissando un limite di valore complessivo
pari a 200.000  euro.  Le  predette  disposizioni  lederebbero  anche
l'autonomia finanziaria regionale garantita dagli artt. 7 ed 8  dello
statuto e dall'art. 119 Cost . 
    Con riguardo, poi, ai commi 1, 2, 3, 4, 5, 9, 10, 11,  12,  13  e
14, la ricorrente denuncia la violazione delle competenze  statutarie
e  costituzionali  della  Regione  Sardegna,  attenendo  dette  norme
all'organizzazione ed allo svolgimento, in  forma  societaria,  delle
funzioni pubbliche demandate  alla  Regione,  analogamente  al  comma
3-sexies, il quale sottopone al vaglio di un organo statale di nomina
governativa  procedimenti  che  attengono  allo   svolgimento   delle
funzioni pubbliche regionali. 
    6.- Con ricorso, notificato  il  13  ottobre  2012  e  depositato
presso la cancelleria di questa Corte il 19 ottobre 2012  (reg.  ric.
n. 170 del 2012), la  Regione  siciliana  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale di numerose disposizioni del  piu'  volte
citato d.l. n. 95 del 2012, fra le quali, in particolare,  l'art.  4,
comma 3-sexies, in riferimento agli artt. 14, lettere o) e p),  15  e
17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello  statuto  della  Regione  siciliana),   convertito   in   legge
costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2,  ed
all'art. 118, primo e secondo comma, Cost., in relazione all'art.  10
della legge cost. n. 3 del 2001. 
    6.1.- La Regione impugna l'art. 4, comma 3-sexies, nella parte in
cui dispone che i piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle
societa' controllate sono approvati  «previo  parere  favorevole  del
Commissario straordinario per la razionalizzazione  della  spesa  per
acquisto di beni e servizi di cui all'art. 2 del d.l. n. 52 del 2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 94 del 2012» e  che  il
termine  di  90  giorni  dall'entrata  in  vigore  della   legge   di
conversione puo' essere prorogato «con  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro  dell'economia  e
delle finanze, adottato su proposta del Commissario straordinario per
la razionalizzazione della spesa per l'acquisto di beni  e  servizi».
Cosi' disponendo, esso violerebbe le competenze legislative regionali
statutarie primarie di  cui  all'art.  14,  lettera  p)  in  tema  di
"ordinamento degli uffici  e  degli  enti  regionali",  all'art.  14,
lettera o), in tema di "regime degli enti locali",  nonche'  all'art.
15 in tema  di  "legislazione  esclusiva  ed  esecuzione  diretta  in
materia di circoscrizione, ordinamento e controllo", e le correlative
funzioni esecutive ed amministrative regionali e degli  enti  locali,
la cui  disciplina  e'  attribuita  alla  competenza  primaria  delle
Regioni, nonche' le competenze di cui all'art. 118 Cost. 
    7.- Con ricorso notificato il 16-24  ottobre  2012  e  depositato
presso la cancelleria di questa Corte il 23 ottobre 2012  (reg.  ric.
n. 171  del  2012),  la  Regione  Puglia  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 1 ed 8,  del  predetto
d.l. n. 95 del 2012, in riferimento agli artt. 3, 5, 41, 42, 43,  75,
77, 114, 117, primo, secondo, terzo, quarto, quinto  e  sesto  comma,
118, primo e secondo comma, e 119 Cost. 
    7.1.- La Regione Puglia impugna, in particolare: i commi 1  e  2,
nella parte in cui impongono alle Regioni  ed  agli  enti  locali  di
dismettere le societa' partecipate, per violazione: dello spirito del
Titolo V della Parte  II  della  Costituzione  e  dell'assetto  delle
competenze ivi fissato, volto alla valorizzazione degli enti  locali;
dell'art. 117,  primo  comma,  Cost.  in  relazione  ai  principi  di
autonomia ed autarchia, consacrati  anche  in  ambito  sovranazionale
(art. 5 TUE); dell'art. 114, secondo comma, Cost.,  in  relazione  al
principio costituzionale di tutela della proprieta' pubblica  di  cui
all'art. 42 Cost. nonche' al  principio  autonomistico  di  cui  agli
artt. 5 e  114  Cost.;  il  comma  3,  nella  parte  in  cui  esclude
dall'ambito di operativita' dei commi 1 e  2  solo  le  societa'  che
svolgono servizi che rientrano tra quelli di interesse generale anche
aventi rilevanza economica, per violazione dei commi primo, quarto  e
sesto dell'art. 117  e  degli  artt.  118  e  119  Cost.,  in  quanto
l'assenza dell'interesse generale e della  dimensione  economica  del
servizio  collocherebbero  tali   societa'   nell'alveo   legislativo
regionale,   sia   dal   punto    di    vista    organizzativo    che
gestionale-finanziario; il comma 8,  nella  parte  in  cui  introduce
limiti agli affidamenti diretti  a  societa'  per  azioni  pubbliche,
escludendo totalmente gli affidamenti a soggetti di diritto pubblico,
per  violazione  del  vincolo  referendario  e  dei  contenuti  della
sentenza n. 199 del 2012, oltre che dell'ordinamento  comunitario  in
tema  di  affidamento  dei  servizi  pubblici  locali  di   rilevanza
economica, e  conseguente  lesione  delle  competenze  costituzionali
delle   Regioni   nelle    materie    dei    servizi    pubblici    e
dell'organizzazione degli enti locali; i commi 1 ed 8, per violazione
degli artt. 114, 117 e 118 Cost., in quanto inciderebbero in  maniera
consistente sulla sfera di competenza della Regione,  sia  sul  piano
patrimoniale-proprietario, che organizzativo-funzionale e gestionale;
per violazione degli artt. 41, 42 e 43 Cost., in quanto la  normativa
da  essi  recata  altererebbe  irrimediabilmente   l'equilibrio   tra
proprieta' pubblica e proprieta' privata,  tra  impresa  pubblica  ed
impresa privata; per violazione dell'art. 77 Cost., per l'assenza dei
presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza. 
    8.- In tutti  i  giudizi  si  e'  costituito  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, chiedendo  che  i  ricorsi  siano  dichiarati
inammissibili e/o rigettati. 
    In  particolare,  la  difesa  statale   ha   osservato   che   la
disposizione censurata (l'art. 4), nella parte in  cui  prescrive  lo
scioglimento o la privatizzazione  delle  societa'  a  partecipazione
pubblica,  e  quindi  la  riduzione   del   numero   degli   enti   a
partecipazione pubblica che erogano servizi strumentali alla pubblica
amministrazione, rientrerebbe nel novero delle disposizioni  che,  in
quanto finalizzate al contenimento ed  alla  razionalizzazione  della
spesa pubblica, costituiscono "principi di coordinamento  in  materia
di finanza pubblica" ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. Essa,
ponendosi  in  linea  di  continuita'  con  i  precedenti  interventi
legislativi in materia di societa' pubbliche, risponderebbe, inoltre,
all'esigenza di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e
di assicurare la par condicio  degli  operatori.  A  suo  avviso,  la
disciplina limitativa degli enti pubblici strumentali non inciderebbe
in materia  di  organizzazione  amministrativa  perche'  non  sarebbe
rivolta  a  regolare  una   forma   di   svolgimento   dell'attivita'
amministrativa, ma sarebbe riconducibile, da un lato, alla competenza
legislativa esclusiva in materia di  ordinamento  civile,  in  quanto
volta  a  definire  i  confini  tra  l'attivita'   amministrativa   e
l'attivita'  d'impresa,  soggetta  alle   regole   del   mercato   e,
dall'altro, alla  competenza  legislativa  esclusiva  in  materia  di
tutela della concorrenza, in quanto volta  ad  eliminare  distorsioni
della concorrenza stessa. 
    La difesa statale precisa, inoltre, che il comma  3  dell'art.  4
esclude dall'ambito di applicazione una  serie  di  societa'  tra  le
quali quelle che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi
rilevanza  economica,  categoria  quest'ultima  alla  quale   sarebbe
possibile ricondurre i servizi pubblici  locali.  Con  le  richiamate
disposizioni il legislatore avrebbe inteso fare riferimento solo alle
c.d. societa' strumentali della pubblica amministrazione  e  cioe'  a
quelle  societa'  che  producono  beni  e  servizi  strumentali  alle
funzioni amministrative di cui e' titolare  l'ente  pubblico  per  il
perseguimento dei suoi fini istituzionali. 
    Secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  inoltre,
l'impugnata  disposizione,  lungi  dall'esautorare  le  Regioni   dal
procedimento di razionalizzazione degli  enti  ad  esse  strumentali,
lascerebbe ampi margini  di  autonomia  alla  potesta'  organizzativa
regionale, in armonia con il principio di leale collaborazione di cui
all'art. 117 Cost., prevedendosi anche meccanismi  di  partecipazione
delle Regioni al processo di privatizzazione delle societa'  da  esse
controllate,  attraverso  la  possibilita'   loro   riconosciuta   di
predisporre appositi piani di ristrutturazione. 
