Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Ricorsi regionali - Pluralita' di questioni - Separazione di alcune questioni concernenti la legge delega e trattazione congiunta con quelle relative al decreto legislativo delegato - Riserva di decisione sulle restanti questioni. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Delibera della Giunta regionale di autorizzazione al ricorso - Formulazione generica delle censure nei confronti di disposizioni di legge attinenti a materie diverse - Inammissibilita' del ricorso. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30. - Costituzione, art. 117 e 118. Delegazione legislativa - Conferimento di delega al Governo per la determinazione dei principi fondamentali in materia di legislazione concorrente - Possibilita' da accertare caso per caso. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale - Previsione di interventi di politica attiva del lavoro - Asserita invasione della potesta' legislativa regionale concorrente in materia di «tutela e sicurezza del lavoro»- Riconducibilita' della disciplina censurata nella materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato - Non fondatezza della questione - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 3, comma 1, lett. a), b) e c). - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Delega in materia di certificazione dei rapporti di lavoro - Principi e criteri direttivi - Attribuzione di piena forza legale al contratto certificato e restrizione a specifiche ipotesi della possibilita' di agire in giudizio - Mantenimento degli effetti degli accertamenti dell'organo certificatore finche' non sia provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformita' nella sua attuazione - Asserito contrasto con il diritto alla tutela giurisdizionale - Evocazione di un parametro non riguardante la sfera di attribuzione della regione ricorrente - Inammissibilita' della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 5, comma 1, lett. e) ed f). - Costituzione, art. 24. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Delega in materia di certificazione dei rapporti di lavoro - Principi e criteri direttivi - Attribuzione di piena forza legale al contratto certificato e restrizione a specifiche ipotesi della possibilita' di agire in giudizio - Mantenimento degli effetti degli accertamenti dell'organo certificatore finche' non sia provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformita' nella sua attuazione - Asserita invasione di materie di competenza regionale - Esclusione - Attinenza delle disposizioni censurate alle materie di competenza esclusiva statale «ordinamento civile» e «giurisdizione e norme processuali» - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 5, comma 1, lett. e) ed f). - Costituzione, art. 117. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la revisione della disciplina dei servizi pubblici e privati per l'impiego, nonche' in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro - Previsioni riguardanti la semplificazione delle procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro - Asserita invasione di potesta' legislative regionali concorrenti - Esclusione - Sufficiente determinatezza del criterio direttivo della legge di delega, che, nel contempo, non fissa norme di dettaglio - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera a). - Costituzione, artt. 76 e 117, terzo comma. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la modernizzazione e razionalizzazione del sistema di collocamento pubblico - Imposizione del rispetto delle competenze previste dalla Costituzione e delle competenze attribuite alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano nonche' obbligo del sostegno e lo sviluppo dell'attivita' lavorativa femminile e giovanile e del sostegno ai lavoratori anziani - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera b) numeri 1 e 2. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la modernizzazione e razionalizzazione del sistema di collocamento pubblico - Previsione dell'abrogazione delle norme incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento; conservazione del regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati; previsione di un nuovo apparato sanzionatorio - Asserita lesione delle competenze legislative concorrenti in materia di tutela e sicurezza del lavoro - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera b) numero 3. - Costituzione, art. 117, terzo comma. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Principi e criteri direttivi per la modernizzazione e razionalizzazione del sistema di collocamento pubblico - Previsione del mantenimento allo Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro - Asserito contrasto con le potesta' legislative ed amministrative delle regioni nonche' con il principio di sussidiarieta' - Riconducibilita' della disposizione censurata alla materia di competenza esclusiva dello Stato riguardante il «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale», senza con cio' escludere il coinvolgimento delle regioni nella disciplina e nella gestione del sistema informatico - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera b) numero 4. - Costituzione, artt. 117, terzo comma, e 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Previsto mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonche' alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale - Asserita violazione delle competenze legislative (in materia di tutela e sicurezza del lavoro) ed amministrative regionali nonche' del principio di sussidiarieta' - Esclusione - Riconducibilita' della disposizione censurata nella materia «ordinamento civile» di esclusiva spettanza statale - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera c). - Costituzione, artt. 117, terzo comma, e 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Previsto mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonche' alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale - Asserita violazione delle competenze legislative ed amministrative assegnate dallo Statuto d'Autonomia alla Provincia di Trento - Non incidenza della norma denunciata su funzioni gia' esercitate dalla ricorrente ai sensi del proprio statuto - Inammissibilita' della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera c). - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, artt. 8, numeri 23) e 29), e 9, numeri 2), 4) e 5); d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e relative norme di attuazione. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea e all'autorizzazione per attivita' lavorative all'estero - Asserita esorbitanza della competenza esclusiva statale in relazione ai flussi di entrata nel territorio regionale - Esclusione - Riconducibilita' della disposizione censurata nella materia «immigrazione» appartenente alla potesta' esclusiva dello Stato - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera d). - Costituzione, artt. 117. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea e all'autorizzazione per attivita' lavorative all'estero - Asserita violazione delle competenze assegnate dallo Statuto d'autonomia alla Provincia di Trento - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera d). - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, artt. 8, numero 29), e 9, numeri 2), 4) e 5); d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e relative norme di attuazione. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea e all'autorizzazione per attivita' lavorative all'estero - Asserita violazione delle competenze amministrative regionali - Genericita' della censura - Inammissibilita' della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera d). - Costituzione, art. 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Previsto mantenimento, nella nuova disciplina del collocamento, alle province delle funzioni amministrative attribuite dal d.lgs. n. 469 del 1997 - Asserita incompetenza dello Stato ad attribuire funzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente - Esclusione - Mantenimento delle funzioni delle province fin quando le regioni non le avranno sostituite con una propria disciplina - Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera e). - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali e privati - Asserito eguale trattamento per situazioni diseguali e contrarieta' al canone di buona amministrazione - Evocazione di parametri non lesivi della sfera di competenza regionale - Inammissibilita' della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera l). - Costituzione, 3 e 97. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali e privati - Asserita violazione di competenze legislative concorrenti regionali - Esclusione - Correlazione della disposizione censurata all'esigenza delle dimensioni nazionali del mercato del lavoro - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera l). - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Unicita' del regime autorizzatorio o di accreditamento - Istituzione dell'albo delle agenzie per il lavoro - Disciplina delle modalita' di rilascio delle autorizzazioni, dei criteri di verifica dell'attivita' e di revoca dell'attivita' - Asserita violazione della legge di delega e delle competenze legislative e amministrative regionali - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 4, commi 1 - 6. - Costituzione, artt. 76, 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Unicita' del regime autorizzatorio o di accreditamento - Istituzione dell'albo delle agenzie per il lavoro - Disciplina delle modalita' di rilascio delle autorizzazioni, dei criteri di verifica dell'attivita' e di revoca dell'attivita' - Asserita violazione delle competenze assegnate dallo Statuto d'autonomia alla Provincia di Trento - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 4, commi 1, 2, 4 e 5. - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), artt. 8, numeri 29, e 9, numeri 2), 4) e 5) e relative norme di attuazione. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dell'organizzazione del mercato del lavoro - Individuazione di regimi di autorizzazione con riferimento a particolari categorie di soggetti - Asserita violazione della legge di delega e delle competenze legislative e amministrative regionali - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6. - Costituzione, artt. 76, 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dell'organizzazione del mercato del lavoro - Individuazione di regimi di autorizzazione con riferimento a particolari categorie di soggetti - Asserita violazione del principio di uguaglianza e della liberta' di iniziativa economica privata - Evocazione di parametri non lesivi della sfera di competenze regionali - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6. - Costituzione, artt. 3 e 41. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Costituzione della sezione regionale dell'albo delle agenzie per il lavoro - Modalita' e procedure connesse - Asserita violazione delle competenze regionali - Cessazione della materia del contendere per ius superveniens. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6, comma 8. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Costituzione della sezione regionale dell'albo delle agenzie per il lavoro - Modalita' di costituzione e procedure connesse - Asserita violazione delle competenze assegnate dallo statuto d'autonomia alla Provincia di Trento - Cessazione della materia del contendere per ius superveniens. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6, comma 8. - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), artt. 8, numeri 23) e 29), e 9, numeri 2), 4) e 5) e relative norme di attuazione. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Prevista abrogazione della legge n. 1369/1960 e autorizzazione alla somministrazione di mano d'opera ai soli soggetti autorizzati - Asserita violazione delle competenze regionali in materia di tutela e sicurezza del lavoro - Esclusione - Riconducibilita' della norma denunciata al regime unico dell'autorizzazione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera m), numero 1). - Costituzione, art. 117, terzo e sesto comma. Lavoro - Deleghe al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro - Norme sulla somministrazione di manodopera o di lavoro e sui rapporti tra fornitore ed utilizzatore e sui diritti dei lavoratori - Disposizioni riguardanti la distinzione tra appalto lecito e interposizione privata nonche' i principi concernenti l'apparato sanzionatorio civilistico e penalistico - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Riconducibilita' delle disposizioni censurate nelle materie di competenza esclusiva statale «ordinamento civile e penale» - Non fondatezza delle questioni. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 1, comma 2, lettera m), numeri 2, 3, 4, 5, 6, e 7. