N. 50 SENTENZA 13 - 28 gennaio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Ricorsi regionali - Pluralita' di questioni - Separazione di alcune questioni concernenti la legge delega e trattazione congiunta con quelle relative al decreto legislativo delegato - Riserva di decisione sulle restanti questioni. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Delibera della Giunta regionale di autorizzazione al ricorso - Formulazione generica delle censure nei confronti di disposizioni di legge attinenti a materie diverse - Inammissibilita' del ricorso. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30. - Costituzione, art. 117 e 118. Delegazione legislativa - Conferimento di delega al Governo per la determinazione dei principi fondamentali in materia di legislazione concorrente - Possibilita' da accertare caso per caso. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale - Previsione di interventi di politica attiva del lavoro - Asserita invasione della potesta' legislativa regionale concorrente in materia di «tutela e sicurezza del lavoro»- Riconducibilita' della disciplina censurata nella materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato - Non fondatezza della questione - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 3, comma 1, lett. a), b) e c). - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Delega in materia di certificazione dei rapporti di lavoro - Principi e criteri direttivi - Attribuzione di piena forza legale al contratto certificato e restrizione a specifiche ipotesi della possibilita' di agire in giudizio - Mantenimento degli effetti degli accertamenti dell'organo certificatore finche' non sia provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformita' nella sua attuazione - Asserito contrasto con il diritto alla tutela giurisdizionale - Evocazione di un parametro non riguardante la sfera di attribuzione della regione ricorrente - Inammissibilita' della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 5, comma 1, lett. e) ed f). - Costituzione, art. 24. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Delega in materia di certificazione dei rapporti di lavoro - Principi e criteri direttivi - Attribuzione di piena forza legale al contratto certificato e restrizione a specifiche ipotesi della possibilita' di agire in giudizio - Mantenimento degli effetti degli accertamenti dell'organo certificatore finche' non sia provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformita' nella sua attuazione - Asserita invasione di materie di competenza regionale - Esclusione - Attinenza delle disposizioni censurate alle materie di competenza esclusiva statale «ordinamento civile» e «giurisdizione e norme processuali» - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 5, comma 1, lett. e) ed f). - Costituzione, art. 117. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina dei servizi pubblici e privati per l'impiego, nonche' in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro - Previsioni riguardanti la semplificazione delle procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro - Asserita invasione di potesta' legislative regionali concorrenti - Esclusione - Sufficiente determinatezza del criterio direttivo della legge di delega, che, nel contempo, non fissa norme di dettaglio - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera a). - Costituzione, artt. 76 e 117, terzo comma. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la modernizzazione e razionalizzazione del sistema di collocamento pubblico - Imposizione del rispetto delle competenze previste dalla Costituzione e delle competenze attribuite alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano nonche' obbligo del sostegno e lo sviluppo dell'attivita' lavorativa femminile e giovanile e del sostegno ai lavoratori anziani - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera b) numeri 1 e 2. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la modernizzazione e razionalizzazione del sistema di collocamento pubblico - Previsione dell'abrogazione delle norme incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento; conservazione del regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati; previsione di un nuovo apparato sanzionatorio - Asserita lesione delle competenze legislative concorrenti in materia di tutela e sicurezza del lavoro - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera b) numero 3. - Costituzione, art. 117, terzo comma. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la modernizzazione e razionalizzazione del sistema di collocamento pubblico - Previsione del mantenimento allo Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro - Asserito contrasto con le potesta' legislative ed amministrative delle regioni nonche' con il principio di sussidiarieta' - Riconducibilita' della disposizione censurata alla materia di competenza esclusiva dello Stato riguardante il «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale», senza con cio' escludere il coinvolgimento delle regioni nella disciplina e nella gestione del sistema informatico - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera b) numero 4. - Costituzione, artt. 117, terzo comma, e 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Previsto mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonche' alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale - Asserita violazione delle competenze legislative (in materia di tutela e sicurezza del lavoro) ed amministrative regionali nonche' del principio di sussidiarieta' - Esclusione - Riconducibilita' della disposizione censurata nella materia «ordinamento civile» di esclusiva spettanza statale - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera c). - Costituzione, artt. 117, terzo comma, e 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Previsto mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonche' alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale - Asserita violazione delle competenze legislative ed amministrative assegnate dallo Statuto d'Autonomia alla Provincia di Trento - Non incidenza della norma denunciata su funzioni gia' esercitate dalla ricorrente ai sensi del proprio statuto - Inammissibilita' della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera c). - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, artt. 8, numeri 23) e 29), e 9, numeri 2), 4) e 5); d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e relative norme di attuazione. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea e all'autorizzazione per attivita' lavorative all'estero - Asserita esorbitanza della competenza esclusiva statale in relazione ai flussi di entrata nel territorio regionale - Esclusione - Riconducibilita' della disposizione censurata nella materia «immigrazione» appartenente alla potesta' esclusiva dello Stato - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera d). - Costituzione, artt. 117. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea e all'autorizzazione per attivita' lavorative all'estero - Asserita violazione delle competenze assegnate dallo Statuto d'autonomia alla Provincia di Trento - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera d). - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, artt. 8, numero 29), e 9, numeri 2), 4) e 5); d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e relative norme di attuazione. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea e all'autorizzazione per attivita' lavorative all'estero - Asserita violazione delle competenze amministrative regionali - Genericita' della censura - Inammissibilita' della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera d). - Costituzione, art. 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Previsto mantenimento, nella nuova disciplina del collocamento, alle province delle funzioni amministrative attribuite dal d.lgs. n. 469 del 1997 - Asserita incompetenza dello Stato ad attribuire funzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente - Esclusione - Mantenimento delle funzioni delle province fin quando le regioni non le avranno sostituite con una propria disciplina - Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera e). - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali e privati - Asserito eguale trattamento per situazioni diseguali e contrarieta' al canone di buona amministrazione - Evocazione di parametri non lesivi della sfera di competenza regionale - Inammissibilita' della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera l). - Costituzione, 3 e 97. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali e privati - Asserita violazione di competenze legislative concorrenti regionali - Esclusione - Correlazione della disposizione censurata all'esigenza delle dimensioni nazionali del mercato del lavoro - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera l). - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Unicita' del regime autorizzatorio o di accreditamento - Istituzione dell'albo delle agenzie per il lavoro - Disciplina delle modalita' di rilascio delle autorizzazioni, dei criteri di verifica dell'attivita' e di revoca dell'attivita' - Asserita violazione della legge di delega e delle competenze legislative e amministrative regionali - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 4, commi 1 - 6. - Costituzione, artt. 76, 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Unicita' del regime autorizzatorio o di accreditamento - Istituzione dell'albo delle agenzie per il lavoro - Disciplina delle modalita' di rilascio delle autorizzazioni, dei criteri di verifica dell'attivita' e di revoca dell'attivita' - Asserita violazione delle competenze assegnate dallo Statuto d'autonomia alla Provincia di Trento - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 4, commi 1, 2, 4 e 5. - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), artt. 8, numeri 29, e 9, numeri 2), 4) e 5) e relative norme di attuazione. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dell'organizzazione del mercato del lavoro - Individuazione di regimi di autorizzazione con riferimento a particolari categorie di soggetti - Asserita violazione della legge di delega e delle competenze legislative e amministrative regionali - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6. - Costituzione, artt. 76, 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dell'organizzazione del mercato del lavoro - Individuazione di regimi di autorizzazione con riferimento a particolari categorie di soggetti - Asserita violazione del principio di uguaglianza e della liberta' di iniziativa economica privata - Evocazione di parametri non lesivi della sfera di competenze regionali - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6. - Costituzione, artt. 3 e 41. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Costituzione della sezione regionale dell'albo delle agenzie per il lavoro - Modalita' e procedure connesse - Asserita violazione delle competenze regionali - Cessazione della materia del contendere per ius superveniens. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6, comma 8. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Costituzione della sezione regionale dell'albo delle agenzie per il lavoro - Modalita' di costituzione e procedure connesse - Asserita violazione delle competenze assegnate dallo statuto d'autonomia alla Provincia di Trento - Cessazione della materia del contendere per ius superveniens. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6, comma 8. - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), artt. 8, numeri 23) e 29), e 9, numeri 2), 4) e 5) e relative norme di attuazione. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Prevista abrogazione della legge n. 1369/1960 e autorizzazione alla somministrazione di mano d'opera ai soli soggetti autorizzati - Asserita violazione delle competenze regionali in materia di tutela e sicurezza del lavoro - Esclusione - Riconducibilita' della norma denunciata al regime unico dell'autorizzazione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera m), numero 1). - Costituzione, art. 117, terzo e sesto comma. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Norme sulla somministrazione di manodopera o di lavoro e sui rapporti tra fornitore ed utilizzatore e sui diritti dei lavoratori - Disposizioni riguardanti la distinzione tra appalto lecito e interposizione privata nonche' i principi concernenti l'apparato sanzionatorio civilistico e penalistico - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Riconducibilita' delle disposizioni censurate nelle materie di competenza esclusiva statale «ordinamento civile e penale» - Non fondatezza delle questioni. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera m), numeri 2, 3, 4, 5, 6, e 7. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro - Versamento di contributi destinati ad un fondo per interventi in favore dei lavoratori a tempo determinato - Asserita violazione delle competenze legislative regionali nonche' del principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione - Esclusione - Riconducibilita' delle disposizioni censurate alla materia previdenziale e alle norme generali sulla tutela del lavoro - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 12. - Costituzione, art. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Regime generale del contratto di inserimento nel mercato del lavoro - Deroghe, qualora i soggetti da inserire siano lavoratori svantaggiati - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Misure riconducibili alle materie di competenza statale «ordinamento civile e previdenza» - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 13, commi 1 e 6. - Costituzione, art. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Regime generale del contratto di inserimento nel mercato del lavoro - Deroghe, qualora i soggetti da inserire siano lavoratori svantaggiati - Asserito eccesso di delega - Evocazione di un parametro non lesivo delle competenze regionali - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 13, commi 1 e 6. - Costituzione, art. 76. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Cooperative sociali e inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati - Previsione di convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere validate dalle regioni - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 14, commi 1 e 2. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Cooperative sociali e inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati - Previsione di convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere validate dalle regioni - Asserito eccesso di delega - Evocazione di un parametro non lesivo delle competenze regionali - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 14, commi 1 e 2. - Costituzione, art. 76. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dei rapporti di lavoro - Disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e riserva di cui all'art. 4-bis, comma 3, del d.lgs. n. 181 del 2000 - Non applicabilita' in caso di somministrazione - Deroga non prevista dalla legge di delega n. 30 del 2003 - Illegittimita' costituzionale. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 22, comma 6. - Costituzione, art. 76. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina del contratto di inserimento - Ipotesi di mancata determinazione entro cinque mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo, da parte del contratto collettivo nazionale, delle modalita' di definizione dei piani individuali - Previsione della convocazione delle parti da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per l'accordo e, in mancanza dello stesso, del potere di provvedere con proprio decreto - Ricorso della Regione Toscana - Asserito eccesso di delega - Evocazione di un parametro non lesivo delle competenze regionali - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 55, comma 3. - Costituzione, artt. 76. Lavoro - Delega al Governo in materia di riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio - Prevista individuazione di misure idonee a favorire forme di apprendistato e di tirocinio di impresa al fine del subentro nella attivita' di impresa - Strumenti e modalita' d'inserimento di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro - Norme generali sui contratti a contenuto formativo e sull'incentivazione al lavoro femminile - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Non fondatezza delle questioni. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 2, comma 1, lettere c), d), e), f), g). - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Delega al Governo in materia di riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio - Asserito carattere dettagliato della normativa oggetto di delegazione nonche' violazione delle competenze assegnate dallo Statuto d'autonomia alla Provincia di Trento - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 2, comma 1, lettere c), d), e), f), g). - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), artt. 8, numero 29), e 9, numeri 2), 4) e 5) e relative norme di attuazione. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina delle tipologie di lavoro cui si applica il contratto di apprendistato e numero massimo di apprendisti che ogni singolo datore di lavoro puo' assumere - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Attinenza della disposizione censurata all'ordinamento civile e ad un principio fondamentale della tutela del lavoro - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 47. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 -Apprendistato e contratto di inserimento - Apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e regolamentazione dei relativi profili formativi - Apprendistato professionalizzante e regolamentazione dei relativi profili formativi - Apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione e regolamentazione della durata - Asserita violazione della potesta' legislativa e regolamentare delle regioni - Esclusione - Non fondatezza delle questioni. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 48, 49 e 50; art. 48, comma 4, art. 49, comma 5, art. 50, comma 3. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Apprendistato e contratto di inserimento - Apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e regolamentazione dei relativi profili formativi - Apprendistato professionalizzante e regolamentazione dei relativi profili formativi - Asserita violazione delle competenze assegnate dallo Statuto di autonomia alla Provincia di Trento - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 48, comma 4, art. 49, comma 5. - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, art. 8, numero 29), e 9 numeri 2), 4) e 5) e relative norme di attuazione dello statuto medesimo, nonche' art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 -Apprendistato e contratto di inserimento - Crediti formativi che si acquisiscono attraverso il contratto di apprendistato - Armonizzazione delle diverse qualifiche professionali attraverso l'istituzione del repertorio delle professioni - Incentivi economici e normativi e disposizioni previdenziali - Asserita violazione delle competenze regionali e del principio di leale collaborazione - Esclusione - Non fondatezza della questioni. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 51, 52, e 53. - Costituzione, art. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Contratto di inserimento - Disciplina del progetto individuale di inserimento - Disciplina della forma e della durata del contratto di inserimento - Incentivi economici e normativi durante il rapporto di inserimento - Asserita violazione delle competenze regionali - Non fondatezza delle questioni. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 54, 55, 56, 57, 58, 59. - Costituzione, art. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dei tirocini estivi di orientamento - Mancato collegamento con rapporti di lavoro o con eventuali assunzioni - Violazione della competenza esclusiva delle regioni in materia di formazione professionale - Illegittimita' costituzionale. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 60. - Costituzione, art. 117, quarto comma. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti - Disciplina e coordinamento informativo a fini previdenziali - Esclusione di ogni rilievo lavoristico delle prestazioni occasionali eseguite a favore di parenti ed affini - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Non fondatezza delle questioni. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 70, 72, 73 e 74. - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti - Individuazione dei prestatori di lavoro accessorio - Asserita violazione delle competenze regionali - Disposizione non prevista nella delibera della Giunta regionale di autorizzazione all'impugnazione - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 71. - Costituzione, artt. 117 e 118.

ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1 e
2,  lettere a),  b),  c), d), e), f), h), l), m) e o); 2, comma 1; 3,
comma 1,  lettere a),  b)  e  c); 5, comma 1, lettere e) e f); 7 e 8,
commi 1,  2,  lettere a),  f) e g), e 3 della legge 14 febbraio 2003,
n. 30  (Delega  al  Governo  in  materia di occupazione e mercato del
lavoro)  e  degli  artt. 2, comma 1, lettera e); 3, comma 2; 4; 5; 6;
12, commi 3 e 5; 13, commi 1 e 6; 14, commi 1 e 2; 22, comma 6; da 47
a  60  e da 70 a 74 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
(Attuazione  delle  deleghe  in  materia di occupazione e mercato del
lavoro,  di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), promossi con due
ricorsi  della Regione Marche, due ricorsi della Regione Toscana, due
ricorsi  della  Regione  Emilia-Romagna,  due ricorsi della Provincia
autonoma  di  Trento e un ricorso della Regione Basilicata notificati
il  23,  il  26  e  il  28  aprile,  il 5, il 4 e il 9 dicembre 2003,
depositati in cancelleria il 30 aprile, il 2 e il 7 maggio, l'11 e il
16 dicembre successivi ed iscritti ai nn. 41, 42, 43, 44, 45, 92, 93,
94 e 95 del registro ricorsi 2003.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12 ottobre  2004  il  giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  gli  avvocati  Stefano Grassi per la Regione Marche, Lucia
Bora  e  Fabio  Lorenzoni per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon
per la Regione Emilia-Romagna e per la Provincia autonoma di Trento e
l'avvocato  dello  Stato  Gian  Paolo  Polizzi  per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con separati ricorsi notificati in data 23, 26 e 28 aprile
2003 (iscritti ai numeri 41, 42, 43, 44 e 45 del registro ricorsi del
2003)  le  Regioni  Marche,  Toscana,  Emilia-Romagna  e  Basilicata,
nonche' la Provincia autonoma di Trento, hanno sollevato questione di
legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 24, 76, 117 e
118   della  Costituzione,  all'art. 11  della  legge  costituzionale
18 ottobre  2001,  n. 3, agli artt. 8, numero 29), e 9, numeri 2), 4)
e 5)  dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige di cui al d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670, e a diverse norme di attuazione dello statuto
medesimo  -  di  numerose  parti  della legge 14 febbraio 2003, n. 30
(Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro).
    I ricorsi investono, specificamente, l'art. 1, comma 1 e comma 2,
lettere a),  b),  c),  d), e), f), h), l), m), o), l'art. 2, comma 1,
lettere a),  b),  c),  d),  e),  f),  g),  h), i), l'art. 3, comma 1,
lettere a),  b),  c),  l'art. 5, comma 1, lettere e) e f), l'art. 7 e
l'art. 8, comma 1, comma 2, lettere a), f) e g) e comma 3 della legge
citata.
    Le Regioni e la Provincia autonoma ricorrenti, prima di procedere
ad  un'analitica  disamina degli specifici motivi di censura, muovono
nei  confronti della normativa impugnata alcune osservazioni critiche
di portata generale.
    In  primo  luogo,  la  legge  n. 30 del 2003 violerebbe l'art. 76
della  Costituzione  in  quanto  utilizza impropriamente lo strumento
della delega legislativa per fissare principi e criteri direttivi che
dovranno  essere  attuati dal Governo, anziche' limitarsi a dettare i
principi  fondamentali cui si deve attenere la legislazione regionale
nell'esercizio della potesta' normativa concorrente.
    Cio'   posto,   le   ricorrenti  osservano  che  il  nuovo  testo
dell'art. 117   della   Costituzione   attribuisce   alla  competenza
concorrente  delle  Regioni  la materia della «tutela e sicurezza del
lavoro»,  nella  quale  devono  considerarsi  rientranti le politiche
attive del lavoro, il mercato del lavoro, i servizi per l'impiego, le
agenzie  di  mediazione  e  di  lavoro interinale, gli ammortizzatori
sociali  e  gli  incentivi  all'occupazione,  nonche'  l'attivita' di
controllo  e  di  vigilanza;  quanto  alla disciplina dei servizi per
l'impiego,   in   particolare,  questa  Corte  ha  gia'  riconosciuto
l'esistenza  della competenza regionale pur nel quadro costituzionale
precedente,  caratterizzato da un maggiore centralismo e da un minore
rilievo delle autonomie locali (v. sentenza n. 74 del 2001). A questa
competenza va poi aggiunta quella esclusiva in materia di «istruzione
e  formazione professionale», riguardante i contratti di formazione e
lavoro  e  l'apprendistato,  di cui all'art. 117, quarto comma, della
Costituzione.
    La   legge   impugnata,  invece,  pur  affermando,  in  linea  di
principio, il rispetto delle autonomie regionali come delineate dalla
legge  costituzionale  n. 3 del 2001, detta, nelle menzionate materie
oggetto  di  competenza  concorrente  ed  esclusiva, norme che non si
limitano  a prevedere principi e criteri direttivi per il legislatore
regionale  (da  intendere  secondo  la  ricostruzione  operata  dalla
sentenza  n. 482  del  1995  di  questa Corte), poiche' in effetti ne
restringono  indebitamente  il potere legislativo e regolamentare. In
tal  modo  la  legge n. 30 del 2003, oltre a violare i principi posti
dall'art. 117,  secondo  e terzo comma, della Costituzione in tema di
riparto  di competenze, risulterebbe anche lesiva della riserva della
funzione regolamentare e della funzione amministrativa, nelle materie
di  loro  competenza  legislativa,  posta  in  favore  delle  Regioni
dall'art. 117, sesto comma, e dall'art. 118 della Costituzione.
    Le  ricorrenti  non contestano, peraltro, la competenza esclusiva
dello   Stato   prevista,   in   materia   di  «ordinamento  civile»,
dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera l),  della  Costituzione, la
quale  giustifica  la  disciplina  di  principio relativa ai rapporti
interprivati  che  si instaurano nell'ambito della contrattazione tra
lavoratori  e  datori  di  lavoro;  rilevano,  pero', che la legge in
questione  e'  tale,  in concreto, da interferire in modo illegittimo
con  la  citata  competenza  residuale  delle  Regioni  in materia di
«istruzione e formazione professionale».
    2.  -  Fatte  queste  premesse, i ricorsi introduttivi passano al
merito  delle  singole  censure,  cominciando dall'art. 1 della legge
impugnata.
    Riguardo  alla  delega  generale  contenuta  nel  comma 1  per la
revisione  della  disciplina  dei  servizi  pubblici  e  privati  per
l'impiego,  nonche'  in  materia  di intermediazione e interposizione
privata  nella  somministrazione  di  lavoro, i ricorsi delle Regioni
Marche  e  Toscana ribadiscono la censura sull'uso non corretto dello
strumento   della  delega  legislativa;  trattandosi  di  materia  di
competenza  concorrente,  infatti,  lo  Stato  dovrebbe  porre solo i
principi  fondamentali e non i principi e criteri direttivi destinati
poi ad ulteriore esplicitazione in sede di decreti delegati.
    Assai   numerose  sono  le  censure  nei  confronti  dell'art. 1,
comma 2,  della  legge  impugnata, che violerebbe gli artt. 117 e 118
della Costituzione sotto svariati profili.
    Le  Regioni  Marche  e  Toscana  lamentano,  innanzitutto, che il
contenuto  normativo delle lettere a) e b), punti 2 e 3 - concernenti
lo  snellimento  e la semplificazione delle procedure di incontro tra
domanda  ed offerta di lavoro, la modernizzazione e razionalizzazione
del  sistema  del  collocamento  pubblico con previsione del relativo
nuovo  apparato  sanzionatorio,  il sostegno e lo sviluppo del lavoro
dei  giovani e delle donne ed il reinserimento dei lavoratori anziani
-  avrebbe  dovuto essere dettato dalle Regioni, in quanto rientrante
nella  loro  competenza concorrente in materia di tutela del lavoro e
di  politiche  attive  del  lavoro  (si  richiama,  in  proposito, la
sentenza n. 282 del 2002 di questa Corte).
    L'art. 1,  comma 2,  lettera b), numero 4, invece, che prevede il
mantenimento  da  parte  dello  Stato  delle competenze in materia di
conduzione  coordinata  ed  integrata  del  sistema  informativo  del
lavoro,  viene  ritenuto  illegittimo  dalle Regioni Emilia-Romagna e
Basilicata  in  quanto  la  disciplina  e  la  gestione di un sistema
informativo  sarebbero  da  ritenere  parte  integrante della materia
«tutela  del  lavoro»;  mentre,  infatti,  il  coordinamento dei dati
dell'amministrazione    regionale   e   locale   potrebbe   rientrare
nell'ambito della competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo
comma, lettera r), della Costituzione), la diretta conduzione di tale
sistema  violerebbe  gli  artt. 117 e 118 della Costituzione, poiche'
mantiene un accentramento che dimentica le competenze regionali ed il
principio di sussidiarieta'.
    Censure largamente coincidenti vengono rivolte, nei ricorsi delle
Regioni  Marche,  Emilia-Romagna,  Basilicata  e  della  Provincia di
Trento,  nei confronti dell'art. 1, comma 2, lettera c) - riguardante
il  mantenimento  da  parte dello Stato delle funzioni amministrative
relative  alla  conciliazione  delle controversie di lavoro - poiche'
ritenuto  in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione. Si
osserva,   infatti,   che,   siccome   qui   si  tratta  di  funzioni
amministrative,  non  ha  pregio  richiamare  la competenza esclusiva
dello  Stato in materia di «giurisdizione e norme processuali» di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione; lo Stato
puo'  dettare  i  principi  fondamentali  in  tema  di  conciliazione
amministrativa   come   fase   preliminare  rispetto  al  contenzioso
giudiziario,  ma  non  puo'  dettare  una  disciplina esaustiva della
materia medesima, che rientra nella «tutela del lavoro». In tal modo,
inoltre,  la  legge  impugnata  mantiene  la  gestione  statale di un
fenomeno  che  dovrebbe  essere  regolato  localmente, con violazione
anche del principio di sussidiarieta'.
    Quanto all'art. 1, comma 2, lettera d), oggetto di impugnativa da
parte di tutti i ricorsi, le Regioni lamentano che il mantenimento in
capo allo Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza
in  materia  di  lavoro  ed  alla  gestione dei flussi di entrata dei
lavoratori  non  appartenenti all'Unione europea sia in contrasto con
gli artt. 117 e 118 della Costituzione, per ragioni analoghe a quelle
in  precedenza  enunciate.  La  funzione  di  vigilanza,  infatti, si
esaurisce  o  comunque  rientra nella tutela del lavoro; il controllo
dei  flussi  dei lavoratori extracomunitari e l'autorizzazione per le
attivita'  lavorative all'estero, se pure hanno qualche attinenza con
materie  di  competenza esclusiva dello Stato, quali l'immigrazione e
la   politica   estera,  tuttavia  non  sono  tali  da  poter  essere
interamente  attratte  nella competenza normativa di quest'ultimo. In
entrambi i casi si tratterebbe di materie che coinvolgono comunque la
concreta domanda di lavoro sul territorio regionale, il che impone il
rispetto delle reciproche competenze.
    Le  censure  rivolte  contro  l'art. 1, comma 2, lettere c) e d),
sono   estese,  per  le  stesse  ragioni  ora  viste,  nei  confronti
dell'art. 8  della  legge  n. 30 del 2003, nella parte in cui prevede
deleghe  al Governo per la prevenzione delle controversie individuali
di  lavoro  in  sede conciliativa e per il riassetto della disciplina
vigente  in  tema  di ispezioni in materia di previdenza sociale e di
lavoro;  in  entrambi  i  casi  le  ricorrenti  ravvisano un'indebita
attrazione  nella  competenza  dello  Stato  di materie di competenza
regionale.
    Oggetto  di impugnazione e', poi, da parte delle Regioni Marche e
Toscana,  l'art. 1,  comma 2,  lettera e),  il quale, oltre a violare
l'art. 117,  terzo  e  quarto  comma,  della Costituzione, violerebbe
altresi' anche l'art. 118, secondo comma, della Costituzione, poiche'
aver   previsto   il   mantenimento   alle  Province  delle  funzioni
amministrative  di  cui  al  decreto  legislativo  23 dicembre  1997,
n. 469,  in  materia  di  mercato  del  lavoro,  comporta un'indebita
allocazione  diretta  di funzioni amministrative da parte dello Stato
in  capo agli  enti  locali  minori, mentre tale allocazione dovrebbe
essere  disposta solo con legge regionale, in considerazione del tipo
di potesta' normativa in questione.