    Le disposizioni contenute nei commi 1, 2 e 3 del  citato  art.  4
sarebbero  riconducibili  alla  materia  dell'ordinamento  civile  in
quanto, inserendosi in un contesto normativo volto  a  razionalizzare
l'assetto organizzativo delle pubbliche amministrazioni (in linea con
l'art. 3, comma 27, della legge 24  dicembre  2007,  n.  244  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2008»), mirerebbero ad assicurare una
distinzione sempre piu'  incisiva  tra  attivita'  amministrativa  in
forma privatistica (posta in essere da societa' che operano  per  una
pubblica amministrazione) ed attivita' di impresa di  enti  pubblici,
incidendo sul regime giuridico, delineato in termini  necessariamente
uniformi sul  territorio  nazionale,  di  quelle  realta'  societarie
direttamente   o   indirettamente    controllate    dalla    pubblica
amministrazione. Esse mirerebbero altresi' ad evitare che l'attivita'
d'impresa degli enti pubblici possa essere  svolta  beneficiando  dei
privilegi dei quali  un  soggetto  puo'  godere  in  quanto  pubblica
amministrazione: conseguentemente sarebbero riconducibili anche  alla
materia di competenza  legislativa  esclusiva  statale  della  tutela
della concorrenza. 
    Quanto ai successivi commi 7 ed 8 dell'art. 4, la difesa  statale
deduce che anch'essi sarebbero  finalizzati  ad  evitare  distorsioni
della  concorrenza  e  del  mercato  e  costituirebbero  disposizioni
rientranti nella competenza legislativa esclusiva statale in  materia
di tutela della concorrenza, mentre l'art. 4, comma  3-sexies,  nella
parte in  cui  prevede  che  le  societa'  controllate  da  tutte  le
pubbliche amministrazioni possono avere  come  oggetto  sociale  solo
l'esercizio delle funzioni amministrative di cui all'art. 118 Cost. e
dispone  che  esse  rispondano  ai   requisiti   della   legislazione
comunitaria in materia di in house providing, inciderebbe  sia  sulla
materia dell' "ordinamento  civile",  in  quanto  delimita  l'oggetto
sociale ed impone che le predette societa'  rispondano  ai  requisiti
della legislazione comunitaria in tema di  in  house  providing;  sia
sulla la materia della "tutela della concorrenza",  materie  entrambe
nelle quali lo Stato puo' dettare disposizioni vincolanti  anche  per
gli enti locali, competendo sempre allo  Stato  anche  verificare  la
corretta  attuazione  delle  proprie   disposizioni   vincolanti   in
concreto. 
    9.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni gia' formulate nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sette distinti ricorsi, le  Regioni  Lazio  (n.  145  del
2012), Veneto (n. 151 del 2012), Campania (n. 153 del 2012) e  Puglia
(n. 171 del 2012), nonche' le Regioni autonome Friuli-Venezia  Giulia
(n. 159 del 2012), Sardegna (n. 160 del 2012) e la Regione  siciliana
(n.  170  del  2012)  hanno  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale,  in   via   principale,   di   numerose   norme   del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi  ai
cittadini», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 135, e, tra queste, dell'art. 4 ed in specie di alcuni  commi  del
medesimo articolo. 
    2.- Le ricorrenti impugnano il citato art. 4 nella parte in  cui:
dispone lo scioglimento, entro il 31 dicembre  2013,  delle  societa'
controllate   direttamente   o   indirettamente    dalle    pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del  decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165 (Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro
alle dipendenze delle  amministrazioni  pubbliche),  e  quindi  anche
dalle Regioni e dagli enti locali, che,  nel  corso  dell'anno  2011,
abbiano conseguito un fatturato da prestazione di  servizi  a  favore
delle pubbliche amministrazioni stesse  superiore  al  90  per  cento
dell'intero  fatturato  (comma   1);   prescrive,   in   alternativa,
l'alienazione,  mediante  procedure  di  evidenza   pubblica,   delle
relative  partecipazioni  entro  il  30  giugno   2013   (comma   1),
prevedendo, in caso di  mancato  adeguamento,  il  divieto  di  nuovi
affidamenti diretti di servizi e del rinnovo degli affidamenti di cui
le predette  societa'  siano  titolari  (comma  2);  prevede  che  le
predette disposizioni non si applichino, oltre che ad  una  serie  di
societa' specificamente individuate (commi 3 e 13), solo «qualora per
le  peculiari  caratteristiche  economiche,  sociali,  ambientali   e
geomorfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento  non
sia possibile per l'amministrazione pubblica controllante un efficace
e utile ricorso al mercato», sottoponendo, peraltro, gli esiti  della
predetta verifica  all'Autorita'  garante  della  concorrenza  e  del
mercato per l'acquisizione  del  parere  vincolante,  parere  poi  da
comunicarsi alla Presidenza del Consiglio  dei  ministri  (comma  3);
sottopone al «previo parere favorevole» di un organo statale, e cioe'
del Commissario straordinario per la  razionalizzazione  della  spesa
per l'acquisto di beni  e  servizi,  l'approvazione  degli  eventuali
piani  «di  ristrutturazione  e  razionalizzazione   delle   societa'
controllate» che le Regioni abbiano predisposto entro tre mesi  dalla
data di entrata in vigore della  legge  di  conversione  del  decreto
(comma  3-sexies);  impone  alle  pubbliche  amministrazioni  di  cui
all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, a decorrere  dal  1°
gennaio 2014, di acquisire sul mercato i beni e i servizi strumentali
alla propria attivita' mediante le procedure concorrenziali  previste
dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante  «Codice  dei
contratti  pubblici  relativi  a  lavori,  servizi  e  forniture   in
attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e  2004/18/CE»  (comma  7);
condiziona, a decorrere  dalla  medesima  data,  la  possibilita'  di
affidamenti diretti a  favore  di  societa'  a  capitale  interamente
pubblico alla circostanza che «il valore economico del servizio o dei
beni oggetto dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a
200.000 euro annui»,  nel  rispetto  dei  requisiti  richiesti  dalla
normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house
(comma 8). 
    Il medesimo art. 4 e' inoltre censurato nella parte in cui  detta
disposizioni puntuali in ordine alla composizione ed al funzionamento
dei  consigli   di   amministrazione   delle   societa'   controllate
direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di  cui
all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del  2001  e  quindi  anche  dalle
Regioni e dagli enti locali (commi 4  e  5);  impone  limitazioni  in
ordine  all'assunzione  di  personale  ed  al  relativo   trattamento
economico (commi 9, 10, 11 e 12);  vieta,  a  pena  di  nullita',  di
inserire clausole arbitrali in sede di stipulazione di  contratti  di
servizio  ovvero   di   atti   convenzionali   comunque   denominati,
intercorrenti tra societa' a totale partecipazione pubblica,  diretta
o indiretta, e amministrazioni statali e regionali (comma 14). 
    Le ricorrenti sostengono che una simile  dettagliata  disciplina,
considerata nel suo complesso o anche solo con riguardo  a  specifici
commi, impedendo o comunque condizionando la scelta delle Regioni  in
ordine alla forma giuridica da adottare per organizzare ed erogare  i
propri  servizi,  soprattutto  con  la  previsione  di  una  drastica
riduzione  delle  ipotesi  di  ricorso  all'affidamento   in   house,
determinerebbe la violazione: della competenza legislativa  regionale
residuale in materia di "organizzazione  amministrativa  regionale  e
degli enti  pubblici  regionali",  nonche'  in  materia  di  "servizi
pubblici  locali";  della  potesta'  legislativa  regionale  primaria
spettante, in materia di  "ordinamento  degli  uffici  e  degli  enti
dipendenti  dalla  Regione",  alle  Regioni  autonome  Friuli-Venezia
Giulia, Sardegna ed alla Regione siciliana  (nonche'  in  materia  di
"stato giuridico ed economico del personale", "ordinamento degli enti
locali", "trasporti su linee automobilistiche e  tranviarie"  per  la
Regione  Sardegna;  in  materia  di  "regime  degli   enti   locali",
"legislazione  esclusiva  ed  esecuzione  diretta   in   materia   di
circoscrizione, ordinamento e controllo" per la  Regione  siciliana);
della competenza statutaria in tema di  determinazione  dei  principi
fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione (Regione
Lazio);   dell'autonomia    regolamentare    e    delle    competenze
amministrative   degli   enti    locali,    nonche'    dell'autonomia
amministrativa e finanziaria regionale. Le norme impugnate,  inoltre,
recherebbero  vulnus  anche  alla  competenza  legislativa  regionale
concorrente in tema di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  non
recando meri principi di coordinamento  della  finanza  pubblica,  ma
disposizioni dettagliate ed autoapplicative (Regioni  Lazio,  Veneto,
Campania, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna). Infine,  impedendo  alle
Regioni di procedere  ad  affidamenti  in  house,  a  prescindere  da
qualsivoglia valutazione discrezionale della  stessa,  si  porrebbero
anche in contrasto con la normativa dell'Unione europea che  consente
la gestione diretta del servizio pubblico da parte  dell'ente  locale
(Regioni  Lazio,  Veneto,  Campania),  nonche'  con  i  principi   di
ragionevolezza e buon andamento dell'azione  amministrativa  (Regione
Veneto). 