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro - Versamento di contributi destinati ad un fondo per interventi in favore dei lavoratori a tempo determinato - Asserita violazione delle competenze legislative regionali nonche' del principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione - Esclusione - Riconducibilita' delle disposizioni censurate alla materia previdenziale e alle norme generali sulla tutela del lavoro - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 12. - Costituzione, art. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Regime generale del contratto di inserimento nel mercato del lavoro - Deroghe, qualora i soggetti da inserire siano lavoratori svantaggiati - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Misure riconducibili alle materie di competenza statale «ordinamento civile e previdenza» - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 13, commi 1 e 6. - Costituzione, art. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Regime generale del contratto di inserimento nel mercato del lavoro - Deroghe, qualora i soggetti da inserire siano lavoratori svantaggiati - Asserito eccesso di delega - Evocazione di un parametro non lesivo delle competenze regionali - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 13, commi 1 e 6. - Costituzione, art. 76. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Cooperative sociali e inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati - Previsione di convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere validate dalle regioni - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 14, commi 1 e 2. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Cooperative sociali e inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati - Previsione di convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere validate dalle regioni - Asserito eccesso di delega - Evocazione di un parametro non lesivo delle competenze regionali - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 14, commi 1 e 2. - Costituzione, art. 76. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dei rapporti di lavoro - Disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e riserva di cui all'art. 4-bis, comma 3, del d.lgs. n. 181 del 2000 - Non applicabilita' in caso di somministrazione - Deroga non prevista dalla legge di delega n. 30 del 2003 - Illegittimita' costituzionale. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 22, comma 6. - Costituzione, art. 76. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina del contratto di inserimento - Ipotesi di mancata determinazione entro cinque mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo, da parte del contratto collettivo nazionale, delle modalita' di definizione dei piani individuali - Previsione della convocazione delle parti da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per l'accordo e, in mancanza dello stesso, del potere di provvedere con proprio decreto - Ricorso della Regione Toscana - Asserito eccesso di delega - Evocazione di un parametro non lesivo delle competenze regionali - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 55, comma 3. - Costituzione, artt. 76. Lavoro - Delega al Governo in materia di riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio - Prevista individuazione di misure idonee a favorire forme di apprendistato e di tirocinio di impresa al fine del subentro nella attivita' di impresa - Strumenti e modalita' d'inserimento di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro - Norme generali sui contratti a contenuto formativo e sull'incentivazione al lavoro femminile - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Non fondatezza delle questioni. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 2, comma 1, lettere c), d), e), f), g). - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Delega al Governo in materia di riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio - Asserito carattere dettagliato della normativa oggetto di delegazione nonche' violazione delle competenze assegnate dallo Statuto d'autonomia alla Provincia di Trento - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Legge 14 febbraio 2003, n. 30, art. 2, comma 1, lettere c), d), e), f), g). - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), artt. 8, numero 29), e 9, numeri 2), 4) e 5) e relative norme di attuazione. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina delle tipologie di lavoro cui si applica il contratto di apprendistato e numero massimo di apprendisti che ogni singolo datore di lavoro puo' assumere - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Attinenza della disposizione censurata all'ordinamento civile e ad un principio fondamentale della tutela del lavoro - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 47. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 -Apprendistato e contratto di inserimento - Apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e regolamentazione dei relativi profili formativi - Apprendistato professionalizzante e regolamentazione dei relativi profili formativi - Apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione e regolamentazione della durata - Asserita violazione della potesta' legislativa e regolamentare delle regioni - Esclusione - Non fondatezza delle questioni. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 48, 49 e 50; art. 48, comma 4, art. 49, comma 5, art. 50, comma 3. - Costituzione, art. 117. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Apprendistato e contratto di inserimento - Apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e regolamentazione dei relativi profili formativi - Apprendistato professionalizzante e regolamentazione dei relativi profili formativi - Asserita violazione delle competenze assegnate dallo Statuto di autonomia alla Provincia di Trento - Esclusione - Non fondatezza della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 48, comma 4, art. 49, comma 5. - Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, art. 8, numero 29), e 9 numeri 2), 4) e 5) e relative norme di attuazione dello statuto medesimo, nonche' art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 -Apprendistato e contratto di inserimento - Crediti formativi che si acquisiscono attraverso il contratto di apprendistato - Armonizzazione delle diverse qualifiche professionali attraverso l'istituzione del repertorio delle professioni - Incentivi economici e normativi e disposizioni previdenziali - Asserita violazione delle competenze regionali e del principio di leale collaborazione - Esclusione - Non fondatezza della questioni. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 51, 52, e 53. - Costituzione, art. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Contratto di inserimento - Disciplina del progetto individuale di inserimento - Disciplina della forma e della durata del contratto di inserimento - Incentivi economici e normativi durante il rapporto di inserimento - Asserita violazione delle competenze regionali - Non fondatezza delle questioni. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 54, 55, 56, 57, 58, 59. - Costituzione, art. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dei tirocini estivi di orientamento - Mancato collegamento con rapporti di lavoro o con eventuali assunzioni - Violazione della competenza esclusiva delle regioni in materia di formazione professionale - Illegittimita' costituzionale. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 60. - Costituzione, art. 117, quarto comma. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti - Disciplina e coordinamento informativo a fini previdenziali - Esclusione di ogni rilievo lavoristico delle prestazioni occasionali eseguite a favore di parenti ed affini - Asserita violazione delle competenze regionali - Esclusione - Non fondatezza delle questioni. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, artt. 70, 72, 73 e 74. - Costituzione, artt. 117 e 118. Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti - Individuazione dei prestatori di lavoro accessorio - Asserita violazione delle competenze regionali - Disposizione non prevista nella delibera della Giunta regionale di autorizzazione all'impugnazione - Inammissibilita' della questione. - Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 71. - Costituzione, artt. 117 e 118.
ha pronunciato la seguente Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, lettere a), b), c), d), e), f), h), l), m) e o); 2, comma 1; 3, comma 1, lettere a), b) e c); 5, comma 1, lettere e) e f); 7 e 8, commi 1, 2, lettere a), f) e g), e 3 della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) e degli artt. 2, comma 1, lettera e); 3, comma 2; 4; 5; 6; 12, commi 3 e 5; 13, commi 1 e 6; 14, commi 1 e 2; 22, comma 6; da 47 a 60 e da 70 a 74 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), promossi con due ricorsi della Regione Marche, due ricorsi della Regione Toscana, due ricorsi della Regione Emilia-Romagna, due ricorsi della Provincia autonoma di Trento e un ricorso della Regione Basilicata notificati il 23, il 26 e il 28 aprile, il 5, il 4 e il 9 dicembre 2003, depositati in cancelleria il 30 aprile, il 2 e il 7 maggio, l'11 e il 16 dicembre successivi ed iscritti ai nn. 41, 42, 43, 44, 45, 92, 93, 94 e 95 del registro ricorsi 2003. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 12 ottobre 2004 il giudice relatore Francesco Amirante; Uditi gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e per la Provincia autonoma di Trento e l'avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con separati ricorsi notificati in data 23, 26 e 28 aprile 2003 (iscritti ai numeri 41, 42, 43, 44 e 45 del registro ricorsi del 2003) le Regioni Marche, Toscana, Emilia-Romagna e Basilicata, nonche' la Provincia autonoma di Trento, hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 24, 76, 117 e 118 della Costituzione, all'art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, agli artt. 8, numero 29), e 9, numeri 2), 4) e 5) dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e a diverse norme di attuazione dello statuto medesimo - di numerose parti della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro). I ricorsi investono, specificamente, l'art. 1, comma 1 e comma 2, lettere a), b), c), d), e), f), h), l), m), o), l'art. 2, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l'art. 3, comma 1, lettere a), b), c), l'art. 5, comma 1, lettere e) e f), l'art. 7 e l'art. 8, comma 1, comma 2, lettere a), f) e g) e comma 3 della legge citata. Le Regioni e la Provincia autonoma ricorrenti, prima di procedere ad un'analitica disamina degli specifici motivi di censura, muovono nei confronti della normativa impugnata alcune osservazioni critiche di portata generale. In primo luogo, la legge n. 30 del 2003 violerebbe l'art. 76 della Costituzione in quanto utilizza impropriamente lo strumento della delega legislativa per fissare principi e criteri direttivi che dovranno essere attuati dal Governo, anziche' limitarsi a dettare i principi fondamentali cui si deve attenere la legislazione regionale nell'esercizio della potesta' normativa concorrente. Cio' posto, le ricorrenti osservano che il nuovo testo dell'art. 117 della Costituzione attribuisce alla competenza concorrente delle Regioni la materia della «tutela e sicurezza del lavoro», nella quale devono considerarsi rientranti le politiche attive del lavoro, il mercato del lavoro, i servizi per l'impiego, le agenzie di mediazione e di lavoro interinale, gli ammortizzatori sociali e gli incentivi all'occupazione, nonche' l'attivita' di controllo e di vigilanza; quanto alla disciplina dei servizi per l'impiego, in particolare, questa Corte ha gia' riconosciuto l'esistenza della competenza regionale pur nel quadro costituzionale precedente, caratterizzato da un maggiore centralismo e da un minore rilievo delle autonomie locali (v. sentenza n. 74 del 2001). A questa competenza va poi aggiunta quella esclusiva in materia di «istruzione e formazione professionale», riguardante i contratti di formazione e lavoro e l'apprendistato, di cui all'art. 117, quarto comma, della Costituzione. La legge impugnata, invece, pur affermando, in linea di principio, il rispetto delle autonomie regionali come delineate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, detta, nelle menzionate materie oggetto di competenza concorrente ed esclusiva, norme che non si limitano a prevedere principi e criteri direttivi per il legislatore regionale (da intendere secondo la ricostruzione operata dalla sentenza n. 482 del 1995 di questa Corte), poiche' in effetti ne restringono indebitamente il potere legislativo e regolamentare. In tal modo la legge n. 30 del 2003, oltre a violare i principi posti dall'art. 117, secondo e terzo comma, della Costituzione in tema di riparto di competenze, risulterebbe anche lesiva della riserva della funzione regolamentare e della funzione amministrativa, nelle materie di loro competenza legislativa, posta in favore delle Regioni dall'art. 117, sesto comma, e dall'art. 118 della Costituzione. Le ricorrenti non contestano, peraltro, la competenza esclusiva dello Stato prevista, in materia di «ordinamento civile», dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, la quale giustifica la disciplina di principio relativa ai rapporti interprivati che si instaurano nell'ambito della contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro; rilevano, pero', che la legge in questione e' tale, in concreto, da interferire in modo illegittimo con la citata competenza residuale delle Regioni in materia di «istruzione e formazione professionale». 