    L'art. 1,  comma 2, lettera f), relativo all'incentivazione delle
forme  di  coordinamento  e raccordo tra operatori privati e pubblici
per un migliore funzionamento del mercato del lavoro, viene censurato
dalle  Regioni  Marche  e Toscana in quanto, riguardando le strutture
che  si  occupano  dei servizi per l'impiego, andrebbe ad interferire
nella   materia  «tutela  e  sicurezza  del  lavoro»,  per  la  quale
l'art. 117 della Costituzione prevede, come s'e' detto, la competenza
normativa  concorrente;  e  rilievi  critici  non  dissimili  vengono
rivolti  dalla  Regione  Marche contro l'art. 1, comma 2, lettera h),
poiche'  esso  sottrarrebbe  alle  Regioni  funzioni amministrative e
regolamentari  che  alle  medesime  dovrebbero spettare in attuazione
della competenza legislativa concorrente.
    In   riferimento  all'art. 1,  comma 2,  lettera l),  le  Regioni
Marche,  Toscana ed Emilia-Romagna ritengono, nei rispettivi ricorsi,
che  tale norma sia per un verso ambigua e per l'altro eccessivamente
rigida  e  dettagliata.  L'ambiguita' deriverebbe dal fatto che essa,
occupandosi  di  regime  autorizzatorio  o  di accreditamento per gli
intermediari  pubblici  e privati, non distingue adeguatamente le due
nozioni,  sicche'  non sarebbero chiare le relative differenze; ed il
generico  richiamo agli intermediari «pubblici» sembrerebbe riferirsi
anche  a  quelli  che  dovrebbero  essere  gestiti dalle Regioni, con
conseguente  violazione  degli artt. 117 e 118 della Costituzione. La
previsione  stessa  di  un unico regime autorizzatorio lascia intuire
che si tratta di un meccanismo accentrato, cioe' gestito dallo Stato,
mentre  in  materia  di  competenza  concorrente  la disciplina delle
attivita'  di  autorizzazione  e  di  accreditamento  dovrebbe essere
regionale.
    L'art. 1,  comma 2,  lettera m),  invece,  impugnato  dalla  sola
Regione  Marche,  viene  censurato  in quanto si ritiene che con tale
norma  lo  Stato  abbia  dettato  una  delega  esauriente dell'intera
materia  nella  quale,  sussistendo  una  competenza  concorrente, le
relative funzioni regolamentari ed amministrative dovrebbero spettare
alle Regioni.
    Quanto  all'art. 1,  comma 2,  lettera o),  infine,  che  prevede
l'abrogazione espressa di tutte le norme incompatibili con quelle dei
futuri  decreti delegati, la Regione Toscana osserva che esso sarebbe
in contrasto con le competenze normative della Regione nella parte in
cui  implicitamente  consente  anche  l'abrogazione  delle precedenti
leggi regionali regolanti il mercato del lavoro.
    3.  -  I ricorsi introduttivi rivolgono altresi' numerose censure
nei  confronti  dell'art. 2  della  legge n. 30 del 2003, ritenuto in
contrasto con gli invocati parametri costituzionali sul riparto delle
competenze normative tra Stato e Regioni.
    Si   osserva,  innanzitutto,  che  in  materia  di  riordino  dei
contratti  di  contenuto  formativo  e di tirocinio si intrecciano la
competenza   esclusiva   dello   Stato   relativa   alla   disciplina
privatistica del contratto di lavoro e quella regionale in materia di
formazione  professionale; di tale incrocio di competenze, del resto,
da'  conto  lo  stesso  art. 2  il  quale,  nel  comma 1, prevede che
l'esercizio   delle   deleghe   debba  avvenire  nel  rispetto  delle
competenze  regionali  in  materia  di  tutela e sicurezza del lavoro
regolate  dal  nuovo testo costituzionale. I ricorsi, come gia' visto
in precedenza, non contestano la competenza dello Stato in materia di
«ordinamento  civile». Contestano l'articolo impugnato poiche' non si
limiterebbe a definire i contenuti tipici del contratto di formazione
al  lavoro  e  del  tirocinio, espropriando invece le Regioni di ogni
concreta  possibilita'  di  intervento nel settore; il che sarebbe in
contrasto  con  l'art. 117, quarto e sesto comma, della Costituzione,
perche'  la  materia dell'istruzione e formazione professionale e' di
competenza esclusiva delle Regioni.
    Piu'   specificamente  la  lettera a),  impugnata  dalla  Regione
Toscana,  prevedendo  gli aiuti di Stato all'occupazione, andrebbe ad
interferire nelle competenze regionali in materia di politiche attive
del  lavoro; la lettera b), impugnata in tutti i ricorsi, nella parte
in  cui dispone che i decreti delegati dovranno garantire il raccordo
tra  i  sistemi dell'istruzione e della formazione ed il passaggio da
un   sistema   all'altro,   sarebbe   in  contrasto  con  il  riparto
costituzionale  delle  competenze,  che  attribuisce  alle Regioni la
potesta' normativa «concorrente e residuale» in materia di istruzione
e  formazione  professionale;  la  lettera c), oggetto del ricorso da
parte  delle  Regioni  Marche  e Toscana e della Provincia di Trento,
nell'individuare  l'obiettivo di favorire forme di apprendistato e di
tirocinio  d'impresa,  andrebbe  a  costituire interventi di politica
attiva  del  lavoro;  le  lettere d), e), f) e g), che contengono una
serie  di  disposizioni attinenti il mercato del lavoro (fra le quali
alcune   misure   sul   lavoro   dei  disabili  e  delle  donne),  si
risolverebbero,  secondo i ricorsi in ultimo citati, in un intervento
di  dettaglio,  da  parte  dello  Stato,  in  materia  di  competenza
concorrente,  sicche'  vengono confermate le censure gia' prospettate
in precedenza; le lettere h) ed i), inoltre, relative lato sensu alla
formazione  professionale,  sarebbero  tali  da violare la competenza
regionale  esclusiva  in  siffatta  materia,  con conseguente lesione
anche  delle  potesta' regolamentari ed amministrative delle medesime
(art. 117, terzo e quarto comma, ed art. 118 della Costituzione). Con
particolare   riferimento   alla   lettera h),   infine,  oggetto  di
impugnativa da parte di tutti i ricorsi, ci si duole da un lato della
completa  soppressione  della  competenza  legislativa  regionale  in
materia   di   disciplina   dei  contenuti  dell'attivita'  formativa
concordata  tra  lavoratori  e  prestatori di lavoro; dall'altro, del
fatto  che,  in  caso  di  mancato accordo tra prestatori e datori di
lavoro  su  tali contenuti, il successivo intervento delle Regioni e'
subordinato  all'intesa  col  Ministro  del  lavoro e delle politiche
sociali,  in  questo  modo  attribuendo  allo  Stato un potere in una
materia del tutto estranea alla sua competenza.
    4. - Alcuni ricorsi si rivolgono, singolarmente, nei confronti di
parti della legge n. 30 del 2003 non impugnate dalle altre Regioni.
    La Regione Marche censura l'art. 3, comma 1, lettere a), b) e c),
perche'  i  principi  e  i criteri direttivi ivi fissati in relazione
alla  disciplina  del  lavoro  a tempo parziale risulterebbero lesivi
della  competenza regionale concorrente in tema di tutela e sicurezza
del lavoro e di politiche attive del lavoro.
    La    Regione   Basilicata,   invece,   deduce   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 5, con particolare riguardo alle lettere e)
e  f),  della legge stessa, avente ad oggetto la delega al Governo in
materia  di certificazione dei rapporti di lavoro. Pur trattandosi di
norma animata dall'obiettivo di ridurre il contenzioso, la ricorrente
rileva   che   la  funzione  certificativa  e'  una  tipica  funzione
amministrativa  che, riguardando materia di competenza regionale, non
potrebbe  essere  regolata  da  norme statali (art. 117, terzo comma,
della  Costituzione).  In particolare, le disposizioni comprese nelle
lettere  impugnate si traducono, secondo quanto sostenuto in ricorso,
in  una  violazione  dell'art. 24  della Costituzione; la lettera e),
infatti,  restringe  a specifiche ipotesi la possibilita' di agire in
giudizio  in  caso  di contratto certificato, mentre la lettera f) va
incontro  alla medesima censura nella parte in cui mantiene fermi gli
effetti  degli  accertamenti  dell'organo certificatore fino a quando
sia  stata provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o
la  difformita'  tra il programma negoziale concordato dalle parti in
sede  di  certificazione  e  il  programma  attuato. L'illegittimita'
costituzionale  di  quest'ultima  disposizione,  peraltro, sarebbe da
dichiarare qualora si interpreti la stessa nel senso di disconoscere,
nelle  more  dell'accertamento,  la  facolta'  di promuovere l'azione
giudiziaria.
    La  Regione  Toscana,  infine,  impugna  l'art. 7  della legge in
questione  in  quanto ritenuto in contrasto con l'art. 11 della legge
costituzionale  n. 3  del  2001;  a  norma di quest'ultimo, che e' da
ritenere  come  immediatamente  prescrittivo,  ogni progetto di legge
nelle  materie  di  competenza  concorrente  e'  sottoposto al parere
«rinforzato»   della   Commissione   parlamentare  per  le  questioni
regionali,  opportunamente  integrata  dai  rappresentanti degli enti
locali,  mentre  la  norma  impugnata si limita a stabilire che sugli
schemi dei decreti legislativi in questione venga acquisito il parere
della  Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, in tal modo riducendo gravemente i margini di
una  effettiva  «codecisione» della materia e vulnerando il principio
della leale collaborazione tra Stato e Regioni.
    5. - Comune a tutti i ricorsi e', da ultimo, il gruppo di censure
rivolte nei confronti dell'art. 8 della legge n. 30 del 2003.
    Oltre  a  quanto  gia'  riportato  a  proposito dell'impugnazione
dell'art. 1,   comma 2,   lettere c)   e  d),  vengono  espressamente
censurati il comma 1 ed il comma 2, lettere a), f) e g), dell'art. 8;
dette  norme  -  che hanno ad oggetto le funzioni ispettive e toccano
percio' il tema della vigilanza sul lavoro, ritenuta strumentale alla
materia   della  «tutela  e  sicurezza  del  lavoro»,  di  competenza
legislativa  concorrente  delle  Regioni  -  sarebbero  anch'esse  in
contrasto,  secondo  quanto  detto  in  precedenza, con le competenze
legislative,  regolamentari  e  amministrative  regionali.  Quanto al
comma 3,   invece,   le   censure   riguardano   l'assenza   di  ogni
coinvolgimento regionale in sede di approvazione dei relativi decreti
legislativi  (e' previsto il solo parere delle competenti Commissioni
parlamentari).
    6.  -  Rispetto  ai  ricorsi  fin  qui  richiamati,  quello della
Provincia   autonoma   di  Trento  si  connota  per  alcuni  elementi
peculiari,  collegati  con  il  particolare  statuto di autonomia del
Trentino-Alto Adige.
    Nel  ricorso  la  Provincia  premette  che, in base agli artt. 8,
numero  29),  e 16 dello statuto speciale di cui al d.P.R. n. 670 del
1972,   essa   ha   potesta'   legislativa   esclusiva   e   potesta'
amministrativa    in    materia   di   addestramento   e   formazione
professionale,   mentre   ha   competenza   concorrente   e  potesta'
amministrativa,  in base agli artt. 9, numeri 2), 4) e 5), e 16 dello
statuto  medesimo,  in materia di istruzione elementare e secondaria,
di  apprendistato,  di  categorie  e  qualifiche  dei lavoratori e di
costituzione e funzionamento di commissioni comunali e provinciali di
controllo sul collocamento.
    Tali  previsioni  statutarie  sono  state  concretamente  attuate
grazie a successivi interventi legislativi, fra i quali la ricorrente
richiama:   l'art. 2   del  d.P.R.  28 marzo  1975,  n. 471,  che  ha
trasferito  alla Provincia le funzioni relative al rapporto giuridico
di apprendistato; il d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, il cui art. 3 ha
delegato   alla   medesima  le  funzioni  amministrative  relative  a
vigilanza  e  tutela del lavoro nonche' l'esercizio delle funzioni in
materia  di vigilanza per l'applicazione delle norme su previdenza ed
assicurazioni  sociali;  il  d.P.R.  22 marzo  1974,  n. 280,  ed  il
successivo  decreto  legislativo  21 settembre  1995,  n. 430, che ha
aggiunto  nel  precedente  decreto l'art. 9-bis, i quali hanno creato
nella  Provincia  un organico sistema di servizi per l'impiego. Tutte
queste  competenze,  che  sono  da  ricondurre alla materia «tutela e
sicurezza  del  lavoro», debbono ritenersi manifestazione di una piu'
ampia  autonomia,  diretta  conseguenza dello statuto speciale, della
quale  la  Provincia  autonoma  continua a godere in base all'art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001.
    Si  osserva  nel  ricorso che la legge delega n. 30 del 2003, pur
avendo  ad  oggetto  materie  in  parte di sicura competenza statale,
com'e'  per  la disciplina dei rapporti di lavoro, attiene anche alle
materie  «tutela  e  sicurezza  del lavoro», «istruzione e formazione
professionale»,  di  spettanza  della Provincia medesima, nei termini
sopra  descritti;  ne'  puo' dirsi che la legge contenga una generale
clausola  di salvaguardia delle competenze specifiche delle autonomie
speciali  riconosciute  dalla  Costituzione.  La  previsione,  di cui
all'art. 2  della  legge  impugnata,  di  un riordino dei contratti a
contenuto  formativo  e  di tirocinio sarebbe poi in contrasto con la
specifica  competenza  in  materia che l'art. 2, comma 1, lettera a),
del d.P.R. n. 471 del 1975 riconosce alle Province autonome di Trento
e di Bolzano.
    Fatte queste premesse di ordine generale, la Provincia ricorrente
passa  all'esame  delle  singole  censure, in relazione alle quali le
argomentazioni  sono in larga misura coincidenti con quelle contenute
nei ricorsi delle altre Regioni.
    In  aggiunta  rispetto  a  quanto  gia'  detto,  vanno segnalate,
tuttavia,  alcune  peculiarita'  connesse con l'autonomia speciale. A
proposito  dell'art. 1,  comma 2,  lettera c),  della legge n. 30 del
2003,   che   dispone  il  mantenimento  allo  Stato  delle  funzioni
amministrative  relative  alla  conciliazione  delle  controversie di
lavoro,  la  Provincia  ne  sostiene  l'illegittimita'  perche'  tali
funzioni sono da essa in concreto gia' svolte, in virtu' della delega
di  cui  al citato art. 9-bis del d.P.R. n. 280 del 1974; ed analoghe
considerazioni  vengono  svolte  in  riferimento all'art. 1, comma 2,
lettera d),  della  legge,  perche'  anche  tali  funzioni  sarebbero
attualmente  gia'  esercitate  dalla Provincia di Trento. Allo stesso
modo  viene  contestata  la  legittimita' costituzionale dell'art. 8,
comma 2,  lettere f)  e  g),  della  legge  n. 30  del 2003, giacche'
l'istituzione  di  una  direzione generale con compiti di direzione e
coordinamento  delle strutture periferiche del Ministero del lavoro e
delle  politiche  sociali  in  vista  dell'esercizio  unitario  della
funzione  ispettiva,  nonche'  l'obbligo,  da  parte  delle direzioni
regionali  e  provinciali  del  lavoro,  di  attenersi alle direttive
emanate    dalla    stessa    direzione    generale   del   Ministero
determinerebbero,  secondo  la Provincia di Trento, l'eliminazione di
funzioni  che  sono gia' esercitate in sede provinciale, senza che la
connessione  tra  la vigilanza e la previdenza sociale possa attrarre
anche la prima nell'orbita della competenza statale.
    Quanto alle censure rivolte nei confronti dell'art. 2 della legge
impugnata, il ricorso - dopo aver ribadito che la Provincia di Trento
e'  titolare,  in  virtu'  delle  norme  dello  statuto  speciale, di
competenza   normativa   esclusiva  in  materia  di  addestramento  e
formazione   professionale,  nonche'  di  competenza  concorrente  in
materia  di  apprendistato  e di istruzione elementare e secondaria -
osserva  che  tutti i principi e criteri direttivi ivi contenuti sono
da  ritenere  illegittimi in quanto in essi manca ogni riferimento ad
una   disposizione   di   salvaguardia   delle   speciali   autonomie
provinciali. Il sistema che viene a delinearsi, d'altra parte, appare
alla  ricorrente  gia'  esaustivo in se', con la conseguenza che sono
violati i limiti della potesta' concorrente; peraltro la Provincia di
Trento   precisa   che   tali   censure   sono  «formulate  a  titolo
cautelativo»,  perche'  l'eventuale  riconoscimento dell'esistenza di
una  clausola  implicita di salvaguardia dell'autonomia statutaria le
farebbe comunque venire meno.
    Quanto  alla  lettera h)  dell'art. 2,  la Provincia di Trento ne
sostiene  l'illegittimita'  costituzionale  sotto  due profili: da un
lato,  perche'  la  competenza  provinciale  in  materia di attivita'
formativa  viene limitata a quella concordata tra datori e prestatori
di lavoro; dall'altro, perche' il Ministero del lavoro e' in grado di
condizionare, in caso di mancato accordo, il contenuto degli atti che
le  Regioni  e  Province  autonome  debbono  assumere. La lettera i),
infine,  col  rinvio  ai  contratti  collettivi  per la formazione in
azienda,  preclude  integralmente  alla  Provincia  di  esercitare le
proprie   competenze   in   materia  di  addestramento  e  formazione
professionale.
    7.  -  Con  separati ricorsi notificati in data 4, 5 e 9 dicembre
2003  (iscritti  ai  numeri  92, 93, 94 e 95 del registro ricorsi del
2003)  le  Regioni  Marche,  Toscana  ed  Emilia-Romagna,  nonche' la
Provincia   autonoma   di   Trento,   hanno   proposto  questione  di
legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 4, 41, 76,
77,  97,  117  e  118  della  Costituzione,  all'art. 10  della legge
costituzionale  n. 3  del  2001, agli artt. 8, numeri 23) e 29), e 9,
numeri  2), 4) e 5) del menzionato statuto speciale del Trentino-Alto
Adige  ed  a  diverse norme di attuazione dello statuto medesimo - di
numerose  parti  del  decreto  legislativo  10 settembre 2003, n. 276
(Attuazione  delle  deleghe  in  materia di occupazione e mercato del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30).
    I   ricorsi   investono,   specificamente,   l'art. 2,   comma 1,
lettera e), l'art. 3, comma 2, gli artt. 4, 5 e 6, l'art. 12, commi 3
e  5,  l'art. 13,  commi 1  e  6,  l'art. 14, commi 1 e 2, l'art. 22,
comma 6, gli articoli da 47 a 60 e da 70 a 74 del citato decreto.
    Le  Regioni  e  la  Provincia  autonoma,  prima  di  procedere ad
un'analitica  disamina degli specifici motivi di censura, muovono nei
confronti  della  normativa impugnata alcune osservazioni critiche di
portata  generale, che in buona parte sono assimilabili a quelle gia'
rivolte nei confronti della legge di delega.
    Le  parti  ricorrenti, infatti, dopo aver richiamato il contenuto
dei  precedenti  ricorsi  rivolti nei confronti della legge n. 30 del
2003,  ribadiscono  le  argomentazioni  di  fondo gia' prospettate in
quella  sede, ossia che le norme del decreto n. 276 del 2003 vanno ad
interferire nella materia «tutela e sicurezza del lavoro», oggetto di
competenza   concorrente,   nonche'   nella  materia  «formazione  ed
istruzione  professionale»,  oggetto  invece  di competenza residuale
esclusiva,  in  tal  modo  violando l'art. 117, terzo e quarto comma,
della  Costituzione.  Poiche'  le  norme  impugnate non si limitano a
fissare  i principi fondamentali della materia, ma condizionano anche
l'esercizio  delle  funzioni regolamentari ed amministrative da parte
della  Regione,  da  cio'  i  ricorsi deducono violazione anche degli
artt. 117,  sesto  comma,  e  118  della  Costituzione;  e ravvisano,
inoltre,  una  violazione  degli  artt. 76  e  77  della Costituzione
perche'  il decreto delegato si discosta dalla previsione della legge
delega secondo cui l'esercizio della medesima sarebbe dovuto avvenire
nel rispetto delle competenze fissate dalla legge costituzionale n. 3
del 2001 in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
    Fatte  queste  premesse,  le  Regioni  riprendono  una  serie  di
concetti  utilizzati  nei ricorsi contro la legge delega in ordine ai
limiti  della  materia  «tutela  e sicurezza del lavoro», nella quale
andrebbero  ricompresi  gli istituti connessi col mercato del lavoro,
la  disciplina  del  collocamento  e  dei  servizi per l'impiego e le
politiche  attive  del lavoro. A questo proposito le parti rammentano
che,  anche  in  epoca  antecedente  la  riforma  di  cui  alla legge
costituzionale  n. 3 del 2001, alle Regioni era stato riconosciuto un
ruolo  fondamentale  in  materia di mercato del lavoro, collocamento,
incremento  dell'occupazione,  tirocini  formativi e cosi' via, sulla
base  del  d.lgs.  n. 469 del 1997, emanato in attuazione della legge
15 marzo  1997,  n. 59.  La necessita' di superare la distinzione tra
norme  attinenti  alle  politiche attive del lavoro (statali) e norme
sulla  formazione  professionale (regionali) era stata indicata anche
dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte  (sentenze  n. 74 del 2001 e
n. 125  del  2003),  sicche'  la  riforma costituzionale del 2001 non
aveva fatto altro che proseguire un cammino gia' intrapreso; la legge
delega  n. 30  del  2003  ed  il  successivo  decreto n. 276 del 2003
rappresenterebbero, in altre parole, un'inversione di tendenza.
    Anche  la Provincia di Trento richiama la premessa del precedente
ricorso  proposto nei confronti della legge delega n. 30 del 2003, in
particolare  ribadendo  tutte  le  osservazioni  fatte in quella sede
circa  la propria titolarita' di potesta' normativa esclusiva in tema
di addestramento e formazione professionale e di potesta' concorrente
in   tema  di  apprendistato,  istruzione  elementare  e  secondaria,
libretti  di  lavoro,  categorie  e qualifiche dei lavoratori. Rileva
altresi'  la  Provincia  ricorrente che l'art. 1, comma 3, del d.lgs.
n. 276  del 2003 contiene, in apparenza, una clausola di salvaguardia
delle  competenze  delle  Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome  di  Trento  e di Bolzano, le cui forme di autonomia vengono
fatte salve per le parti in cui sono da ritenere piu' ampie di quelle
concesse  dall'attuale  titolo V della parte II della Costituzione. A
suo  dire,  pero',  una  serie  di  norme  del  decreto  impugnato si
applicano  anche  alle Province autonome, in tal modo sostanzialmente
smentendo il contenuto della citata clausola.
    8.  -  I  ricorsi  procedono,  quindi,  all'esame  delle  singole
censure.
    I  dubbi  investono, innanzitutto, l'art. 2, comma 1, lettera e),
del  decreto  legislativo  n. 276  del 2003 che viene impugnato dalla
sola  Regione  Emilia-Romagna  in  quanto, nel dettare la definizione
dell'autorizzazione  delle  agenzie  per  il  lavoro,  fa riferimento
esclusivamente  ad  un  provvedimento statale senza contemplare alcun
coinvolgimento delle Regioni.
    Viene  poi  impugnato  l'art. 3,  comma 2,  del decreto medesimo,
norma  che  dispone  il  mantenimento  alle  Province  delle funzioni
amministrative  attribuite  dal  decreto legislativo n. 469 del 1997;
nei  ricorsi  delle  Regioni Marche e Toscana si osserva che, in base
all'art. 118,   secondo  comma,  della  Costituzione,  tali  funzioni
potrebbero  essere affidate alle Province solo con legge regionale, e
non  con legge statale. L'art. 3, comma 2, poi, viene anche impugnato
nelle  lettere a) e c) dalla Regione Emilia-Romagna; infatti, benche'
l'esordio  del  comma 2  contenga un'espressa riserva di mantenimento
alle   Regioni   delle   competenze  in  materia  di  regolazione  ed
organizzazione  del  mercato  del  lavoro  regionale, tale previsione
conterrebbe  una  mera  clausola  di  stile,  poiche'  in  realta' il
legislatore  delegato,  come  risulta  dai successivi artt. 4 e 6, ha
dettato  non  solo  i  principi  fondamentali,  bensi' una disciplina
completa  ed  unica, per tutto il territorio nazionale, in materia di
autorizzazioni   per   i   soggetti   che   svolgono   attivita'   di
somministrazione,   intermediazione  e  ricerca  del  personale,  con
violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
    Numerose  e  diffuse  sono  le censure contro gli artt. 4 e 6 del
decreto   n. 276,  che  regolano  le  agenzie  per  il  lavoro  ed  i
particolari regimi di autorizzazione.
    Il sistema prevede il rilascio da parte del Ministro del lavoro e
delle  politiche  sociali delle autorizzazioni all'intermediazione ed
all'interposizione nella somministrazione di lavoro, con creazione di
un  apposito  albo  centrale  e  di  sezioni  regionali del medesimo.
Poiche'  si tratta, secondo le Regioni, di una normativa che riguarda
l'esercizio  di  funzioni  amministrative  in  materia  di  tutela  e
sicurezza del lavoro, essa sarebbe in contrasto con l'art. 117, terzo
comma,  della  Costituzione,  in quanto normativa di dettaglio, oltre
che  con  gli  artt. 117,  sesto comma, e 118 della Costituzione, per
lesione  delle  competenze regolamentari ed amministrative regionali.
Piu'  specificamente,  tutti  i  ricorsi eccepiscono l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 4  quanto  al comma 1, mentre il comma 2 e'
impugnato  dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di
Trento.  Dette  norme riserverebbero allo Stato una serie di funzioni
amministrative  in  violazione  del  principio  di  sussidiarieta'; a
questo proposito, i ricorsi richiamano la sentenza n. 303 del 2003 di
questa  Corte,  secondo  cui  il  mantenimento  in  sede  centrale di
funzioni  amministrative  che  dovrebbero  spettare  alle  Regioni e'
possibile  solo  in  presenza  di effettive esigenze unitarie, previo
accordo  stipulato con la Regione e fermo restando il controllo sulla
ragionevolezza.  Cio non si verificherebbe, invece, a proposito delle
agenzie  per  il  lavoro, perche' le Regioni ben potrebbero procedere
direttamente  alla  tenuta degli albi ed alla verifica dei requisiti,
come  si  conviene  ad  ogni  sistema decentrato. E la norma, d'altra
parte,  non  prevede  alcuna  forma di intesa con le Regioni, in cio'
rappresentando un passo indietro anche rispetto al sistema delineato,
nel precedente assetto costituzionale, dall'art. 10 del d.lgs. n. 469
del   1997,  che  contemplava,  accanto  al  potere  ministeriale  di
autorizzazione, almeno un parere da parte delle Regioni.