    Le Regioni Campania, Sardegna e Puglia censurano il citato art. 4
anche nella parte in cui, delineando una  procedura  ad  hoc  per  le
societa' che esercitano servizi pubblici locali in ordine alle  quali
sia precluso un utile ed efficace ricorso al mercato  in  ragione  di
peculiari  caratteristiche,  nonche'  riducendo  la  possibilita'  di
affidamenti diretti dei medesimi servizi pubblici locali (commi 3  ed
8),  con  la  piu'  grave  sanzione  dello   scioglimento   o   della
privatizzazione   delle   societa'   controllate    direttamente    o
indirettamente dagli enti locali (comma 1), ed il  divieto  di  nuovi
affidamenti diretti di servizi e del  rinnovo  degli  affidamenti  in
essere (comma  2),  riprodurrebbe,  di  fatto,  una  disciplina  gia'
espunta dall'ordinamento, dapprima a seguito del referendum del 12-13
giugno 2011 e poi per effetto della sentenza di questa Corte  n.  199
del 2012, in violazione degli artt. 75 e 136 Cost. e con  conseguente
lesione delle competenze costituzionali e  statutarie  delle  Regioni
nella materia dei servizi pubblici. 
    La Regione Veneto impugna i commi 3 e 13 del  citato  art.  4  in
riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost. ed al principio di leale
collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), in quanto,  nell'individuazione
delle societa' cui non trova applicazione  detta  norma  non  sarebbe
stato previsto alcun coinvolgimento delle  Regioni  neppure  mediante
l'intervento  della  Conferenza  unificata  Stato-Regioni.   Siffatta
Regione censura anche il  comma  14  per  violazione  della  potesta'
legislativa  regionale  (residuale)  in  materia  di  "organizzazione
amministrativa della Regione" e degli artt. 3 e 97 Cost., nella parte
in cui, pur vietando  di  inserire  clausole  arbitrali  in  sede  di
stipulazione  di  contratti  di  servizio  tra  societa'   a   totale
partecipazione  pubblica,  diretta  o  indiretta,  e  amministrazioni
statali e regionali, fa salve le  clausole  arbitrali  contenute  nei
contratti tra le amministrazioni e le societa'  pubbliche  quando  si
siano gia' costituiti i relativi collegi arbitrali. La stessa Regione
impugna, inoltre, i commi 1, 3, 3-sexies, 7 ed 8, ritenendo che  essi
violino l'art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con le
indicazioni della giurisprudenza comunitaria e con la  Carta  europea
delle autonomie locali. 
    Secondo la Regione Puglia, i commi 1 ed 8 della  norma  in  esame
violerebbero gli artt. 41, 42 e 43  Cost.,  in  quanto  altererebbero
irrimediabilmente l'equilibrio tra proprieta' pubblica  e  proprieta'
privata, tra impresa pubblica ed impresa privata, nonche'  l'art.  77
Cost., per l'assenza delle ragioni  di  straordinaria  necessita'  ed
urgenza,   che   avrebbero   potuto   giustificare   l'adozione   del
decreto-legge. 
    3.- In considerazione della  sostanziale  identita'  delle  norme
impugnate, sopra indicate, e dell'analogia delle censure proposte con
i suddetti ricorsi, i relativi giudizi  possono  essere  riuniti  per
essere decisi con un'unica pronuncia: la valutazione  delle  restanti
questioni  sollevate,  coi  medesimi  ricorsi,  dalle   sopraindicate
Regioni e' riservata ad altre decisioni. 
    4.- In via preliminare, occorre tener conto di  alcune  modifiche
legislative sopraggiunte alla proposizione dei ricorsi. 
    4.1.- L'art. 34, comma 27, del decreto-legge 18 ottobre 2012,  n.
179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito,
con modificazioni,  dalla  legge  17  dicembre  2012,  ha  modificato
l'impugnato  comma  8  dell'art.  4  sopprimendo  le  parole:  «e   a
condizione che il valore economico del servizio o  dei  beni  oggetto
dell'affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro
annui». 
    Occorre, dunque, valutare se tale modifica possa  determinare  la
cessazione della materia del contendere  con  riguardo  alle  censure
concernenti il richiamato comma 8 dell'art. 4, la cui  efficacia  era
comunque rinviata al 1° gennaio 2014 e  che,  quindi,  non  ha  avuto
applicazione nella sua originaria formulazione. 
    Siffatta modifica, che ha eliminato la soglia massima dei 200.000
euro di valore economico del servizio ai fini della  possibilita'  di
ricorrere all'affidamento in house dei  servizi,  pur  facendo  venir
meno uno degli elementi limitativi  del  ricorso  all'affidamento  in
house,  non  risulta  totalmente  satisfattiva  delle  istanze  delle
Regioni ricorrenti, poiche' resta inserita in un contesto  normativo,
complessivamente censurato, che risulta sostanzialmente immutato.  In
base  a  quest'ultimo,  detti  affidamenti  diretti  possono   essere
effettuati in favore delle societa' pubbliche che abbiano i requisiti
di cui al comma 1 (siano controllate dalle pubbliche  amministrazioni
in favore delle  quali  abbiano  prestato  servizi,  conseguendo,  in
riferimento ad essi, nell'anno 2011, un fatturato superiore al 90 per
cento dell'intero  fatturato),  o  in  quanto  rientrino  fra  quelle
espressamente escluse dall'ambito di applicazione dell'art. 4  (commi
3 e 13), oppure in quanto ricorra per esse la condizione  di  cui  al
comma 3 e cioe' che «per  le  peculiari  caratteristiche  economiche,
sociali,   ambientali   e   geomorfologiche   del   contesto,   anche
territoriale, di riferimento non sia possibile per  l'amministrazione
pubblica controllante un efficace e utile ricorso al mercato»  (comma
3, secondo periodo),  secondo  il  parere  vincolante  dell'Autorita'
garante della concorrenza e del  mercato.  Ove  tali  condizioni  non
siano soddisfatte e le predette societa' non siano  state  sciolte  o
privatizzate, come previsto dal comma 1, esse non  possono,  infatti,
essere piu' destinatarie di affidamenti diretti (comma 2). 
    Pertanto, posto che la sopravvenienza legislativa non modifica in
modo significativo il complessivo quadro normativo, e certamente  non
lo fa in modo satisfattivo delle istanze  delle  Regioni  ricorrenti,
non e' possibile dichiarare cessata la  materia  del  contendere.  In
considerazione della sostanziale identita' del  contenuto  precettivo
della norma modificata,  la  questione,  come  proposta,  si  intende
trasferita sul testo attualmente vigente del comma 8 dell'art. 4. 
    4.2.- L'art. 1, comma 148, della legge 24 dicembre 2012,  n.  228
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge di stabilita'  2013)  ha  modificato  l'impugnato
comma 10 del medesimo art. 4 del d.l. n. 95 del 2012, aggiungendo, al
testo gia'  vigente,  il  seguente  periodo:  «Le  medesime  societa'
applicano le disposizioni di cui all'articolo 7, commi 6 e 6-bis, del
decreto  legislativo  30   marzo   2001,   n.   165,   e   successive
modificazioni, in  materia  di  presupposti,  limiti  e  obblighi  di
trasparenza nel conferimento degli incarichi» 
    Anche in tal  caso  la  sopravvenienza  legislativa,  intervenuta
quando la norma  originaria  non  era  stata  ancora  applicata,  non
costituisce una modifica satisfattiva delle pretese delle ricorrenti,
dal momento che introduce, in capo alle  societa'  pubbliche  oggetto
dell'art. 4, ulteriori vincoli  in  materia  di  rapporti  di  lavoro
(contratti di collaborazione e conferimento di incarichi), estendendo
alle medesime societa' i limiti imposti, in materia,  dal  d.lgs.  n.
165 del 2001 alle pubbliche  amministrazioni  "controllanti".  Tenuto
conto, quindi, che non e' mutato il contenuto precettivo della  norma
modificata, la questione, come proposta, si  intende  trasferita  sul
testo attualmente vigente del comma 10 dell'art. 4. 
    5.   -   Ancora   in    linea    preliminare,    va    dichiarata
l'inammissibilita' delle  questioni  promosse  dalla  Regione  Veneto
(ric. n. 151 del 2012), nei confronti del comma 8-bis dell'art. 4 del
d.l. n. 95 del 2012. 
    Tale disposizione, sebbene sia evocata fra quelle impugnate dalla
predetta Regione con il citato ricorso congiuntamente ai commi 1,  3,
3-sexies, 9, 10, 11, 12 e  14  del  citato  articolo,  non  e'  fatta
oggetto di nessuna delle censure ivi prospettate. 