2. - Fatte queste premesse, i ricorsi introduttivi passano al merito delle singole censure, cominciando dall'art. 1 della legge impugnata. Riguardo alla delega generale contenuta nel comma 1 per la revisione della disciplina dei servizi pubblici e privati per l'impiego, nonche' in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro, i ricorsi delle Regioni Marche e Toscana ribadiscono la censura sull'uso non corretto dello strumento della delega legislativa; trattandosi di materia di competenza concorrente, infatti, lo Stato dovrebbe porre solo i principi fondamentali e non i principi e criteri direttivi destinati poi ad ulteriore esplicitazione in sede di decreti delegati. Assai numerose sono le censure nei confronti dell'art. 1, comma 2, della legge impugnata, che violerebbe gli artt. 117 e 118 della Costituzione sotto svariati profili. Le Regioni Marche e Toscana lamentano, innanzitutto, che il contenuto normativo delle lettere a) e b), punti 2 e 3 - concernenti lo snellimento e la semplificazione delle procedure di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, la modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico con previsione del relativo nuovo apparato sanzionatorio, il sostegno e lo sviluppo del lavoro dei giovani e delle donne ed il reinserimento dei lavoratori anziani - avrebbe dovuto essere dettato dalle Regioni, in quanto rientrante nella loro competenza concorrente in materia di tutela del lavoro e di politiche attive del lavoro (si richiama, in proposito, la sentenza n. 282 del 2002 di questa Corte). L'art. 1, comma 2, lettera b), numero 4, invece, che prevede il mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo del lavoro, viene ritenuto illegittimo dalle Regioni Emilia-Romagna e Basilicata in quanto la disciplina e la gestione di un sistema informativo sarebbero da ritenere parte integrante della materia «tutela del lavoro»; mentre, infatti, il coordinamento dei dati dell'amministrazione regionale e locale potrebbe rientrare nell'ambito della competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione), la diretta conduzione di tale sistema violerebbe gli artt. 117 e 118 della Costituzione, poiche' mantiene un accentramento che dimentica le competenze regionali ed il principio di sussidiarieta'. Censure largamente coincidenti vengono rivolte, nei ricorsi delle Regioni Marche, Emilia-Romagna, Basilicata e della Provincia di Trento, nei confronti dell'art. 1, comma 2, lettera c) - riguardante il mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro - poiche' ritenuto in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione. Si osserva, infatti, che, siccome qui si tratta di funzioni amministrative, non ha pregio richiamare la competenza esclusiva dello Stato in materia di «giurisdizione e norme processuali» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione; lo Stato puo' dettare i principi fondamentali in tema di conciliazione amministrativa come fase preliminare rispetto al contenzioso giudiziario, ma non puo' dettare una disciplina esaustiva della materia medesima, che rientra nella «tutela del lavoro». In tal modo, inoltre, la legge impugnata mantiene la gestione statale di un fenomeno che dovrebbe essere regolato localmente, con violazione anche del principio di sussidiarieta'. Quanto all'art. 1, comma 2, lettera d), oggetto di impugnativa da parte di tutti i ricorsi, le Regioni lamentano che il mantenimento in capo allo Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro ed alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea sia in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione, per ragioni analoghe a quelle in precedenza enunciate. La funzione di vigilanza, infatti, si esaurisce o comunque rientra nella tutela del lavoro; il controllo dei flussi dei lavoratori extracomunitari e l'autorizzazione per le attivita' lavorative all'estero, se pure hanno qualche attinenza con materie di competenza esclusiva dello Stato, quali l'immigrazione e la politica estera, tuttavia non sono tali da poter essere interamente attratte nella competenza normativa di quest'ultimo. In entrambi i casi si tratterebbe di materie che coinvolgono comunque la concreta domanda di lavoro sul territorio regionale, il che impone il rispetto delle reciproche competenze. Le censure rivolte contro l'art. 1, comma 2, lettere c) e d), sono estese, per le stesse ragioni ora viste, nei confronti dell'art. 8 della legge n. 30 del 2003, nella parte in cui prevede deleghe al Governo per la prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa e per il riassetto della disciplina vigente in tema di ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro; in entrambi i casi le ricorrenti ravvisano un'indebita attrazione nella competenza dello Stato di materie di competenza regionale. Oggetto di impugnazione e', poi, da parte delle Regioni Marche e Toscana, l'art. 1, comma 2, lettera e), il quale, oltre a violare l'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, violerebbe altresi' anche l'art. 118, secondo comma, della Costituzione, poiche' aver previsto il mantenimento alle Province delle funzioni amministrative di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, in materia di mercato del lavoro, comporta un'indebita allocazione diretta di funzioni amministrative da parte dello Stato in capo agli enti locali minori, mentre tale allocazione dovrebbe essere disposta solo con legge regionale, in considerazione del tipo di potesta' normativa in questione. L'art. 1, comma 2, lettera f), relativo all'incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e pubblici per un migliore funzionamento del mercato del lavoro, viene censurato dalle Regioni Marche e Toscana in quanto, riguardando le strutture che si occupano dei servizi per l'impiego, andrebbe ad interferire nella materia «tutela e sicurezza del lavoro», per la quale l'art. 117 della Costituzione prevede, come s'e' detto, la competenza normativa concorrente; e rilievi critici non dissimili vengono rivolti dalla Regione Marche contro l'art. 1, comma 2, lettera h), poiche' esso sottrarrebbe alle Regioni funzioni amministrative e regolamentari che alle medesime dovrebbero spettare in attuazione della competenza legislativa concorrente. In riferimento all'art. 1, comma 2, lettera l), le Regioni Marche, Toscana ed Emilia-Romagna ritengono, nei rispettivi ricorsi, che tale norma sia per un verso ambigua e per l'altro eccessivamente rigida e dettagliata. L'ambiguita' deriverebbe dal fatto che essa, occupandosi di regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici e privati, non distingue adeguatamente le due nozioni, sicche' non sarebbero chiare le relative differenze; ed il generico richiamo agli intermediari «pubblici» sembrerebbe riferirsi anche a quelli che dovrebbero essere gestiti dalle Regioni, con conseguente violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. La previsione stessa di un unico regime autorizzatorio lascia intuire che si tratta di un meccanismo accentrato, cioe' gestito dallo Stato, mentre in materia di competenza concorrente la disciplina delle attivita' di autorizzazione e di accreditamento dovrebbe essere regionale. L'art. 1, comma 2, lettera m), invece, impugnato dalla sola Regione Marche, viene censurato in quanto si ritiene che con tale norma lo Stato abbia dettato una delega esauriente dell'intera materia nella quale, sussistendo una competenza concorrente, le relative funzioni regolamentari ed amministrative dovrebbero spettare alle Regioni. Quanto all'art. 1, comma 2, lettera o), infine, che prevede l'abrogazione espressa di tutte le norme incompatibili con quelle dei futuri decreti delegati, la Regione Toscana osserva che esso sarebbe in contrasto con le competenze normative della Regione nella parte in cui implicitamente consente anche l'abrogazione delle precedenti leggi regionali regolanti il mercato del lavoro. 3. - I ricorsi introduttivi rivolgono altresi' numerose censure nei confronti dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003, ritenuto in contrasto con gli invocati parametri costituzionali sul riparto delle competenze normative tra Stato e Regioni. Si osserva, innanzitutto, che in materia di riordino dei contratti di contenuto formativo e di tirocinio si intrecciano la competenza esclusiva dello Stato relativa alla disciplina privatistica del contratto di lavoro e quella regionale in materia di formazione professionale; di tale incrocio di competenze, del resto, da' conto lo stesso art. 2 il quale, nel comma 1, prevede che l'esercizio delle deleghe debba avvenire nel rispetto delle competenze regionali in materia di tutela e sicurezza del lavoro regolate dal nuovo testo costituzionale. I ricorsi, come gia' visto in precedenza, non contestano la competenza dello Stato in materia di «ordinamento civile». Contestano l'articolo impugnato poiche' non si limiterebbe a definire i contenuti tipici del contratto di formazione al lavoro e del tirocinio, espropriando invece le Regioni di ogni concreta possibilita' di intervento nel settore; il che sarebbe in contrasto con l'art. 117, quarto e sesto comma, della Costituzione, perche' la materia dell'istruzione e formazione professionale e' di competenza esclusiva delle Regioni. Piu' specificamente la lettera a), impugnata dalla Regione Toscana, prevedendo gli aiuti di Stato all'occupazione, andrebbe ad interferire nelle competenze regionali in materia di politiche attive del lavoro; la lettera b), impugnata in tutti i ricorsi, nella parte in cui dispone che i decreti delegati dovranno garantire il raccordo tra i sistemi dell'istruzione e della formazione ed il passaggio da un sistema all'altro, sarebbe in contrasto con il riparto costituzionale delle competenze, che attribuisce alle Regioni la potesta' normativa «concorrente e residuale» in materia di istruzione e formazione professionale; la lettera c), oggetto del ricorso da parte delle Regioni Marche e Toscana e della Provincia di Trento, nell'individuare l'obiettivo di favorire forme di apprendistato e di tirocinio d'impresa, andrebbe a costituire interventi di politica attiva del lavoro; le lettere d), e), f) e g), che contengono una serie di disposizioni attinenti il mercato del lavoro (fra le quali alcune misure sul lavoro dei disabili e delle donne), si risolverebbero, secondo i ricorsi in ultimo citati, in un intervento di dettaglio, da parte dello Stato, in materia di competenza concorrente, sicche' vengono confermate le censure gia' prospettate in precedenza; le lettere h) ed i), inoltre, relative lato sensu alla formazione professionale, sarebbero tali da violare la competenza regionale esclusiva in siffatta materia, con conseguente lesione anche delle potesta' regolamentari ed amministrative delle medesime (art. 117, terzo e quarto comma, ed art. 118 della Costituzione). Con particolare riferimento alla lettera h), infine, oggetto di impugnativa da parte di tutti i ricorsi, ci si duole da un lato della completa soppressione della competenza legislativa regionale in materia di disciplina dei contenuti dell'attivita' formativa concordata tra lavoratori e prestatori di lavoro; dall'altro, del fatto che, in caso di mancato accordo tra prestatori e datori di lavoro su tali contenuti, il successivo intervento delle Regioni e' subordinato all'intesa col Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in questo modo attribuendo allo Stato un potere in una materia del tutto estranea alla sua competenza. 