    Sulla  base  di  tale  contestazione  generale,  tutti  i ricorsi
lamentano  la presunta illegittimita' costituzionale della previsione
della  doppia  autorizzazione, l'una statale e l'altra regionale, che
caratterizza  il  sistema;  a norma dell'art. 6, comma 6, del decreto
n. 276,  infatti,  le Regioni dispongono di un potere autorizzatorio,
peraltro   limitato   al   proprio   territorio   e   con  esclusione
dell'attivita'   di  somministrazione  di  lavoro.  Tale  limitazione
territoriale  violerebbe  numerosi  parametri  costituzionali:  da un
lato,  infatti,  sarebbe irrazionale (per esempio, per le agenzie che
ricerchino  personale  per  imprese  aventi  la loro sede in un'altra
Regione);  dall'altro,  sarebbe  in contrasto con gli artt. 97, 117 e
118 della Costituzione, perche' i controlli che lo Stato e le Regioni
sono  chiamati  a  compiere  sono  gli  stessi;  dall'altro,  infine,
sussisterebbe  violazione  del  principio della liberta' d'iniziativa
economica  di cui all'art. 41 della Costituzione, nel senso delineato
dalla sentenza di questa Corte n. 362 del 1998.
    Il  meccanismo  di autorizzazione regionale regolato dall'art. 6,
commi 6,  7 e 8, viene poi censurato anche perche' appare illegittimo
che con norma statale emanata in materia di competenza concorrente si
vieti  alle  Regioni la possibilita' di autorizzare anche l'attivita'
di  somministrazione  di  lavoro.  Parimenti  illegittimo  sarebbe il
comma 7  dell'art. 6,  perche'  il  dettaglio della disciplina per il
rilascio  dell'autorizzazione  regionale  dovrebbe  essere deciso con
normativa  delle  Regioni,  come pure viene censurato il comma 8, per
l'impossibilita'  di  prevedere  un  potere regolamentare dello Stato
(tramite  il  decreto  del  Ministro  del  lavoro  e  delle politiche
sociali)  in  una  materia  che  non  rientra  nella  sua  competenza
esclusiva.
    L'art. 4,  comma 5,  invece, che prevede il potere di fissazione,
con  decreto  del  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali, di
tutta   una  serie  di  elementi  relativi  alle  autorizzazioni,  e'
censurato  dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di
Trento   perche'   in  esso  si  andrebbe  a  determinare  un  potere
regolamentare  fuori  dei  limiti  di  cui all'art. 117, sesto comma,
della  Costituzione.  La  previsione  di  siffatto  potere,  inoltre,
sarebbe  in contrasto anche con l'art. 76 della Costituzione, perche'
non previsto nella legge delega.
    Sono oggetto di specifica impugnazione, infine, nel ricorso della
Regione  Emilia-Romagna,  i  commi  da  1  a  5,  7  e 8 dell'art. 6,
riguardanti i regimi particolari di autorizzazione. I commi 1, 2, 3 e
4   prevedono   la   possibilita'   di   svolgere   le  attivita'  di
intermediazione  per  tutta  una  serie  di  soggetti  e di categorie
professionali,  fra  i  quali  le universita', i Comuni, le camere di
commercio,  le  associazioni  dei datori e dei prestatori di lavoro e
l'ordine  nazionale  dei  consulenti del lavoro. I commi 1 e 3 paiono
voler   autorizzare   direttamente   i  soggetti  ivi  indicati  allo
svolgimento  dell'attivita'  di  intermediazione,  mentre  il comma 2
richiama  le  procedure  di  cui  all'art. 4  (e  quindi  non prevede
un'autorizzazione  ope  legis) ed il comma 4 delinea per i consulenti
del  lavoro una procedura ancora diversa. L'autorizzazione diretta di
cui  ai  commi 1  e 3 sarebbe, secondo la ricorrente, tale da violare
gli  artt. 3  e  97  della  Costituzione, perche' non si comprende la
ragione  per  la quale i soggetti in questione debbano poter svolgere
ope  legis  un'attivita' diversa da quella per loro istituzionale; ed
analoga  violazione si configurerebbe per gli enti di cui al comma 2,
ove  si  prevede  un'autorizzazione  generale.  A  tale violazione si
aggiungerebbe  quella  degli  artt. 117  e  118  della  Costituzione,
trattandosi  di  norme di dettaglio che mantengono in sede accentrata
una   serie  di  funzioni  amministrative,  in  assenza  di  esigenze
unitarie.
    9.  -  Il  solo  ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna impugna,
limitatamente  ad alcune parti, gli artt. 12, 13, 14 e 22 del decreto
n. 276 del 2003.
    In riferimento all'art. 12, commi 3 e 5, si osserva che i commi 1
e  2  dell'articolo  in esame, che non vengono censurati - ponendo, a
carico  dei  soggetti  autorizzati  alla  somministrazione di lavoro,
l'obbligo  di  versare  ai  fondi  di  cui  al  successivo comma 4 un
contributo   del  4  per  cento  delle  retribuzioni  corrisposte  ai
lavoratori  assunti a tempo determinato e indeterminato - contemplano
iniziative che attengono alle materie della tutela del lavoro e della
formazione   professionale   (a   parte   le   «misure  di  carattere
previdenziale»  di  cui  al  comma 1).  Nonostante  cio',  il comma 3
riconosce  la  possibilita' di un intervento sussidiario del Ministro
del  lavoro  e  delle  politiche  sociali  per l'attuazione di quanto
disposto  nei  commi 1  e  2  e  il comma 5 fissa in capo al medesimo
Ministro  il  potere di autorizzare l'attivazione dei fondi di cui al
comma 4  e di vigilare sulla gestione degli stessi, con cio' violando
entrambi  l'art. 118  e  il  principio di leale collaborazione, tanto
piu' che mancano esigenze unitarie a fondamento dei poteri statali e,
comunque, non e' previsto alcun coinvolgimento delle Regioni.
    L'art. 13,  commi 1  e  6,  viene  ritenuto  in contrasto con gli
artt. 3,  76, 117 e 118 della Costituzione. L'articolo dispone che le
agenzie   autorizzate  alla  somministrazione  possono,  al  fine  di
garantire   l'inserimento   o   il   reinserimento   dei   lavoratori
svantaggiati,   operare   in   deroga   al   regime   generale  della
somministrazione; la deroga implica - ai sensi dell'art. 23, comma 2,
del   decreto   medesimo,   richiamato   dal   comma 1,   lettera a),
dell'art. 13  - la possibilita' di un trattamento economico deteriore
per  i  predetti  lavoratori,  rispetto ai lavoratori di pari livello
dipendenti  dall'utilizzatore.  Che  in  questa  materia sussista una
competenza  regionale  e' confermato, indirettamente, dal comma 6 del
medesimo  art. 13,  ove  si  afferma  che le disposizioni del comma 1
potranno  essere operative «fino alla data di entrata in vigore delle
norme  regionali  che  disciplinino la materia», solo alle condizioni
ivi  indicate  (esistenza  di  una convenzione tra una o piu' agenzie
autorizzate  e  gli  enti territoriali, ivi compresi le Province ed i
Comuni).  La  competenza regionale in materia deve ritenersi, secondo
la  Regione,  in  parte  piena  (formazione professionale e politiche
sociali)  ed  in parte concorrente (tutela del lavoro); ma il comma 1
impugnato  non  si limita ai principi fondamentali, contenendo invece
norme  di  dettaglio  in una materia in cui non e' lecito attrarre al
centro  le  relative  funzioni  amministrative, sicche' sussisterebbe
violazione   degli   artt. 117   e   118  della  Costituzione.  E  la
salvaguardia  delle  competenze  regionali  non  sarebbe sufficiente,
poiche'  le  convenzioni  che  rendono operativo il sistema fino alla
data  di  entrata  in  vigore  delle  norme  regionali possono essere
stipulate  anche  con  Province e comuni. Oltre a cio', sussisterebbe
anche   una   violazione  dell'art. 76  della  Costituzione,  perche'
l'art. 1,  Comma 2,  lettera m), numero 5, della legge n. 30 del 2003
non  prevede  alcuna  eccezione  alla regola secondo cui i lavoratori
coinvolti  nella somministrazione debbono ricevere un trattamento non
inferiore ai lavoratori di pari livello dipendenti dall'utilizzatore.
    Quanto all'art. 14, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, pure
riguardante  la  posizione dei lavoratori svantaggiati e disabili, la
ricorrente  sostiene  che  tali  norme  sarebbero  in  contrasto  con
l'art. 117,   terzo  e  quarto  comma,  della  Costituzione,  perche'
intervengono  in materia di tutela del lavoro e politiche sociali con
prescrizioni  di dettaglio, prevedendo la stipulazione di convenzioni
che  le  Regioni  possono  solo  concorrere a formulare, senza alcuna
possibilita'  di  dettare norme legislative. Vi sarebbe, inoltre, una
violazione  dell'art. 76  della  Costituzione,  perche' la disciplina
eccede i limiti della legge delega.
    Quanto  all'art. 22,  comma 6,  del  decreto  impugnato,  poi, la
Regione  Emilia-Romagna osserva che detta previsione, stabilendo che,
in  caso di somministrazione di lavoro, non si applichi la disciplina
in   tema   di   assunzioni   obbligatorie   e   la  riserva  di  cui
all'art. 4-bis,  comma 3,  del  decreto  legislativo  21 aprile 2000,
n. 181, fa si' che i «lavoratori somministrati» non vengano computati
ai fini dell'obbligo di assunzione di una percentuale di disabili sul
totale  dei  dipendenti.  In  tal  modo la norma impugnata violerebbe
l'art. 76  della  Costituzione,  perche'  sul  punto  non  c'e' alcun
fondamento  nella  delega,  andrebbe  a  ledere gli artt. 3 e 4 della
Costituzione,  per  la  minore  tutela  offerta  alla  categoria  dei
disabili,  e  sarebbe in contrasto con l'art. 117 della Costituzione,
in  quanto contiene una grave ed irragionevole deroga ad un principio
fondamentale statale in materia di competenza regionale.
    10.  -  I ricorsi impugnano, infine, con sfumature diverse ma con
sostanziale  identita'  di impostazione e di censure, gli articoli da
47 a 60 del decreto n. 276 del 2003, che contengono la disciplina dei
contratti   di   apprendistato   (artt. 47-53),   dei   contratti  di
inserimento  (artt. 54-59)  e  dei  tirocini  estivi  di orientamento
(art. 60), nonche' gli artt. da 70 a 74 sulle prestazioni occasionali
di tipo accessorio rese da particolari soggetti.
    Il   ricorso  della  Regione  Marche,  dopo  aver  sinteticamente
richiamato  il  contenuto  delle singole norme, rileva che la lesione
delle   prerogative   regionali   sarebbe  dovuta,  innanzitutto,  al
carattere   esclusivo   della  competenza  normativa  in  materia  di
istruzione  e  formazione professionale; gli articoli in esame non si
limiterebbero  alla definizione dei contenuti tipici dei contratti in
questione,  poiche'  in  concreto  impediscono  ogni regolamentazione
autonoma  da  parte  delle Regioni. Da cio' deriverebbe la violazione
dell'art. 117,  quarto  comma,  della  Costituzione,  con conseguente
violazione  degli  artt. 117,  sesto comma, e 118 della Costituzione,
relativi   alle   competenze   regolamentari  ed  amministrative.  Ma
sussisterebbe  anche una violazione dell'art. 117, terzo comma, della
Costituzione,  poiche' i contratti in esame, tutti riconducibili alle
politiche attive del lavoro e quindi alla materia «tutela e sicurezza
del  lavoro», rientrerebbero anche nella competenza concorrente delle
Regioni;  e  le  norme  statali  non  si  limitano a porre i principi
fondamentali,  bensi'  intervengono  con  una  disciplina  del  tutto
puntuale.
    La  Regione  Marche, inoltre, ritiene che le norme ora citate non
possano essere tutte ricondotte alla competenza esclusiva dello Stato
in  materia  di  ordinamento civile, perche' a suo dire l'ordinamento
del  diritto  privato «si puo' imporre quale limite alla legislazione
regionale solo se non sia tale da assorbire e condizionare oltre ogni
limite ragionevole le competenze legislative che sono attribuite alle
Regioni».
    I  ricorsi  delle  Regioni  Toscana ed Emilia-Romagna, pressoche'
coincidenti  su  questo  punto,  si  rivolgono  specificamente contro
alcune parti della normativa impugnata.
    A   proposito  dei  contratti  di  apprendistato,  detti  ricorsi
censurano gli artt. 48, comma 4, 49, comma 5, e 50, comma 3.
    L'art. 48,  comma 4,  prevede che la regolamentazione dei profili
formativi  dell'apprendistato sia rimessa alle Regioni d'intesa con i
Ministri  del  lavoro  e  dell'istruzione, per di piu' attenendosi ai
criteri direttivi ivi indicati. La norma sarebbe illegittima poiche',
trattandosi   di   materia   devoluta   alla   competenza  residuale,
l'assoggettamento  della regolamentazione regionale all'accordo con i
Ministri   suddetti   ed  al  rispetto  di  certi  criteri  direttivi
violerebbe  l'art. 117, quarto comma, della Costituzione; e comunque,
ove  pure si ritenesse che la materia coinvolta e' quella concorrente
della tutela e sicurezza del lavoro, sarebbero ugualmente illegittime
tanto  la  previsione della previa intesa con i Ministri sopra citati
quanto  il rinvio ai contratti collettivi nazionali per la formazione
aziendale (art. 48, comma 4, lettera c).
    L'art. 49, comma 5, sull'apprendistato professionalizzante, viene
censurato  per ragioni assai simili a quelle ora viste per l'art. 48,
comma 4:  non sarebbe legittima la previsione di una regolamentazione
dei   profili   formativi   di   tale  contratto  concordata  con  le
associazioni   dei  datori  e  prestatori  di  lavoro,  per  di  piu'
prevedendosi  il  rispetto  dei  criteri  direttivi  ivi indicati. Si
tratterebbe,  infatti,  di  competenza  residuale  e  l'intesa con le
associazioni  sarebbe  particolarmente  condizionante per l'autonomia
regionale.
    Allo  stesso  modo viene censurato l'art. 50, comma 3, in materia
di  apprendistato  per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di
alta  formazione.  La competenza residuale in materia di istruzione e
formazione  professionale sarebbe infatti lesa dalla previsione della
necessita'  di un accordo con le associazioni dei datori e prestatori
di  lavoro  e  con  le  universita' ed altre strutture formative allo
scopo  di  determinare  la  regolamentazione  e  la  durata  di  tale
apprendistato.
    La  sola Regione Emilia-Romagna censura anche l'art. 51, comma 2,
del  decreto,  in  quanto  riconosce  al  Ministro del lavoro e delle
politiche   sociali   il   potere   di   stabilire  le  modalita'  di
riconoscimento   dei   crediti  formativi.  Tale  potere,  di  natura
regolamentare,  sarebbe  illegittimo  per  violazione  dell'art. 117,
sesto comma, della Costituzione, perche' va ad esercitarsi in materia
di  competenza  residuale  o  concorrente;  oltre  a cio', vi sarebbe
violazione  dell'art. 76  della  Costituzione,  per  mancanza di ogni
riferimento nella legge delega.
    Con  riguardo alle norme che regolano il contratto di inserimento
- che sostituisce il precedente contratto di formazione e lavoro - la
Regione  Toscana  lamenta  la  presunta illegittimita' costituzionale
degli  artt. 54  e  55  del  decreto impugnato, per il fatto che tali
articoli  non prevedono alcuna forma di partecipazione delle Regioni.
Cio' comporterebbe la violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma,
della  Costituzione,  essendo  lese  le  piu' volte citate competenze
regionali  in  tema di formazione e di tutela e sicurezza del lavoro.
Palese sarebbe, inoltre, l'incostituzionalita' dell'art. 55, comma 3,
il  quale prevede che, decorso il termine di cinque mesi dall'entrata
in  vigore  del  decreto,  il  Ministro  del lavoro e delle politiche
sociali  possa intervenire in via sostitutiva, con proprio decreto, a
determinare  provvisoriamente  le  modalita' di definizione dei piani
individuali  di  inserimento;  siffatta previsione, oltre ad ignorare
completamente le competenze regionali, sarebbe anche in contrasto con
la  delega  di cui all'art. 2, comma 1, lettera h), della legge n. 30
del  2003,  ove  si  prevede,  in  caso  di  mancato  accordo  con le
associazioni  dei  datori di lavoro e dei lavoratori, che i contenuti
dell'attivita'  formativa  possano  essere  individuati dalle Regioni
d'intesa col Ministro, e non da quest'ultimo con proprio decreto.
    L'art. 60,  riguardante  i tirocini estivi di orientamento, viene
impugnato  dalle  Regioni  Marche,  Toscana ed Emilia-Romagna perche'
interviene  con normativa di dettaglio nella materia della formazione
professionale, di competenza esclusiva regionale.
    Gli  artt. 70-74  del  d.lgs. n. 276 del 2003, da ultimo, vengono
fatti  oggetto  di censura (dalla Regione Marche nel loro complesso e
dalla  Regione Toscana limitatamente agli artt. 70 e 71) perche' tale
sistema  normativo,  riconducibile  nel  suo  insieme  alle politiche
attive  del  lavoro  e  quindi  alla  materia «tutela e sicurezza del
lavoro»,  rientrerebbe nella competenza concorrente delle Regioni. Le
norme  statali  sarebbero in contrasto con i parametri costituzionali
piu'  volte  citati  in  quanto  non  si  limitano a porre i principi
fondamentali, bensi' intervengono con una normativa di dettaglio.
    11. - Il ricorso della Provincia autonoma di Trento, analogamente
a  quanto  si  e'  visto  a proposito della legge n. 30 del 2003, non
contiene  impugnazioni  di  norme  ulteriori,  ne'  profili  nuovi di
censura,  bensi'  soltanto  alcuni specifici richiami alle competenze
particolari  delle  quali  la ricorrente gode in virtu' dello statuto
speciale.
    In riferimento, quindi, al sistema delle autorizzazioni delineato
dagli  artt. 4, 5 e 6 del decreto n. 276, la Provincia osserva che la
normativa  impugnata  sembrerebbe  applicabile  anche  alle  Province
autonome,  secondo  il  dettato  dell'art. 4, comma 4, e dell'art. 6,
comma 6.  Da  tanto  consegue,  secondo  il  ricorso, che le funzioni
amministrative   (tenuta   dell'albo   nazionale   e  rilascio  delle
autorizzazioni) riconosciute al Ministro del lavoro e delle politiche
sociali  dall'art. 4,  commi 1 e 2, si estendono anche alla Provincia
di  Trento.  In  tal  modo,  pero',  sarebbero  violate le previsioni
dell'art. 4,  comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266,
di attuazione dello statuto speciale, a norma del quale nelle materie
di  competenza  regionale o provinciale «la legge non puo' attribuire
agli  organi  statali  funzioni  amministrative,  comprese  quelle di
vigilanza,  di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni
amministrative,  diverse  da  quelle  spettanti allo Stato secondo lo
statuto speciale e le relative norme di attuazione».
    Quanto,   invece,   all'art. 6,   comma 7,  la  disciplina  della
procedura  di rilascio dell'autorizzazione da parte delle Regioni (e,
deve  ritenersi, delle Province autonome) porrebbe norme di dettaglio
in  materie di competenza provinciale (tutela del lavoro e formazione
professionale),  con  violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma,
della Costituzione, degli artt. 8, numeri 23 e 29, e 9, numeri 4 e 5,
dello  statuto  speciale,  e  dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
L'art. 6, comma 8, invece, sarebbe in contrasto con l'art. 117, sesto
comma,  della Costituzione e con l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992,
perche'  prevede  un  potere regolamentare del Ministro in materia di
competenza provinciale.
    Restano,  in  ultimo,  le  censure sugli artt. 48, comma 4, e 49,
comma 5,   del  decreto  impugnato,  le  quali  sono  sostanzialmente
coincidenti  con  quelle  gia'  analizzate  a  proposito  degli altri
ricorsi.  Queste  norme sarebbero illegittime poiche', trattandosi di
materia  devoluta  alla  competenza primaria della Provincia autonoma
(formazione  professionale), l'assoggettamento della regolamentazione
provinciale  all'accordo  con  i  Ministri  o con le associazioni dei
datori  e  dei  prestatori  di  lavoro  ed  al  rispetto  dei criteri
direttivi  indicati dalla legge statale violerebbe l'art. 117, quarto
comma,  della Costituzione, l'art. 10 della legge costituzionale n. 3
del  2001  e  l'art. 8,  numero  29,  dello  statuto.  E tale censura
dovrebbe   valere   anche  se  si  trattasse  di  potesta'  normativa
concorrente:  evidente sarebbe, infatti, la violazione della clausola
di  salvaguardia  di  cui all'art. 1, comma 3, del decreto n. 276 del
2003.
    12.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  si e' costituito in
tutti  i  giudizi  sopra  menzionati, con altrettanti atti difensivi,
chiedendo  che  le questioni vengano dichiarate non fondate. La linea
difensiva   del   Governo,  gia'  sinteticamente  tratteggiata  negli
originari  atti di costituzione, si e' poi esplicata, con ampiezza di
argomentazioni,   nella   successiva   memoria  depositata  in  vista
dell'udienza pubblica di discussione.
    In  via  preliminare  l'Avvocatura  osserva  come la legge delega
persegua  l'obiettivo  della  tutela  dell'interesse  collettivo  dei
lavoratori   al   sostegno   e   alla   promozione  dell'occupazione,
costituzionalmente  protetto attraverso il riconoscimento del diritto
al lavoro.
    E' quindi possibile affermare che tutta la disciplina del mercato
del  lavoro costituisce lo strumento di concreta attuazione di questo
diritto,  di  cui  all'art. 4 della Costituzione, la riconduzione del
quale  nel novero dei diritti sociali comporta che lo Stato debba sia
porre  in essere azioni positive (quale una efficiente organizzazione
amministrativa  del  mercato),  sia  determinare i livelli essenziali
delle  prestazioni  da  garantire  su  tutto il territorio nazionale,
assicurati   i  quali  puo'  trovare  espansione  e  applicazione  la
competenza concorrente delle Regioni in materia di tutela e sicurezza
del   lavoro   ed  esclusiva  in  materia  di  assistenza  sociale  e
soprattutto  di  formazione professionale, consentendo alle stesse di
introdurre nuove e maggiori forme di tutela del mercato, coerenti con
i principi fondamentali.
    In  sostanza,  quindi,  la fissazione delle misure indispensabili
per  garantire  l'effettivita'  del  diritto  al lavoro discenderebbe
dalla  stessa  qualificazione  di questo come diritto sociale. Sia la
legge  delega  sia  il  decreto delegato intervengono sulla «tutela e
sicurezza  del  lavoro», da intendere non tanto come materia in senso
stretto,  ma piuttosto come valore costituzionalmente protetto, volto
al  perseguimento,  anche in un'ottica di sussidiarieta', del diritto
costituzionale  all'accesso  al  lavoro.  Inoltre  nei  provvedimenti
citati  sono  previste  procedure  rispettose  del principio di leale
collaborazione  (quali  l'intesa  con  le Regioni o con la Conferenza
Stato-Regioni  prevista  dall'art. 5,  comma 1, lettera c, del d.lgs.
n. 276 del 2004 per l'adozione del decreto ministeriale che definisce
i requisiti logistici e di professionalita' per l'autorizzazione alle
agenzie per il lavoro; dall'art. 6, comma 8, dello stesso decreto per
la  definizione  della  sezione  regionale  dell'albo  delle agenzie;
dall'art. 16,  comma 1,  del  decreto  medesimo per la definizione di
standard tecnici e flussi di scambio in relazione alla borsa continua
per  il  lavoro;  dall'art. 17,  comma 5, dello stesso decreto per la
definizione  di  un modello provvisorio di rilevazione; dall'art. 51,
comma 2,  dello  stesso decreto per la determinazione delle modalita'
di  riconoscimento  dei  crediti  formativi, e dall'art. 53, comma 3,
dello   stesso   decreto   per  la  definizione  delle  modalita'  di
riconoscimento dei criteri di erogazione degli incentivi).
    Vengono  quindi  esaminate  le  singole censure, argomentando nel
senso della loro infondatezza o inammissibilita'.
    Quanto  all'art.  l,  comma 2,  lettera b), numeri 2, 3 e 4 della
legge   n. 30  del  2003,  si  osserva  che  il  legislatore  ha  qui
determinato  i  livelli  essenziali  delle  prestazioni, individuando
quelle  fasce  deboli del mercato del lavoro, a rischio di esclusione
sociale,  a  favore  delle  quali  devono  essere  rivolte,  in  modo
prioritario,  le  misure  per  l'occupazione, esercitando altresi' la
competenza  esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera r),
della   Costituzione   («coordinamento   informativo   statistico   e
informatico   dei  dati  dell'amministrazione  statale,  regionale  e
locale»),  essendo  la  borsa continua del lavoro uno strumento volto
proprio  a  garantire un'efficace azione per soddisfare il diritto al
lavoro  che,  solo  in  quanto  istituito  a  livello nazionale, puo'
assicurare  l'eliminazione  di ogni barriera alla libera circolazione
dei  lavoratori sull'intero mercato del lavoro, come vuole l'art. 120
della   Costituzione,   richiamato,   insieme   con   l'art. 4  della
Costituzione,  dall'art. 15 del decreto di cui si tratta (laddove una
gestione interamente regionale del servizio informatico comporterebbe
il rischio di una mancata comunicazione tra i sistemi regionali ed un
conseguente   ostacolo  alla  libera  circolazione  dei  lavoratori).
Peraltro  gli  artt. 15  e 16 del decreto delegato prevedono forme di
partecipazione delle Regioni alla gestione del sistema.
    Quanto  al mantenimento allo Stato delle «funzioni amministrative
relative  alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali
e  plurime, nonche' alla risoluzione delle controversie collettive di
rilevanza  pluriregionale»  (art. 1,  comma 2, lettera c, della legge
delega),  si  rileva  come esse attengano alla disciplina sostanziale
del  rapporto  di  lavoro,  risultando  pertanto  riconducibili  alla
competenza  statale  in  tema  di  «ordinamento civile» e presentando
inoltre un legame assai stretto con la disciplina processuale, atteso
che  la  procedura di conciliazione e', almeno in parte, disciplinata
nel  codice  di  rito  e costituisce una condizione di procedibilita'
dell'azione giudiziaria.