    6.- Va, altresi', dichiarata l'inammissibilita'  delle  questioni
promosse dalla Regione Puglia (ric. n. 171 del  2012)  nei  confronti
dei commi 1 ed 8 del citato art. 4, in riferimento sia agli artt. 41,
42 e 43 Cost.  che  all'  art.  77  Cost.,  nonche'  delle  questioni
proposte dalla Regione Veneto (ric. n. 151 del  2012)  nei  confronti
del comma 14 del medesimo art. 4,  in  riferimento  agli  artt.  117,
quarto comma, e 3 e 97 Cost., nonche' nei confronti dei commi  1,  3,
3-sexies, 7 ed 8, della predetta norma, in riferimento all'art.  117,
primo comma, Cost., per contrasto con la giurisprudenza comunitaria e
con la Carta europea delle autonomie locali. 
    6.1.- Questa Corte ha piu' volte affermato che le Regioni possono
evocare parametri di legittimita' diversi da quelli che sovrintendono
al riparto di attribuzioni solo allorquando la violazione  denunciata
sia «potenzialmente  idonea  a  determinare  una  vulnerazione  delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni» (sentenza n. 199 del 2012)
e queste abbiano sufficientemente motivato in ordine  ai  profili  di
una possibile ridondanza della predetta  violazione  sul  riparto  di
competenze, assolvendo all'onere di operare la necessaria indicazione
della specifica competenza regionale che  ne  risulterebbe  offesa  e
delle ragioni di tale lesione (sentenza n. 33 del 2011). 
    Nella specie, dette condizioni di  ammissibilita'  delle  censure
non sono soddisfatte. 
    La Regione Puglia si e', infatti, limitata a denunciare, peraltro
genericamente, in un caso, la violazione degli  artt.  41,  42  e  43
Cost.  sostenendo  che  la  normativa  da  essi  recata   altererebbe
irrimediabilmente l'equilibrio tra proprieta' pubblica  e  proprieta'
privata, tra impresa pubblica  ed  impresa  privata;  nell'altro,  la
violazione  dell'art.  77  Cost.  per  assenza  dei  presupposti   di
necessita' ed urgenza; e  cio'  senza  motivare  circa  la  possibile
ridondanza delle violazioni sul riparto delle competenze. 
    Analogamente, la Regione Veneto ha impugnato il  comma  14  della
norma in esame per violazione della  potesta'  legislativa  regionale
(residuale)  in  materia  di  "organizzazione  amministrativa   della
Regione" e degli artt. 3 e 97 Cost. nella parte in cui, pur  vietando
di inserire clausole arbitrali in sede di stipulazione  di  contratti
di servizio tra societa' a totale partecipazione pubblica, diretta  o
indiretta,  e  amministrazioni  statali  e  regionali,  fa  salve  le
clausole arbitrali contenute nei contratti tra le  amministrazioni  e
le societa' pubbliche quando si  siano  gia'  costituiti  i  relativi
collegi arbitrali,  senza  fornire  alcuna  argomentazione  circa  le
ragioni per le quali  la  predetta  disposizione  determinerebbe  una
lesione della  competenza  regionale  in  materia  di  organizzazione
amministrativa regionale. Anche le censure  di  violazione  dell'art.
117, primo comma, Cost., prospettate dalla medesima Regione Veneto in
relazione ai commi 1, 3, 3-sexies,  7  ed  8,  sono  formulate  senza
alcuna  motivazione  sulla  possibile  ridondanza  sulla   sfera   di
competenza regionale del preteso contrasto con le  indicazioni  della
giurisprudenza comunitaria e con la  Carta  europea  delle  autonomie
locali, peraltro genericamente evocata. 
    7.- Sono, invece, ammissibili le questioni proposte dalle Regioni
Campania, Sardegna e Puglia in riferimento agli artt. 75 e 136 Cost. 
    Le Regioni ricorrenti assumono, infatti,  che  la  normativa  qui
impugnata (in specie i commi 1, 2, 3 ed 8)  ha  nuovamente  innalzato
una barriera nei confronti  dell'affidamento  in  house  dei  servizi
pubblici locali, reintroducendo una disciplina analoga, ed anzi ancor
piu'  restrittiva,  sia  di  quella  gia'  oggetto   di   abrogazione
referendaria, con la quale si riduceva la possibilita' di affidamenti
diretti  dei  servizi  pubblici  locali,  sia  di  quella  dichiarata
costituzionalmente illegittima per violazione della volonta' popolare
espressa attraverso la consultazione referendaria. Posto che,  sia  a
seguito  dell'abrogazione   referendaria,   che   a   seguito   della
declaratoria  di   illegittimita'   costituzionale,   le   competenze
regionali e degli enti locali nel settore dei servizi pubblici locali
si erano riespanse, le ricorrenti impugnano dette  norme,  in  quanto
lesive della sfera di competenza regionale (e degli enti  locali)  in
materia di servizi pubblici locali come  "riespansa".  Le  ricorrenti
hanno, quindi, fornito  una  sufficiente  motivazione  in  ordine  ai
profili della possibile ridondanza sul riparto  di  competenze  della
denunciata  violazione,  evidenziando  la  potenziale  lesione  della
potesta'  legislativa  regionale  residuale  in  materia  di  servizi
pubblici locali (e della relativa competenza regolamentare degli enti
locali) che deriverebbe dalla violazione degli artt. 75 e 136 Cost. 
    8.- La Regione Friuli-Venezia Giulia  prospetta  le  censure  nei
confronti delle disposizioni dell'art. 4 del d.l. n. 95 del 2012 solo
in via subordinata, «per l'ipotesi in cui si  dovesse  intendere  che
esse sono destinate ad applicarsi anche nel territorio  regionale»  e
che quindi non operi la c.d. clausola di salvaguardia di cui all'art.
24-bis del medesimo d.l. n. 95 del 2012. 
    Ad avviso della  ricorrente,  tale  norma,  nella  parte  in  cui
stabilisce  che  «[...]  le  disposizioni  del  presente  decreto  si
applicano alle  predette  regioni  e  province  autonome  secondo  le
procedure previste dai rispettivi statuti speciali e  dalle  relative
norme di attuazione, anche con riferimento  agli  enti  locali  delle
autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia  di  finanza
locale,  agli  enti  ed  organismi  strumentali  dei  predetti   enti
territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o
provinciale», renderebbe inapplicabili ad essa ed a tutte le  Regioni
ad autonomia speciale ed alle Province autonome le  disposizioni  del
decreto-legge, tranne  quelle  che,  a  loro  volta  (come  nel  caso
dell'art.  17),  contengano   specifiche   indicazioni   sulla   loro
applicabilita' alle autonomie speciali. Pertanto, poiche' l'impugnato
art. 4 non contiene alcuna specifica  menzione,  le  disposizioni  da
esso recate non sarebbero applicabili alle autonomie speciali. 
    8.1.- La tesi della Regione Friuli-Venezia Giulia e' corretta, in
quanto dall'esame dei lavori preparatori si desume che la clausola di
cui all'art. 24-bis e' stata introdotta, in sede  di  conversione  in
legge, alla fine del testo del d.l.  n.  95  del  2012,  proprio  per
garantire  che  «il  contributo  delle  Regioni  a  statuto  speciale
all'azione di risanamento come fissata in questo provvedimento  dallo
stesso Governo [...] venga realizzato  rispettando  i  rapporti  e  i
vincoli che gli statuti speciali stabiliscono tra livello nazionale e
Regioni a statuto speciale». 
    La predetta clausola e' analoga ad altre sulle quali questa Corte
si e' gia' pronunciata, affermando che esse sono volte  ad  escludere
la  diretta  applicazione  agli  enti  ad  autonomia  speciale  delle
disposizioni  dettate  dal  legislatore   statale   che   non   siano
compatibili con quanto stabilito negli statuti speciali e nelle norme
di attuazione degli stessi, al di fuori delle  particolari  procedure
previste dai rispettivi statuti (sentenza n. 193 del 2012). Tale tipo
di clausole, lungi dall'essere  mere  clausole  di  stile,  hanno  la
«precisa funzione di rendere applicabile  il  decreto  agli  enti  ad
autonomia differenziata solo a condizione che siano "rispettati"  gli
statuti speciali» (sentenza n. 241 del  2012):  esse,  in  tal  modo,
prefigurano  «un  percorso  procedurale,   dominato   dal   principio
consensualistico, per la  modificazione  delle  norme  di  attuazione
degli statuti speciali, con riguardo all'eventualita' in cui lo Stato
voglia introdurre negli enti ad autonomia differenziata, quanto  alle
materie trattate nel decreto-legge, una disciplina non conforme  alle
norme di attuazione statutaria» (sentenza n. 241 del 2012;  in  senso
analogo cfr. anche, fra le altre, sentenze n. 178 del 2012  e  n.  64
del 2012). 
    Da cio' si desume che, anche qualora si accertasse che  le  norme
dell'art. 4 del d.l. n. 95 del 2012  impugnate  rechino  disposizioni
incompatibili con gli statuti speciali, esse non sarebbero di per se'
applicabili alle Regioni ad autonomia speciale, ma richiederebbero il
recepimento tramite le apposite  procedure  (consensuali)  prescritte
dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria. 