4. - Alcuni ricorsi si rivolgono, singolarmente, nei confronti di parti della legge n. 30 del 2003 non impugnate dalle altre Regioni. La Regione Marche censura l'art. 3, comma 1, lettere a), b) e c), perche' i principi e i criteri direttivi ivi fissati in relazione alla disciplina del lavoro a tempo parziale risulterebbero lesivi della competenza regionale concorrente in tema di tutela e sicurezza del lavoro e di politiche attive del lavoro. La Regione Basilicata, invece, deduce l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, con particolare riguardo alle lettere e) e f), della legge stessa, avente ad oggetto la delega al Governo in materia di certificazione dei rapporti di lavoro. Pur trattandosi di norma animata dall'obiettivo di ridurre il contenzioso, la ricorrente rileva che la funzione certificativa e' una tipica funzione amministrativa che, riguardando materia di competenza regionale, non potrebbe essere regolata da norme statali (art. 117, terzo comma, della Costituzione). In particolare, le disposizioni comprese nelle lettere impugnate si traducono, secondo quanto sostenuto in ricorso, in una violazione dell'art. 24 della Costituzione; la lettera e), infatti, restringe a specifiche ipotesi la possibilita' di agire in giudizio in caso di contratto certificato, mentre la lettera f) va incontro alla medesima censura nella parte in cui mantiene fermi gli effetti degli accertamenti dell'organo certificatore fino a quando sia stata provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformita' tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato. L'illegittimita' costituzionale di quest'ultima disposizione, peraltro, sarebbe da dichiarare qualora si interpreti la stessa nel senso di disconoscere, nelle more dell'accertamento, la facolta' di promuovere l'azione giudiziaria. La Regione Toscana, infine, impugna l'art. 7 della legge in questione in quanto ritenuto in contrasto con l'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001; a norma di quest'ultimo, che e' da ritenere come immediatamente prescrittivo, ogni progetto di legge nelle materie di competenza concorrente e' sottoposto al parere «rinforzato» della Commissione parlamentare per le questioni regionali, opportunamente integrata dai rappresentanti degli enti locali, mentre la norma impugnata si limita a stabilire che sugli schemi dei decreti legislativi in questione venga acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in tal modo riducendo gravemente i margini di una effettiva «codecisione» della materia e vulnerando il principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni. 5. - Comune a tutti i ricorsi e', da ultimo, il gruppo di censure rivolte nei confronti dell'art. 8 della legge n. 30 del 2003. Oltre a quanto gia' riportato a proposito dell'impugnazione dell'art. 1, comma 2, lettere c) e d), vengono espressamente censurati il comma 1 ed il comma 2, lettere a), f) e g), dell'art. 8; dette norme - che hanno ad oggetto le funzioni ispettive e toccano percio' il tema della vigilanza sul lavoro, ritenuta strumentale alla materia della «tutela e sicurezza del lavoro», di competenza legislativa concorrente delle Regioni - sarebbero anch'esse in contrasto, secondo quanto detto in precedenza, con le competenze legislative, regolamentari e amministrative regionali. Quanto al comma 3, invece, le censure riguardano l'assenza di ogni coinvolgimento regionale in sede di approvazione dei relativi decreti legislativi (e' previsto il solo parere delle competenti Commissioni parlamentari). 6. - Rispetto ai ricorsi fin qui richiamati, quello della Provincia autonoma di Trento si connota per alcuni elementi peculiari, collegati con il particolare statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige. Nel ricorso la Provincia premette che, in base agli artt. 8, numero 29), e 16 dello statuto speciale di cui al d.P.R. n. 670 del 1972, essa ha potesta' legislativa esclusiva e potesta' amministrativa in materia di addestramento e formazione professionale, mentre ha competenza concorrente e potesta' amministrativa, in base agli artt. 9, numeri 2), 4) e 5), e 16 dello statuto medesimo, in materia di istruzione elementare e secondaria, di apprendistato, di categorie e qualifiche dei lavoratori e di costituzione e funzionamento di commissioni comunali e provinciali di controllo sul collocamento. Tali previsioni statutarie sono state concretamente attuate grazie a successivi interventi legislativi, fra i quali la ricorrente richiama: l'art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 471, che ha trasferito alla Provincia le funzioni relative al rapporto giuridico di apprendistato; il d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, il cui art. 3 ha delegato alla medesima le funzioni amministrative relative a vigilanza e tutela del lavoro nonche' l'esercizio delle funzioni in materia di vigilanza per l'applicazione delle norme su previdenza ed assicurazioni sociali; il d.P.R. 22 marzo 1974, n. 280, ed il successivo decreto legislativo 21 settembre 1995, n. 430, che ha aggiunto nel precedente decreto l'art. 9-bis, i quali hanno creato nella Provincia un organico sistema di servizi per l'impiego. Tutte queste competenze, che sono da ricondurre alla materia «tutela e sicurezza del lavoro», debbono ritenersi manifestazione di una piu' ampia autonomia, diretta conseguenza dello statuto speciale, della quale la Provincia autonoma continua a godere in base all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Si osserva nel ricorso che la legge delega n. 30 del 2003, pur avendo ad oggetto materie in parte di sicura competenza statale, com'e' per la disciplina dei rapporti di lavoro, attiene anche alle materie «tutela e sicurezza del lavoro», «istruzione e formazione professionale», di spettanza della Provincia medesima, nei termini sopra descritti; ne' puo' dirsi che la legge contenga una generale clausola di salvaguardia delle competenze specifiche delle autonomie speciali riconosciute dalla Costituzione. La previsione, di cui all'art. 2 della legge impugnata, di un riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio sarebbe poi in contrasto con la specifica competenza in materia che l'art. 2, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 471 del 1975 riconosce alle Province autonome di Trento e di Bolzano. Fatte queste premesse di ordine generale, la Provincia ricorrente passa all'esame delle singole censure, in relazione alle quali le argomentazioni sono in larga misura coincidenti con quelle contenute nei ricorsi delle altre Regioni. In aggiunta rispetto a quanto gia' detto, vanno segnalate, tuttavia, alcune peculiarita' connesse con l'autonomia speciale. A proposito dell'art. 1, comma 2, lettera c), della legge n. 30 del 2003, che dispone il mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro, la Provincia ne sostiene l'illegittimita' perche' tali funzioni sono da essa in concreto gia' svolte, in virtu' della delega di cui al citato art. 9-bis del d.P.R. n. 280 del 1974; ed analoghe considerazioni vengono svolte in riferimento all'art. 1, comma 2, lettera d), della legge, perche' anche tali funzioni sarebbero attualmente gia' esercitate dalla Provincia di Trento. Allo stesso modo viene contestata la legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 2, lettere f) e g), della legge n. 30 del 2003, giacche' l'istituzione di una direzione generale con compiti di direzione e coordinamento delle strutture periferiche del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in vista dell'esercizio unitario della funzione ispettiva, nonche' l'obbligo, da parte delle direzioni regionali e provinciali del lavoro, di attenersi alle direttive emanate dalla stessa direzione generale del Ministero determinerebbero, secondo la Provincia di Trento, l'eliminazione di funzioni che sono gia' esercitate in sede provinciale, senza che la connessione tra la vigilanza e la previdenza sociale possa attrarre anche la prima nell'orbita della competenza statale. Quanto alle censure rivolte nei confronti dell'art. 2 della legge impugnata, il ricorso - dopo aver ribadito che la Provincia di Trento e' titolare, in virtu' delle norme dello statuto speciale, di competenza normativa esclusiva in materia di addestramento e formazione professionale, nonche' di competenza concorrente in materia di apprendistato e di istruzione elementare e secondaria - osserva che tutti i principi e criteri direttivi ivi contenuti sono da ritenere illegittimi in quanto in essi manca ogni riferimento ad una disposizione di salvaguardia delle speciali autonomie provinciali. Il sistema che viene a delinearsi, d'altra parte, appare alla ricorrente gia' esaustivo in se', con la conseguenza che sono violati i limiti della potesta' concorrente; peraltro la Provincia di Trento precisa che tali censure sono «formulate a titolo cautelativo», perche' l'eventuale riconoscimento dell'esistenza di una clausola implicita di salvaguardia dell'autonomia statutaria le farebbe comunque venire meno. Quanto alla lettera h) dell'art. 2, la Provincia di Trento ne sostiene l'illegittimita' costituzionale sotto due profili: da un lato, perche' la competenza provinciale in materia di attivita' formativa viene limitata a quella concordata tra datori e prestatori di lavoro; dall'altro, perche' il Ministero del lavoro e' in grado di condizionare, in caso di mancato accordo, il contenuto degli atti che le Regioni e Province autonome debbono assumere. La lettera i), infine, col rinvio ai contratti collettivi per la formazione in azienda, preclude integralmente alla Provincia di esercitare le proprie competenze in materia di addestramento e formazione professionale. 7. - Con separati ricorsi notificati in data 4, 5 e 9 dicembre 2003 (iscritti ai numeri 92, 93, 94 e 95 del registro ricorsi del 2003) le Regioni Marche, Toscana ed Emilia-Romagna, nonche' la Provincia autonoma di Trento, hanno proposto questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 4, 41, 76, 77, 97, 117 e 118 della Costituzione, all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, agli artt. 8, numeri 23) e 29), e 9, numeri 2), 4) e 5) del menzionato statuto speciale del Trentino-Alto Adige ed a diverse norme di attuazione dello statuto medesimo - di numerose parti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30). I ricorsi investono, specificamente, l'art. 2, comma 1, lettera e), l'art. 3, comma 2, gli artt. 4, 5 e 6, l'art. 12, commi 3 e 5, l'art. 13, commi 1 e 6, l'art. 14, commi 1 e 2, l'art. 22, comma 6, gli articoli da 47 a 60 e da 70 a 74 del citato decreto. Le Regioni e la Provincia autonoma, prima di procedere ad un'analitica disamina degli specifici motivi di censura, muovono nei confronti della normativa impugnata alcune osservazioni critiche di portata generale, che in buona parte sono assimilabili a quelle gia' rivolte nei confronti della legge di delega. Le parti ricorrenti, infatti, dopo aver richiamato il contenuto dei precedenti ricorsi rivolti nei confronti della legge n. 30 del 2003, ribadiscono le argomentazioni di fondo gia' prospettate in quella sede, ossia che le norme del decreto n. 276 del 2003 vanno ad interferire nella materia «tutela e sicurezza del lavoro», oggetto di competenza concorrente, nonche' nella materia «formazione ed istruzione professionale», oggetto invece di competenza residuale esclusiva, in tal modo violando l'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione. Poiche' le norme impugnate non si limitano a fissare i principi fondamentali della materia, ma condizionano anche l'esercizio delle funzioni regolamentari ed amministrative da parte della Regione, da cio' i ricorsi deducono violazione anche degli artt. 117, sesto comma, e 118 della Costituzione; e ravvisano, inoltre, una violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione perche' il decreto delegato si discosta dalla previsione della legge delega secondo cui l'esercizio della medesima sarebbe dovuto avvenire nel rispetto delle competenze fissate dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 in materia di tutela e sicurezza del lavoro. Fatte queste premesse, le Regioni riprendono una serie di concetti utilizzati nei ricorsi contro la legge delega in ordine ai limiti della materia «tutela e sicurezza del lavoro», nella quale andrebbero ricompresi gli istituti connessi col mercato del lavoro, la disciplina del collocamento e dei servizi per l'impiego e le politiche attive del lavoro. A questo proposito le parti rammentano che, anche in epoca antecedente la riforma di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, alle Regioni era stato riconosciuto un ruolo fondamentale in materia di mercato del lavoro, collocamento, incremento dell'occupazione, tirocini formativi e cosi' via, sulla base del d.lgs. n. 469 del 1997, emanato in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59. La necessita' di superare la distinzione tra norme attinenti alle politiche attive del lavoro (statali) e norme sulla formazione professionale (regionali) era stata indicata anche dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 74 del 2001 e n. 125 del 2003), sicche' la riforma costituzionale del 2001 non aveva fatto altro che proseguire un cammino gia' intrapreso; la legge delega n. 30 del 2003 ed il successivo decreto n. 276 del 2003 rappresenterebbero, in altre parole, un'inversione di tendenza. Anche la Provincia di Trento richiama la premessa del precedente ricorso proposto nei confronti della legge delega n. 30 del 2003, in particolare ribadendo tutte le osservazioni fatte in quella sede circa la propria titolarita' di potesta' normativa esclusiva in tema di addestramento e formazione professionale e di potesta' concorrente in tema di apprendistato, istruzione elementare e secondaria, libretti di lavoro, categorie e qualifiche dei lavoratori. Rileva altresi' la Provincia ricorrente che l'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003 contiene, in apparenza, una clausola di salvaguardia delle competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, le cui forme di autonomia vengono fatte salve per le parti in cui sono da ritenere piu' ampie di quelle concesse dall'attuale titolo V della parte II della Costituzione. A suo dire, pero', una serie di norme del decreto impugnato si applicano anche alle Province autonome, in tal modo sostanzialmente smentendo il contenuto della citata clausola. 