    Quanto  all'art. 1,  comma 2,  lettera d),  della  legge  delega,
premesso  che  sussiste  una  stretta  connessione  tra  le norme che
disciplinano  l'incontro  tra  domanda  e  offerta  di  lavoro  e  la
determinazione  dei  flussi migratori (dal momento che l'esistenza di
un  contratto  di lavoro costituisce una condizione essenziale per il
soggiorno in Italia di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione
europea),  l'Avvocatura  richiama  la  competenza  statale in tema di
immigrazione,  ferma la necessita', da parte del legislatore, di dare
concreta  attuazione  all'art. 118,  terzo comma, della Costituzione,
relativo  all'istituzione di forme di coordinamento tra lo Stato e le
Regioni  in  materia  di  immigrazione. In senso analogo si argomenta
circa   la   lettera h)   della   stessa  disposizione,  in  tema  di
coordinamento  delle disposizioni sull'incontro tra domanda e offerta
di  lavoro  con  quelle  sulla  disciplina  del  lavoro dei cittadini
extracomunitari,  anche al fine della semplificazione delle procedure
di  rilascio  delle  autorizzazioni  (materia che, toccando l'aspetto
contrattuale  del  rapporto  e la competenza in tema di immigrazione,
non puo' che essere riservata allo Stato).
    Riguardo  al  previsto  mantenimento  in capo alle Province delle
funzioni  amministrative  alle stesse attribuite con il d.lgs. n. 469
del   1997  (art.  l,  comma 2,  lettera  e),  della  legge  delega),
l'Avvocatura dello Stato sostiene che la disposizione non costituisce
un conferimento di funzioni bensi' una norma meramente dichiarativa e
non  prescrittiva  di  quanto  avviene  in  forza  del  principio  di
continuita'  nell'esercizio  delle  funzioni  amministrative, per cui
l'organo  titolare  della competenza la conserva fino a che una fonte
competente  (e  quindi la legge regionale) non intervenga a stabilire
diversamente  (interpretazione  da  ritenere  obbligata alla luce del
combinato  disposto  dell'art. 97  e della VIII disposizione finale e
transitoria  della Costituzione, nonche' confermata dall'art. 7 della
legge  5 giugno 2003, n. 131). In sostanza il legislatore statale non
intende  procedere  ad  alcuna  nuova  allocazione di funzioni, salvo
quelle  espressamente  riservate allo Stato per esigenze unitarie, ma
mantiene provvisoriamente ferma la situazione preesistente, lasciando
ai  legislatori regionali il compito di valutare un'eventuale diversa
distribuzione   delle   funzioni,  alla  luce  dei  criteri  indicati
dall'art. 118 della Costituzione.
    Circa  l'impugnazione dell'art. 3, comma 2, dello stesso decreto,
per  quanto riguarda le lettere a) e c), nella parte in cui enunciano
come  finalita'  delle successive norme l'identificazione di un unico
regime  autorizzatorio, si argomenta nel senso dell'inammissibilita',
posto  che  dalla  mera  enunciazione  di finalita' da parte di norme
prive  di  reale valore prescrittivo non puo' derivare alcuna diretta
invasione di competenze. Nel merito, circa la violazione dell'art. 76
della  Costituzione  da  parte  della lettera c), poiche' si parla di
«individuazione»    delle    forme    di    raccordo,   anziche'   di
«incentivazione»,  come  previsto  dell'art. 1,  comma 2, lettera f),
della   legge   delega,  si  rileva  che  questo  presunto  vizio  di
legittimita' sarebbe in ogni caso escluso dal fatto che l'art. 13 del
decreto,  in attuazione di questa finalita', e' rubricato chiaramente
«misure  di  incentivazione  ...»,  per  cui  la regolazione posta in
essere dal legislatore delegato e' coerente con la legge delega.
    Quanto  alle  agenzie  per il lavoro, di cui all'art. 1, comma 2,
lettera l),  della  legge delega ed all'art. 4 del decreto, si rileva
come  il tema del regime autorizzatorio esuli dalla materia «tutela e
sicurezza   del   lavoro»,   anzitutto  perche'  l'autorizzazione  e'
finalizzata  a  rimuovere un divieto, volto ad evitare l'insorgere di
situazioni  elusive dei diritti soggettivi dei lavoratori, sicche' la
fissazione  del  regime autorizzatorio per le agenzie del lavoro, pur
agendo  nella  fase  di  accesso  al  mercato, non mira a tutelare il
lavoratore «sul mercato», bensi' tutela il lavoratore «nel rapporto»;
ne   deriverebbe,   quindi,  la  competenza  esclusiva  dello  Stato,
trattandosi  di  materia  «ordinamento  civile». In secondo luogo, si
precisa  che l'esercizio abusivo dell'attivita' di intermediazione e'
sanzionato  penalmente: da cio' discenderebbe che soltanto l'unicita'
dei  requisiti  richiesti  e  del  relativo  regime di autorizzazione
possono garantire l'uguaglianza delle condotte sanzionate sull'intero
territorio  nazionale.  Infine,  sotto  il profilo della tutela della
concorrenza,  si  osserva  come la previsione di regimi autorizzatori
differenti   potrebbe   comportare   una   restrizione   alla  libera
circolazione   dei  lavoratori,  nonche'  la  possibilita'  che  tale
diversita'  precluda  l'effettivita'  dell'attivita' di mediazione su
tutto il territorio nazionale.
    Vi sarebbero poi esigenze unitarie che giustificano l'operare «in
senso  ascendente» del principio di sussidiarieta'. Infatti, gia' ora
le  agenzie  di  lavoro  interinale  necessitano, per operare, di una
autorizzazione,  per  ottenere la quale e' prevista come requisito la
presenza in almeno quattro Regioni (come nel d.lgs. n. 276 del 2003),
laddove  la  dimensione  ultraregionale e' finalizzata a garantire la
maggiore  professionalita'  dell'agenzia.  Ne'  una  Regione potrebbe
accertare  un  requisito  come  la presenza di sedi in altre Regioni,
accertamento  da  svolgere necessariamente a livello centrale, il che
ulteriormente  giustifica  il  mantenimento allo Stato delle funzioni
amministrative.
    Quanto  all'asserita  illegittimita'  costituzionale  del comma 5
dell'art. 4  del  decreto  (che prevede la potesta' regolamentare del
Ministro),  per  presunta violazione dell'art. 76 della Costituzione,
si osserva che il potere regolamentare troverebbe comunque fondamento
in  un  atto  con  forza  di  legge e che il regolamento ministeriale
previsto  dalla  disposizione  in  esame  non  puo' qualificarsi come
regolamento   di   attuazione,   bensi'   come  regolamento  di  mera
esecuzione, che detta le disposizioni di dettaglio per l'esercizio di
una   funzione   amministrativa   riservata  allo  Stato,  in  quanto
riconducibile  all'ambito  di  una  competenza esclusiva statale e in
presenza di esigenze unitarie.
    Con riguardo all'art. 6 del decreto, commi 6, 7 e 8, l'Avvocatura
chiede  dichiararsi  l'inammissibilita'  delle questioni sollevate in
riferimento agli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione in quanto non vi
sarebbe  alcuna  diretta  lesione  delle prerogative regionali: se la
competenza  in  materia  di  tutela  della  concorrenza  richiede  la
regolazione  statale  della  generale  funzione autorizzatoria, resta
salva  l'attribuzione  del  concreto  esercizio della competenza alle
Regioni,  laddove  la  sussidiarieta' faccia ritenere piu' consono al
dettato  costituzionale  l'esercizio  della  funzione  ad  un livello
inferiore, come si verifica nel caso di operatori che intendono agire
soltanto nel territorio della Regione.
    Con   specifico   riferimento   alle  questioni  sollevate  dalla
Provincia   di  Trento  in  relazione  alle  norme  statutarie  e  di
attuazione  si  rileva  che,  in  forza dell'art. 8 dello statuto, la
Provincia  di Trento ha competenza esclusiva in materia di formazione
professionale,   mentre  ha  competenza  concorrente  in  materia  di
apprendistato e istruzione. In base alle norme di attuazione, poi, le
funzioni  amministrative, se non espressamente attribuite allo Stato,
spettano  alle  Province  ove  queste  abbiano competenza legislativa
propria.  Quindi,  se  il  titolo  di intervento statale e' quello di
tutelare  la concorrenza introducendo norme omogenee che assicurino a
tutte  le  agenzie  per  il  lavoro  di  poter operare sul territorio
nazionale  in parita' con le altre agenzie e senza barriere alla loro
circolazione, allora si esula dall'ambito di competenze provinciali e
lo   Stato   ben   puo'   legiferare   ed   esercitare   le  funzioni
amministrative,  sussistendo  quelle esigenze unitarie che consentono
di trattenere le funzioni ad un livello superiore.
    Quanto all'impugnativa dell'art. 12 del decreto, limitatamente ai
commi 3  e  5,  si  precisa,  in  relazione agli interventi di cui al
comma 1,   che   questi   comprendono   anche   misure  di  carattere
previdenziale,  rispetto  alle  quali  la competenza statale non puo'
essere  revocata in dubbio. Quanto al resto, le esigenze unitarie che
giustificano   l'assunzione  da  parte  dello  Stato  delle  funzioni
amministrative  in  questione  risiedono sia nelle esigenze di ordine
perequativo  per  quanto  concerne la distribuzione dei fondi, sia in
piu'  generali  necessita'  di  omogeneita'  e  coordinamento  tra le
iniziative  promosse  con  mezzi  finanziari  prelevati  dagli stessi
fondi.
    Con riguardo ai commi 1 e 6 dell'art. 13 del decreto (che attuano
il  principio  di  cui  alla  lettera f del comma 2 dell'art. 1 della
legge  delega,  parimenti  impugnato)  in  materia  d'inserimento dei
disabili,  premessa  l'inammissibilita'  della censura per eccesso di
delega  (per  difetto di lesione delle prerogative regionali, nonche'
per   la   genericita'  dell'argomento  secondo  cui  la  Regione  si
troverebbe ad operare in un contesto incostituzionale), si rileva che
l'articolo  citato  lascia  devoluta la disciplina della materia alle
Regioni,   limitandosi   a  definire  una  griglia  di  deroghe  alla
disciplina  generale  in  materia  di somministrazione di lavoro e di
cause  di  decadenza  dai  benefici  assistenziali in caso di mancata
partecipazione attiva del disoccupato agli interventi di workfare, in
funzione  della  incentivazione - di tipo normativo - all'inserimento
(o   al   reinserimento)   nel   mercato   di  gruppi  di  lavoratori
svantaggiati,  secondo  interventi  di  politica attiva autonomamente
gestiti  a  livello  locale  o  regionale. Lo Stato utilizza cioe' la
propria  competenza  in  tema  di  ordinamento  civile per consentire
deroghe  alla  normale regolazione del contratto di somministrazione,
al  fine  di  garantire  la  possibilita' di ricorrere a strumenti di
flessibilita'.
    Neppure  l'art. 14,  commi 1 e 2, comporterebbe l'invasione delle
competenze  regionali,  limitandosi  a  dettare  i  principi idonei a
definire  il livello essenziale delle prestazioni inerenti il diritto
sociale al lavoro per fasce a rischio di esclusione sociale.
    Quanto  alla censura concernente l'art. 22, comma 6, del decreto,
che  stabilisce  che i lavoratori somministrati non vengono computati
ai   fini   della   determinazione   delle  assunzioni  obbligatorie,
l'Avvocatura, dopo aver rilevato la singolarita' della contestazione,
nei  confronti  dello  Stato,  di  mancato  rispetto  di un principio
fondamentale  della  legislazione  statale, obietta che la materia e'
riconducibile  all'ordinamento  civile,  ritenendo  inammissibili  le
censure concernenti gli altri parametri.
    Quanto poi ai contratti a contenuto formativo - in particolare in
riferimento  alla  censura concernente l'art. 2, comma 1, lettera b),
della  legge di delega, nella parte in cui riserverebbe allo Stato il
raccordo  tra sistema formativo pubblicistico e sistema dei contratti
a  contenuto  formativo  -  si  osserva  che tale raccordo, in quanto
finalizzato  alla  creazione  di  un  coerente  ed  omogeneo  sistema
formativo  su  tutto  il territorio nazionale, deve essere ricondotto
alla  determinazione  dei livelli essenziali del diritto allo studio,
oltre   che   alle  norme  generali  sulla  istruzione,  comunque  di
competenza statale.
    Con  specifico riguardo alle impugnazioni relative alle norme del
decreto   delegato   sull'apprendistato  (in  particolare:  artt. 48,
comma 4,  49,  comma 5,  50,  comma 3, e 51, comma 2), pur convenendo
sulla  premessa  dei  ricorsi,  che inquadrano i rapporti a contenuto
formativo  tra  le  politiche attive del lavoro, l'Avvocatura osserva
che   tali  disposizioni  incidono  pur  sempre  sulle  modalita'  di
svolgimento  del  rapporto, intervenendo direttamente sullo strumento
contrattuale.  Ritenere, pertanto, che lo Stato non possa intervenire
perche'  in  tal modo si introdurrebbe una misura di politica attiva,
significherebbe  escludere  la possibilita' di agire sulla disciplina
del  mercato del lavoro tramite la regolazione contrattuale. Prive di
fondamento  sarebbero  percio' le censure relative a disposizioni che
stabiliscono  le  norme  applicabili  all'apprendistato come rapporto
contrattuale (durata, forma, retribuzione, recesso, e cosi' via).
    Quanto  invece  alla  diversa  obiezione che viene portata contro
l'art. 2,   comma 1,  lettera h),  della  legge  delega  e  contro  i
correlati  artt. 48, comma 4, 49, comma 5, e 50, comma 3, del decreto
-   in   base  alla  quale,  poiche'  l'istruzione  e  la  formazione
professionale   sono   di  competenza  esclusiva  regionale  (per  la
Provincia  di  Trento  gia'  in  base  all'art. 8  dello statuto), la
previsione dell'obbligo per le Regioni, nella regolazione dei profili
formativi  dell'apprendistato, di ricercare una intesa con i Ministri
dell'istruzione  e del lavoro, sarebbe invasiva delle loro competenze
(cosi' come il rinvio alla contrattazione collettiva, l'intesa con le
associazioni  datoriali  e  sindacali o con le universita' e le altre
istituzioni  formative)  -  l'Avvocatura invoca la competenza statale
per   quanto   riguarda   le  norme  generali  sull'istruzione  e  la
determinazione   dei  livelli  essenziali  concernenti  quel  diritto
sociale  che  e'  il diritto allo studio (anche alla luce dell'art. 2
della legge 28 marzo 2003, n. 53).
    Poiche'  per  i  contratti  a  contenuto formativo si verifica un
intreccio tra competenze esclusive statali e competenze concorrenti e
residuali  delle  Regioni,  soltanto una procedura che preveda intese
tra  lo  Stato  e  le  Regioni,  nel  rispetto del principio di leale
collaborazione,   puo'   tutelare  sia  l'autonomia  regionale  nella
regolazione   dei   profili   formativi   sia   la   garanzia   della
determinazione  da  parte  dello  Stato  dei  livelli  essenziali del
diritto all'istruzione.
    Quanto  poi  agli  artt. 51, 52 e 53, denunciati come illegittimi
perche'  invasivi della competenza in tema di istruzione e formazione
professionale, ed in particolare al comma 2 dell'art. 51, relativo ad
un  asserito  potere regolamentare statale nella suddetta materia, si
rileva,  sulla scorta della sentenza n. 303 del 2003 di questa Corte,
che,  ove  sussistano  esigenze  unitarie  le  quali,  in  forza  del
principio  di  sussidiarieta',  inducano  ad  avocare  allo  Stato la
funzione amministrativa, in ossequio al principio di legalita' devono
spettare  allo Stato anche la potesta' legislativa ed altresi' quella
regolamentare,  ancorche'  nel  rispetto  della  (non necessariamente
previa)  intesa  con  le Regioni. Nella specie, il carattere unitario
delle funzioni sarebbe confermato dal fatto che al relativo esercizio
consegue   il   conferimento  di  titoli  riconosciuti  su  tutto  il
territorio  nazionale  a  seguito  dello  svolgimento dei rapporti di
apprendistato. In ogni caso, poiche' il previsto decreto ministeriale
dovra'  fare  salve  le  competenze  regionali,  esso  potra'  essere
impugnato   qualora   effettivamente   invada   tali  competenze.  La
disposizione  di  cui all'art. 53 sarebbe riconducibile, per quel che
riguarda  il  comma 1,  alla  determinazione delle mansioni (e quindi
all'ordinamento   civile),   mentre   per  i  commi  successivi  (che
stabiliscono  gli  incentivi,  di tipo previdenziale, per favorire il
ricorso   al   contratto   di  apprendistato)  sarebbe  da  includere
nell'ambito  di  cui  all'art. 117,  secondo comma, lettera o), della
Costituzione, e quindi di una competenza esclusiva statale.
    Quanto  alle  analoghe  censure  rivolte  alla disciplina dettata
dagli   artt. 54  e  55  in  materia  di  contratto  di  inserimento,
l'Avvocatura  osserva  che  tale  contratto,  benche' rappresenti una
misura  finalizzata  a  garantire l'entrata nel mercato del lavoro di
soggetti svantaggiati, tuttavia configura un vero e proprio contratto
di lavoro, non piu' definibile come contratto a causa mista, in cui i
contenuti  formativi  risultano solo eventuali e comunque strumentali
al   progetto   individuale  di  inserimento,  che  diviene  elemento
essenziale  del contratto. In tale prospettiva la relativa disciplina
spetta  senz'altro  al legislatore statale e si giustifica, altresi',
la normativa provvisoria prevista. Infatti, se il contenuto formativo
e'   un   aspetto   strumentale   volto   a  garantire  la  effettiva
realizzazione  della  causa  contrattuale,  anche  la sua regolazione
rientra   nella   competenza   statale   a  disciplinare  i  rapporti
interprivati  e,  per  tale via, appare legittima la previsione di un
intervento di natura regolamentare da parte del Ministro del lavoro.
    Sempre  in  relazione  ai  contratti  d'inserimento,  rilevate la
genericita'  e la conseguente inammissibilita' delle censure proposte
dalla  Regione  Marche  avverso  gli  artt.  da  56 a 59 del decreto,
l'Avvocatura  osserva che i primi tre articoli prevedono la forma, la
durata  e  la  disciplina  del  rapporto di lavoro, regolando aspetti
privatistici  ricadenti  nella  nozione di ordinamento civile, mentre
l'art. 59,  esattamente  come  l'art. 53 in tema di apprendistato, si
limita   in  parte  a  regolare  aspetti  del  rapporto  contrattuale
(inquadramento  e  mansioni)  e  in  parte aspetti previdenziali (gli
sgravi  contributivi  come  incentivo  al  ricorso a questa tipologia
contrattuale).
    A  proposito  dell'art. 60 del decreto, si nota che, per quanto i
tirocini  estivi  non  configurino  un  rapporto  di  lavoro,  spetta
comunque  al  legislatore  statale  regolarne  i  punti fondamentali,
perche'   pur   sempre   attinenti,  come  rapporti  intersoggettivi,
all'ordinamento civile; solo lo Stato potrebbe fissare la griglia dei
requisiti affinche' il tirocinio sia realmente tale e non nasconda un
contratto di lavoro.
    Circa  il  lavoro accessorio, di cui agli impugnati artt. da 70 a
74  del  decreto,  l'Avvocatura  evidenzia,  in  linea  generale, che
l'utilizzo del carnet di buoni non ne fa venir meno la qualificazione
in termini contrattuali: esso potra' incidere sulle modalita' con cui
e'  erogata  la retribuzione, ma non esclude certo che tale essa sia,
trattandosi   del   corrispettivo   per   prestazioni   espressamente
qualificate   come  lavorative.  Ne'  possono  nutrirsi  dubbi  sulla
riconducibilita'  all'ordinamento  civile anche della disposizione di
cui   all'art. 74,   che   definisce   le  prestazioni  che,  pur  se
materialmente lavorative, non configurano un contratto di lavoro (sia
esso  prestazione d'opera o lavoro subordinato): le Regioni, infatti,
non  potrebbero  definire  autonomamente i casi in cui le prestazioni
esulino  dal  mercato  del  lavoro,  in  quanto  interverrebbero  sui
presupposti per la sussistenza di un contratto.
    Anche   il   procedimento   certificatorio   (cui   si  riferisce
l'impugnativa  dell'art. 5  della  legge  n. 30  del 2003) sarebbe da
ricondurre  alla materia dell'ordinamento civile, posto che ascrivere
la  disciplina  di tale attivita' alle competenze regionali, sia pure
nel  rispetto  dei  principi fondamentali, farebbe si' che uno stesso
atto negoziale possa essere diversamente qualificato, con regolazioni
conseguentemente  diverse  a  seconda  del luogo in cui ne avvenga la
qualificazione  (con  incremento prevedibile del contenzioso e quindi
in  antitesi  con  le  finalita'  deflattive). Vi sarebbero, inoltre,
aspetti  della procedura di certificazione che inducono a legare tale
funzione  anche  alla  competenza  statale  in  tema  di  ordinamento
processuale.
    Quanto  all'art. 7  della  legge  n. 30 del 2003, censurato nella
parte  in  cui  non  prevede il parere obbligatorio della Commissione
bicamerale  per le questioni regionali come integrata dai regolamenti
parlamentari,  premessa  la  natura  concertativa  del vaglio operato
dalla  Conferenza  unificata,  si  rileva che, a tutt'oggi, l'art. 11
della   legge   costituzionale   n. 3   del  2001  si  presenta  come
inattuabile,   a  causa  della  mancata  integrazione  da  parte  dei
regolamenti   parlamentari   della  composizione  della  Commissione.
Peraltro,  il tenore letterale di detta norma induce ad escludere che
si tratti di una disposizione immediatamente vincolante.
    Con  riguardo, infine, alle censure relative all'art. 1, comma 2,
lettera d),  e  all'art. 8 della legge n. 30 del 2003, concernenti le
funzioni  ispettive e di vigilanza, l'Avvocatura dello Stato richiama
il recente decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, sostenendo che
esso  «circoscrive  con  chiarezza  l'intervento  normativo alle sole
materie di esclusiva competenza statale».
    13.  -  In prossimita' dell'udienza tutte le Regioni ricorrenti e
la  Provincia  autonoma  di  Trento  hanno  depositato  due  memorie,
ciascuna  rispettivamente  collegata ai due ricorsi presentati, nelle
quali,  oltre a confermare le conclusioni gia' formulate, hanno anche
replicato  ad  alcuni  rilievi  fatti dall'Avvocatura dello Stato nel
proprio atto di costituzione.
    Nelle  memorie  si  rammenta, inizialmente, la sentenza n. 74 del
2001   di   questa   Corte,  riguardante  il  riparto  di  competenze
Stato-Regioni  fissato dal d.lgs. n. 469 del 1997 in epoca precedente
la  riforma  costituzionale del 2001. Gia' in tale quadro erano state
riconosciute  alle  Regioni  le  competenze  per  gli  interventi sul
mercato  del lavoro, sicche' non e' pensabile - ed in tal senso viene
citata  la sentenza costituzionale n. 13 del 2004 - che le competenze
regionali  siano  oggi  contenute  in ambiti piu' stretti rispetto al
passato.  Si  richiama  ancora  la sentenza n. 303 del 2003 di questa
Corte,  in  base  alla  quale l'attrazione allo Stato di una serie di
funzioni  che dovrebbero essere regionali sulla base del principio di
sussidiarieta'  puo'  trovare  giustificazione soltanto alla luce dei
criteri ivi indicati, che non ricorrerebbero nel caso di specie.
    Quanto  al  merito  delle  singole  censure,  poi,  in  relazione
all'art. 1  della  legge  n. 30  del 2003 le memorie osservano che la
prevista  identificazione  di  un  unico  regime  autorizzatorio e di
accreditamento    per    gli   intermediari   pubblici   e   privati,
contrariamente  a  quanto  sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, non
puo' trovare giustificazione nella tutela della concorrenza in ambito
nazionale  in  quanto,  come  piu' volte chiarito da questa Corte (v.
sentenze  n. 14  e n. 272 del 2004), tale tutela «non puo' vanificare
lo  schema  di  riparto  dell'art. 117  della  Costituzione  che vede
attribuite  alla  potesta'  legislativa residuale e concorrente delle
Regioni   materie  la  cui  disciplina  incide  innegabilmente  sullo
sviluppo  economico».  In  relazione  agli  artt. 4  e  6 del decreto
n. 276,  che costituiscono attuazione della delega di cui all'art. 1,
comma 2,  lettera l),  della legge n. 30, la Regione Emilia-Romagna e
la  Provincia  autonoma  di  Trento  danno  atto che il Consiglio dei
ministri,  con delibera del 3 settembre 2004, ha approvato un decreto
correttivo di quello impugnato, le cui modifiche sul punto dovrebbero
ritenersi  satisfattive;  e'  previsto,  infatti, che le procedure di
autorizzazione  di  cui ai commi 6 e 7 dell'art. 6 siano disciplinate
dalle  Regioni nel rispetto dei principi fissati nel decreto. Poiche'
i   due   decreti  ministeriali  attuativi  della  norma,  l'uno  del
23 dicembre  2003  e  l'altro  del  5 maggio  2004,  non  hanno  dato
attuazione  all'art. 6,  comma 8,  impugnato,  la  Regione rileva che
«sembra cessata la materia del contendere» su questo punto.
    Quanto  alla  presunta  inammissibilita' della pretesa, contenuta
nei  ricorsi, di sindacare gli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 276 del 2003
sotto  il  profilo  della violazione dei principi di uguaglianza e di
liberta'  nell'iniziativa economica, si ribadisce che la normativa in
oggetto,  introducendo un meccanismo di autorizzazione accentrato per
gli  intermediari  pubblici  e  privati,  comporta  senza  dubbio una
incisione  delle competenze costituzionali attribuite alle Regioni in
materia di gestione delle attivita' amministrative di autorizzazione,
come  e'  dimostrato anche dal fatto che nel decreto correttivo sopra
citato  l'art. 6  e'  stato  modificato  nel senso di attribuire alle
Regioni  e alle Province autonome - e non piu' al Ministro del lavoro
-  la competenza per l'autorizzazione all'intermediazione dei Comuni,
delle  camere  di  commercio e degli istituti di scuola secondaria di
secondo   grado.   E,   d'altra   parte,   la  legge  avrebbe  potuto
pacificamente  disporre  che  le  autorizzazioni  regionali  avessero
validita'  sull'intero  territorio  nazionale,  come  avviene  per le
agenzie  di  viaggio e turismo sulle quali la Corte si e' pronunciata
con  le  sentenze  n. 362 del 1998, n. 54 del 2001 e n. 375 del 2003;
l'accentramento   di   tali   funzioni   a  livello  statale  non  si
giustificherebbe,   infatti,   neppure  in  base  all'art. 118  della
Costituzione,  perche'  non vi sono esigenze unitarie tali da imporre
una violazione del principio di sussidiarieta'.