    9.- Procedendo all'esame del  merito  delle  questioni  proposte,
occorre, in primo luogo, esaminare le censure delle Regioni Campania,
Sardegna e Puglia concernenti il citato art. 4, nella  parte  in  cui
delinea una procedura ad hoc per le societa' che  esercitano  servizi
pubblici locali in  ordine  alle  quali  sia  precluso  un  utile  ed
efficace ricorso al mercato in ragione di peculiari  caratteristiche,
nonche' riduce la possibilita' di affidamenti  diretti  dei  medesimi
servizi pubblici locali (commi 3 ed 8), con la  piu'  grave  sanzione
dello scioglimento o della privatizzazione delle societa' controllate
direttamente o indirettamente dagli  enti  locali  (comma  1)  ed  il
divieto di nuovi affidamenti diretti di servizi e del  rinnovo  degli
affidamenti  in  essere  (comma  2),  nonche'   con   la   previsione
dell'obbligo, posto a carico delle pubbliche amministrazioni  di  cui
all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001, di acquisire sul mercato
i beni e i servizi con le procedure ad evidenza pubblica  (comma  7).
Cosi' disponendo, l'art. 4 riprodurrebbe una disciplina gia'  espunta
dall'ordinamento, dapprima, a seguito del referendum del 12-13 giugno
2011 e,  poi,  per  effetto  della  sentenza  n.  199  del  2012,  in
violazione degli artt. 75 e 136 Cost., con conseguente lesione  delle
competenze costituzionali e statutarie delle  Regioni  nella  materia
dei servizi  pubblici,  nonche'  delle  competenze  regolamentari  ed
amministrative degli enti locali nella medesima materia. 
    9.1.- Le questioni non sono fondate. 
    Occorre premettere che con il d.l. n. 95  del  2012,  convertito,
con modificazioni, dalla  legge  n.  135  del  2012,  il  legislatore
statale   ha   introdotto   disposizioni   urgenti   finalizzate    a
«razionalizzare la spesa pubblica attraverso la riduzione delle spese
per beni e servizi, garantendo al contempo l'invarianza  dei  servizi
ai cittadini». In  questo  ambito  si  colloca  l'art.  4,  rubricato
«Riduzione di spese,  messa  in  liquidazione  e  privatizzazione  di
societa' pubbliche», il quale  contiene  una  serie  di  disposizioni
volte primariamente a realizzare lo scioglimento o,  in  alternativa,
la  privatizzazione  delle  societa',  controllate   direttamente   o
indirettamente   dalle   pubbliche   amministrazioni,   titolari   di
affidamenti  diretti   di   servizi   in   favore   delle   pubbliche
amministrazioni, ed in specie di quelle, fra  di  esse,  che  abbiano
conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione  di  servizi  a
favore delle pubbliche amministrazioni stesse  superiore  al  90  per
cento dell'intero fatturato, mirando a  ridurne  il  numero.  A  tale
scopo, si prevede che le  predette  societa'  (di  cui  al  comma  1)
possono continuare ad operare, senza essere sciolte  o  privatizzate,
solo «qualora per le peculiari caratteristiche  economiche,  sociali,
ambientali e geomorfologiche del  contesto,  anche  territoriale,  di
riferimento  non  sia  possibile   per   l'amministrazione   pubblica
controllante un efficace e utile ricorso al mercato» e  a  condizione
che  tale  verifica  venga  sottoposta  all'Autorita'  garante  della
concorrenza e del mercato per l'acquisizione del  parere  vincolante,
da rendere entro sessanta giorni  dalla  ricezione  della  relazione,
parere poi da comunicarsi alla Presidenza del Consiglio dei  ministri
(comma 3). Si delimita, poi, ulteriormente, a partire dal 1°  gennaio
2014, il ricorso agli affidamenti diretti solo a favore di societa' a
capitale interamente pubblico (comma 8), imponendosi, viceversa, alle
pubbliche amministrazioni, come  regola,  l'obbligo  di  acquisire  i
servizi strumentali alle proprie attivita'  sul  mercato  secondo  le
procedure concorrenziali (comma 7) . 
    L'ambito di applicazione di  tali  disposizioni  e'  definito  in
negativo dai commi 3 e 13,  i  quali  espressamente  individuano  una
serie  di  societa'  controllate  dalle   pubbliche   amministrazioni
sottratte al regime dettato dall'art. 4, fra le  quali  vi  sono,  in
primo luogo, le societa' che svolgono servizi di interesse  generale,
anche aventi  rilevanza  economica.  Posto  che  la  definizione  dei
servizi di  interesse  generale  trova  nella  normativa  dell'Unione
europea i suoi fondamenti, e che, alla luce  di  essa,  tali  servizi
corrispondono ad attivita'  (anche  commerciali)  orientate  al  bene
della collettivita' e pertanto  vincolate  a  specifici  obblighi  di
servizio  pubblico  da  parte  delle  autorita',  tra  le  quali   si
annoverano,  ad  esempio,  i  trasporti,  i   servizi   postali,   le
telecomunicazioni, e' agevole desumere che i servizi pubblici  locali
rientrano fra i servizi di interesse generale. 
    Le censure muovono, percio',  da  un  presupposto  interpretativo
erroneo, che e' quello dell'applicabilita' delle norme qui  in  esame
in riferimento ai servizi pubblici locali. Tale presupposto non  solo
e' contraddetto espressamente dal citato  comma  3,  ma  viene  anche
smentito da una lettura sistematica delle disposizioni  dell'art.  4,
le quali piu' volte fanno  riferimento  a  societa'  controllate  che
svolgono servizi in favore delle pubbliche amministrazioni (gia'  nel
comma 1), che sono "strumentali"  all'attivita'  delle  medesime  (ad
esempio, al comma 7). 
    Considerato che le disposizioni  censurate  hanno  un  ambito  di
applicazione  diverso  da  quello  delle  disposizioni  oggetto   del
referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011 e della  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale di cui alla sentenza n. 199 del 2012 e,
dunque, non sono riproduttive ne' delle disposizioni abrogate con  il
referendum,  ne'  delle  disposizioni  dichiarate  costituzionalmente
illegittime con la citata sentenza n.  199  del  2012,  non  sussiste
alcuna lesione ne' del giudicato costituzionale, ne'  della  volonta'
popolare espressa tramite il referendum. 
    10.- L'art. 4 del d.l. n. 95  del  2012  e',  inoltre,  censurato
nella parte in cui, impedendo  o  comunque  condizionando  la  scelta
delle  Regioni  in  ordine  alla  forma  giuridica  da  adottare  per
organizzare ed erogare i propri servizi, in specie con  l'imposizione
dello scioglimento o della privatizzazione delle societa'  in  house,
nonche', comunque, con la previsione di una drastica riduzione  delle
ipotesi  di  ricorso  all'affidamento  in  house,  determinerebbe  la
violazione  della  competenza  legislativa  regionale  residuale   in
materia di  organizzazione  amministrativa  regionale  e  degli  enti
pubblici regionali, nonche' delle competenze legislative primarie  in
materia di "ordinamento degli uffici e degli  enti  dipendenti  dalla
Regione" per la Regione Friuli-Venezia Giulia, la Regione Sardegna  e
la Regione siciliana; in materia di "stato giuridico ed economico del
personale", "ordinamento degli  enti  locali",  "trasporti  su  linee
automobilistiche e tranviarie" per la Regione Sardegna; in materia di
"regime degli enti locali",  "legislazione  esclusiva  ed  esecuzione
diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo" per la
Regione  siciliana.  Si  osserva,  peraltro,  da  parte   di   alcune
ricorrenti, che una simile  compressione  della  predetta  competenza
legislativa regionale non potrebbe giustificarsi in  quanto  volta  a
garantire il rispetto di  principi  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, posto che  le  norme  impugnate  recherebbero  disposizioni
dettagliate  ed  autoapplicative,  non  riconducibili   ai   predetti
principi (Regioni Lazio, Veneto, Campania,  Friuli-Venezia  Giulia  e
Sardegna). 
    L'esame della questione impone di verificare quale sia la materia
alla quale va ricondotta la normativa censurata. A tal  fine,  questa
Corte ha piu' volte  affermato  che  «per  la  identificazione  della
materia in cui  si  colloca  la  disposizione  impugnata,  questa  va
individuata avendo riguardo all'oggetto o  alla  disciplina  da  essa
stabilita, sulla base della  sua  ratio,  senza  tenere  conto  degli
aspetti marginali e riflessi» (sentenza n. 235 del 2010; in tal senso
anche le sentenze n. 368 del 2008 e n. 165 del 2007). 