8. - I ricorsi procedono, quindi, all'esame delle singole censure. I dubbi investono, innanzitutto, l'art. 2, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 276 del 2003 che viene impugnato dalla sola Regione Emilia-Romagna in quanto, nel dettare la definizione dell'autorizzazione delle agenzie per il lavoro, fa riferimento esclusivamente ad un provvedimento statale senza contemplare alcun coinvolgimento delle Regioni. Viene poi impugnato l'art. 3, comma 2, del decreto medesimo, norma che dispone il mantenimento alle Province delle funzioni amministrative attribuite dal decreto legislativo n. 469 del 1997; nei ricorsi delle Regioni Marche e Toscana si osserva che, in base all'art. 118, secondo comma, della Costituzione, tali funzioni potrebbero essere affidate alle Province solo con legge regionale, e non con legge statale. L'art. 3, comma 2, poi, viene anche impugnato nelle lettere a) e c) dalla Regione Emilia-Romagna; infatti, benche' l'esordio del comma 2 contenga un'espressa riserva di mantenimento alle Regioni delle competenze in materia di regolazione ed organizzazione del mercato del lavoro regionale, tale previsione conterrebbe una mera clausola di stile, poiche' in realta' il legislatore delegato, come risulta dai successivi artt. 4 e 6, ha dettato non solo i principi fondamentali, bensi' una disciplina completa ed unica, per tutto il territorio nazionale, in materia di autorizzazioni per i soggetti che svolgono attivita' di somministrazione, intermediazione e ricerca del personale, con violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione. Numerose e diffuse sono le censure contro gli artt. 4 e 6 del decreto n. 276, che regolano le agenzie per il lavoro ed i particolari regimi di autorizzazione. Il sistema prevede il rilascio da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali delle autorizzazioni all'intermediazione ed all'interposizione nella somministrazione di lavoro, con creazione di un apposito albo centrale e di sezioni regionali del medesimo. Poiche' si tratta, secondo le Regioni, di una normativa che riguarda l'esercizio di funzioni amministrative in materia di tutela e sicurezza del lavoro, essa sarebbe in contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto normativa di dettaglio, oltre che con gli artt. 117, sesto comma, e 118 della Costituzione, per lesione delle competenze regolamentari ed amministrative regionali. Piu' specificamente, tutti i ricorsi eccepiscono l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4 quanto al comma 1, mentre il comma 2 e' impugnato dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento. Dette norme riserverebbero allo Stato una serie di funzioni amministrative in violazione del principio di sussidiarieta'; a questo proposito, i ricorsi richiamano la sentenza n. 303 del 2003 di questa Corte, secondo cui il mantenimento in sede centrale di funzioni amministrative che dovrebbero spettare alle Regioni e' possibile solo in presenza di effettive esigenze unitarie, previo accordo stipulato con la Regione e fermo restando il controllo sulla ragionevolezza. Cio non si verificherebbe, invece, a proposito delle agenzie per il lavoro, perche' le Regioni ben potrebbero procedere direttamente alla tenuta degli albi ed alla verifica dei requisiti, come si conviene ad ogni sistema decentrato. E la norma, d'altra parte, non prevede alcuna forma di intesa con le Regioni, in cio' rappresentando un passo indietro anche rispetto al sistema delineato, nel precedente assetto costituzionale, dall'art. 10 del d.lgs. n. 469 del 1997, che contemplava, accanto al potere ministeriale di autorizzazione, almeno un parere da parte delle Regioni. Sulla base di tale contestazione generale, tutti i ricorsi lamentano la presunta illegittimita' costituzionale della previsione della doppia autorizzazione, l'una statale e l'altra regionale, che caratterizza il sistema; a norma dell'art. 6, comma 6, del decreto n. 276, infatti, le Regioni dispongono di un potere autorizzatorio, peraltro limitato al proprio territorio e con esclusione dell'attivita' di somministrazione di lavoro. Tale limitazione territoriale violerebbe numerosi parametri costituzionali: da un lato, infatti, sarebbe irrazionale (per esempio, per le agenzie che ricerchino personale per imprese aventi la loro sede in un'altra Regione); dall'altro, sarebbe in contrasto con gli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione, perche' i controlli che lo Stato e le Regioni sono chiamati a compiere sono gli stessi; dall'altro, infine, sussisterebbe violazione del principio della liberta' d'iniziativa economica di cui all'art. 41 della Costituzione, nel senso delineato dalla sentenza di questa Corte n. 362 del 1998. Il meccanismo di autorizzazione regionale regolato dall'art. 6, commi 6, 7 e 8, viene poi censurato anche perche' appare illegittimo che con norma statale emanata in materia di competenza concorrente si vieti alle Regioni la possibilita' di autorizzare anche l'attivita' di somministrazione di lavoro. Parimenti illegittimo sarebbe il comma 7 dell'art. 6, perche' il dettaglio della disciplina per il rilascio dell'autorizzazione regionale dovrebbe essere deciso con normativa delle Regioni, come pure viene censurato il comma 8, per l'impossibilita' di prevedere un potere regolamentare dello Stato (tramite il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali) in una materia che non rientra nella sua competenza esclusiva. L'art. 4, comma 5, invece, che prevede il potere di fissazione, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di tutta una serie di elementi relativi alle autorizzazioni, e' censurato dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento perche' in esso si andrebbe a determinare un potere regolamentare fuori dei limiti di cui all'art. 117, sesto comma, della Costituzione. La previsione di siffatto potere, inoltre, sarebbe in contrasto anche con l'art. 76 della Costituzione, perche' non previsto nella legge delega. Sono oggetto di specifica impugnazione, infine, nel ricorso della Regione Emilia-Romagna, i commi da 1 a 5, 7 e 8 dell'art. 6, riguardanti i regimi particolari di autorizzazione. I commi 1, 2, 3 e 4 prevedono la possibilita' di svolgere le attivita' di intermediazione per tutta una serie di soggetti e di categorie professionali, fra i quali le universita', i Comuni, le camere di commercio, le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro e l'ordine nazionale dei consulenti del lavoro. I commi 1 e 3 paiono voler autorizzare direttamente i soggetti ivi indicati allo svolgimento dell'attivita' di intermediazione, mentre il comma 2 richiama le procedure di cui all'art. 4 (e quindi non prevede un'autorizzazione ope legis) ed il comma 4 delinea per i consulenti del lavoro una procedura ancora diversa. L'autorizzazione diretta di cui ai commi 1 e 3 sarebbe, secondo la ricorrente, tale da violare gli artt. 3 e 97 della Costituzione, perche' non si comprende la ragione per la quale i soggetti in questione debbano poter svolgere ope legis un'attivita' diversa da quella per loro istituzionale; ed analoga violazione si configurerebbe per gli enti di cui al comma 2, ove si prevede un'autorizzazione generale. A tale violazione si aggiungerebbe quella degli artt. 117 e 118 della Costituzione, trattandosi di norme di dettaglio che mantengono in sede accentrata una serie di funzioni amministrative, in assenza di esigenze unitarie. 9. - Il solo ricorso della Regione Emilia-Romagna impugna, limitatamente ad alcune parti, gli artt. 12, 13, 14 e 22 del decreto n. 276 del 2003. In riferimento all'art. 12, commi 3 e 5, si osserva che i commi 1 e 2 dell'articolo in esame, che non vengono censurati - ponendo, a carico dei soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro, l'obbligo di versare ai fondi di cui al successivo comma 4 un contributo del 4 per cento delle retribuzioni corrisposte ai lavoratori assunti a tempo determinato e indeterminato - contemplano iniziative che attengono alle materie della tutela del lavoro e della formazione professionale (a parte le «misure di carattere previdenziale» di cui al comma 1). Nonostante cio', il comma 3 riconosce la possibilita' di un intervento sussidiario del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per l'attuazione di quanto disposto nei commi 1 e 2 e il comma 5 fissa in capo al medesimo Ministro il potere di autorizzare l'attivazione dei fondi di cui al comma 4 e di vigilare sulla gestione degli stessi, con cio' violando entrambi l'art. 118 e il principio di leale collaborazione, tanto piu' che mancano esigenze unitarie a fondamento dei poteri statali e, comunque, non e' previsto alcun coinvolgimento delle Regioni. L'art. 13, commi 1 e 6, viene ritenuto in contrasto con gli artt. 3, 76, 117 e 118 della Costituzione. L'articolo dispone che le agenzie autorizzate alla somministrazione possono, al fine di garantire l'inserimento o il reinserimento dei lavoratori svantaggiati, operare in deroga al regime generale della somministrazione; la deroga implica - ai sensi dell'art. 23, comma 2, del decreto medesimo, richiamato dal comma 1, lettera a), dell'art. 13 - la possibilita' di un trattamento economico deteriore per i predetti lavoratori, rispetto ai lavoratori di pari livello dipendenti dall'utilizzatore. Che in questa materia sussista una competenza regionale e' confermato, indirettamente, dal comma 6 del medesimo art. 13, ove si afferma che le disposizioni del comma 1 potranno essere operative «fino alla data di entrata in vigore delle norme regionali che disciplinino la materia», solo alle condizioni ivi indicate (esistenza di una convenzione tra una o piu' agenzie autorizzate e gli enti territoriali, ivi compresi le Province ed i Comuni). La competenza regionale in materia deve ritenersi, secondo la Regione, in parte piena (formazione professionale e politiche sociali) ed in parte concorrente (tutela del lavoro); ma il comma 1 impugnato non si limita ai principi fondamentali, contenendo invece norme di dettaglio in una materia in cui non e' lecito attrarre al centro le relative funzioni amministrative, sicche' sussisterebbe violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. E la salvaguardia delle competenze regionali non sarebbe sufficiente, poiche' le convenzioni che rendono operativo il sistema fino alla data di entrata in vigore delle norme regionali possono essere stipulate anche con Province e comuni. Oltre a cio', sussisterebbe anche una violazione dell'art. 76 della Costituzione, perche' l'art. 1, Comma 2, lettera m), numero 5, della legge n. 30 del 2003 non prevede alcuna eccezione alla regola secondo cui i lavoratori coinvolti nella somministrazione debbono ricevere un trattamento non inferiore ai lavoratori di pari livello dipendenti dall'utilizzatore. Quanto all'art. 14, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, pure riguardante la posizione dei lavoratori svantaggiati e disabili, la ricorrente sostiene che tali norme sarebbero in contrasto con l'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, perche' intervengono in materia di tutela del lavoro e politiche sociali con prescrizioni di dettaglio, prevedendo la stipulazione di convenzioni che le Regioni possono solo concorrere a formulare, senza alcuna possibilita' di dettare norme legislative. Vi sarebbe, inoltre, una violazione dell'art. 76 della Costituzione, perche' la disciplina eccede i limiti della legge delega. Quanto all'art. 22, comma 6, del decreto impugnato, poi, la Regione Emilia-Romagna osserva che detta previsione, stabilendo che, in caso di somministrazione di lavoro, non si applichi la disciplina in tema di assunzioni obbligatorie e la riserva di cui all'art. 4-bis, comma 3, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, fa si' che i «lavoratori somministrati» non vengano computati ai fini dell'obbligo di assunzione di una percentuale di disabili sul totale dei dipendenti. In tal modo la norma impugnata violerebbe l'art. 76 della Costituzione, perche' sul punto non c'e' alcun fondamento nella delega, andrebbe a ledere gli artt. 3 e 4 della Costituzione, per la minore tutela offerta alla categoria dei disabili, e sarebbe in contrasto con l'art. 117 della Costituzione, in quanto contiene una grave ed irragionevole deroga ad un principio fondamentale statale in materia di competenza regionale. 