    In riferimento all'art. 1, comma 2, lettera e), della legge n. 30
del  2003  (cui  si  collega l'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 276 del
2003),  le  memorie  ribadiscono che tale complesso normativo sarebbe
illegittimo    perche'    prevede   il   mantenimento   di   funzioni
amministrative  alle Province in una materia che non e' di competenza
statale,  ne'  puo'  ritenersi  che  la  norma  fissi in tal modo dei
principi  fondamentali.  A  questo proposito, le ricorrenti osservano
che  le  norme  non possono essere salvate solo perche' si limitano a
confermare  il  contenuto  del  d.lgs.  n. 469 del 1997; le norme che
potevano essere approvate alla luce del vecchio testo degli artt. 117
e 118 della Costituzione, infatti, non possono piu' essere reinserite
nell'ordinamento  in  un  quadro  costituzionale che e' profondamente
mutato  e  che  non consente piu' allo Stato l'allocazione diretta di
funzioni  amministrative  agli enti locali in ambiti che non siano di
competenza  esclusiva  dello  Stato.  E  tale conclusione verrebbe ad
essere indirettamente confermata dalla citata sentenza n. 74 del 2001
e  dalla precedente sentenza n. 408 del 1998 di questa Corte, nonche'
dalla piu' recente pronuncia n. 172 del 2004.
    Quanto,  poi,  alle  deleghe di cui all'art. 2 della legge n. 30,
cui  si collegano le norme del decreto n. 276 riguardanti i contratti
a  contenuto  formativo  e  di  tirocinio,  le  memorie delle Regioni
premettono  che  non  avrebbe  fondamento  la  pretesa dello Stato di
fondare  la  legittimita'  costituzionale delle norme impugnate sulla
competenza  esclusiva  in tema di ordinamento civile e di definizione
della  politica  economica  del  Paese. Le disposizioni censurate non
investono    l'ordinamento   civile   cosi'   come   definito   dalla
giurisprudenza  costituzionale,  perche' non riguardano la disciplina
dei  rapporti  privati  che  si  instaurano  tra  datore  di lavoro e
lavoratore,  ne'  i  reciproci  diritti  ed obblighi (si richiama, in
proposito, la sentenza n. 359 del 2003). Quanto alla potesta' statale
in  materia  di  definizione  della  politica economica, cui ha fatto
cenno  la difesa erariale, si rileva che tale materia non e' prevista
dall'art. 117  della  Costituzione  e  non puo' farsi rientrare nella
previsione del secondo comma, lettera e), della medesima diposizione.
Non  sarebbe  ravvisabile,  inoltre, neppure una competenza esclusiva
dello  Stato  in  base all'art. 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione,  perche' la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni  - secondo quanto affermato nelle sentenze costituzionali
n. 282  del  2002  e  n. 88 del 2003 - non e' una materia, bensi' una
competenza  che  lo Stato ha di dettare norme per la fissazione di un
livello  minimo di soddisfacimento di diritti civili e sociali, ed e'
evidente che cio' non si adatta al caso in esame.
    In  rapporto,  infine, alle censure riguardanti gli artt. da 47 a
60  e  da  70  a  74  del  d.lgs.  n. 276, le difese delle ricorrenti
ribadiscono  che  la  competenza  statale  in  materia di ordinamento
civile  - cui, secondo l'Avvocatura dello Stato, le disposizioni sono
da  ascrivere  -  puo' limitare la legislazione regionale solo se non
venga  esercitata in modo tale da assorbire e condizionare oltre ogni
limite ragionevole le competenze legislative attribuite alle Regioni.
Nel  caso  di  specie  il  legislatore  statale  non si e' limitato a
disciplinare  i  rapporti  interprivati  di lavoro, ma si e' occupato
anche dei servizi pubblici e privati attinenti al mercato del lavoro,
delle  connesse  politiche  attive  e  passive  nonche' di interventi
rientranti  nell'istruzione  e  formazione  professionale, sicche' ha
violato   l'assetto   delle   competenze  legislative  fissato  dalla
Costituzione,  impedendo  alle  Regioni  il pieno dispiegamento delle
potesta' normative loro riconosciute.

                       Considerato in diritto

    1.  - Le Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Basilicata e la
Provincia  autonoma di Trento, in riferimento agli articoli 117 e 118
della   Costituzione,   la   Regione   Marche  anche  in  riferimento
all'art. 76  della  Costituzione,  la  Regione  Basilicata  anche  in
riferimento all'art. 24 della Costituzione e la Provincia autonoma di
Trento  anche  in riferimento agli artt. 8, numero 29), 9, numeri 2),
4)  e  5) dello statuto di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, alle
norme  di  attuazione  dello  statuto, all'art. 2 del d.P.R. 28 marzo
1975,  n. 471 ed all'art. 3 del d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, hanno
proposto   ricorsi,   ai  sensi  dell'art. 127,  primo  comma,  della
Costituzione,  contro  la  legge  14 febbraio  2003, n. 30 (Delega al
Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro).
    Le  Regioni  Toscana  e  Marche, prima ancora di censurare per il
loro  contenuto  singole  disposizioni  della  legge, hanno impugnato
questa  nel  suo insieme ed in particolare gli artt. 1, comma l, e 2,
comma 1, in quanto illegittimamente il legislatore statale si sarebbe
avvalso   dello   strumento   della  delega  per  stabilire  principi
fondamentali in materia di competenza legislativa concorrente (tutela
e sicurezza del lavoro: art. 117, terzo comma, della Costituzione).
    Con le altre censure, del cui specifico contenuto si dira' quando
saranno  analiticamente  esaminate,  le  ricorrenti si dolgono che il
legislatore  abbia  dettato  norme  non  di  principio  in materie di
competenza  concorrente  oppure  abbia  invaso  sfere  di  competenza
esclusiva  regionale - e provinciale per quanto concerne la Provincia
di Trento - in particolare disciplinando l'attivita' regolamentare in
materie  che esorbitano da quelle di esclusiva competenza legislativa
statale.
    Le  Regioni  Emilia-Romagna,  Toscana  e  Marche  e  la Provincia
autonoma  di  Trento, con altri ricorsi, hanno poi impugnato numerose
disposizioni   del  decreto  legislativo  10 settembre  2003,  n. 276
(Attuazione  delle  deleghe  in  materia di occupazione e mercato del
lavoro,  di  cui  alla  legge  14 febbraio  2003,  n. 30),  sempre in
riferimento  ai  parametri  costituzionali  suindicati (nonche' anche
agli  artt. 3,  4 e 97 della Costituzione la prima, all'art. 97 della
Costituzione  la seconda, agli artt. 3, 41 e 77 della Costituzione la
terza ed all'art. 3 della Costituzione la Provincia autonoma).
    Prima  dell'udienza,  con provvedimento del 28 settembre 2004, e'
stata  disposta  la  trattazione  separata  da  tutte  le altre delle
questioni  concernenti  le  impugnazioni avverso l'art. 8 e l'art. 1,
comma 2,  lettera d),  prima  parte,  della  legge n. 30 del 2003 per
essere  discusse  ed  esaminate  insieme  a  quelle aventi ad oggetto
disposizioni   del   decreto   legislativo   23 aprile  2004,  n. 124
(Razionalizzazione  delle funzioni ispettive in materia di previdenza
sociale  e  di  lavoro,  a  norma dell'art. 8 della legge 14 febbraio
2003, n. 30).
    2.  -  Tutti  i  ricorsi,  con  eccezione  delle questioni appena
indicate,  vanno  riuniti in quanto, avendo essi ad oggetto questioni
analoghe o connesse, ne risulta opportuna la trattazione unitaria.
    In  via  preliminare,  si  rileva  l'inammissibilita' del ricorso
della  Regione  Toscana  contro  la  legge n. 30 del 2003, perche' la
delibera della Giunta regionale n. 379 del 2003, di autorizzazione al
Presidente  a  proporre il ricorso, omette di indicare specificamente
le  disposizioni  da  impugnare  e  le ragioni della impugnativa e si
limita  ad  affermare  che  la  legge  stessa  «appare  in piu' parti
invasiva  delle  competenze  attribuite  alla Regione dagli artt. 117
e 118 della Costituzione». Infatti, e' principio piu' volte affermato
da  questa  Corte che la delibera di autorizzazione al ricorso di cui
all'art. 127   della  Costituzione  puo'  concernere  l'intera  legge
soltanto  qualora  quest'ultima  abbia  un  contenuto  omogeneo  e le
censure  siano  formulate  in  modo  tale  da  non  ingenerare  dubbi
sull'oggetto  e  le ragioni dell'impugnativa (cfr. sentenze n. 85 del
1990,  n. 261  del  1995,  n. 94  e  n. 213  del 2003 e ancor piu' di
recente, n. 359 del 2003 e n. 238 del 2004).
    Nella  specie  si  rileva,  senza  che  sia  necessario procedere
all'esame  delle  sue  singole  disposizioni,  che la legge impugnata
attiene  a  materie  diverse,  quali  i  servizi  per  l'impiego,  la
previsione  di  nuove figure di rapporti di lavoro, la disciplina dei
contratti  a  contenuto formativo ed altre ancora. Ne consegue che la
delibera  della Giunta della Regione Toscana, in quanto formulata nei
termini  generici  di  cui si e' detto, non e' idonea a sorreggere il
ricorso da essa proposto.
    Poiche'  alcune disposizioni della legge n. 30 del 2003 - art. l,
comma 2, lettera o); art. 2, comma 1, lettera a); art. 7 - sono state
impugnate  soltanto  dalla  Regione  Toscana,  l'inammissibilita' del
ricorso  da  questa  proposto  fa  si'  che le relative doglianze non
possano essere scrutinate nel merito.
    3.  -  Cio'  premesso,  devono  essere esaminate con priorita' le
censure concernenti l'uso della delegazione legislativa per stabilire
i   principi   fondamentali   nelle  materie  oggetto  di  competenza
legislativa  concorrente, censure ritualmente proposte soltanto dalla
Regione  Marche e che si appuntano, in particolare, contro il comma 1
dell'art.  l  della  legge  di delegazione n. 30 del 2003 e contro la
prima parte dell'art. 2 della stessa legge.
    Secondo  la  ricorrente,  poiche'  lo strumento della delegazione
legislativa  comporta  da  parte  del Parlamento la determinazione di
principi  e  criteri  direttivi,  una  volta  che  questi siano stati
stabiliti,  le  disposizioni  emanate  in attuazione della delega non
potrebbero  avere ad oggetto norme contenenti i principi fondamentali
della   materia   bensi'   soltanto  norme  c.d.  di  dettaglio,  con
conseguente  intromissione  nella  sfera  di  competenza  legislativa
propria della Regione. Lo strumento della delega sarebbe comunque del
tutto   incongruo   ai   fini   della   determinazione  dei  principi
fondamentali.
    La tesi non e' fondata.
    Questa  Corte ha piu' volte affermato che con il ricorso proposto
ai sensi dell'art. 127, secondo comma, della Costituzione, le Regioni
possono   addurre   soltanto   la  lesione  delle  loro  attribuzioni
legislative  da  parte  dello  Stato  e  non  anche  la violazione di
qualsiasi precetto costituzionale. Cio' non significa che i parametri
evocabili  siano  soltanto  quelli  degli  artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione,  bensi'  che  il  contrasto  con  norme  costituzionali
diverse puo' essere efficacemente addotto soltanto se esso si risolva
in  una  esclusione  o  limitazione  dei  poteri  regionali  (v.,  ex
plurimis,  sentenze  n. 503  del  2000,  n. 274  del  2003 e, piu' di
recente,  n. 4,  n. 6  e  n. 196  del 2004). E' soltanto sotto questo
profilo  -  e  cio'  concerne  anche  tutte le altre censure - che in
questa  sede la legittimita' costituzionale delle norme denunciate va
accertata, senza che possano aver rilievo denunce di illogicita' o di
violazione  di  principi  costituzionali che non ridondino in lesioni
delle sfere di competenza regionale.
    D'altra  parte,  la  nozione  di  «principio  fondamentale»,  che
costituisce  il  discrimine  nelle  materie di competenza legislativa
concorrente tra attribuzioni statali e attribuzioni regionali, non ha
e  non  puo' avere caratteri di rigidita' e di universalita', perche'
le  «materie» hanno diversi livelli di definizione che possono mutare
nel  tempo.  E'  il  legislatore  che  opera  le  scelte  che ritiene
opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi
essenziali  che  l'interprete  deve valutare nella loro obiettivita',
senza   essere   condizionato   in   modo   decisivo   da   eventuali
autoqualificazioni.  Ne  consegue  che  il rapporto tra la nozione di
principi   e   criteri   direttivi,   che  concerne  il  procedimento
legislativo  di  delega,  e  quella  di  principi  fondamentali della
materia,  che costituisce il limite oggettivo della potesta' statuale
nelle  materie  di  competenza concorrente, non puo' essere stabilito
una  volta  per  tutte.  E  cio' e' confermato da quanto puo' dedursi
dalla  sentenza  n. 359  del 1993, con la quale questa Corte affermo'
che   con   legge  delegata  potevano  essere  stabiliti  i  principi
fondamentali  di una materia, «stante la diversa natura ed il diverso
grado  di generalita' che detti principi possono assumere rispetto ai
"principi  e  criteri  direttivi"  previsti  in  tema di legislazione
delegata dall'art. 76 della Costituzione». Tali affermazioni non sono
state  smentite  dalle  sentenze  n. 303  del 2003 e n. 280 del 2004,
quest'ultima   riguardante  una  delega  avente  ad  oggetto  non  la
determinazione  bensi'  la ricognizione di principi fondamentali gia'
esistenti nell'ordinamento e quindi da esso enucleabili.
    La  lesione  delle  competenze  legislative  regionali non deriva
dall'uso, di per se', della delega, ma puo' conseguire sia dall'avere
il  legislatore  delegante formulato principi e criteri direttivi che
tali  non  sono, per concretizzarsi invece in norme di dettaglio, sia
dall'aver  il  legislatore  delegato  esorbitato  dall'oggetto  della
delega, non limitandosi a determinare i principi fondamentali.
    4. - Occorre percio' procedere all'esame delle singole questioni.
    Tuttavia,  poiche'  le  censure  dipendono  in  parte  da opzioni
interpretative di carattere generale adottate dalle ricorrenti, e' su
queste  che  occorre  soffermarsi  prima  di procedere allo scrutinio
analitico delle norme impugnate.
    Il comma 1 dell'art. 1 della legge delega e' cosi' formulato:
    «Allo  scopo  di  realizzare  un  sistema  efficace e coerente di
strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza al mercato del
lavoro  e  a  migliorare le capacita' d'inserimento professionale dei
disoccupati  e  di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con
particolare  riguardo alle donne e ai giovani, il Governo e' delegato
ad  adottare,  su  proposta del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali,  sentito  il  Ministro  per le pari opportunita' ed entro il
termine  di  un  anno  dalla data di entrata in vigore della presente
legge,  uno  o  piu'  decreti  legislativi  diretti  a stabilire, nel
rispetto  delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela
e  sicurezza  del  lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3,   e   degli   obiettivi  indicati  dagli  orientamenti  annuali
dell'Unione   europea   in   materia  di  occupabilita',  i  principi
fondamentali  in materia di disciplina dei servizi per l'impiego, con
particolare  riferimento  al  sistema  del  collocamento,  pubblico e
privato, e di somministrazione di manodopera».
    Il  comma 2  dello stesso articolo contiene la determinazione dei
principi  e  criteri  direttivi indicati sotto le lettere da a) a q),
alcune  delle quali suddivise in numeri. L'art. 2 e' costituito da un
unico  comma,  indicato  con  il  numero 1, la cui prima parte e' del
seguente tenore: «Il Governo e' delegato ad adottare, su proposta del
Ministro  del  lavoro  e delle politiche sociali, sentito il Ministro
per le pari opportunita', di concerto con il Ministro per la funzione
pubblica,  con  il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della
ricerca scientifica e con il Ministro per gli affari regionali, entro
il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge,  uno  o  piu'  decreti  legislativi  diretti  a stabilire, nel
rispetto  delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela
e  sicurezza  del  lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3,   e   degli   obiettivi  indicati  dagli  orientamenti  annuali
dell'Unione  europea  in  materia  di  occupazione, la revisione e la
razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nel
rispetto   dei   seguenti   principi   e  criteri  direttivi».  Segue
l'enunciazione di questi, indicati sotto le lettere da a) ad i).
    Le  due  norme  citate  comportano alcune puntualizzazioni da cui
ricavare criteri per la risoluzione delle diverse questioni.
    Dall'analisi  del  comma 1  dell'art. 1  si  ricava che la delega
concerne  i servizi per l'impiego ed in particolare il collocamento e
la  somministrazione di mano d'opera, che il legislatore ritiene tale
materia rientrante nella tutela e sicurezza del lavoro, prevista come
oggetto di competenza concorrente e che, di conseguenza, nel rispetto
delle   attribuzioni   regionali,   la   delega   e'   limitata  alla
determinazione dei principi fondamentali.
    La  norma di per se' considerata non puo' dar luogo a censure o a
specificazioni   interpretative   se   non  per  quanto  riguarda  la
somministrazione  di  lavoro,  locuzione, questa, nella quale rientra
non  soltanto  la disciplina dei soggetti ad essa abilitati, ma anche
quella    dei    rapporti    intersoggettivi    che   nascono   dalla
somministrazione;  discipline,  quindi,  che vanno tenute distinte ai
fini della loro riconduzione ai parametri costituzionali.
    Ora,  quale  che sia il completo contenuto che debba riconoscersi
alla  materia  «tutela  e sicurezza del lavoro», non si dubita che in
essa  rientri  la  disciplina  dei servizi per l'impiego ed in specie
quella  del  collocamento.  Lo scrutinio delle norme impugnate dovra'
quindi essere condotto applicando il criterio secondo cui spetta allo
Stato  la  determinazione  dei  principi fondamentali ed alle Regioni
l'emanazione  delle  altre  norme  comunemente definite di dettaglio;
occorre  pero'  aggiungere  che,  essendo  i  servizi  per  l'impiego
predisposti alla soddisfazione del diritto sociale al lavoro, possono
verificarsi  i  presupposti per l'esercizio della potesta' statale di
determinazione  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni  di  cui
all'art. 117,  secondo  comma,  lettera m),  della Costituzione, come
pure  che  la  disciplina  dei soggetti comunque abilitati a svolgere
opera di intermediazione puo' esigere interventi normativi rientranti
nei  poteri  dello  Stato  per la tutela della concorrenza (art. 117,
secondo comma, lettera e, della Costituzione).
    5.  -  Considerazioni  parzialmente  diverse vanno fatte riguardo
alla sopracitata prima parte dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003.
    In  questo  caso  la  delega,  che  concerne  la  revisione  e la
razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, non
e'  limitata alla determinazione dei principi fondamentali e tuttavia
il   legislatore  delegante  impone  al  Governo  il  rispetto  delle
competenze affidate alle Regioni in materia di tutela e sicurezza del
lavoro.
    La  circostanza  che,  in  questo  caso, il legislatore non abbia
limitato  la  delega alla determinazione dei principi fondamentali si
puo'  spiegare  con il rilievo che i contratti a contenuto formativo,
tradizionalmente   definiti  a  causa  mista,  rientrano  pur  sempre
nell'ampia  categoria  dei  contratti di lavoro, la cui disciplina fa
parte  dell'ordinamento  civile  e  spetta  alla competenza esclusiva
dello Stato (v. la sentenza n. 359 del 2003).
    Questioni di legittimita' costituzionale possono quindi anzitutto
insorgere  per  le  interferenze  tra  norme rientranti in materie di
competenza  esclusiva,  spettanti  alcune  allo  Stato ed altre, come
l'istruzione  e  formazione  professionale,  alle  Regioni.  In  tali
ipotesi   puo'  parlarsi  di  concorrenza  di  competenze  e  non  di
competenza  ripartita  o concorrente. Per la composizione di siffatte
interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed
e'  quindi necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale
collaborazione,  che per la sua elasticita' consente di aver riguardo
alle  peculiarita'  delle  singole  situazioni, ma anche quello della
prevalenza,  cui  pure  questa  Corte  ha  fatto ricorso (v. sentenza
n. 370  del  2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo
essenziale  di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad
altre.
    La  prima  parte  dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003, come il
comma 1   dell'art.   l,   non   presenta   di  per  se'  profili  di
illegittimita' costituzionale.
    6.  -  Allo scrutinio delle questioni riguardanti le disposizioni
del comma 2 dell'art. 1 e della seconda parte del comma 1 dell'art. 2
della  legge  n. 30 del 2003 e' opportuno far precedere l'esame delle
questioni  aventi  ad  oggetto gli artt. 3 e 5 della stessa legge, al
quale  si riconnette l'enunciazione di principi applicabili anche per
la risoluzione delle prime.
    Infondate  sono  le  censure  mosse  dalla  sola  Regione  Marche
all'art. 3  della  legge n. 30 che ha ad oggetto la delega al Governo
ad  adottare  uno  o  piu'  decreti  legislativi  recanti  norme  per
promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale, quale
tipologia  contrattuale  idonea  a favorire l'incremento del tasso di
occupazione  e,  in  particolare,  del  tasso di partecipazione delle
donne,   dei   giovani   e  dei  lavoratori  con  eta'  superiore  ai
cinquantacinque  anni  al  mercato  del  lavoro,  secondo  principi e
criteri direttivi, raggruppati sotto le lettere da a) a g), dei quali
solo  quelli  delle  prime  tre  sono stati censurati. Essi prevedono
l'agevolazione  del  ricorso  a  prestazioni  di lavoro supplementare
nelle  ipotesi  di  lavoro  a  tempo  parziale cosiddetto orizzontale
(lettera a),  l'agevolazione  di  forme  flessibili  ed  elastiche di
lavoro  a  tempo  parziale  cosiddetto verticale e misto (lettera b),
l'estensione delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a
tempo parziale a tempo determinato (lettera c).
    La  Regione  impugnante  svolge  le  sue  critiche alle norme sul
presupposto  che esse rientrino nella materia «tutela e sicurezza del
lavoro» e che, quindi, per quanto concerne la competenza legislativa,
soggiacciano   al   criterio   dell'attribuzione   allo  Stato  della
competenza  a  determinare  i principi fondamentali e della spettanza
alle Regioni di tutto cio' che non rientri tra questi.
    Tale ottica non puo' essere condivisa.
    La  disciplina intersoggettiva di qualsiasi rapporto di lavoro, e
quindi  anche  di  quello  a tempo parziale, come gia' detto, rientra
nella  materia  «ordinamento  civile»,  di competenza esclusiva dello
Stato.  Non  ha  rilievo  che  la normativa sia ispirata a criteri di
flessibilita'  ed  elasticita'  in  modo  tale  che, adattandosi alle
diverse  singole situazioni, ed in particolare a quelle delle persone
che  appaiono piu' svantaggiate (giovani, donne, disoccupati da lungo
tempo,  disabili etc.), possa essere favorita l'occupazione. Infatti,
l'incremento  del  tasso  di  occupazione  e'  una finalita' che puo'
essere perseguita con misure che incidono su diverse materie: servizi
per  l'impiego,  disciplina civilistica intersoggettiva del rapporto,
previdenziale,    tributaria    e   quante   altre   il   legislatore
nell'esercizio  della  sua  discrezionalita', a seconda dei contesti,
possa ritenere piu' appropriate al raggiungimento dello scopo.
    Non  ha  quindi  alcun  rilievo,  ai fini che qui interessano, la
circostanza  che  il  legislatore espressamente consideri il lavoro a
tempo  parziale  «quale  tipologia  contrattuale idonea a favorire il
tasso di occupazione».
    7.  -  Non  fondate  sono  anche  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 5 della suindicata legge il quale, «al fine
di  ridurre  il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti
di  lavoro»,  attribuisce al Governo la delega «ad adottare ... uno o
piu'   decreti   legislativi   recanti  disposizioni  in  materia  di
certificazione  del  relativo  contratto  stipulato tra le parti, nel
rispetto  dei  ...  principi  e  criteri direttivi» indicati sotto le
lettere  da  a)  ad  i) e dei quali sono impugnati dalla sola Regione
Basilicata i criteri indicati sotto le lettere e) ed f).
    La prima delle disposizioni impugnate stabilisce come principio e
criterio direttivo l'«attribuzione di piena forza legale al contratto
certificato  ai  sensi  della  procedura  di cui alla lettera d), con
esclusione  della possibilita' del ricorso in giudizio se non in caso
di   erronea   qualificazione   del   programma  negoziale  da  parte
dell'organo  preposto  alla  certificazione  e  di difformita' tra il
programma  negoziale  effettivamente  realizzato  dalle  parti  e  il
programma    negoziale    concordato   dalle   parti   in   sede   di
certificazione».
    La  disposizione sub lettera f) introduce come principi e criteri
direttivi:  la  «previsione di espletare il tentativo obbligatorio di
conciliazione  previsto  dall'art. 410 del codice di procedura civile
innanzi  all'organo  preposto  alla  certificazione quando si intenda
impugnare  l'erronea qualificazione dello stesso o la difformita' tra
il  programma  negoziale  certificato e la sua successiva attuazione,
prevedendo  che  gli  effetti  dell'accertamento  svolto  dall'organo
preposto  alla certificazione permangano fino al momento in cui venga
provata   l'erronea  qualificazione  del  programma  negoziale  o  la
difformita' tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede
di  certificazione  e  il  programma  attuato. In caso del ricorso in
giudizio, introduzione dell'obbligo in capo all'autorita' giudiziaria
competente  di  accertare  anche  le dichiarazioni e il comportamento
tenuto  dalle  parti  davanti all'organo preposto alla certificazione
del contratto di lavoro».
    La  Regione  Basilicata  sostiene  che  le disposizioni censurate
contengano  norme  di  dettaglio in materia di competenza legislativa
concorrente  e  che,  se  interpretate  nel  senso  di restringere la
proponibilita' di azioni giudiziarie, contrastino con l'art. 24 della
Costituzione.
    Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
    Quanto  all'inammissibilita'  va  osservato  che,  secondo quanto
premesso  sub  punto 3, il parametro da ultimo citato non riguarda la
sfera  di  attribuzioni  della  ricorrente:  nessuna  competenza  e',
infatti, attribuita alle Regioni per la tutela del diritto di difesa.
    Per  quel  che  riguarda  l'infondatezza,  va  precisato  che  le
suindicate  disposizioni, nella parte in cui tendono ad attribuire un
particolare  valore  probatorio  al  contratto certificato, attengono
all'ordinamento   civile   e,   in   quanto  dirette  a  condizionare
l'esercizio  in giudizio dei diritti nascenti dal contratto di lavoro
e  la  stessa  attivita'  dei  giudici,  attengono anche alla materia
«giurisdizione   e  norme  processuali»  e  sono  quindi  estranee  a
qualsiasi competenza legislativa regionale.
    8.  - Si deve ora procedere allo scrutinio delle questioni aventi
ad  oggetto  le  disposizioni dell'art. l, comma 2, della legge n. 30
del  2003,  le  quali  determinano i principi e criteri direttivi cui
avrebbe  dovuto  attenersi il legislatore delegato, e congiuntamente,
ove  cio'  sia  possibile,  di quelle concernenti le norme del d.lgs.
n. 276  del  2003  che  ne  costituiscano  l'attuazione,  destinate a
determinare i principi fondamentali.