    10.1.- Quanto all'oggetto, gia'  dalla  rubrica  dell'art.  4  si
desume  che  esso  e'  costituito  dalla  «messa  in  liquidazione  e
privatizzazione di societa' pubbliche», volta a ridurne il numero  in
vista della riduzione delle spese. Il comma 1 del  predetto  articolo
chiarisce che oggetto  della  disciplina  da  esso  dettata  sono  le
societa' pubbliche o, piu' precisamente, quelle societa'  controllate
direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di  cui
all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, che  siano  titolari
di affidamenti diretti di servizi  svolti  a  favore  delle  medesime
pubbliche amministrazioni e cioe' di quelle  societa'  che  producono
beni  o  servizi  strumentali  alle  pubbliche  amministrazioni.  Con
riguardo a tali societa' pubbliche strumentali, il  comma  1  dispone
che esse siano  sciolte  entro  il  31  dicembre  2013  o  che  siano
privatizzate entro il 30 giugno dello stesso  anno,  qualora  abbiano
conseguito nell'anno 2011 piu' del 90  per  cento  del  fatturato  da
prestazioni di servizi alla pubblica  amministrazione;  e  stabilisce
anche che, nel caso di mancato adeguamento  a  tali  indicazioni,  le
predette  societa'  non  possano  piu'  ottenere  nuovi   affidamenti
diretti, ne' il rinnovo degli affidamenti preesistenti (comma  2,  al
quale si collega il comma 8). Per ovviare  ai  predetti  esiti,  alle
amministrazioni pubbliche controllanti  e'  solo  consentito:  a)  di
predisporre un'analisi di mercato sulla base della quale risulti che,
per le peculiari caratteristiche economiche e sociali,  ambientali  e
geo-morfologiche del contesto, anche  territoriale,  di  riferimento,
non e' possibile un efficace ed utile  ricorso  al  mercato,  analisi
tuttavia soggetta al parere vincolante dell'Autorita'  garante  della
concorrenza e del mercato (comma 3, ultimo periodo); b) ovvero (entro
90 giorni dall'entrata in  vigore  della  legge  di  conversione)  di
predisporre  piani  di  razionalizzazione  e  ristrutturazione  delle
predette societa', i quali, tuttavia,  sono  assoggettati  al  previo
parere   favorevole   del   Commissario    straordinario    per    la
razionalizzazione della spesa per l'acquisto di beni e servizi di cui
all'articolo 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n.  52  (Disposizioni
urgenti per la razionalizzazione della spesa  pubblica),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n. 94. 
    A  tali  disposizioni,  chiaramente  finalizzate  alla  riduzione
dell'uso delle societa' pubbliche strumentali,  si  aggiunge,  da  un
lato,  la  previsione  secondo  cui,  dal   1°   gennaio   2014,   le
amministrazioni pubbliche acquisiscono  i  servizi  strumentali  alla
propria   attivita'   sul   mercato   nel   rispetto   delle   regole
concorrenziali stabilite dal  d.lgs.  n.  163  del  2006  (comma  7);
dall'altro, una serie di norme che disciplinano  l'organizzazione  ed
il funzionamento delle predette societa', che siano rimaste operative
in base all'applicazione  della  predetta  normativa,  sia  imponendo
limiti al numero  dei  componenti  dei  consigli  di  amministrazione
(commi 4 e 5), nonche' alle spese per  il  personale  delle  medesime
societa' e per il relativo trattamento economico (commi 9, 10 ed 11),
sia, infine ponendo in capo agli  amministratori  e  dirigenti  delle
medesime societa' la responsabilita' contabile in caso di  violazione
dei vincoli di spesa (comma 12). 
    Tale  essendo  il  contenuto  delle  norme   in   esame,   emerge
chiaramente che le  stesse  dettano  una  disciplina  puntuale  delle
societa'  pubbliche  strumentali,  che  si   aggiunge   ai   numerosi
interventi del legislatore statale sulle medesime societa', i  quali,
negli anni piu' recenti, ne hanno accentuato i profili di specialita'
rispetto al regime generale delle societa' di diritto comune. 
    Fra  tali  interventi  si  colloca  la   disciplina   restrittiva
stabilita, dapprima, con il  decreto-legge  4  luglio  2006,  n.  223
(Disposizioni urgenti per il rilancio economico  e  sociale,  per  il
contenimento e la razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  nonche'
interventi  in  materia  di  entrate  e  di  contrasto   all'evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4  agosto  2006,
n. 248; e, poi, con la legge 24 dicembre 2007, n.  244  (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -
legge finanziaria 2008). In particolare, con l'art. 13  del  d.l.  n.
223 del 2006, si e' disposto che le societa' interamente pubbliche  o
miste,  costituite  o  partecipate   da   amministrazioni   pubbliche
regionali e locali per lo svolgimento di attivita' strumentali ovvero
per  lo  svolgimento  esternalizzato  delle  funzioni  amministrative
dell'ente (fatta eccezione per i servizi pubblici locali e i  servizi
e centrali di committenza), a decorrere dal 4  gennaio  2010,  devono
operare esclusivamente a favore degli enti costituenti o partecipanti
o affidanti, non possono  svolgere  prestazioni  a  favore  di  altri
soggetti pubblici o  privati  e  non  possono  partecipare  ad  altre
societa' o enti aventi sede nel territorio nazionale. Con  l'art.  3,
comma 27, della legge n. 244 del 2007, si e', inoltre,  stabilito  il
divieto per le amministrazioni pubbliche di cui al citato articolo 1,
comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 di costituire societa'  aventi  ad
oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessari al
perseguimento  delle  proprie  finalita'  istituzionali,  ovvero   il
divieto di assumere o  mantenere  -  direttamente  -  partecipazioni,
anche di minoranza, in tali societa'. 
    Sulla richiamata disciplina restrittiva delle societa'  pubbliche
strumentali questa Corte ha gia'  avuto  occasione  di  pronunciarsi,
rilevando come sia il divieto per le predette societa' strumentali di
svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici  o  privati,
in affidamento diretto o con gara, e di partecipare ad altre societa'
o enti (art. 13 del d.l. n. 223 del 2006),  sia  il  divieto  per  le
pubbliche amministrazioni di costituire societa' aventi  per  oggetto
la produzione di  beni  e  servizi,  non  strettamente  necessari  al
perseguimento delle proprie finalita' istituzionali, e di assumere  e
mantenere le partecipazioni in tali societa' (art. 3, comma 27, della
legge n. 244 del  2007),  «mirano,  da  un  canto,  a  rafforzare  la
distinzione tra attivita' amministrativa in forma privatistica (posta
in essere da societa' che operano per una  pubblica  amministrazione)
ed attivita' di impresa di enti pubblici, dall'altro, ad evitare  che
quest'ultima possa essere svolta beneficiando dei privilegi dei quali
un soggetto puo' godere in quanto pubblica amministrazione» (sentenza
n. 148 del 2009). 
    Esse sono, quindi, dirette ad  evitare  che  soggetti  dotati  di
privilegi svolgano attivita' economica al di fuori dei casi nei quali
cio' e' imprescindibile per il perseguimento delle proprie  finalita'
istituzionali, anche al fine di eliminare eventuali distorsioni della
concorrenza (sentenza n. 326 del 2008). 
    In altri termini, in tali previsioni restrittive si e'  ravvisata
la finalita' di assicurare che le  societa'  pubbliche  che  svolgono
servizi strumentali per le pubbliche amministrazioni non approfittino
del vantaggio che ad esse deriva  dal  particolare  rapporto  con  le
predette pubbliche amministrazioni operando sul mercato, al  fine  di
evitare distorsioni della  concorrenza,  ma  concentrino  il  proprio
operato esclusivamente nell'"attivita' amministrativa svolta in forma
privatistica" per le medesime amministrazioni pubbliche.  E  cio'  in
linea con la normativa dell'Unione europea, il cui primario obiettivo
e'  quello  di  evitare  che  l'impresa  pubblica  goda   di   regimi
privilegiati e di assicurare  -  ai  fini  dell'ammissibilita'  degli
affidamenti diretti di servizi a  societa'  pubbliche  -  che  l'ente
affidante eserciti sull'affidatario un controllo analogo a quello che
esso esercita sui propri servizi  e  che  l'affidatario  realizzi  la
parte piu' importante della propria attivita' con l'ente controllante
(per tutte, sentenza Corte di giustizia, sez. V, 18 novembre 1999, n.
C-107/98, Teckal c. Comune di Viano). 
    La disciplina dettata dai commi 1 e 2 dell'art. 4 del d.l. n.  95
del 2012, tuttavia, lungi dal perseguire l'obiettivo di garantire che
le  societa'  pubbliche  che  svolgono  servizi  strumentali  per  le
pubbliche   amministrazioni   concentrino    il    proprio    operato
esclusivamente  nell'"attivita'  amministrativa   svolta   in   forma
privatistica" per le predette amministrazioni pubbliche e non operino
sul mercato «beneficiando dei privilegi dei quali  un  soggetto  puo'
godere in quanto  pubblica  amministrazione»  (sentenza  n.  326  del
2008), colpisce proprio le societa' pubbliche  che  hanno  realizzato
tale obiettivo. Essa, infatti, impone  a  tutte  le  amministrazioni,
quindi anche a quelle regionali, di sciogliere o privatizzare proprio
le  societa'  pubbliche  strumentali  che,  nell'anno  2011,  abbiano
conseguito piu' del 90 per cento del proprio fatturato da prestazioni
di servizi alla  pubblica  amministrazione  controllante  (comma  1),
sanzionandole, in  caso  di  mancato  adeguamento  agli  obblighi  di
scioglimento  o  privatizzazione,  con  il  divieto  del  rinnovo  di
affidamenti in essere e di nuovi affidamenti diretti in favore  delle
predette societa' (comma 2, cui si congiunge il comma 8). 