10. - I ricorsi impugnano, infine, con sfumature diverse ma con sostanziale identita' di impostazione e di censure, gli articoli da 47 a 60 del decreto n. 276 del 2003, che contengono la disciplina dei contratti di apprendistato (artt. 47-53), dei contratti di inserimento (artt. 54-59) e dei tirocini estivi di orientamento (art. 60), nonche' gli artt. da 70 a 74 sulle prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti. Il ricorso della Regione Marche, dopo aver sinteticamente richiamato il contenuto delle singole norme, rileva che la lesione delle prerogative regionali sarebbe dovuta, innanzitutto, al carattere esclusivo della competenza normativa in materia di istruzione e formazione professionale; gli articoli in esame non si limiterebbero alla definizione dei contenuti tipici dei contratti in questione, poiche' in concreto impediscono ogni regolamentazione autonoma da parte delle Regioni. Da cio' deriverebbe la violazione dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione, con conseguente violazione degli artt. 117, sesto comma, e 118 della Costituzione, relativi alle competenze regolamentari ed amministrative. Ma sussisterebbe anche una violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, poiche' i contratti in esame, tutti riconducibili alle politiche attive del lavoro e quindi alla materia «tutela e sicurezza del lavoro», rientrerebbero anche nella competenza concorrente delle Regioni; e le norme statali non si limitano a porre i principi fondamentali, bensi' intervengono con una disciplina del tutto puntuale. La Regione Marche, inoltre, ritiene che le norme ora citate non possano essere tutte ricondotte alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, perche' a suo dire l'ordinamento del diritto privato «si puo' imporre quale limite alla legislazione regionale solo se non sia tale da assorbire e condizionare oltre ogni limite ragionevole le competenze legislative che sono attribuite alle Regioni». I ricorsi delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna, pressoche' coincidenti su questo punto, si rivolgono specificamente contro alcune parti della normativa impugnata. A proposito dei contratti di apprendistato, detti ricorsi censurano gli artt. 48, comma 4, 49, comma 5, e 50, comma 3. L'art. 48, comma 4, prevede che la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato sia rimessa alle Regioni d'intesa con i Ministri del lavoro e dell'istruzione, per di piu' attenendosi ai criteri direttivi ivi indicati. La norma sarebbe illegittima poiche', trattandosi di materia devoluta alla competenza residuale, l'assoggettamento della regolamentazione regionale all'accordo con i Ministri suddetti ed al rispetto di certi criteri direttivi violerebbe l'art. 117, quarto comma, della Costituzione; e comunque, ove pure si ritenesse che la materia coinvolta e' quella concorrente della tutela e sicurezza del lavoro, sarebbero ugualmente illegittime tanto la previsione della previa intesa con i Ministri sopra citati quanto il rinvio ai contratti collettivi nazionali per la formazione aziendale (art. 48, comma 4, lettera c). L'art. 49, comma 5, sull'apprendistato professionalizzante, viene censurato per ragioni assai simili a quelle ora viste per l'art. 48, comma 4: non sarebbe legittima la previsione di una regolamentazione dei profili formativi di tale contratto concordata con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro, per di piu' prevedendosi il rispetto dei criteri direttivi ivi indicati. Si tratterebbe, infatti, di competenza residuale e l'intesa con le associazioni sarebbe particolarmente condizionante per l'autonomia regionale. Allo stesso modo viene censurato l'art. 50, comma 3, in materia di apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. La competenza residuale in materia di istruzione e formazione professionale sarebbe infatti lesa dalla previsione della necessita' di un accordo con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro e con le universita' ed altre strutture formative allo scopo di determinare la regolamentazione e la durata di tale apprendistato. La sola Regione Emilia-Romagna censura anche l'art. 51, comma 2, del decreto, in quanto riconosce al Ministro del lavoro e delle politiche sociali il potere di stabilire le modalita' di riconoscimento dei crediti formativi. Tale potere, di natura regolamentare, sarebbe illegittimo per violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione, perche' va ad esercitarsi in materia di competenza residuale o concorrente; oltre a cio', vi sarebbe violazione dell'art. 76 della Costituzione, per mancanza di ogni riferimento nella legge delega. Con riguardo alle norme che regolano il contratto di inserimento - che sostituisce il precedente contratto di formazione e lavoro - la Regione Toscana lamenta la presunta illegittimita' costituzionale degli artt. 54 e 55 del decreto impugnato, per il fatto che tali articoli non prevedono alcuna forma di partecipazione delle Regioni. Cio' comporterebbe la violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, essendo lese le piu' volte citate competenze regionali in tema di formazione e di tutela e sicurezza del lavoro. Palese sarebbe, inoltre, l'incostituzionalita' dell'art. 55, comma 3, il quale prevede che, decorso il termine di cinque mesi dall'entrata in vigore del decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali possa intervenire in via sostitutiva, con proprio decreto, a determinare provvisoriamente le modalita' di definizione dei piani individuali di inserimento; siffatta previsione, oltre ad ignorare completamente le competenze regionali, sarebbe anche in contrasto con la delega di cui all'art. 2, comma 1, lettera h), della legge n. 30 del 2003, ove si prevede, in caso di mancato accordo con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori, che i contenuti dell'attivita' formativa possano essere individuati dalle Regioni d'intesa col Ministro, e non da quest'ultimo con proprio decreto. L'art. 60, riguardante i tirocini estivi di orientamento, viene impugnato dalle Regioni Marche, Toscana ed Emilia-Romagna perche' interviene con normativa di dettaglio nella materia della formazione professionale, di competenza esclusiva regionale. Gli artt. 70-74 del d.lgs. n. 276 del 2003, da ultimo, vengono fatti oggetto di censura (dalla Regione Marche nel loro complesso e dalla Regione Toscana limitatamente agli artt. 70 e 71) perche' tale sistema normativo, riconducibile nel suo insieme alle politiche attive del lavoro e quindi alla materia «tutela e sicurezza del lavoro», rientrerebbe nella competenza concorrente delle Regioni. Le norme statali sarebbero in contrasto con i parametri costituzionali piu' volte citati in quanto non si limitano a porre i principi fondamentali, bensi' intervengono con una normativa di dettaglio. 11. - Il ricorso della Provincia autonoma di Trento, analogamente a quanto si e' visto a proposito della legge n. 30 del 2003, non contiene impugnazioni di norme ulteriori, ne' profili nuovi di censura, bensi' soltanto alcuni specifici richiami alle competenze particolari delle quali la ricorrente gode in virtu' dello statuto speciale. In riferimento, quindi, al sistema delle autorizzazioni delineato dagli artt. 4, 5 e 6 del decreto n. 276, la Provincia osserva che la normativa impugnata sembrerebbe applicabile anche alle Province autonome, secondo il dettato dell'art. 4, comma 4, e dell'art. 6, comma 6. Da tanto consegue, secondo il ricorso, che le funzioni amministrative (tenuta dell'albo nazionale e rilascio delle autorizzazioni) riconosciute al Ministro del lavoro e delle politiche sociali dall'art. 4, commi 1 e 2, si estendono anche alla Provincia di Trento. In tal modo, pero', sarebbero violate le previsioni dell'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, di attuazione dello statuto speciale, a norma del quale nelle materie di competenza regionale o provinciale «la legge non puo' attribuire agli organi statali funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione». Quanto, invece, all'art. 6, comma 7, la disciplina della procedura di rilascio dell'autorizzazione da parte delle Regioni (e, deve ritenersi, delle Province autonome) porrebbe norme di dettaglio in materie di competenza provinciale (tutela del lavoro e formazione professionale), con violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, degli artt. 8, numeri 23 e 29, e 9, numeri 4 e 5, dello statuto speciale, e dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. L'art. 6, comma 8, invece, sarebbe in contrasto con l'art. 117, sesto comma, della Costituzione e con l'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, perche' prevede un potere regolamentare del Ministro in materia di competenza provinciale. Restano, in ultimo, le censure sugli artt. 48, comma 4, e 49, comma 5, del decreto impugnato, le quali sono sostanzialmente coincidenti con quelle gia' analizzate a proposito degli altri ricorsi. Queste norme sarebbero illegittime poiche', trattandosi di materia devoluta alla competenza primaria della Provincia autonoma (formazione professionale), l'assoggettamento della regolamentazione provinciale all'accordo con i Ministri o con le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro ed al rispetto dei criteri direttivi indicati dalla legge statale violerebbe l'art. 117, quarto comma, della Costituzione, l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e l'art. 8, numero 29, dello statuto. E tale censura dovrebbe valere anche se si trattasse di potesta' normativa concorrente: evidente sarebbe, infatti, la violazione della clausola di salvaguardia di cui all'art. 1, comma 3, del decreto n. 276 del 2003. 12. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si e' costituito in tutti i giudizi sopra menzionati, con altrettanti atti difensivi, chiedendo che le questioni vengano dichiarate non fondate. La linea difensiva del Governo, gia' sinteticamente tratteggiata negli originari atti di costituzione, si e' poi esplicata, con ampiezza di argomentazioni, nella successiva memoria depositata in vista dell'udienza pubblica di discussione. In via preliminare l'Avvocatura osserva come la legge delega persegua l'obiettivo della tutela dell'interesse collettivo dei lavoratori al sostegno e alla promozione dell'occupazione, costituzionalmente protetto attraverso il riconoscimento del diritto al lavoro. E' quindi possibile affermare che tutta la disciplina del mercato del lavoro costituisce lo strumento di concreta attuazione di questo diritto, di cui all'art. 4 della Costituzione, la riconduzione del quale nel novero dei diritti sociali comporta che lo Stato debba sia porre in essere azioni positive (quale una efficiente organizzazione amministrativa del mercato), sia determinare i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, assicurati i quali puo' trovare espansione e applicazione la competenza concorrente delle Regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro ed esclusiva in materia di assistenza sociale e soprattutto di formazione professionale, consentendo alle stesse di introdurre nuove e maggiori forme di tutela del mercato, coerenti con i principi fondamentali. In sostanza, quindi, la fissazione delle misure indispensabili per garantire l'effettivita' del diritto al lavoro discenderebbe dalla stessa qualificazione di questo come diritto sociale. Sia la legge delega sia il decreto delegato intervengono sulla «tutela e sicurezza del lavoro», da intendere non tanto come materia in senso stretto, ma piuttosto come valore costituzionalmente protetto, volto al perseguimento, anche in un'ottica di sussidiarieta', del diritto costituzionale all'accesso al lavoro. Inoltre nei provvedimenti citati sono previste procedure rispettose del principio di leale collaborazione (quali l'intesa con le Regioni o con la Conferenza Stato-Regioni prevista dall'art. 5, comma 1, lettera c, del d.lgs. n. 276 del 2004 per l'adozione del decreto ministeriale che definisce i requisiti logistici e di professionalita' per l'autorizzazione alle agenzie per il lavoro; dall'art. 6, comma 8, dello stesso decreto per la definizione della sezione regionale dell'albo delle agenzie; dall'art. 16, comma 1, del decreto medesimo per la definizione di standard tecnici e flussi di scambio in relazione alla borsa continua per il lavoro; dall'art. 17, comma 5, dello stesso decreto per la definizione di un modello provvisorio di rilevazione; dall'art. 51, comma 2, dello stesso decreto per la determinazione delle modalita' di riconoscimento dei crediti formativi, e dall'art. 53, comma 3, dello stesso decreto per la definizione delle modalita' di riconoscimento dei criteri di erogazione degli incentivi). Vengono quindi esaminate le singole censure, argomentando nel senso della loro infondatezza o inammissibilita'. Quanto all'art. l, comma 2, lettera b), numeri 2, 3 e 4 della legge n. 30 del 2003, si osserva che il legislatore ha qui determinato i livelli essenziali delle prestazioni, individuando quelle fasce deboli del mercato del lavoro, a rischio di esclusione sociale, a favore delle quali devono essere rivolte, in modo prioritario, le misure per l'occupazione, esercitando altresi' la competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione («coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale»), essendo la borsa continua del lavoro uno strumento volto proprio a garantire un'efficace azione per soddisfare il diritto al lavoro che, solo in quanto istituito a livello nazionale, puo' assicurare l'eliminazione di ogni barriera