    La  questione  relativa  alla disposizione di cui alla lettera a)
del  menzionato  art. 1, comma 2, sollevata dalla sola Regione Marche
con   riferimento   agli   articoli 76  e  117,  terzo  comma,  della
Costituzione,  non  e'  fondata.  La  prescrizione  di «snellimento e
semplificazione delle procedure di incontro tra domanda ed offerta di
lavoro»  e'  sufficientemente  specifica per soddisfare l'esigenza di
determinatezza  che  un  criterio  direttivo  deve  possedere per non
essere in contrasto con l'art. 76 della Costituzione e, nel contempo,
non fissa norme di dettaglio.
    Le  disposizioni  sub  lettera b),  rette,  come tutte quelle del
comma 2  in  esame,  dalla  prescrizione  secondo  cui  la  delega e'
esercitata  «nel  rispetto  dei  principi  e  criteri  direttivi  che
seguono»,  sono cosi' formulate: «modernizzazione e razionalizzazione
del   sistema   del   collocamento  pubblico,  al  fine  di  renderlo
maggiormente   efficiente   e  competitivo,  secondo  una  disciplina
incentrata su:
        1) rispetto    delle    competenze   previste   dalla   legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3,  con particolare riferimento
alle  competenze  riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle
province autonome di Trento e di Bolzano;
        2)  sostegno e sviluppo dell'attivita' lavorativa femminile e
giovanile, nonche' sostegno al reinserimento dei lavoratori anziani;
        3)  abrogazione  di tutte le norme incompatibili con la nuova
regolamentazione  del  collocamento,  ivi inclusa  la legge 29 aprile
1949,   n. 264,   fermo   restando  il  regime  di  autorizzazione  o
accreditamento  per gli operatori privati ai sensi di quanto disposto
dalla  lettera l)  e stabilendo, in materia di collocamento pubblico,
un   nuovo   apparato   sanzionatorio,  con  previsione  di  sanzioni
amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge;
        4)  mantenimento  da  parte  dello  Stato delle competenze in
materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo
lavoro».
    Le  questioni  aventi  ad  oggetto  la prima parte della indicata
lettera b)  e le disposizioni di cui ai numeri 1 e 2, impugnate dalla
sola  Regione  Marche,  non  sono  fondate.  Mentre  il primo periodo
contiene  l'indicazione  di  principi  generali  e  delle  finalita',
nessuna  lesione  puo'  derivare  alla Regione dalla disposizione che
impone  il  rispetto delle competenze previste dalla Costituzione, ed
in  particolare  di  quelle  delle Regioni a statuto speciale e delle
Province  autonome (numero 1), e da quella di principio che impone il
sostegno   e   lo  sviluppo  dell'attivita'  lavorativa  femminile  e
giovanile  ed  il  sostegno  al  reinserimento dei lavoratori anziani
(numero 2).
    Il  numero  3,  anch'esso  impugnato  dalla  sola Regione Marche,
contiene   diversi   principi  e  criteri  direttivi:  la  previsione
dell'abrogazione di tutte le norme che risulteranno incompatibili con
la  nuova  regolamentazione  del  collocamento,  ivi inclusa la legge
29 aprile 1949, n. 264; la conservazione del regime di autorizzazione
o  accreditamento  per  gli  operatori  privati,  ai  sensi di quanto
disposto  dalla lettera l); la previsione, in materia di collocamento
pubblico,  di  un  nuovo  apparato sanzionatorio, contenente sanzioni
amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge.
    Neppure le censure rivolte a siffatte disposizioni sono fondate.
    L'inclusione,  tra  i  principi direttivi, dell'abrogazione delle
norme  incompatibili  e'  soltanto  l'esplicitazione  di un principio
generale gia' esistente nell'ordinamento.
    La     conservazione    del    regime    dell'autorizzazione    e
dell'accreditamento,  ai  sensi  di quanto disposto dalla lettera l),
costituisce  un  mero rinvio a tale disposizione, oggetto di autonome
censure che saranno esaminate in prosieguo.
    Infine,   poiche'   la  competenza  a  disciplinare  un  apparato
sanzionatorio  va attribuita secondo le norme che regolano la materia
cui   le   sanzioni  si  riferiscono,  trattandosi  nella  specie  di
competenza  concorrente  (tutela  e sicurezza del lavoro), allo Stato
compete  determinare  i  principi fondamentali e tra questi ultimi va
inclusa  la  prescrizione  che  il  nuovo  apparato  dovra' contenere
sanzioni amministrative.
    La  disposizione di cui al numero 4, che include tra i principi e
criteri   direttivi  il  mantenimento  da  parte  dello  Stato  delle
competenze  in  materia  di  conduzione  coordinata  ed integrata del
sistema  informativo  lavoro,  e' stata impugnata anche dalle Regioni
Emilia-Romagna  e  Basilicata, per contrasto non solo con l'art. 117,
terzo  comma,  della  Costituzione,  ma  anche  con  l'art. 118 della
Costituzione e con il principio di sussidiarieta'.
    La censura non e' fondata.
    La   disposizione,  che  non  comporta  alcuna  estensione  delle
funzioni   gia'   svolte   dallo  Stato,  riguarda  il  coordinamento
informativo  statistico  e  informatico dei dati dell'amministrazione
statale,  regionale  e  locale,  previsto  come materia di competenza
esclusiva dello Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera r), della
Costituzione.   La   conduzione   diretta   del  sistema  informativo
statistico  ed  informatico - dato che questo non puo' non riguardare
l'intero  territorio nazionale - costituisce il mezzo idoneo a che il
sistema stesso risulti complessivamente coordinato.
    La  norma,  peraltro,  non  esclude  la facolta' delle Regioni di
disciplinare  la  predisposizione  in  sede  regionale  di sistemi di
raccolta  dati  e deve essere valutata insieme con quelle del decreto
delegato concernenti il sistema suindicato.
    Infatti,  le  disposizioni del Capo III (Borsa continua nazionale
del  lavoro e monitoraggio statistico), di cui agli artt. 15, 16 e 17
del  d.lgs.  n. 276 del 2003, contengono norme dalle quali risulta il
coinvolgimento  delle  Regioni  nella gestione della rete informativa
idonea al funzionamento della borsa continua del lavoro.
    In  particolare  l'art. 15,  comma 1,  stabilisce che «a garanzia
dell'effettivo  godimento  del  diritto  al  lavoro di cui all'art. 4
della   Costituzione,   e  nel  pieno  rispetto  dell'art. 120  della
Costituzione stessa, viene costituita la borsa continua nazionale del
lavoro,  quale sistema aperto e trasparente di incontro tra domanda e
offerta  di  lavoro  basato  su  una  rete  di nodi regionali». Ed il
comma 5  dello stesso articolo prescrive che «il coordinamento tra il
livello   nazionale  ed  il  livello  regionale  deve  in  ogni  caso
garantire, nel rispetto degli articoli 4 e 120 della Costituzione, la
piena  operativita'  della  borsa  continua  nazionale  del lavoro in
ambito  nazionale e comunitario. A tal fine il Ministero del lavoro e
delle  politiche  sociali rende disponibile l'offerta degli strumenti
tecnici  alle  regioni  e  alle  province  autonome  che  ne facciano
richiesta nell'ambito dell'esercizio delle loro competenze».
    Inoltre, ed e' cio' che piu' conta, l'art. 16 prevede:
    «1.  -  Il  Ministro  del  lavoro  e delle politiche sociali, con
decreto  da  adottare  entro  trenta  giorni dalla data di entrata in
vigore  del presente decreto legislativo, stabilisce, di concerto con
il  Ministro  della innovazione e della tecnologia, e d'intesa con le
regioni  e  le  province  autonome,  gli  standard tecnici e i flussi
informativi  di  scambio  tra  i  sistemi,  nonche'  le sedi tecniche
finalizzate  ad assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema
a livello nazionale.
    2.   -  La  definizione  degli  standard  tecnici  e  dei  flussi
informativi  di  scambio  tra  i  sistemi  avviene nel rispetto delle
competenze   definite   nell'Accordo  Stato-regioni-autonomie  locali
dell'11 luglio 2002 e delle disposizioni di cui all'art. 31, comma 2,
della legge 31 dicembre 1996, n. 675».
    Infine,   il  comma 5  dell'art. 17  stabilisce  che  «in  attesa
dell'entrata  a  regime  della borsa continua nazionale del lavoro il
Ministero  del  lavoro e delle politiche sociali predispone, d'intesa
con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo
28 agosto  1997,  n. 281,  uno  o  piu'  modelli  di  rilevazione  da
somministrare  alle  agenzie  autorizzate o accreditate, nonche' agli
enti di cui all'art. 6. La mancata risposta al questionario di cui al
comma precedente e' valutata ai fini del ritiro dell'autorizzazione o
accreditamento».
    Le   norme   del   decreto  legislativo  comportano,  quindi,  il
coinvolgimento  delle Regioni nella disciplina e gestione del sistema
informatico.
    9.  -  Le  Regioni  Marche,  Emilia-Romagna  e  Basilicata  e  la
Provincia   autonoma   di  Trento  hanno  impugnato  la  disposizione
dell'art. 1,    comma 2,   lettera c),   la   quale   stabilisce   il
«mantenimento  da  parte  dello  Stato  delle funzioni amministrative
relative  alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali
e  plurime, nonche' alla risoluzione delle controversie collettive di
rilevanza pluriregionale».
    Secondo  le  ricorrenti,  la  norma  comporta l'attribuzione allo
Stato  della  competenza per l'intera disciplina laddove, concernendo
essa  una  materia  di  competenza  concorrente,  allo Stato dovrebbe
spettare  solo  la  determinazione  dei  principi  fondamentali,  con
esclusione  delle funzioni amministrative; sarebbe inoltre violato il
principio di sussidiarieta'.
    La  disposizione  appare  estranea  alla  ratio  della delega non
soltanto  per  la  materia,  ma  anche  per il suo autonomo contenuto
precettivo,  come  puo'  dedursi pure dalla constatazione che nessuna
norma e' stata emessa sul punto con il decreto legislativo.
    Le   censure  non  sono  fondate  perche'  -  come  si  e'  detto
scrutinando le questioni aventi ad oggetto l'art. 5 della legge n. 30
-  non e' condivisibile la premessa dalla quale esse muovono. Infatti
la conciliazione delle controversie di lavoro, rispetto alla quale le
funzioni  amministrative  sono  strettamente strumentali, non rientra
nella  materia  della tutela e sicurezza del lavoro, bensi' in quella
dell'ordinamento   civile,   in  quanto  concernente  la  definizione
transattiva   delle   controversie   stesse,   ed   in  quella  della
giurisdizione e norme processuali per l'incidenza che la previsione e
la  regolamentazione del tentativo di componimento bonario delle liti
possono avere sullo svolgimento del processo.
    Per  quanto  riguarda  l'impugnazione  della Provincia di Trento,
l'inammissibilita'  della  censura si fonda sul semplice rilievo che,
prescrivendo  il  mantenimento  delle funzioni svolte dallo Stato, la
norma non puo' incidere su quelle gia' esercitate dalla ricorrente ai
sensi del proprio statuto.
    10.  -  La  disposizione  di  cui  alla  lettera d)  dell'art. 1,
comma 2,  e'  stata impugnata da tutte le ricorrenti, ma le questioni
aventi ad oggetto la prima parte, la quale prescrive il «mantenimento
da  parte  dello  Stato  delle  funzioni amministrative relative alla
vigilanza  in  materia  di  lavoro»,  sono state stralciate insieme a
quelle riguardanti l'art. 8 di cui si e' detto.
    La  seconda  parte,  da  scrutinare, prescrive il mantenimento da
parte  dello  Stato  delle  funzioni  amministrative  relative  «alla
gestione  dei  flussi  di  entrata  dei  lavoratori  non appartenenti
all'Unione  europea  e  all'autorizzazione  per  attivita' lavorative
all'estero».
    Da  tutte  le  ricorrenti  la  norma  e'  impugnata, al di la' di
profili   non  essenziali  delle  censure,  sostanzialmente  perche',
attenendo   i   suindicati   flussi   di   entrata   dei   lavoratori
extracomunitari  alla  domanda di lavoro sul territorio regionale, la
competenza non puo' spettare esclusivamente allo Stato.
    Ora,   a   prescindere   dal  rilievo  che  la  disposizione  non
attribuisce   allo   Stato   alcuna   nuova  competenza,  la  materia
«immigrazione»   appartiene   alla  potesta'  esclusiva  dello  Stato
(art. 117,  secondo comma, lettera b, della Costituzione). La censura
e'  per  tale  parte  infondata,  mentre  generica  e' la denuncia di
contrasto  con  l'art. 118  della Costituzione, sicche' la censura e'
sotto questo profilo inammissibile.
    11.  -  La  sola  Regione  Marche  ha  ritualmente  impugnato  la
disposizione  dell'art. 1,  comma 2, lettera e), la quale stabilisce,
come principio e criterio direttivo da seguire nella nuova disciplina
del  collocamento,  il  «mantenimento  da  parte delle province delle
funzioni   amministrative,   attribuite   dal   decreto   legislativo
23 dicembre 1997, n. 469».
    La  ricorrente denuncia la violazione dell'art. 117, sesto comma,
della  Costituzione  in  quanto  non spetta allo Stato l'attribuzione
delle   funzioni   amministrative   nelle   materie   di   competenza
concorrente.
    La  censura  non  e'  fondata  ai  sensi delle considerazioni che
seguono.
    L'allocazione  delle  funzioni amministrative nelle materie, come
quella  di  cui  si  tratta  (tutela  e  sicurezza  del  lavoro),  di
competenza  concorrente,  non  spetta,  in  linea  di principio, allo
Stato.
    Tuttavia,  come questa Corte ha gia' affermato (v. sentenza n. 13
del 2004), vi sono funzioni e servizi pubblici che non possono subire
interruzioni  se  non  a costo di incidere su diritti che non possono
essere  sacrificati.  Tali  rilievi  comportano che le funzioni delle
Province  continueranno  a  svolgersi secondo le disposizioni vigenti
fin  quando  le  Regioni  non  le  avranno sostituite con una propria
disciplina.
    La   norma   va   intesa,  quindi,  nel  senso  che  le  funzioni
amministrative  sono mantenute in capo alle Province senza precludere
la  possibilita'  di diverse discipline da parte delle Regioni. Cosi'
interpretata la norma non lede la sfera di attribuzioni regionali.
    L'art. 3,  comma 2,  prima  parte,  del  d.lgs.  n. 276 del 2003,
impugnato  dalle Regioni Marche e Toscana, contiene una norma analoga
a quella di cui all'art. 1, comma 2, lettera e), della legge delega e
lo scrutinio relativo conduce, quindi, alle medesime conclusioni.
    12.  -  La  disposizione  di cui all'art. 1, comma 2, lettera f),
della   legge  delega  fissa  come  principio  e  criterio  direttivo
l'«incentivazione   delle  forme  di  coordinamento  e  raccordo  tra
operatori  privati  e  operatori  pubblici,  ai  fini  di un migliore
funzionamento  del  mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze
delle  regioni e delle province». Le censure contro tale norma devono
essere  esaminate  congiuntamente a quelle contro le disposizioni sub
lettere l) e m) dello stesso art. 1, comma 2, lettera f), della legge
di  delegazione  nonche'  a quelle contro gli artt. 3, comma 2; 4; 6;
12,  commi 3 e 5; 13, commi 1 e 6; 14, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 276
del  2003,  per  la  connessione  che esiste tra le norme impugnate e
quindi tra le questioni di cui sono oggetto.
    La  disposizione  sub  art. 1,  comma 2,  lettera l), della legge
delega, impugnata ritualmente dalle Regioni Marche ed Emilia-Romagna,
e'   cosi'   formulata:   «identificazione   di   un   unico   regime
autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con
particolare  riferimento  agli  enti  locali,  e privati, che abbiano
adeguati  requisiti giuridici e finanziari, differenziato in funzione
del   tipo   di   attivita'  svolta,  comprensivo  delle  ipotesi  di
trasferimento  della  autorizzazione  e  modulato  in  relazione alla
natura giuridica dell'intermediario, con particolare riferimento alle
associazioni  non  riconosciute  ovvero a enti o organismi bilaterali
costituiti  da  associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di
lavoro  comparativamente  piu'  rappresentative a livello nazionale o
territoriale,  ai  consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio
1979,  n. 12,  nonche'  alle  universita'  e  agli istituti di scuola
secondaria  di  secondo grado, prevedendo, altresi', che non vi siano
oneri  o  spese  a carico dei lavoratori, fatto salvo quanto previsto
dall'art. 7  della Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del
Lavoro  (OIL)  del  19 giugno 1997, n. 181, ratificata dall'Italia in
data 1° febbraio 2000».
    Le  disposizioni  di  cui  alla  lettera m) dell'art. 1, comma 2,
della legge n. 30 del 2003, impugnate dalla sola Regione Marche, sono
le seguenti: «abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e sua
sostituzione  con  una  nuova  disciplina basata sui seguenti criteri
direttivi:
        1)  autorizzazione della somministrazione di manodopera, solo
da parte dei soggetti identificati ai sensi della lettera l);
        2) ammissibilita' della somministrazione di manodopera, anche
a  tempo  indeterminato, in presenza di ragioni di carattere tecnico,
produttivo  od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti
collettivi  nazionali  o  territoriali  stipulati da associazioni dei
datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative;
        3)  chiarificazione  dei criteri di distinzione tra appalto e
interposizione,  ridefinendo  contestualmente  i  casi  di  comando e
distacco,  nonche'  di  interposizione  illecita  laddove  manchi una
ragione  tecnica,  organizzativa  o  produttiva ovvero si verifichi o
possa  verificarsi  la  lesione di diritti inderogabili di legge o di
contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro;
        4)  garanzia  del  regime  di  solidarieta'  tra  fornitore e
utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui;
        5)    trattamento    assicurato   ai   lavoratori   coinvolti
nell'attivita'  di  somministrazione  di  manodopera  non inferiore a
quello  cui  hanno  diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa
utilizzatrice;
        6)   conferma   del   regime   sanzionatorio   civilistico  e
penalistico  previsto per i casi di violazione della disciplina della
mediazione  privata  nei  rapporti  di  lavoro,  prevedendo  altresi'
specifiche  sanzioni  penali  per  le ipotesi di esercizio abusivo di
intermediazione privata nonche' un regime sanzionatorio piu' incisivo
nel caso di sfruttamento del lavoro minorile;
        7)   utilizzazione   del  meccanismo  certificatorio  di  cui
all'art. 5  ai  fini  della  distinzione  concreta tra interposizione
illecita  e  appalto  genuino,  sulla  base  di  indici  e  codici di
comportamento  elaborati  in  sede  amministrativa  che tengano conto
della  rigorosa  verifica  della  reale  organizzazione  dei  mezzi e
dell'assunzione   effettiva   del   rischio   di   impresa  da  parte
dell'appaltatore».
    Dell'art. 3  del  d.lgs.  n. 276 del 2003, che introduce le norme
del  Titolo II (Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro) e
reca  la  rubrica  «finalita»,  e'  stato  censurato  il comma 2, per
intero,  dalle  Regioni  Marche  e Toscana e solo le disposizioni sub
lettere a)  e  c) dalla Regione Emilia-Romagna. Il comma, nelle parti
censurate, e' del seguente tenore:
    «Ferme  restando  le  competenze  delle  regioni  in  materia  di
regolazione e organizzazione del mercato del lavoro regionale e fermo
restando  il  mantenimento  da  parte  delle  province delle funzioni
amministrative  attribuite  dal decreto legislativo 23 dicembre 1997,
n. 469,  e  successive  modificazioni ed integrazioni, per realizzare
l'obiettivo di cui al comma 1:
        a) viene identificato un unico regime di autorizzazione per i
soggetti  che  svolgono  attivita'  di  somministrazione  di  lavoro,
intermediazione,  ricerca  e  selezione  del personale, supporto alla
ricollocazione professionale;
        b) vengono  stabiliti  i principi generali per la definizione
dei  regimi  di  accreditamento  regionali degli operatori pubblici o
privati  che  forniscono  servizi  al  lavoro nell'ambito dei sistemi
territoriali  di  riferimento anche a supporto delle attivita' di cui
alla lettera a);
        c) vengono  identificate le forme di coordinamento e raccordo
tra  gli  operatori,  pubblici  o  privati,  al  fine  di un migliore
funzionamento del mercato del lavoro;
        d) vengono  stabiliti  i  principi e criteri direttivi per la
realizzazione di una borsa continua del lavoro;
        e) vengono  abrogate  tutte le disposizioni incompatibili con
la  nuova  regolamentazione del mercato del lavoro e viene introdotto
un nuovo regime sanzionatorio».
    L'art. 2,  comma 1,  lettera e),  del d.lgs. n. 276 del 2003, che
detta  la definizione di «autorizzazione» alle agenzie del lavoro, e'
impugnato   dalla   sola   Regione   Emilia-Romagna   e  la  relativa
impugnazione   e'   da   ritenere  inammissibile,  non  essendo  tale
disposizione compresa tra quelle indicate nella delibera della Giunta
regionale.
    Del  pari inammissibile e' l'impugnativa dell'art. 5 del medesimo
decreto,  proposta  dalla  sola  Provincia autonoma di Trento in modo
generico, senza alcuna esplicitazione delle relative censure.
    Gli  artt. 4  e 6 del d.lgs. n. 276 del 2003, inseriti nel Capo I
(Regime autorizzatorio e accreditamenti), sono formulati nel seguente
modo:
    Art. 4  (Agenzie  per  il  lavoro):  «1.  Presso il Ministero del
lavoro  e delle politiche sociali e' istituito un apposito albo delle
agenzie  per  il  lavoro ai fini dello svolgimento delle attivita' di
somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale,
supporto  alla  ricollocazione  professionale.  Il  predetto  albo e'
articolato in cinque sezioni:
        a) agenzie  di  somministrazione  di  lavoro  abilitate  allo
svolgimento di tutte le attivita' di cui all'art. 20;
        b) agenzie    di   somministrazione   di   lavoro   a   tempo
indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente una delle attivita'
specifiche di cui all'art. 20, comma 3, lettere da a) a h);
        c) agenzie di intermediazione;
        d) agenzie di ricerca e selezione del personale;
        e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale.
    2.  Il  Ministero  del  lavoro e delle politiche sociali rilascia
entro  sessanta  giorni  dalla  richiesta e previo accertamento della
sussistenza  dei  requisiti giuridici e finanziari di cui all'art. 5,
l'autorizzazione  provvisoria  all'esercizio  delle  attivita' per le
quali   viene   fatta   richiesta   di   autorizzazione,  provvedendo
contestualmente  alla  iscrizione  delle  agenzie  nel predetto albo.
Decorsi  due  anni,  su  richiesta  del soggetto autorizzato, entro i
novanta   giorni   successivi   rilascia   l'autorizzazione  a  tempo
indeterminato  subordinatamente  alla verifica del corretto andamento
dell'attivita' svolta.
    3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, decorsi inutilmente i termini
previsti,   la  domanda  di  autorizzazione  provvisoria  o  a  tempo
indeterminato si intende accettata.
    4.  Le  agenzie autorizzate comunicano alla autorita' concedente,
nonche'  alle  regioni  e  alle  province  autonome  competenti,  gli
spostamenti  di  sede,  l'apertura  delle  filiali  o  succursali, la
cessazione della attivita' ed hanno inoltre l'obbligo di fornire alla
autorita' concedente tutte le informazioni da questa richieste.
    5.  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto
da  emanare  entro  trenta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente   decreto   legislativo,   stabilisce   le  modalita'  della
presentazione  della richiesta di autorizzazione di cui al comma 2, i
criteri per la verifica del corretto andamento della attivita' svolta
cui   e'   subordinato  il  rilascio  della  autorizzazione  a  tempo
indeterminato,   i   criteri   e   le   modalita'   di  revoca  della
autorizzazione,    nonche'   ogni   altro   profilo   relativo   alla
organizzazione  e  alle  modalita'  di  funzionamento dell'albo delle
agenzie per il lavoro.
    6.  L'iscrizione  alla  sezione dell'albo di cui alla lettera a),
comma 1,  comporta  automaticamente  l'iscrizione  della agenzia alle
sezioni   di  cui  alle  lettere c)  d)  ed  e)  del  predetto  albo.
L'iscrizione  alla  sezione  dell'albo di cui al comma 1, lettera c),
comporta  automaticamente  l'iscrizione della agenzia alle sezioni di
cui alle lettere d) ed e) del predetto albo.
    7.  L'autorizzazione  di cui al presente articolo non puo' essere
oggetto di transazione commerciale».
    L'articolo  e'  stato  impugnato  nel suo complesso dalle Regioni
Marche e Toscana e dalla Provincia di Trento, nonche', con esclusione
del comma 7, dalla Regione Emilia-Romagna.
    L'art. 6   (Regimi   particolari   di  autorizzazione)  e'  stato
impugnato  nella  sua totalita' dalle Regioni Emilia-Romagna e Marche
nonche' nei commi da 6 a 8 dalla Regione Toscana e dalla Provincia di
Trento ed e' cosi' formulato:
    «1.   Sono   autorizzate  allo  svolgimento  della  attivita'  di
intermediazione  le  universita'  pubbliche  e  private,  comprese le
fondazioni universitarie che hanno come oggetto l'alta formazione con
specifico  riferimento  alle  problematiche del mercato del lavoro, a
condizione  che  svolgano  la  predetta  attivita' senza finalita' di
lucro  e  fermo  restando l'obbligo della interconnessione alla borsa
continua  nazionale  del lavoro, nonche' l'invio di ogni informazione
relativa  al  funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto
disposto al successivo art. 17.
    2.  Sono altresi' autorizzati allo svolgimento della attivita' di
intermediazione,  secondo  le procedure di cui all'art. 4 o di cui al
comma 6 del presente articolo, i comuni, le camere di commercio e gli
istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari, a
condizione  che  svolgano  la  predetta  attivita' senza finalita' di
lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), f) e
g)  di  cui all'art. 5, comma 1, nonche' l'invio di ogni informazione
relativa  al  funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto
disposto o1 successivo art. 17.
    3.  Sono altresi' autorizzate allo svolgimento della attivita' di
intermediazione le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori
di  lavoro comparativamente piu' rappresentative che siano firmatarie
di  contratti  collettivi  nazionali  di  lavoro,  le associazioni in
possesso  di  riconoscimento  istituzionale  di rilevanza nazionale e
aventi  come oggetto sociale la tutela e l'assistenza delle attivita'
imprenditoriali,   del   lavoro  o  delle  disabilita',  e  gli  enti
bilaterali  a condizione che siano rispettati i requisiti di cui alle
lettere c), d), e), f), g) di cui all'art. 5, comma 1.