    In tal modo, e' sottratta alle medesime amministrazioni,  di  cui
all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, la scelta in  ordine
alle  modalita'  organizzative  di  svolgimento  delle  attivita'  di
produzione di beni  o  servizi  strumentali  alle  proprie  finalita'
istituzionali,  in  quanto  si  esclude  la  possibilita'  che,   pur
ricorrendo  le  condizioni  prescritte  dall'ordinamento  dell'Unione
europea, le  medesime  amministrazioni  continuino  ad  avvalersi  di
societa'  in  house.  Di  queste  ultime,  infatti,  si   impone   lo
scioglimento  o  la  privatizzazione,  consentendosi  che  le  stesse
sopravvivano e continuino ad essere titolari di  affidamenti  diretti
(comma 8) solo nelle rare  ipotesi  nelle  quali  «per  le  peculiari
caratteristiche economiche e sociali, ambientali  e  geo-morfologiche
del contesto, anche territoriale, di riferimento non e' possibile  un
efficace  ed  utile  ricorso  al  mercato»,  soggette  comunque  alla
valutazione dell'Autorita' garante della concorrenza  e  del  mercato
(comma 3, secondo periodo), o negli ancor piu' ridotti casi nei quali
siano  stati  predisposti  dei  piani  di  razionalizzazione   e   di
ristrutturazione delle medesime societa',  i  quali  devono  peraltro
aver  avuto  il  parere  favorevole  (vincolante)   del   Commissario
straordinario per la razionalizzazione della spesa per l'acquisto  di
beni e servizi di cui all'articolo 2 del d.l. n. 52 del  2012  (comma
3-sexies). 
    In sostanza, le richiamate disposizioni (in specie i commi 1 e 2,
ai quali sono strettamente collegati il comma 3, secondo periodo,  il
comma 3-sexies,  ed  il  comma  8)  precludono  anche  alle  Regioni,
titolari di competenza legislativa residuale e primaria in materia di
organizzazione, costituzionalmente e statutariamente  riconosciuta  e
garantita, la scelta di una delle possibili modalita' di  svolgimento
dei  servizi  strumentali  alle  proprie   finalita'   istituzionali.
Siffatta scelta  costituisce  un  modo  di  esercizio  dell'autonomia
organizzativa  delle  Regioni,  e  cioe'  quello  di  continuare   ad
avvalersi di quelle societa' che, svolgendo esclusivamente "attivita'
amministrativa in forma privatistica" nei confronti  delle  pubbliche
amministrazioni, sono in armonia  sia  con  i  vincoli  "costitutivi"
imposti dall'art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007, sia con i
limiti di attivita' delineati dall'art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 e
sono, peraltro, contraddistinte da un legame con le medesime,  basato
sulla sussistenza delle condizioni  prescritte  dalla  giurisprudenza
comunitaria del "controllo analogo"  e  dell'"attivita'  prevalente",
tale  da  configurarle  quali  «longa  manus  delle   amministrazioni
pubbliche, operanti per queste ultime e non per il pubblico», come da
tempo riconosciuto dalla giurisprudenza  amministrativa  (per  tutte,
Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza  4  agosto  2011,  n.
17). 
    Le predette norme (commi 1, 2, 3, secondo periodo,  3-sexies,  8)
incidono, pertanto, sulla materia dell'organizzazione e funzionamento
della Regione, affidata dall'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,  alla
competenza legislativa regionale residuale delle Regioni ad autonomia
ordinaria ed alla competenza  legislativa  regionale  primaria  delle
Regioni ad autonomia speciale dai rispettivi  statuti,  tenuto  conto
che esse  inibiscono  in  radice  una  delle  possibili  declinazioni
dell'autonomia organizzativa regionale. 
    Tale collocazione per materia delle norme impugnate qui in  esame
non risulta, tuttavia, totalmente assorbente. 
    Occorre, infatti, tener conto del fatto che l'impugnato art. 4 si
inserisce fra le  disposizioni  recate  dal  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del  2012,  con  le
quali il legislatore  statale  ha  inteso  «razionalizzare  la  spesa
pubblica attraverso la riduzione delle  spese  per  beni  e  servizi,
garantendo al contempo l'invarianza dei servizi  ai  cittadini».  E',
quindi, indiscutibile che la  disciplina  impugnata  obbedisce  anche
alla finalita' del contenimento  della  spesa  pubblica.  Poiche'  la
giurisprudenza  costituzionale  ha  espressamente  riconosciuto   che
disposizioni statali di principio  in  tema  di  coordinamento  della
finanza pubblica, ove costituzionalmente legittime, possono «incidere
su una materia di competenza della Regione e delle Province  autonome
(sentenze n. 188 del 2007, n. 2 del 2004 e n.  274  del  2003),  come
l'organizzazione ed il funzionamento dell'amministrazione regionale e
provinciale» (sentenza n. 159 del 2008), si tratta di  verificare  se
le singole disposizioni impugnate dalle Regioni siano riconducibili a
principi di coordinamento della finanza pubblica. 
    Questa  Corte  ha  ripetutamente  ribadito  al  riguardo  che  e'
consentito imporre limiti alla spesa di enti pubblici regionali  alla
duplice condizione: a)  di  porre  obiettivi  di  riequilibrio  della
medesima,  intesi  nel   senso   di   un   transitorio   contenimento
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; b)  di  non
prevedere  in  modo  esaustivo   strumenti   o   modalita'   per   il
perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenza n. 289 del 2008). Puo'
essere, in altri termini, imposto alle Regioni  un  «limite  globale,
complessivo, al punto che ciascuna Regione deve ritenersi  libera  di
darvi attuazione,  nelle  varie  leggi  di  spesa,  relativamente  ai
diversi comparti,  in  modo  graduato  e  differenziato,  purche'  il
risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale»
(sentenza n. 36 del 2013; sentenza n. 211 del 2012). 
    Nella specie, le disposizioni di cui ai commi 1,  2,  3,  secondo
periodo, 3-sexies ed 8, delineano, invece, una disciplina puntuale  e
dettagliata  che  vincola   totalmente   anche   le   amministrazioni
regionali, senza lasciare  alcun  margine  di  adeguamento,  anche  a
Regioni e Province autonome, con conseguente  lesione  dell'autonomia
organizzativa  della  Regione,  nonche'  della  competenza  regionale
concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. 
    10.1.1.- Pertanto, va dichiarata l'illegittimita'  costituzionale
dei commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies, ed 8  dell'art.  4  del
d.l. n. 95 del 2012 nella parte in  cui  si  riferiscono  anche  alle
Regioni ad autonomia ordinaria. 
    Restano assorbite le censure riferite all'art. 123 Cost. ed  agli
artt. 118 e 119 Cost. (per violazione dell'autonomia amministrativa e
finanziaria regionale). 
    10.1.2.- Quanto alle Regioni ad autonomia speciale deve,  invece,
dichiararsi la non fondatezza delle questioni proposte, posto che  le
disposizioni censurate, come si e' gia' detto, non si applicano  alle
medesime, in virtu' dell'operativita' della clausola di  salvaguardia
di cui all'art. 24-bis (punto 8.1). 
    10.2.- Non fondate devono dichiararsi le  censure  di  violazione
delle attribuzioni costituzionali  e  statutarie  degli  enti  locali
prospettate (in particolare nei ricorsi n. 145, n. 151,  n.  160,  n.
170 e n. 171 del 2012) nei confronti dei suddetti commi  dell'art.  4
del d.l. n. 95 del 2012 dalle Regioni ricorrenti, in quanto  ritenute
strettamente connesse alle proprie competenze regionali  (per  tutte,
sentenza n. 311 del 2012). 
    Le norme impugnate  hanno,  infatti,  evidente  attinenza  con  i
profili organizzativi degli enti locali, posto che  esse  coinvolgono
le modalita' con cui tali enti perseguono,  quand'anche  nelle  forme
del diritto privato, le proprie finalita' istituzionali. 
    Con riferimento  alle  Regioni  a  statuto  ordinario,  tuttavia,
questa Corte ha gia' affermato che  «spetta  al  legislatore  statale
[...] disciplinare i profili organizzativi concernenti  l'ordinamento
degli enti locali (art. 117,  secondo  comma,  lettera  p),  Cost.)»:
pertanto, posto che le societa' controllate  sulle  quali  incide  la
normativa impugnata svolgono  attivita'  strumentali  alle  finalita'
istituzionali delle amministrazioni degli enti  locali,  strettamente
connesse con le previsioni  contenute  nel  testo  unico  degli  enti
locali, legittimamente su  di  esse  e'  intervenuto  il  legislatore
statale (sentenza n. 159 del 2008). 