alla libera circolazione dei lavoratori sull'intero mercato del lavoro, come vuole l'art. 120 della Costituzione, richiamato, insieme con l'art. 4 della Costituzione, dall'art. 15 del decreto di cui si tratta (laddove una gestione interamente regionale del servizio informatico comporterebbe il rischio di una mancata comunicazione tra i sistemi regionali ed un conseguente ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori). Peraltro gli artt. 15 e 16 del decreto delegato prevedono forme di partecipazione delle Regioni alla gestione del sistema. Quanto al mantenimento allo Stato delle «funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonche' alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale» (art. 1, comma 2, lettera c, della legge delega), si rileva come esse attengano alla disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, risultando pertanto riconducibili alla competenza statale in tema di «ordinamento civile» e presentando inoltre un legame assai stretto con la disciplina processuale, atteso che la procedura di conciliazione e', almeno in parte, disciplinata nel codice di rito e costituisce una condizione di procedibilita' dell'azione giudiziaria. Quanto all'art. 1, comma 2, lettera d), della legge delega, premesso che sussiste una stretta connessione tra le norme che disciplinano l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e la determinazione dei flussi migratori (dal momento che l'esistenza di un contratto di lavoro costituisce una condizione essenziale per il soggiorno in Italia di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea), l'Avvocatura richiama la competenza statale in tema di immigrazione, ferma la necessita', da parte del legislatore, di dare concreta attuazione all'art. 118, terzo comma, della Costituzione, relativo all'istituzione di forme di coordinamento tra lo Stato e le Regioni in materia di immigrazione. In senso analogo si argomenta circa la lettera h) della stessa disposizione, in tema di coordinamento delle disposizioni sull'incontro tra domanda e offerta di lavoro con quelle sulla disciplina del lavoro dei cittadini extracomunitari, anche al fine della semplificazione delle procedure di rilascio delle autorizzazioni (materia che, toccando l'aspetto contrattuale del rapporto e la competenza in tema di immigrazione, non puo' che essere riservata allo Stato). Riguardo al previsto mantenimento in capo alle Province delle funzioni amministrative alle stesse attribuite con il d.lgs. n. 469 del 1997 (art. l, comma 2, lettera e), della legge delega), l'Avvocatura dello Stato sostiene che la disposizione non costituisce un conferimento di funzioni bensi' una norma meramente dichiarativa e non prescrittiva di quanto avviene in forza del principio di continuita' nell'esercizio delle funzioni amministrative, per cui l'organo titolare della competenza la conserva fino a che una fonte competente (e quindi la legge regionale) non intervenga a stabilire diversamente (interpretazione da ritenere obbligata alla luce del combinato disposto dell'art. 97 e della VIII disposizione finale e transitoria della Costituzione, nonche' confermata dall'art. 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131). In sostanza il legislatore statale non intende procedere ad alcuna nuova allocazione di funzioni, salvo quelle espressamente riservate allo Stato per esigenze unitarie, ma mantiene provvisoriamente ferma la situazione preesistente, lasciando ai legislatori regionali il compito di valutare un'eventuale diversa distribuzione delle funzioni, alla luce dei criteri indicati dall'art. 118 della Costituzione. Circa l'impugnazione dell'art. 3, comma 2, dello stesso decreto, per quanto riguarda le lettere a) e c), nella parte in cui enunciano come finalita' delle successive norme l'identificazione di un unico regime autorizzatorio, si argomenta nel senso dell'inammissibilita', posto che dalla mera enunciazione di finalita' da parte di norme prive di reale valore prescrittivo non puo' derivare alcuna diretta invasione di competenze. Nel merito, circa la violazione dell'art. 76 della Costituzione da parte della lettera c), poiche' si parla di «individuazione» delle forme di raccordo, anziche' di «incentivazione», come previsto dell'art. 1, comma 2, lettera f), della legge delega, si rileva che questo presunto vizio di legittimita' sarebbe in ogni caso escluso dal fatto che l'art. 13 del decreto, in attuazione di questa finalita', e' rubricato chiaramente «misure di incentivazione ...», per cui la regolazione posta in essere dal legislatore delegato e' coerente con la legge delega. Quanto alle agenzie per il lavoro, di cui all'art. 1, comma 2, lettera l), della legge delega ed all'art. 4 del decreto, si rileva come il tema del regime autorizzatorio esuli dalla materia «tutela e sicurezza del lavoro», anzitutto perche' l'autorizzazione e' finalizzata a rimuovere un divieto, volto ad evitare l'insorgere di situazioni elusive dei diritti soggettivi dei lavoratori, sicche' la fissazione del regime autorizzatorio per le agenzie del lavoro, pur agendo nella fase di accesso al mercato, non mira a tutelare il lavoratore «sul mercato», bensi' tutela il lavoratore «nel rapporto»; ne deriverebbe, quindi, la competenza esclusiva dello Stato, trattandosi di materia «ordinamento civile». In secondo luogo, si precisa che l'esercizio abusivo dell'attivita' di intermediazione e' sanzionato penalmente: da cio' discenderebbe che soltanto l'unicita' dei requisiti richiesti e del relativo regime di autorizzazione possono garantire l'uguaglianza delle condotte sanzionate sull'intero territorio nazionale. Infine, sotto il profilo della tutela della concorrenza, si osserva come la previsione di regimi autorizzatori differenti potrebbe comportare una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, nonche' la possibilita' che tale diversita' precluda l'effettivita' dell'attivita' di mediazione su tutto il territorio nazionale. Vi sarebbero poi esigenze unitarie che giustificano l'operare «in senso ascendente» del principio di sussidiarieta'. Infatti, gia' ora le agenzie di lavoro interinale necessitano, per operare, di una autorizzazione, per ottenere la quale e' prevista come requisito la presenza in almeno quattro Regioni (come nel d.lgs. n. 276 del 2003), laddove la dimensione ultraregionale e' finalizzata a garantire la maggiore professionalita' dell'agenzia. Ne' una Regione potrebbe accertare un requisito come la presenza di sedi in altre Regioni, accertamento da svolgere necessariamente a livello centrale, il che ulteriormente giustifica il mantenimento allo Stato delle funzioni amministrative. Quanto all'asserita illegittimita' costituzionale del comma 5 dell'art. 4 del decreto (che prevede la potesta' regolamentare del Ministro), per presunta violazione dell'art. 76 della Costituzione, si osserva che il potere regolamentare troverebbe comunque fondamento in un atto con forza di legge e che il regolamento ministeriale previsto dalla disposizione in esame non puo' qualificarsi come regolamento di attuazione, bensi' come regolamento di mera esecuzione, che detta le disposizioni di dettaglio per l'esercizio di una funzione amministrativa riservata allo Stato, in quanto riconducibile all'ambito di una competenza esclusiva statale e in presenza di esigenze unitarie. Con riguardo all'art. 6 del decreto, commi 6, 7 e 8, l'Avvocatura chiede dichiararsi l'inammissibilita' delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione in quanto non vi sarebbe alcuna diretta lesione delle prerogative regionali: se la competenza in materia di tutela della concorrenza richiede la regolazione statale della generale funzione autorizzatoria, resta salva l'attribuzione del concreto esercizio della competenza alle Regioni, laddove la sussidiarieta' faccia ritenere piu' consono al dettato costituzionale l'esercizio della funzione ad un livello inferiore, come si verifica nel caso di operatori che intendono agire soltanto nel territorio della Regione. Con specifico riferimento alle questioni sollevate dalla Provincia di Trento in relazione alle norme statutarie e di attuazione si rileva che, in forza dell'art. 8 dello statuto, la Provincia di Trento ha competenza esclusiva in materia di formazione professionale, mentre ha competenza concorrente in materia di apprendistato e istruzione. In base alle norme di attuazione, poi, le funzioni amministrative, se non espressamente attribuite allo Stato, spettano alle Province ove queste abbiano competenza legislativa propria. Quindi, se il titolo di intervento statale e' quello di tutelare la concorrenza introducendo norme omogenee che assicurino a tutte le agenzie per il lavoro di poter operare sul territorio nazionale in parita' con le altre agenzie e senza barriere alla loro circolazione, allora si esula dall'ambito di competenze provinciali e lo Stato ben puo' legiferare ed esercitare le funzioni amministrative, sussistendo quelle esigenze unitarie che consentono di trattenere le funzioni ad un livello superiore. Quanto all'impugnativa dell'art. 12 del decreto, limitatamente ai commi 3 e 5, si precisa, in relazione agli interventi di cui al comma 1, che questi comprendono anche misure di carattere previdenziale, rispetto alle quali la competenza statale non puo' essere revocata in dubbio. Quanto al resto, le esigenze unitarie che giustificano l'assunzione da parte dello Stato delle funzioni amministrative in questione risiedono sia nelle esigenze di ordine perequativo per quanto concerne la distribuzione dei fondi, sia in piu' generali necessita' di omogeneita' e coordinamento tra le iniziative promosse con mezzi finanziari prelevati dagli stessi fondi. Con riguardo ai commi 1 e 6 dell'art. 13 del decreto (che attuano il principio di cui alla lettera f del comma 2 dell'art. 1 della legge delega, parimenti impugnato) in materia d'inserimento dei disabili, premessa l'inammissibilita' della censura per eccesso di delega (per difetto di lesione delle prerogative regionali, nonche' per la genericita' dell'argomento secondo cui la Regione si troverebbe ad operare in un contesto incostituzionale), si rileva che l'articolo citato lascia devoluta la disciplina della materia alle Regioni, limitandosi a definire una griglia di deroghe alla disciplina generale in materia di somministrazione di lavoro e di cause di decadenza dai benefici assistenziali in caso di mancata partecipazione attiva del disoccupato agli interventi di workfare, in funzione della incentivazione - di tipo normativo - all'inserimento (o al reinserimento) nel mercato di gruppi di lavoratori svantaggiati, secondo interventi di politica attiva autonomamente gestiti a livello locale o regionale. Lo Stato utilizza cioe' la propria competenza in tema di ordinamento civile per consentire deroghe alla normale regolazione del contratto di somministrazione, al fine di garantire la possibilita' di ricorrere a strumenti di flessibilita'. Neppure l'art. 14, commi 1 e 2, comporterebbe l'invasione delle competenze regionali, limitandosi a dettare i principi idonei a definire il livello essenziale delle prestazioni inerenti il diritto sociale al lavoro per fasce a rischio di esclusione sociale. Quanto alla censura concernente l'art. 22, comma 6, del decreto, che stabilisce che i lavoratori somministrati non vengono computati ai fini della determinazione delle assunzioni obbligatorie, l'Avvocatura, dopo aver rilevato la singolarita' della contestazione, nei confronti dello Stato, di mancato rispetto di un principio fondamentale della legislazione statale, obietta che la materia e' riconducibile all'ordinamento civile, ritenendo inammissibili le censure concernenti gli altri parametri. Quanto poi ai contratti a contenuto formativo - in particolare in riferimento alla censura concernente l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di delega, nella parte in cui riserverebbe allo Stato il raccordo tra sistema formativo pubblicistico e sistema dei contratti a contenuto formativo - si osserva che tale raccordo, in quanto finalizzato alla creazione di un coerente ed omogeneo sistema formativo su tutto il territorio nazionale, deve essere ricondotto alla determinazione dei livelli essenziali del diritto allo studio, oltre che alle norme generali sulla istruzione, comunque di competenza statale. Con specifico riguardo alle impugnazioni relative alle norme del decreto delegato sull'apprendistato (in particolare: artt. 48, comma 4, 49, comma 5, 50, comma 3, e 51, comma 2), pur convenendo sulla premessa dei ricorsi, che inquadrano i rapporti a contenuto formativo tra le politiche attive del lavoro, l'Avvocatura osserva che tali disposizioni incidono pur sempre sulle modalita' di svolgimento del rapporto, intervenendo direttamente sullo strumento contrattuale. Ritenere, pertanto, che lo Stato non possa intervenire perche' in tal modo si introdurrebbe una misura di politica attiva, significherebbe escludere la possibilita' di agire sulla disciplina del mercato del lavoro tramite la regolazione contrattuale. Prive di fondamento sarebbero percio' le censure relative a disposizioni che stabiliscono le norme applicabili all'apprendistato come rapporto contrattuale (durata, forma, retribuzione, recesso, e cosi' via). Quanto invece alla diversa obiezione che viene portata contro l'art. 2, comma 1, lettera h), della legge delega e contro i correlati artt. 48, comma 4, 49, comma 5, e 50, comma 3, del decreto - in base alla quale, poiche' l'istruzione e la formazione professionale sono di competenza esclusiva regionale (per la Provincia di Trento gia' in base all'art. 8 dello statuto), la previsione dell'obbligo per le Regioni, nella regolazione dei profili formativi dell'apprendistato, di ricercare una intesa con i Ministri dell'istruzione e del lavoro, sarebbe invasiva delle loro competenze (cosi' come il rinvio alla contrattazione collettiva, l'intesa con le associazioni datoriali e sindacali o con le universita' e le altre istituzioni formative) - l'Avvocatura invoca la competenza statale per quanto riguarda le norme generali sull'istruzione e la determinazione dei livelli essenziali concernenti quel diritto sociale che e' il diritto allo studio (anche alla luce dell'art. 