    4.  L'ordine  nazionale  dei  consulenti del lavoro puo' chiedere
l'iscrizione  all'albo di cui all'art. 4 di una apposita fondazione o
di   altro   soggetto  giuridico  dotato  di  personalita'  giuridica
costituito  nell'ambito  del  Consiglio  nazionale dei consulenti del
lavoro  per  lo  svolgimento  a  livello  nazionale  di  attivita' di
intermediazione.   L'iscrizione   e'   subordinata  al  rispetto  dei
requisiti  di  cui alle lettere c), d), e), f), g) di cui all'art. 5,
comma l.
    5.  E'  in  ogni  caso  fatto divieto ai consulenti del lavoro di
esercitare  individualmente  o  in  altra  forma  diversa  da  quella
indicata   al  comma 3  e  agli  articoli 4  e  5,  anche  attraverso
ramificazioni a livello territoriale, l'attivita' di intermediazione.
    6.  L'autorizzazione  allo  svolgimento  delle  attivita'  di cui
all'art. 2,  comma 1,  lettere b), c), d), puo' essere concessa dalle
regioni  e  dalle  province  autonome  con  esclusivo  riferimento al
proprio  territorio  e  previo  accertamento  della  sussistenza  dei
requisiti  di  cui  agli  articoli 4  e  5,  fatta  eccezione  per il
requisito di cui all'art. 5, comma 4, lettera b).
    7.  La  regione  rilascia  entro  sessanta giorni dalla richiesta
l'autorizzazione  provvisoria all'esercizio delle attivita' di cui al
comma 6,  provvedendo contestualmente alla comunicazione al Ministero
del  lavoro  e delle politiche sociali per l'iscrizione delle agenzie
in  una  apposita  sezione  regionale  nell'albo  di  cui all'art. 4,
comma 1.  Decorsi  due  anni,  su richiesta del soggetto autorizzato,
entro    i   sessanta   giorni   successivi   la   regione   rilascia
l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica
del corretto andamento dell'attivita' svolta.
    8.  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto
da  emanare  entro  trenta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente  decreto  legislativo, stabilisce d'intesa con la Conferenza
unificata   le  modalita'  di  costituzione  della  apposita  sezione
regionale  dell'albo di cui all'art. 4, comma 1, e delle procedure ad
essa connesse».
    Su  parte  delle  norme  del decreto legislativo ora riportate ha
inciso  il  decreto  legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 (Disposizioni
correttive  del  decreto  legislativo  10 settembre  2003, n. 276, in
materia  di  occupazione  e  mercato del lavoro). In particolare, per
quanto  concerne  le  disposizioni  suindicate,  l'art. 2 del decreto
correttivo  ha apportato le modifiche che si espongono. Il comma 1 ha
sostituito  il comma 2 dell'art. 6 del d.lgs. n. 276 con il seguente:
«Sono  altresi'  autorizzati  allo  svolgimento  della  attivita'  di
intermediazione,  secondo  le  procedure  di cui al comma 6, i comuni
singoli  o  associati  nelle  forme  delle  unioni  di comuni e delle
comunita'  montane,  le  camere di commercio e gli istituti di scuola
secondaria  di  secondo  grado,  statali  e paritari a condizione che
svolgano  la  predetta attivita' senza finalita' di lucro e che siano
rispettati  i  requisiti di cui alle lettere c), f) e g) del comma 1,
dell'art. 5,   nonche'  l'invio  di  ogni  informazione  relativa  al
funzionamento  del  mercato  del  lavoro  ai sensi di quanto disposto
dall'art. 17».
    Il  comma 2  ha  sostituito il comma 8 dello stesso art. 6 con il
seguente:  «Le procedure di autorizzazione di cui ai commi 6 e 7 sono
disciplinate  dalle regioni nel rispetto dei livelli essenziali delle
prestazioni  e  dei  principi  fondamentali desumibili in materia dal
presente  decreto.  In  attesa  delle normative regionali, i soggetti
autorizzati  ai  sensi  della  disciplina previgente allo svolgimento
della  attivita'  di  intermediazione,  nonche'  i soggetti di cui al
comma 3,  che  non  intendono  richiedere  l'autorizzazione a livello
nazionale  possono continuare a svolgere, in via provvisoria e previa
comunicazione  al  Ministero  del  lavoro  e  delle politiche sociali
dell'ambito  regionale,  le  attivita'  oggetto di autorizzazione con
esclusivo riferimento ad una singola regione. Il Ministero del lavoro
e  delle  politiche  sociali  provvede  alla  iscrizione dei predetti
soggetti, in via provvisoria e previa verifica che l'attivita' si sia
svolta  nel rispetto della normativa all'epoca vigente, nella sezione
regionale dell'albo di cui all'art. 4, comma 1».
    Infine  il  comma 3  dell'art. 2  del  decreto n. 251 del 2004 ha
aggiunto,  dopo  il  comma 8,  il  seguente  comma 8-bis: «I soggetti
autorizzati  ai  sensi del presente articolo non possono in ogni caso
svolgere  l'attivita' di intermediazione nella forma del consorzio. I
soggetti  autorizzati da una singola regione, ai sensi dei commi 6, 7
e 8, non possono operare a favore di imprese con sede legale in altre
regioni».
    Alle disposizioni della legge delega di cui alle lettere l) ed m)
sopra  riportate si ricollegano quelle degli articoli 12, 13 e 14 del
d.lgs.  n. 276 del 2003, che sono state in parte impugnate dalla sola
Regione Emilia-Romagna.
    La  ricorrente,  pur avendo incluso nell'epigrafe del ricorso tra
le  disposizioni  cui  l'atto  si  riferisce  tutti  i commi da 1 a 5
dell'art. 12,  ha  poi  limitato  le  censure  ai  commi 3  e  5, per
violazione   degli  articoli 117  e  118  della  Costituzione  e  del
principio di leale collaborazione, dolendosi che, pur essendo i fondi
previsti dagli articoli l e 2 destinati in parte a misure di sostegno
dell'occupazione  e  della formazione, entrambe materie di competenza
regionale,  le Regioni non siano state coinvolte nella loro gestione.
I commi impugnati sono cosi' formulati:
    «3. Gli interventi e le misure di cui ai commi 1 e 2 sono attuati
nel  quadro di politiche stabilite nel contratto collettivo nazionale
delle  imprese  di  somministrazione  di  lavoro ovvero, in mancanza,
stabilite  con  decreto  del  Ministro  del  lavoro e delle politiche
sociali,   sentite  le  associazioni  dei  datori  di  lavoro  e  dei
prestatori   di  lavoro  maggiormente  rappresentative  nel  predetto
ambito».
    «5.  I  fondi  di  cui  al  comma 4  sono  attivati  a seguito di
autorizzazione  del  Ministero  del lavoro e delle politiche sociali,
previa   verifica   della   congruita',   rispetto   alle   finalita'
istituzionali  previste  ai  commi 1  e  2, dei criteri di gestione e
delle  strutture  di  funzionamento del fondo stesso, con particolare
riferimento  alla sostenibilita' finanziaria complessiva del sistema.
Il  Ministero  del  lavoro  e  delle  politiche  sociali  esercita la
vigilanza sulla gestione dei fondi».
    Dell'art. 13,  la  Regione  Emilia-Romagna impugna i commi 1 e 6,
del seguente tenore:
    «1.  Al  fine  di  garantire l'inserimento o il reinserimento nel
mercato  del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche
attive  e di workfare, alle agenzie autorizzate alla somministrazione
di lavoro e' consentito:
        a)    operare    in   deroga   al   regime   generale   della
somministrazione  di  lavoro,  ai  sensi del comma 2 dell'art. 23, ma
solo   in   presenza   di  un  piano  individuale  di  inserimento  o
reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei
e   il   coinvolgimento  di  un  tutore  con  adeguate  competenze  e
professionalita', e a fronte della assunzione del lavoratore da parte
delle  agenzie  autorizzate  alla  somministrazione, con contratto di
durata non inferiore a sei mesi;
        b)  determinare  altresi',  per  un periodo massimo di dodici
mesi e solo in caso di contratti di durata non inferiore a nove mesi,
il  trattamento  retributivo  del  lavoratore, detraendo dal compenso
dovuto  quanto  eventualmente  percepito  dal  lavoratore  medesimo a
titolo  di  indennita'  di  mobilita',  indennita'  di disoccupazione
ordinaria   o   speciale,  o  altra  indennita'  o  sussidio  la  cui
corresponsione   e'   collegata   allo   stato  di  disoccupazione  o
inoccupazione,  e  detraendo  dai  contributi  dovuti per l'attivita'
lavorativa   l'ammontare   dei  contributi  figurativi  nel  caso  di
trattamenti  di mobilita' e di indennita' di disoccupazione ordinaria
o speciale».
    «6.  Fino  alla  data di entrata in vigore di norme regionali che
disciplinino  la  materia,  le  disposizioni  di  cui  al  comma 1 si
applicano  solo in presenza di una convenzione tra una o piu' agenzie
autorizzate  alla  somministrazione  di  lavoro,  anche attraverso le
associazioni di rappresentanza e con l'ausilio delle agenzie tecniche
strumentali  del  Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e i
comuni, le provincie o le regioni stesse».
    Prima  di scrutinare le norme suindicate, e' necessario anzitutto
richiamare quanto gia' detto riguardo al rapportarsi della disciplina
del  collocamento,  ed  in  genere  dei  servizi  per l'impiego, agli
artt. 4  e 120 della Costituzione nonche' al limite che la competenza
regionale  puo'  incontrare  per  effetto  delle attribuzioni statali
riguardo alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale (v. sentenza n. 388 del 2004).
    Tutto  cio'  visto  nell'ottica  della  realizzazione del diritto
sociale  al  lavoro.  Ma  se  il  collocamento, ed in genere tutte le
attivita'  atte  a  favorire  l'incontro  tra  domanda  ed offerta di
lavoro, non sono piu' riservati alle strutture pubbliche, ritenendosi
dal  legislatore  che  solo l'apertura ai privati e la collaborazione
tra  questi  e le strutture pubbliche possano rendere efficienti tali
attivita',  la disciplina dei soggetti comunque abilitati a svolgerle
deve  essere  in  armonia  con  i precetti costituzionali concernenti
l'attivita'  economica.  E  sul  punto e' necessario rilevare che, se
l'originaria  disciplina  dei  privati  abilitati all'intermediazione
prevedeva  che  essi  avessero  come  oggetto  sociale  esclusivo  lo
svolgimento  di  tale  attivita' (art. 10, comma 3, d.lgs. n. 469 del
1997),   questa  esclusivita'  non  e'  piu'  richiesta,  sussistendo
soltanto, per i soggetti polifunzionali, l'obbligo di tenere distinte
divisioni   operative,   gestite   con  contabilita'  separata,  onde
consentire  una  puntuale  conoscenza  dei  dati  specifici  (art. 5,
comma 1, lettera e, d.lgs. n. 276 del 2003).
    Dall'angolo  visuale dei soggetti che la svolgono, l'attivita' di
intermediazione nella sua piu' ampia accezione puo' quindi costituire
oggetto  di  normale  attivita'  imprenditoriale ed e' soggetta anche
alle norme che tutelano la concorrenza.
    Occorre  infine osservare che l'autorizzazione di cui all'art. 1,
comma 2,   lettera l),   della   legge   delega  abilita  anche  allo
svolgimento  di tutte le attivita' di cui alla successiva lettera m),
concernenti  prevalentemente  la  somministrazione di manodopera o di
lavoro  altrui ed il regime dei rapporti che da essa nascono, nonche'
i  criteri  di  distinzione tra appalto e interposizione ed il regime
sanzionatorio  civilistico  e  penalistico  previsto  per  i  casi di
violazione  della disciplina della mediazione privata nei rapporti di
lavoro,  materie  tutte  che  rientrano in competenze esclusive dello
Stato.
    Sulla  base  di  tali  premesse  si puo' procedere allo scrutinio
delle singole questioni.
    L'art. 1,  comma 2,  lettera l),  della  legge  n. 30 del 2003 e'
impugnato ritualmente dalle Regioni Marche ed Emilia-Romagna perche',
in  una  materia  di  competenza legislativa concorrente, conterrebbe
norme   di   dettaglio.  La  Regione  Emilia-Romagna  denuncia  anche
l'ambiguita'  della  norma  per  i  dubbi interpretativi che suscita,
evocando,  oltre  agli  artt. 117 e 118 della Costituzione, anche gli
artt. 3  e  97  della  Costituzione,  perche'  prevederebbe un eguale
trattamento  per situazioni diseguali e sarebbe comunque contraria al
canone della buona amministrazione.
    Le  suindicate  censure solo in parte possono trovare ingresso ed
essere scrutinate nel merito.
    A  questa  Corte,  infatti,  non  compete  formulare  giudizi  di
opportunita'  o  risolvere  dubbi  interpretativi,  mentre  i profili
relativi  agli artt. 3 e 97 della Costituzione non concretano lesioni
della  sfera  di  competenza  regionale.  Le  censure  sono,  quindi,
inammissibili, in parte qua.
    La questione, cosi' delimitata, e' infondata.
    La  scelta  di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento
costituisce   un   criterio   direttivo   idoneo  a  dar  luogo  alla
formulazione  di  un  principio  fondamentale,  sul  quale  basare la
disciplina  della  complessa  materia.  L'opzione  di un unico regime
giuridico per chiunque voglia svolgere attivita' in senso generico di
intermediazione  e'  correlata all'esigenza che il mercato del lavoro
abbia  dimensioni  almeno  nazionali  - in questa sede non vengono in
evidenza problemi di adeguamento al diritto comunitario - esigenza la
quale  a sua volta si radica nel precetto dell'art. 120, primo comma,
della Costituzione, la cui osservanza costituisce la premessa perche'
siano  garantiti  anche  altri interessi costituzionalmente protetti,
quali   quelli   inerenti   alle   prestazioni   essenziali   per  la
realizzazione  del diritto al lavoro, da un lato, ed allo svolgimento
di  attivita'  che  possono  avere  natura  economica  in  regime  di
concorrenza, dall'altro.
    La  previsione  di  ambiti  regionali  del  mercato del lavoro e'
ausiliaria e complementare rispetto al mercato nazionale.
    Connessa alla scelta dell'unicita' del regime autorizzatorio o di
accreditamento  e'  quella  dell'albo delle agenzie per il lavoro, di
cui all'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, mentre la previsione
delle  sue  articolazioni  e'  in  funzione  della  varieta'  sia dei
soggetti  cui  puo'  essere data l'autorizzazione o l'accreditamento,
sia delle attivita' che essi possono svolgere.
    Inoltre,  poiche'  le agenzie iscritte nell'albo possono svolgere
la loro attivita' sull'intero territorio nazionale e l'autorizzazione
definitiva  viene  rilasciata  solo  dopo  la  verifica  del corretto
andamento  dell'attivita' svolta (art. 4, comma 2, d.lgs. n. 276), la
disciplina  delle  modalita'  di  rilascio  delle autorizzazioni, dei
criteri  di  verifica dell'attivita', di revoca dell'autorizzazione e
«di  ogni altro profilo relativo alla organizzazione e alle modalita'
di funzionamento dell'albo delle agenzie per il lavoro», ancorche' in
parte  si  tratti anche di disciplina di attivita' amministrative, e'
coessenziale ai principi fondamentali suindicati.
    Le  censure  contro  i restanti commi del citato art. 4, anche in
considerazione  del grado di specificita' delle ragioni addotte, sono
quindi infondate.
    Per  quanto  concerne  le  questioni relative all'art. 6, occorre
preliminarmente  rilevare  che  le  censure prospettate dalle Regioni
Marche  ed  Emilia-Romagna,  con  riferimento agli artt. 3 e 41 della
Costituzione,  sono  da ritenere inammissibili in quanto i profili di
censura  in  esse evidenziati non ridondano in lesioni della sfera di
competenza costituzionalmente garantita alle Regioni.
    Nel  merito,  invece, tenuto conto di quanto disposto dall'art. 2
del d.lgs. n. 251 del 2004, si rileva che il contenuto precettivo del
comma 2  non  e'  mutato  per  effetto  della sostituzione operata da
quest'ultimo  provvedimento  legislativo,  cosi'  come  non e' mutato
quello  del  comma 3  in conseguenza della modifica, sicche' e' sulle
norme come sostituite o modificate che occorre trasferire le censure.
Esse,  come  quelle  contro i commi 1, 4, 5, 6 e 7, non sono fondate,
per  ragioni  analoghe a quelle gia' esposte con riguardo all'art. 4,
con  la  precisazione  che  tale  esito  riguarda  anche le doglianze
prospettate   dalle  Regioni  Marche,  Emilia-Romagna  e  Toscana  in
riferimento all'art. 97 della Costituzione.
    Per  quanto  riguarda  il  comma 8,  la  sostituzione operata dal
comma 2  dell'art. 2  del  d.lgs. n. 251 del 2004 comporta che non e'
piu'  previsto che le modalita' di costituzione dell'apposita sezione
regionale  dell'albo di cui all'art. 4, comma 1, e delle procedure ad
essa  connesse  siano stabilite da un decreto ministeriale; e' invece
stabilito  che  le  procedure di autorizzazione di cui ai commi 6 e 7
siano  disciplinate dalle Regioni nel rispetto dei livelli essenziali
delle  prestazioni  e dei principi fondamentali desumibili in materia
dallo  stesso  decreto.  Di conseguenza, non vi e' luogo a provvedere
essendo cessata la materia del contendere.
    Le  questioni  aventi  ad  oggetto l'art. 1, comma 2, lettera m),
della  legge  n. 30 del 2003, sollevate dalla sola Regione Marche con
riferimento all'art. 117, terzo e sesto comma, della Costituzione, in
quanto  le disposizioni censurate conterrebbero norme di dettaglio in
materia  di  tutela e sicurezza del lavoro, di competenza legislativa
concorrente, non sono fondate.
    La  prima  parte  della  norma  dispone l'abrogazione della legge
23 ottobre  1960,  n. 1369  e  quella  del  numero  1 stabilisce come
principio    e   criterio   direttivo   che   l'autorizzazione   alla
somministrazione  di  manodopera  debba  essere data solo ai soggetti
autorizzati ai sensi della lettera l). Si tratta di norme concernenti
aspetti   generali   del  nuovo  sistema  del  collocamento  e  della
intermediazione,  connesse al regime unico dell'autorizzazione di cui
si  e' detto, e della conseguente abrogazione della legge n. 1369 del
1960  sul  presupposto  della  incompatibilita'  del  vecchio sistema
normativo riguardo al nuovo.
    Da tali norme non deriva alcuna lesione della sfera di competenza
regionale.
    Le  disposizioni  sub  numeri  2,  4  e  5 contengono norme sulla
somministrazione  di manodopera o di lavoro altrui e sui rapporti che
da  essa  nascono  tra  fornitore  ed  utilizzatore e sui diritti dei
lavoratori.  Le norme rientrano quindi nella materia dell'ordinamento
civile, di esclusiva competenza statale.
    Le  disposizioni di cui ai numeri 3 e 7 riguardano la distinzione
tra  appalto  lecito e interposizione vietata e quindi sono anch'esse
da ricondurre all'ordinamento civile.
    Infine  la  disposizione  contenuta  nel numero 6 ha ad oggetto i
principi   concernenti   l'apparato   sanzionatorio   civilistico   e
penalistico e quindi ancora una volta materie di competenza esclusiva
statale (art. 117, comma secondo, lettera l), della Costituzione).
    Anche tali questioni non sono, pertanto, fondate.
    Connessi  alle  disposizioni  della  legge  di delegazione appena
esaminate,  in  quanto  concernono  aspetti della somministrazione di
lavoro, sono gli articoli 12, 13 e 14 del d.lgs. n. 276 del 2003, dei
quali  la  sola  Regione  Emilia-Romagna  censura  rispettivamente  i
commi 3  e  5,  i  commi 1 e 6, ed i commi 1 e 2, in riferimento agli
articoli 117 e 118 della Costituzione.
    In   particolare,  per  quanto  riguarda  l'art. 12,  la  Regione
ricorrente  si  duole  che, pur essendo i fondi di cui ai commi 1 e 2
destinati   ad  attivita'  rientranti  in  materie  o  di  competenza
esclusiva   regionale  (formazione  professionale)  o  di  competenza
concorrente  (tutela  e  sicurezza  del  lavoro),  la  disciplina sia
esclusivamente  statale,  senza  alcun coinvolgimento delle Regioni e
quindi  anche in violazione dei principi di sussidiarieta' e di leale
collaborazione.
    Le tesi della ricorrente non sono condivisibili.
    E'  necessario  premettere  che  dai commi 1 e 2 dell'articolo in
esame  risulta  che  i  soggetti autorizzati alla somministrazione di
lavoro  devono versare al fondo di cui al comma 4 un primo contributo
del  quattro per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori a
tempo  indeterminato  e  che le somme sono destinate ad interventi in
favore  dei  lavoratori  assunti  a  tempo  determinato,  intesi,  in
particolare,    a    promuovere    percorsi   di   qualificazione   e
riqualificazione  anche  in  funzione  di continuita' di occasioni di
impiego e a prevedere specifiche misure di carattere previdenziale.
    Si  deve  osservare che sia per l'origine e quantificazione delle
somme  (contributi  dei datori di lavoro commisurati in percentuale a
retribuzioni),  sia per una parte della loro destinazione (specifiche
misure  di  carattere  previdenziale  sempre  a favore dei lavoratori
assunti   a   tempo   determinato),   si  tratta  di  una  disciplina
essenzialmente di carattere previdenziale, che soltanto eventualmente
e in modo marginale puo' farsi rientrare nella tutela e sicurezza del
lavoro  o  nella  qualificazione  o  riqualificazione,  queste ultime
peraltro  da  svolgersi,  se non esclusivamente, di norma all'interno
delle  aziende,  essendo finalizzate alla continuita' delle occasioni
d'impiego.
    Il  comma 2  prevede un identico contributo da destinare in parte
all'integrazione  del  reddito  dei  lavoratori a tempo determinato e
quindi  ancora  a  scopi  previdenziali, in parte a iniziative comuni
relative     all'accertamento     dell'utilita'     generale    della
somministrazione di lavoro, o a favorire iniziative per l'inserimento
o  il  reinserimento  di  lavoratori svantaggiati, oppure percorsi di
qualificazione  e  riqualificazione professionale. Si tratta di norme
generali sulla tutela del lavoro.
    La  prevalenza  e  soprattutto  l'indefettibilita'  della  natura
previdenziale  del  fondo  a  fronte  di altre destinazioni puramente
eventuali  delle  risorse,  il  carattere  nazionale del medesimo, la
necessita'   di   tener   conto   della  «sostenibilita'  finanziaria
complessiva  del  sistema», giustificano l'attrazione alle competenze
statali  anche  di  funzioni  amministrative  (v. sentenza n. 303 del
2003).
    Le  disposizioni  impugnate  dell'art. 13 disciplinano deroghe al
regime  generale  del  contratto di inserimento qualora i soggetti da
inserire  siano  lavoratori  svantaggiati.  Riguardo  ad esse si puo'
osservare  che, essendo la finalita' quella di favorire l'inserimento
nel  mondo del lavoro di tali soggetti, gli strumenti usati attengono
anche al regime retributivo e quindi all'ordinamento civile, oppure a
diritti  previdenziali  e  dunque  a  materie di competenza esclusiva
statale.
    La ricorrente Regione Emilia-Romagna osserva che il comma 6 dello
stesso  articolo, nel prevedere un regime transitorio «fino alla data
di entrata in vigore di norme regionali che disciplinino la materia»,
espressamente   riconosce   che  questa  appartiene  alla  competenza
regionale.
    Ora, a parte il rilievo che non puo' essere una legge ordinaria a
modificare  l'assetto  costituzionale  del  riparto  delle competenze
legislative,  le  norme  impugnate  hanno ad oggetto la disciplina di
strutture  e  misure  idonee  a  favorire  l'inserimento dei soggetti
svantaggiati  che  attengono  al regime privatistico o previdenziale,
sicche'  non  e'  a queste misure che puo' riferirsi il rinvio ad una
futura legislazione regionale.
    In considerazione delle materie - ordinamento civile e previdenza
-  cui ineriscono le misure gia' stabilite, la disciplina transitoria
non comporta alcuna lesione delle sfere di competenza regionale.
    Infine, per quanto concerne le disposizioni dell'art. 14, si puo'
osservare,  da  una  parte,  che  esse contengono norme di principio,
quale  la  previsione  di  una convenzione quadro, dall'altra, che e'
assicurato  il  coinvolgimento  delle  Regioni,  dal  momento  che e'
previsto  che  le  convenzioni «devono essere validate da parte delle
regioni».
    Si  rileva,  peraltro,  che, in relazione ai menzionati artt. 13,
commi 1  e  6,  e  14, commi 1 e 2, la Regione ricorrente ha altresi'
lamentato  la  violazione dell'art. 76 della Costituzione, sostenendo
che  tali norme non troverebbero alcun fondamento nella legge delega.
Tali  censure  sono  inammissibili  poiche'  non  si risolvono in una
lesione  della  sfera di competenza costituzionalmente garantita alle
Regioni.
    13. - La Regione Emilia-Romagna ha impugnato, in riferimento agli
artt. 3, 4, 76, 117 e 118 della Costituzione, l'art. 22, comma 6, del
d.lgs.  n. 276  del  2003,  il quale stabilisce che «la disciplina in
materia   di   assunzioni   obbligatorie   e   la   riserva   di  cui
all'art. 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 181 del 2000, non
si applicano in caso di somministrazione».
    Il comma 3 dell'art. 4-bis suindicato a sua volta stabilisce che:
«fermo  restando  quanto previsto dai commi 1 e 2, le regioni possono
prevedere  che  una  quota  delle assunzioni effettuate dai datori di
lavoro  privati  e  dagli  enti  pubblici  economici  sia riservata a
particolari categorie di lavoratori a rischio di esclusione sociale».
    La ricorrente sostiene che la norma censurata comporta una deroga
irragionevole   ad   un  principio  fondamentale  con  lesione  delle
competenze  regionali; deroga non prevista dalla legge di delegazione
n. 30 del 2003.
    Sulla  ammissibilita'  della  questione non possono sorgere dubbi
una  volta  che  si  rilevi  che la disposizione derogata dalla norma
censurata  comporta  potesta' normative delle Regioni, sulle quali la
deroga stessa incide, limitandole.
    Nel  merito, la questione e' fondata perche' nessuna disposizione
della legge n. 30 del 2003 prevede la deroga suindicata.
    14.  -  Occorre  procedere  a  questo  punto allo scrutinio delle
questioni  concernenti la seconda parte dell'art. 2 della legge n. 30
del  2003  e  cioe'  dei  principi  e  criteri  direttivi finalizzati
all'attuazione  della delega per la revisione e razionalizzazione dei
rapporti  di  lavoro  con  contenuto  formativo,  nonche'  di  quelle
relative  alle  disposizioni  del  d.lgs.  n. 276  del  2003 che alla
materia  della  suindicata delega si riconnettono, tenendo presenti i
rilievi  fatti  con riguardo alle questioni relative alla prima parte
della disposizione.