    Diverso ragionamento deve farsi  con  riguardo  alle  Regioni  ad
autonomia speciale, titolari di competenza  legislativa  primaria  in
materia  di   "ordinamento   degli   enti   locali".   Tenuto   conto
dell'inerenza    della    disciplina    censurata    alla     materia
dell'organizzazione delle amministrazioni  controllanti  le  societa'
pubbliche oggetto dell'impugnato art. 4, e del rilievo che i  vincoli
da essa imposti a fini di  contenimento  della  spesa  pubblica  sono
legittimi solo ove corrispondano a principi  di  coordinamento  della
finanza pubblica, deve ravvisarsi, nella specie, un contrasto con  la
normativa statutaria e di attuazione statutaria. Tuttavia, stante  la
clausola di salvaguardia di cui all'art. 24-bis, deve  ritenersi  che
le disposizioni censurate siano inoperanti nell'ambito delle predette
Regioni. 
    Devono, pertanto, dichiararsi non  fondate  le  censure  proposte
dalle Regioni ad autonomia speciale (Regione Sardegna con il  ricorso
n. 160 e Regione siciliana, con il ricorso n. 170) in relazione  alla
pretesa violazione della competenza regionale in tema di  ordinamento
degli enti locali in riferimento ai commi 1, 2, 3,  secondo  periodo,
3-sexies ed 8 dell'art. 4 del d.l. n. 95 del 2012. 
    10.3.- Le questioni  di  legittimita'  costituzionale  aventi  ad
oggetto i commi 4 e 5 dell'art. 4 del d.l. n. 95 del  2012  non  sono
fondate. 
    Tali commi sono impugnati  nella  parte  in  cui  determinano  il
numero massimo dei componenti dei consigli di  amministrazione  delle
societa' pubbliche di cui al comma 1 (comma 4)  e  delle  societa'  a
totale partecipazione  pubblica  (comma  5),  individuando  anche  le
modalita' di composizione dei predetti consigli  e  le  funzioni  dei
componenti. Essi vanno ricondotti ad una materia  diversa  da  quelle
sopra individuate in relazione agli altri commi. 
    Una volta, infatti,  che  la  Regione  abbia  esercitato  la  sua
autonomia  organizzativa,  operando  la  scelta  fra  i  vari  moduli
organizzativi possibili per lo svolgimento  dei  servizi  strumentali
alle  proprie  finalita'  istituzionali  in  favore  dell'affidamento
diretto a societa' pubbliche, essa ha anche accettato  di  rispettare
lo speciale statuto che contraddistingue tali societa', il quale, pur
connotato da rilevanti profili di matrice pubblicistica, e'  comunque
riconducibile,   in   termini   generali,   al   modello   societario
privatistico che ha radice nel codice civile. La disciplina  puntuale
delle modalita' di composizione dei consigli  di  amministrazione  di
tali societa', nonche' l'individuazione del numero e  delle  funzioni
dei componenti deve, pertanto, essere ricondotta alla  materia  dell'
"ordinamento  civile",  di  competenza  esclusiva   del   legislatore
statale.  Quest'ultima  «comprende  gli  aspetti  che  ineriscono   a
rapporti di natura privatistica, per i quali sussista un'esigenza  di
uniformita' a livello nazionale; [...] non e' esclusa dalla  presenza
di aspetti di  specialita'  rispetto  alle  previsioni  codicistiche;
[...] comprende la disciplina delle  persone  giuridiche  di  diritto
privato», nonche' «istituti caratterizzati  da  elementi  di  matrice
pubblicistica, ma che conservano natura privatistica (sentenze n. 159
e n. 51 del 2008, n. 438 e n.  401  del  2007  e  n.  29  del  2006)»
(sentenza n. 326 del 2008). Di qui la non fondatezza delle censure. 
    10.4.- Le questioni promosse nei confronti dei commi 9, 10, 11  e
12 dell'art. 4 non sono fondate. 
    Considerazioni analoghe a quelle sopra svolte, vanno  effettuate,
infatti,  con  riguardo  a  tali   commi,   i   quali   stabiliscono,
rispettivamente, che: alle societa' di cui al comma 1 si applicano le
disposizioni    limitative    delle    assunzioni    previste     per
l'amministrazione controllante fino al 31 dicembre 2015 (comma 9);  a
decorrere dall'anno 2013, le societa'  di  cui  al  comma  1  possono
avvalersi di personale a tempo determinato ovvero  con  contratti  di
collaborazione coordinata e continuativa nel limite del 50 per  cento
della spesa sostenuta per  le  rispettive  finalita'  nell'anno  2009
(comma 10); a decorrere dal 1° gennaio 2013 e  fino  al  31  dicembre
2014, il trattamento economico  complessivo  dei  singoli  dipendenti
delle societa' di cui al comma 1, ivi compreso quello accessorio, non
puo' superare quello ordinariamente spettante per l'anno 2011  (comma
11); in caso di violazione dei vincoli di spesa,  gli  amministratori
esecutivi ed i dirigenti responsabili  della  societa'  rispondono  a
titolo di danno erariale per le retribuzioni ed i compensi erogati in
virtu' dei contratti stipulati (comma 12). 
    Tali norme disciplinano aspetti rilevanti del regime speciale che
contraddistingue le predette societa' pubbliche, inerenti al rapporto
di lavoro dei dipendenti ed al loro  trattamento  economico,  nonche'
alle forme di responsabilita' degli amministratori e dirigenti.  Esse
- che peraltro perseguono evidentemente l'obiettivo del  contenimento
della spesa in ordine ad un rilevante aggregato della stessa, qual e'
quello  relativo  al  comparto  del  personale,  recando,   pertanto,
principi di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 130 del
2012; sentenza n.  169  del  2007)  -  devono,  dal  punto  di  vista
dell'oggetto, ricondursi,  sulla  base  degli  argomenti  svolti  con
riferimento ai commi 4 e 5, alla materia dell' "ordinamento  civile",
di competenza esclusiva del legislatore statale. Da cio' consegue  la
non fondatezza delle censure. 
    10.5.- Le  censure  di  violazione  dell'autonomia  organizzativa
regionale proposte nei confronti del comma 7 dell'art. 4 del d.l.  n.
95 del 2012 non sono fondate. 
    Tale norma, disponendo che, dal 1°  gennaio  2014,  le  pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del  d.lgs.  n.  165  del
2001, nel rispetto dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 163  del  2006
(Codice dei contratti pubblici) «acquisiscono sul mercato  i  beni  e
servizi strumentali alla  propria  attivita'  mediante  le  procedure
concorrenziali previste dal citato  decreto  legislativo»,  obbedisce
alla finalita', dichiarata  dallo  stesso  legislatore,  «di  evitare
distorsioni della concorrenza  e  del  mercato  e  di  assicurare  la
parita'  degli  operatori  sul  territorio  nazionale»  e  va  quindi
ricondotta  alla  materia  della  "tutela   della   concorrenza"   di
competenza esclusiva del legislatore statale. 
    Essa infatti, in primo luogo, stabilisce che le  amministrazioni,
anche regionali, decidono l'affidamento di servizi  strumentali  alla
propria attivita' in modo  che  esso  garantisca  la  qualita'  delle
prestazioni e si svolga «nel rispetto dei principi  di  economicita',
efficacia, tempestivita' e correttezza»,  nonche'  dei  «principi  di
libera concorrenza,  parita'  di  trattamento,  non  discriminazione,
trasparenza, proporzionalita'», e di  pubblicita'  con  le  modalita'
indicate nel presente codice (art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 163  del
2006).  Una  volta  che,  nel   rispetto   dei   predetti   principi,
l'amministrazione decida di acquisire detti  servizi  strumentali  da
soggetti operanti sul mercato, ivi comprese  societa'  pubbliche  che
svolgono attivita' d'impresa,  la  norma  in  esame  impone  loro  di
seguire le  regole  concorrenziali  dell'affidamento  mediante  gara,
secondo quanto stabilito dal predetto Codice dei  contratti  pubblici
ed in armonia con la normativa dell'Unione europea. 
    Pertanto, anche le altre censure promosse nei confronti del comma
7, in riferimento agli artt. 118 e 119 Cost., non sono fondate. 
    11.-  Non  sono  fondate,  infine,  le   censure   promosse,   in
riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost. ed al principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120  Cost.,  nei  confronti  dei
commi 3 e  13  dell'art.  4,  in  quanto,  nell'individuazione  delle
societa' cui non trova  applicazione  l'art.  4,  non  sarebbe  stato
previsto  alcun  coinvolgimento  delle   Regioni   neppure   mediante
l'intervento della Conferenza unificata Stato-Regioni. 
    Ed, infatti, da un lato, il parametro di cui all'art. 117,  terzo
comma,  Cost.  si  rivela  inconferente  in  relazione  alle  censure
proposte, dall'altro, riguardo alla pretesa lesione del principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5  e  120  Cost.,  piu'  volte
questa Corte ha affermato che tale principio non puo' essere invocato
con riguardo alla funzione legislativa, non essendo l'esercizio della
predetta funzione soggetto alle  procedure  di  leale  collaborazione
(sentenze n. 63 del 2013, n. 100 del 2010, n. 225 del 2009).