    La   norma   detta  i  seguenti  criteri  e  principi  direttivi,
cominciando   dalla   lettera b),   in  quanto  la  disposizione  sub
lettera a)   e'   censurata   soltanto  dalla  Regione  Toscana,  con
impugnazione gia' dichiarata inammissibile:
        «b)  attuazione degli obiettivi e rispetto dei criteri di cui
all'art. 16,  comma 5, della legge 24 giugno 1997, n. 196, al fine di
riordinare  gli  speciali rapporti di lavoro con contenuti formativi,
cosi'   da  valorizzare  l'attivita'  formativa  svolta  in  azienda,
confermando  l'apprendistato  come  strumento  formativo  anche nella
prospettiva  di  una  formazione  superiore  in  alternanza  tale  da
garantire  il  raccordo  tra  i  sistemi  della  istruzione  e  della
formazione,   nonche'   il  passaggio  da  un  sistema  all'altro  e,
riconoscendo  nel  contempo  agli  enti  bilaterali  e alle strutture
pubbliche    designate    competenze   autorizzatorie   in   materia,
specializzando  il  contratto  di  formazione  e  lavoro  al  fine di
realizzare  l'inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in
azienda;
        c)  individuazione  di  misure  idonee  a  favorire  forme di
apprendistato  e  di  tirocinio di impresa al fine del subentro nella
attivita' di impresa;
        d)  revisione  delle  misure  di  inserimento  al lavoro, non
costituenti  rapporto  di  lavoro, mirate alla conoscenza diretta del
mondo del lavoro con valorizzazione dello strumento convenzionale fra
le  pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il sistema formativo e le imprese,
secondo modalita' coerenti con quanto previsto dagli articoli 17 e 18
della  legge  24 giugno 1997, n. 196, prevedendo una durata variabile
fra  uno e dodici mesi ovvero fino a ventiquattro mesi per i soggetti
disabili, in relazione al livello di istruzione, alle caratteristiche
della  attivita'  lavorativa e al territorio di appartenenza nonche',
con riferimento ai soggetti disabili, anche in base alla natura della
menomazione  e all'incidenza della stessa sull'allungamento dei tempi
di apprendimento in relazione alle specifiche mansioni in cui vengono
inseriti,  e  prevedendo  altresi'  la eventuale corresponsione di un
sussidio   in   un   quadro  di  razionalizzazione  delle  misure  di
inserimento non costituenti rapporti di lavoro;
        e)   orientamento  degli  strumenti  definiti  ai  sensi  dei
principi e dei criteri direttivi di cui alle lettere b), c) e d), nel
senso di valorizzare l'inserimento o il reinserimento al lavoro delle
donne,  particolarmente  di  quelle uscite dal mercato del lavoro per
l'adempimento  di  compiti  familiari e che desiderino rientrarvi, al
fine di superare il differenziale occupazionale tra uomini e donne;
        f)   semplificazione   e   snellimento   delle  procedure  di
riconoscimento   e   di  attribuzione  degli  incentivi  connessi  ai
contratti   a   contenuto  formativo,  tenendo  conto  del  tasso  di
occupazione femminile e prevedendo anche criteri di automaticita';
        g)   rafforzamento   dei  meccanismi  e  degli  strumenti  di
monitoraggio  e  di  valutazione  dei  risultati conseguiti, anche in
relazione  all'impatto  sui  livelli  di  occupazione femminile e sul
tasso  di  occupazione  in  generale, per effetto della ridefinizione
degli   interventi  di  cui  al  presente  articolo  da  parte  delle
amministrazioni  competenti  e  tenuto  conto dei criteri che saranno
determinati  dai  provvedimenti  attuativi, in materia di mercato del
lavoro, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
        h)  sperimentazione  di orientamenti, linee-guida e codici di
comportamento,  al  fine  di  determinare  i contenuti dell'attivita'
formativa,  concordati  da  associazioni  dei  datori e prestatori di
lavoro  comparativamente  piu'  rappresentative sul piano nazionale e
territoriale,  anche  all'interno  di  enti  bilaterali,  ovvero,  in
difetto  di accordo, determinati con atti delle regioni, d'intesa con
il Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
        i)  rinvio  ai contratti collettivi stipulati da associazioni
dei   datori   e   prestatori   di   lavoro   comparativamente   piu'
rappresentative,  a  livello nazionale, territoriale e aziendale, per
la  determinazione,  anche  all'interno  degli enti bilaterali, delle
modalita' di attuazione dell'attivita' formativa in azienda».
    A  tali  disposizioni  della  legge di delegazione si ricollegano
quelle  del  Titolo VI (Apprendistato e contratto di inserimento) del
d.lgs.  n. 276,  distinte nel capo I per l'apprendistato (articoli da
47  a  53) e nel capo II per il contratto di inserimento (articoli da
54  a  60),  il  cui  tenore,  nel  testo  originario impugnato dalle
ricorrenti   -   antecedente   alle   parziali   modifiche,  peraltro
ininfluenti  in questa sede, introdotte dal decreto correttivo n. 251
del  2004 relative agli artt. 53, comma 3, 55, comma 5, 59, comma 3 e
all'aggiunta dell'art. 59-bis - era il seguente:
    «Art. 47  (Definizione,  tipologie  e  limiti quantitativi). - 1.
Ferme  restando  le disposizioni vigenti in materia di diritto-dovere
di  istruzione  e  di  formazione,  il  contratto di apprendistato e'
definito secondo le seguenti tipologie:
        a)   contratto   di   apprendistato  per  l'espletamento  del
diritto-dovere di istruzione e formazione;
        b)  contratto  di  apprendistato  professionalizzante  per il
conseguimento  di  una  qualificazione  attraverso una formazione sul
lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;
        c)  contratto  di  apprendistato  per  l'acquisizione  di  un
diploma o per percorsi di alta formazione.
    2.  Il  numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro
puo' assumere con contratto di apprendistato non puo' superare il 100
per  cento  delle  maestranze specializzate e qualificate in servizio
presso  il datore di lavoro stesso. Il datore di lavoro che non abbia
alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che
comunque   ne   abbia  in  numero  inferiore  a  tre,  puo'  assumere
apprendisti  in  numero non superiore a tre. La presente norma non si
applica  alle  imprese artigiane per le quali trovano applicazione le
disposizioni di cui all'art. 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443.
    3.   In   attesa   della   regolamentazione   del   contratto  di
apprendistato ai sensi del presente decreto continua ad applicarsi la
vigente normativa in materia.
    Art. 48  (Apprendistato  per l'espletamento del diritto-dovere di
istruzione  e  formazione).  -  1. Possono essere assunti, in tutti i
settori   di   attivita',   con   contratto   di   apprendistato  per
l'espletamento  del  diritto-dovere  di  istruzione  e  formazione  i
giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto quindici anni.
    2.   Il   contratto   di  apprendistato  per  l'espletamento  del
diritto-dovere  di istruzione e di formazione ha durata non superiore
a  tre  anni  ed  e'  finalizzato  al  conseguimento di una qualifica
professionale.   La   durata   del   contratto   e'   determinata  in
considerazione  della  qualifica da conseguire, del titolo di studio,
dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonche' del bilancio
delle  competenze realizzato dai servizi pubblici per l'impiego o dai
soggetti  privati  accreditati,  mediante  l'accertamento dei crediti
formativi definiti ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53.
    3.   Il   contratto   di  apprendistato  per  l'espletamento  del
diritto-dovere  di istruzione e formazione e' disciplinato in base ai
seguenti principi:
        a)  forma scritta del contratto, contenente indicazione della
prestazione  lavorativa  oggetto  del  contratto, del piano formativo
individuale,  nonche'  della qualifica che potra' essere acquisita al
termine   del  rapporto  di  lavoro  sulla  base  degli  esiti  della
formazione aziendale od extra-aziendale;
        b)  divieto di stabilire il compenso dell'apprendista secondo
tariffe di cottimo;
        c)  possibilita'  per  il  datore  di  lavoro di recedere dal
rapporto  di  lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi
di quanto disposto dall'art. 2118 del codice civile;
        d)  divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto
di  apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato
motivo.
    4.  La  regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato
per  l'espletamento  del diritto-dovere di istruzione e formazione e'
rimessa  alle  regioni  e alle province autonome di Trento e Bolzano,
d'intesa  con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del
Ministero  dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, sentite
le  associazioni  dei  datori  di  lavoro  e dei prestatori di lavoro
comparativamente   piu'  rappresentative  sul  piano  nazionale,  nel
rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi:
        a)  definizione  della qualifica professionale ai sensi della
legge 28 marzo 2003, n. 53;
        b)  previsione  di  un  monte  ore  di formazione, esterna od
interna  alla  azienda,  congruo  al  conseguimento  della  qualifica
professionale  in  funzione  di quanto stabilito al comma 2 e secondo
standard  minimi  formativi  definiti  ai  sensi della legge 28 marzo
2003, n. 53;
        c)  rinvio  ai  contratti  collettivi  di  lavoro stipulati a
livello  nazionale,  territoriale  o  aziendale  da  associazioni dei
datori  e  prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative
per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle
modalita' di erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli
standard generali fissati dalle regioni competenti;
        d)   riconoscimento   sulla  base  dei  risultati  conseguiti
all'interno  del  percorso  di  formazione,  esterna  e  interna alla
impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali;
        e)  registrazione  della  formazione  effettuata nel libretto
formativo;
        f)   presenza   di  un  tutore  aziendale  con  formazione  e
competenze adeguate.
    Art. 49  (Apprendistato professionalizzante). - 1. Possono essere
assunti,   in   tutti  i  settori  di  attivita',  con  contratto  di
apprendistato   professionalizzante,  per  il  conseguimento  di  una
qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e la acquisizione
di   competenze  di  base,  trasversali  e  tecnico-professionali,  i
soggetti di eta' compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni.
    2.  Per  soggetti  in  possesso  di  una qualifica professionale,
conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, il contratto di
apprendistato professionalizzante puo' essere stipulato a partire dal
diciassettesimo anno di eta'.
    3.  I contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e
prestatori  di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano
nazionale   o   regionale   stabiliscono,  in  ragione  del  tipo  di
qualificazione   da   conseguire,   la   durata   del   contratto  di
apprendistato   professionalizzante  che,  in  ogni  caso,  non  puo'
comunque essere inferiore a due anni e superiore a sei.
    4.   Il   contratto   di   apprendistato  professionalizzante  e'
disciplinato in base ai seguenti principi:
        a)  forma scritta del contratto, contenente indicazione della
prestazione  oggetto  del contratto, del piano formativo individuale,
nonche'  della  eventuale  qualifica  che  potra' essere acquisita al
termine   del  rapporto  di  lavoro  sulla  base  degli  esiti  della
formazione aziendale od extra-aziendale;
        b)  divieto di stabilire il compenso dell'apprendista secondo
tariffe di cottimo;
        c)  possibilita'  per  il  datore  di  lavoro di recedere dal
rapporto  di  lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi
di quanto disposto dall'art. 2118 del codice civile;
        d)  possibilita' di sommare i periodi di apprendistato svolti
nell'ambito  del diritto-dovere di istruzione e formazione con quelli
dell'apprendistato   professionalizzante   nel  rispetto  del  limite
massimo di durata di cui al comma 3;
        e)  divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto
di  apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato
motivo.
    5.  La  regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato
professionalizzante  e' rimessa alle regioni e alle province autonome
di  Trento  e  Bolzano,  d'intesa  con  le  associazioni dei datori e
prestatori  di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano
regionale e nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi:
        a)  previsione di un monte ore di formazione formale, interna
o  esterna  alla  azienda,  di almeno centoventi ore per anno, per la
acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali;
        b)  rinvio  ai  contratti  collettivi  di  lavoro stipulati a
livello  nazionale,  territoriale  o  aziendale  da  associazioni dei
datori  e  prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative
per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle
modalita'  di  erogazione  e  della  articolazione  della formazione,
esterna  e  interna  alle  singole  aziende,  anche in relazione alla
capacita'  formativa  interna  rispetto a quella offerta dai soggetti
esterni;
        c)   riconoscimento   sulla  base  dei  risultati  conseguiti
all'interno  del  percorso  di  formazione,  esterna  e  interna alla
impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali;
        d)  registrazione  della  formazione  effettuata nel libretto
formativo;
        e)   presenza   di  un  tutore  aziendale  con  formazione  e
competenze adeguate.
    Art. 50  (Apprendistato  per  l'acquisizione  di un diploma o per
percorsi di alta formazione). - 1. Possono essere assunti, in tutti i
settori   di   attivita',   con   contratto   di   apprendistato  per
conseguimento  di  un  titolo di studio di livello secondario, per il
conseguimento   di   titoli  di  studio  universitari  e  della  alta
formazione,  nonche' per la specializzazione tecnica superiore di cui
all'art. 69  della  legge  17 maggio 1999, n. 144, i soggetti di eta'
compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni.
    2.  Per  soggetti  in  possesso  di  una  qualifica professionale
conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, il contratto di
apprendistato  di  cui al comma 1 puo' essere stipulato a partire dal
diciassettesimo anno di eta'.
    3.  Ferme  restando  le  intese vigenti, la regolamentazione e la
durata  dell'apprendistato  per  l'acquisizione  di  un diploma o per
percorsi  di  alta  formazione  e'  rimessa  alle regioni, per i soli
profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni
territoriali  dei  datori  di  lavoro  e dei prestatori di lavoro, le
universita' e le altre istituzioni formative.
    Art. 51  (Crediti  formativi).  -  1.  La qualifica professionale
conseguita  attraverso  il  contratto  di  apprendistato  costituisce
credito  formativo  per il proseguimento nei percorsi di istruzione e
di istruzione e formazione professionale.
    2.  Entro  dodici  mesi  dalla  entrata  in  vigore  del presente
decreto,  il  Ministero  del  lavoro  e  delle  politiche sociali, di
concerto  con il Ministero dell'istruzione, della universita' e della
ricerca,  e  previa  intesa  con  le  regioni  e le province autonome
definisce  le modalita' di riconoscimento dei crediti di cui al comma
che  precede,  nel rispetto delle competenze delle regioni e province
autonome  e  di quanto stabilito nell'Accordo in Conferenza unificata
Stato-regioni-autonomie  locali  del  18 febbraio  2000  e  nel  d.m.
31 maggio 2001 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
    Art. 52  (Repertorio  delle  professioni).  -  1.  Allo  scopo di
armonizzare  le  diverse qualifiche professionali e' istituito presso
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il repertorio delle
professioni predisposto da un apposito organismo tecnico di cui fanno
parte   il  Ministero  dell'istruzione,  della  universita'  e  della
ricerca,   le   associazioni   dei  datori  e  prestatori  di  lavoro
comparativamente  piu'  rappresentative  sul  piano  nazionale,  e  i
rappresentanti della Conferenza Stato-regioni.
    Art. 53   (Incentivi   economici   e   normativi  e  disposizioni
previdenziali).  -  1.  Durante  il  rapporto  di  apprendistato,  la
categoria   di   inquadramento   del  lavoratore  non  potra'  essere
inferiore,  per  piu'  di  due  livelli, alla categoria spettante, in
applicazione   del  contratto  collettivo  nazionale  di  lavoro,  ai
lavoratori   addetti   a   mansioni   o   funzioni   che   richiedono
qualificazioni  corrispondenti  a quelle al conseguimento delle quali
e' finalizzato il contratto.
    2.  Fatte  salve  specifiche  previsioni  di legge o di contratto
collettivo,  i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono
esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti
collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti.
    3.  In  attesa  della  riforma  del  sistema degli incentivi alla
occupazione,  restano  fermi  gli  attuali  sistemi di incentivazione
economica  la  cui  erogazione sara' tuttavia soggetta alla effettiva
verifica  della  formazione  svolta secondo le modalita' definite con
decreto  del  Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa
con  la  Conferenza  Stato-regioni.  In  caso  di inadempimento nella
erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il
datore  di  lavoro  e che sia tale da impedire la realizzazione delle
finalita'  di  cui  agli  articoli 48,  comma 2,  49,  comma 1, e 50,
comma 1,  il  datore  di  lavoro  e'  tenuto  a  versare la quota dei
contributi agevolati maggiorati del 100 per cento.
    4.  Resta  ferma  la  disciplina  previdenziale  e  assistenziale
prevista   dalla   legge   19 gennaio   1955,   n. 25,  e  successive
modificazioni e integrazioni.
    Art. 54  (Definizione e campo di applicazione). - 1. Il contratto
di  inserimento  e'  un  contratto  di  lavoro  diretto a realizzare,
mediante  un  progetto  individuale  di  adattamento delle competenze
professionali  del  lavoratore  a un determinato contesto lavorativo,
l'inserimento  ovvero  il  reinserimento nel mercato del lavoro delle
seguenti categorie di persone:
        a)  soggetti  di  eta'  compresa tra i diciotto e i ventinove
anni;
        b)  disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue
anni;
        c)  lavoratori  con  piu' di cinquanta anni di eta' che siano
privi di un posto di lavoro;
        d)   lavoratori   che  desiderino  riprendere  una  attivita'
lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni;
        e)  donne  di qualsiasi eta' residenti in una area geografica
in  cui  il  tasso  di occupazione femminile determinato con apposito
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto
con  il  Ministro dell'economia e delle finanze entro sessanta giorni
dalla  data  di entrata in vigore del presente decreto, sia inferiore
almeno  del  20  per  cento  di  quello maschile o in cui il tasso di
disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile;
        f)  persone  riconosciute  affette,  ai sensi della normativa
vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico.
    2. I contratti di inserimento possono essere stipulati da:
        a) enti pubblici economici, imprese e loro consorzi;
        b) gruppi di imprese;
        c) associazioni professionali, socio-culturali, sportive;
        d) fondazioni;
        e) enti di ricerca, pubblici e privati;
        f) organizzazioni e associazioni di categoria.
    3.  Per  poter  assumere  mediante  contratti  di  inserimento  i
soggetti  di cui al comma 2 devono avere mantenuto in servizio almeno
il  sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento
sia venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti. A tale fine non si
computano  i  lavoratori  che si siano dimessi, quelli licenziati per
giusta causa e quelli che, al termine del rapporto di lavoro, abbiano
rifiutato  la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro
a tempo indeterminato, i contratti risolti nel corso o al termine del
periodo  di prova, nonche' i contratti non trasformati in rapporti di
lavoro a tempo indeterminato in misura pari a quattro contratti. Agli
effetti  della  presente  disposizione  si  considerano  mantenuti in
servizio  i soggetti per i quali il rapporto di lavoro, nel corso del
suo  svolgimento  sia stato trasformato in rapporto di lavoro a tempo
indeterminato.
    4.  La  disposizione  di  cui  al  comma 3 non trova applicazione
quando,  nei diciotto mesi precedenti alla assunzione del lavoratore,
sia venuto a scadere un solo contratto di inserimento.
    5.  Restano  in  ogni  caso  applicabili,  se piu' favorevoli, le
disposizioni  di  cui all'art. 20 della legge 23 luglio 1991, n. 223,
in materia di contratto di reinserimento dei lavoratori disoccupati.
    Art. 55  (Progetto  individuale  di inserimento). - 1. Condizione
per  l'assunzione  con contratto di inserimento e la definizione, con
il   consenso   del   lavoratore,   di  un  progetto  individuale  di
inserimento,  finalizzato  a garantire l'adeguamento delle competenze
professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo.
    2.  I  contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da
associazioni  dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative   sul   piano  nazionale  e  i  contratti  collettivi
aziendali  stipulati  dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui
all'art. 19   della   legge  20 maggio  1970,  n. 300,  e  successive
modificazioni,   ovvero   dalle   rappresentanze  sindacali  unitarie
determinano, anche all'interno degli enti bilaterali, le modalita' di
definizione  dei  piani  individuali  di  inserimento con particolare
riferimento  alla  realizzazione  del  progetto,  anche attraverso il
ricorso  ai  fondi  interprofessionali per la formazione continua, in
funzione   dell'adeguamento   delle   capacita'   professionali   del
lavoratore,  nonche' le modalita' di definizione e sperimentazione di
orientamenti,  linee-guida  e  codici  di  comportamento  diretti  ad
agevolare il conseguimento dell'obiettivo di cui al comma 1.
    3. Qualora, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore del
presente  decreto  legislativo,  non  sia  intervenuta,  ai sensi del
comma 2,   la   determinazione  da  parte  del  contratto  collettivo
nazionale   di  lavoro  delle  modalita'  di  definizione  dei  piani
individuali  di inserimento, il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali convoca le organizzazioni sindacali interessate dei datori di
lavoro e dei lavoratori e le assiste al fine di promuovere l'accordo.
In  caso  di  mancata  stipulazione dell'accordo entro i quattro mesi
successivi,   il  Ministro  del  lavoro  e  delle  politiche  sociali
individua  in  via  provvisoria  e  con proprio decreto, tenuto conto
delle  indicazioni  contenute nell'eventuale accordo interconfederale
di  cui  all'art. 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni espresse
da  ciascuna delle due parti interessate, le modalita' di definizione
dei piani individuali di inserimento di cui al comma 2.
    4.  La  formazione  eventualmente effettuata durante l'esecuzione
del   rapporto  di  lavoro  dovra'  essere  registrata  nel  libretto
formativo.
    5. In caso di gravi inadempienze nella realizzazione del progetto
individuale di inserimento il datore di lavoro e' tenuto a versare la
quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento.
    Art. 56 (Forma). - 1. Il contratto di inserimento e' stipulato in
forma  scritta  e  in  esso  deve  essere  specificamente indicato il
progetto individuale di inserimento di cui all'art. 55.
    2.  In  mancanza  di  forma  scritta  il  contratto e' nullo e il
lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato.
    Art. 57  (Durata). - 1. Il contratto di inserimento ha una durata
non  inferiore  a  nove  mesi e non puo' essere superiore ai diciotto
mesi.  In  caso  di  assunzione  di  lavoratori  di  cui all'art. 54,
comma 1,  lettera f),  la  durata  massima  puo' essere estesa fino a
trentasei mesi.
    2.  Nel  computo  del limite massimo di durata non si tiene conto
degli  eventuali  periodi  dedicati  allo  svolgimento  del  servizio
militare  o  di  quello civile, nonche' dei periodi di astensione per
maternita'.
    3.  Il  contratto di inserimento non e' rinnovabile tra le stesse
parti.  Eventuali proroghe del contratto sono ammesse entro il limite
massimo di durata indicato al comma 1.
    Art. 58  (Disciplina  del rapporto di lavoro). - 1. Salvo diversa
previsione   dei   contratti   collettivi  nazionali  o  territoriali
stipulati   da   associazioni  dei  datori  e  prestatori  di  lavoro
comparativamente  piu'  rappresentative  sul  piano  nazionale  e dei
contratti   collettivi   aziendali   stipulati  dalle  rappresentanze
sindacali  aziendali  di  cui all'art. 19 della legge 20 maggio 1970,
n. 300,  e  successive  modificazioni,  ovvero  dalle  rappresentanze
sindacali  unitarie,  ai  contratti  di inserimento si applicano, per
quanto  compatibili,  le  disposizioni  di cui al decreto legislativo
6 settembre 2001, n. 368.
    2.  I contratti collettivi di cui al comma 1 possono stabilire le
percentuali   massime   dei   lavoratori  assunti  con  contratto  di
inserimento.
    Art. 59  (Incentivi  economici  e  normativi).  -  1.  Durante il
rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore
non  puo'  essere  inferiore, per piu' di due livelli, alla categoria
spettante,  in  applicazione  del  contratto  collettivo nazionale di
lavoro,  ai  lavoratori  addetti a mansioni o funzioni che richiedono
qualificazioni  corrispondenti  a quelle al conseguimento delle quali
e' preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto.
    2.  Fatte  salve specifiche previsioni di contratto collettivo, i
lavoratori  assunti  con  contratto  di  inserimento sono esclusi dal
computo  dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi
per l'applicazione di particolari normative e istituti.
    3.  In  attesa  della  riforma  del  sistema degli incentivi alla
occupazione,   gli  incentivi  economici  previsti  dalla  disciplina
vigente  in  materia  di  contratto  di  formazione  e lavoro trovano
applicazione   con   esclusivo   riferimento  ai  lavoratori  di  cui
all'art. 54, comma, 1, lettere b), c), d), e) ed f).
    Art. 60  (Tirocini  estivi  di orientamento). - 1. Si definiscono
tirocini  estivi  di  orientamento  i  tirocini  promossi  durante le
vacanze   estive  a  favore  di  un  adolescente  o  di  un  giovane,
regolarmente  iscritto  a un ciclo di studi presso l'universita' o un
istituto scolastico di ogni ordine e grado, con fini orientativi e di
addestramento pratico.
    2.  Il  tirocinio  estivo  di  orientamento  ha  una  durata  non
superiore  a  tre  mesi  e si svolge nel periodo compreso tra la fine
dell'anno  accademico  e  scolastico e l'inizio di quello successivo.
Tale durata e' quella massima in caso di pluralita' di tirocini.
    3.  Eventuali  borse  lavoro erogate a favore del tirocinante non
possono superare l'importo massimo mensile di 600 euro.
    4.  Salvo  diversa  previsione dei contratti collettivi, non sono
previsti  limiti  percentuali  massimi per l'impiego di adolescenti o
giovani al tirocinio estivo di orientamento.
    5.  Salvo  quanto previsto ai commi precedenti ai tirocini estivi
si  applicano  le  disposizioni di cui all'art. 18 della legge n. 196
del  1997  e  al d.m. 25 marzo 1998, n. 142 del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale.».
    Preliminarmente  va  osservato  che  la questione sollevata dalla
Regione  Toscana  con  riguardo  all'art. 55, comma 3, del decreto in
oggetto,  in  riferimento  all'art. 76  della  Costituzione,  per  un
presunto  eccesso di delega, appare inammissibile, poiche' la censura
non si traduce nella lesione delle competenze regionali.
    Allo  scrutinio  nel  merito  delle singole questioni occorre far
precedere alcune considerazioni di carattere generale.
    La  competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e
formazione  professionale  riguarda  la  istruzione  e  la formazione
professionale  pubbliche  che  possono  essere  impartite  sia  negli
istituti  scolastici a cio' destinati, sia mediante strutture proprie
che   le   singole  Regioni  possano  approntare  in  relazione  alle
peculiarita'  delle  realta'  locali,  sia in organismi privati con i
quali vengano stipulati accordi.
    La  disciplina  della istruzione e della formazione professionale
che  i  privati datori di lavoro somministrano in ambito aziendale ai
loro  dipendenti - ed e' il caso di rilevare che l'art. 6 della legge