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53). Poiche' per i contratti a contenuto formativo si verifica un intreccio tra competenze esclusive statali e competenze concorrenti e residuali delle Regioni, soltanto una procedura che preveda intese tra lo Stato e le Regioni, nel rispetto del principio di leale collaborazione, puo' tutelare sia l'autonomia regionale nella regolazione dei profili formativi sia la garanzia della determinazione da parte dello Stato dei livelli essenziali del diritto all'istruzione. Quanto poi agli artt. 51, 52 e 53, denunciati come illegittimi perche' invasivi della competenza in tema di istruzione e formazione professionale, ed in particolare al comma 2 dell'art. 51, relativo ad un asserito potere regolamentare statale nella suddetta materia, si rileva, sulla scorta della sentenza n. 303 del 2003 di questa Corte, che, ove sussistano esigenze unitarie le quali, in forza del principio di sussidiarieta', inducano ad avocare allo Stato la funzione amministrativa, in ossequio al principio di legalita' devono spettare allo Stato anche la potesta' legislativa ed altresi' quella regolamentare, ancorche' nel rispetto della (non necessariamente previa) intesa con le Regioni. Nella specie, il carattere unitario delle funzioni sarebbe confermato dal fatto che al relativo esercizio consegue il conferimento di titoli riconosciuti su tutto il territorio nazionale a seguito dello svolgimento dei rapporti di apprendistato. In ogni caso, poiche' il previsto decreto ministeriale dovra' fare salve le competenze regionali, esso potra' essere impugnato qualora effettivamente invada tali competenze. La disposizione di cui all'art. 53 sarebbe riconducibile, per quel che riguarda il comma 1, alla determinazione delle mansioni (e quindi all'ordinamento civile), mentre per i commi successivi (che stabiliscono gli incentivi, di tipo previdenziale, per favorire il ricorso al contratto di apprendistato) sarebbe da includere nell'ambito di cui all'art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione, e quindi di una competenza esclusiva statale. Quanto alle analoghe censure rivolte alla disciplina dettata dagli artt. 54 e 55 in materia di contratto di inserimento, l'Avvocatura osserva che tale contratto, benche' rappresenti una misura finalizzata a garantire l'entrata nel mercato del lavoro di soggetti svantaggiati, tuttavia configura un vero e proprio contratto di lavoro, non piu' definibile come contratto a causa mista, in cui i contenuti formativi risultano solo eventuali e comunque strumentali al progetto individuale di inserimento, che diviene elemento essenziale del contratto. In tale prospettiva la relativa disciplina spetta senz'altro al legislatore statale e si giustifica, altresi', la normativa provvisoria prevista. Infatti, se il contenuto formativo e' un aspetto strumentale volto a garantire la effettiva realizzazione della causa contrattuale, anche la sua regolazione rientra nella competenza statale a disciplinare i rapporti interprivati e, per tale via, appare legittima la previsione di un intervento di natura regolamentare da parte del Ministro del lavoro. Sempre in relazione ai contratti d'inserimento, rilevate la genericita' e la conseguente inammissibilita' delle censure proposte dalla Regione Marche avverso gli artt. da 56 a 59 del decreto, l'Avvocatura osserva che i primi tre articoli prevedono la forma, la durata e la disciplina del rapporto di lavoro, regolando aspetti privatistici ricadenti nella nozione di ordinamento civile, mentre l'art. 59, esattamente come l'art. 53 in tema di apprendistato, si limita in parte a regolare aspetti del rapporto contrattuale (inquadramento e mansioni) e in parte aspetti previdenziali (gli sgravi contributivi come incentivo al ricorso a questa tipologia contrattuale). A proposito dell'art. 60 del decreto, si nota che, per quanto i tirocini estivi non configurino un rapporto di lavoro, spetta comunque al legislatore statale regolarne i punti fondamentali, perche' pur sempre attinenti, come rapporti intersoggettivi, all'ordinamento civile; solo lo Stato potrebbe fissare la griglia dei requisiti affinche' il tirocinio sia realmente tale e non nasconda un contratto di lavoro. Circa il lavoro accessorio, di cui agli impugnati artt. da 70 a 74 del decreto, l'Avvocatura evidenzia, in linea generale, che l'utilizzo del carnet di buoni non ne fa venir meno la qualificazione in termini contrattuali: esso potra' incidere sulle modalita' con cui e' erogata la retribuzione, ma non esclude certo che tale essa sia, trattandosi del corrispettivo per prestazioni espressamente qualificate come lavorative. Ne' possono nutrirsi dubbi sulla riconducibilita' all'ordinamento civile anche della disposizione di cui all'art. 74, che definisce le prestazioni che, pur se materialmente lavorative, non configurano un contratto di lavoro (sia esso prestazione d'opera o lavoro subordinato): le Regioni, infatti, non potrebbero definire autonomamente i casi in cui le prestazioni esulino dal mercato del lavoro, in quanto interverrebbero sui presupposti per la sussistenza di un contratto. Anche il procedimento certificatorio (cui si riferisce l'impugnativa dell'art. 5 della legge n. 30 del 2003) sarebbe da ricondurre alla materia dell'ordinamento civile, posto che ascrivere la disciplina di tale attivita' alle competenze regionali, sia pure nel rispetto dei principi fondamentali, farebbe si' che uno stesso atto negoziale possa essere diversamente qualificato, con regolazioni conseguentemente diverse a seconda del luogo in cui ne avvenga la qualificazione (con incremento prevedibile del contenzioso e quindi in antitesi con le finalita' deflattive). Vi sarebbero, inoltre, aspetti della procedura di certificazione che inducono a legare tale funzione anche alla competenza statale in tema di ordinamento processuale. Quanto all'art. 7 della legge n. 30 del 2003, censurato nella parte in cui non prevede il parere obbligatorio della Commissione bicamerale per le questioni regionali come integrata dai regolamenti parlamentari, premessa la natura concertativa del vaglio operato dalla Conferenza unificata, si rileva che, a tutt'oggi, l'art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 si presenta come inattuabile, a causa della mancata integrazione da parte dei regolamenti parlamentari della composizione della Commissione. Peraltro, il tenore letterale di detta norma induce ad escludere che si tratti di una disposizione immediatamente vincolante. Con riguardo, infine, alle censure relative all'art. 1, comma 2, lettera d), e all'art. 8 della legge n. 30 del 2003, concernenti le funzioni ispettive e di vigilanza, l'Avvocatura dello Stato richiama il recente decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, sostenendo che esso «circoscrive con chiarezza l'intervento normativo alle sole materie di esclusiva competenza statale». 13. - In prossimita' dell'udienza tutte le Regioni ricorrenti e la Provincia autonoma di Trento hanno depositato due memorie, ciascuna rispettivamente collegata ai due ricorsi presentati, nelle quali, oltre a confermare le conclusioni gia' formulate, hanno anche replicato ad alcuni rilievi fatti dall'Avvocatura dello Stato nel proprio atto di costituzione. Nelle memorie si rammenta, inizialmente, la sentenza n. 74 del 2001 di questa Corte, riguardante il riparto di competenze Stato-Regioni fissato dal d.lgs. n. 469 del 1997 in epoca precedente la riforma costituzionale del 2001. Gia' in tale quadro erano state riconosciute alle Regioni le competenze per gli interventi sul mercato del lavoro, sicche' non e' pensabile - ed in tal senso viene citata la sentenza costituzionale n. 13 del 2004 - che le competenze regionali siano oggi contenute in ambiti piu' stretti rispetto al passato. Si richiama ancora la sentenza n. 303 del 2003 di questa Corte, in base alla quale l'attrazione allo Stato di una serie di funzioni che dovrebbero essere regionali sulla base del principio di sussidiarieta' puo' trovare giustificazione soltanto alla luce dei criteri ivi indicati, che non ricorrerebbero nel caso di specie. Quanto al merito delle singole censure, poi, in relazione all'art. 1 della legge n. 30 del 2003 le memorie osservano che la prevista identificazione di un unico regime autorizzatorio e di accreditamento per gli intermediari pubblici e privati, contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura dello Stato, non puo' trovare giustificazione nella tutela della concorrenza in ambito nazionale in quanto, come piu' volte chiarito da questa Corte (v. sentenze n. 14 e n. 272 del 2004), tale tutela «non puo' vanificare lo schema di riparto dell'art. 117 della Costituzione che vede attribuite alla potesta' legislativa residuale e concorrente delle Regioni materie la cui disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico». In relazione agli artt. 4 e 6 del decreto n. 276, che costituiscono attuazione della delega di cui all'art. 1, comma 2, lettera l), della legge n. 30, la Regione Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento danno atto che il Consiglio dei ministri, con delibera del 3 settembre 2004, ha approvato un decreto correttivo di quello impugnato, le cui modifiche sul punto dovrebbero ritenersi satisfattive; e' previsto, infatti, che le procedure di autorizzazione di cui ai commi 6 e 7 dell'art. 6 siano disciplinate dalle Regioni nel rispetto dei principi fissati nel decreto. Poiche' i due decreti ministeriali attuativi della norma, l'uno del 23 dicembre 2003 e l'altro del 5 maggio 2004, non hanno dato attuazione all'art. 6, comma 8, impugnato, la Regione rileva che «sembra cessata la materia del contendere» su questo punto. Quanto alla presunta inammissibilita' della pretesa, contenuta nei ricorsi, di sindacare gli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 276 del 2003 sotto il profilo della violazione dei principi di uguaglianza e di liberta' nell'iniziativa economica, si ribadisce che la normativa in oggetto, introducendo un meccanismo di autorizzazione accentrato per gli intermediari pubblici e privati, comporta senza dubbio una incisione delle competenze costituzionali attribuite alle Regioni in materia di gestione delle attivita' amministrative di autorizzazione, come e' dimostrato anche dal fatto che nel decreto correttivo sopra citato l'art. 6 e' stato modificato nel senso di attribuire alle Regioni e alle Province autonome - e non piu' al Ministro del lavoro - la competenza per l'autorizzazione all'intermediazione dei Comuni, delle camere di commercio e degli istituti di scuola secondaria di secondo grado. E, d'altra parte, la legge avrebbe potuto pacificamente disporre che le autorizzazioni regionali avessero validita' sull'intero territorio nazionale, come avviene per le agenzie di viaggio e turismo sulle quali la Corte si e' pronunciata con le sentenze n. 362 del 1998, n. 54 del 2001 e n. 375 del 2003; l'accentramento di tali funzioni a livello statale non si giustificherebbe, infatti, neppure in base all'art. 118 della Costituzione, perche' non vi sono esigenze unitarie tali da imporre una violazione del principio di sussidiarieta'. In riferimento all'art. 1, comma 2, lettera e), della legge n. 30 del 2003 (cui si collega l'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003), le memorie ribadiscono che tale complesso normativo sarebbe illegittimo perche' prevede il mantenimento di funzioni amministrative alle Province in una materia che non e' di competenza statale, ne' puo' ritenersi che la norma fissi in tal modo dei principi fondamentali. A questo proposito, le ricorrenti osservano che le norme non possono essere salvate solo perche' si limitano a confermare il contenuto del d.lgs. n. 469 del 1997; le norme che potevano essere approvate alla luce del vecchio testo degli artt. 117 e 118 della Costituzione, infatti, non possono piu' essere reinserite nell'ordinamento in un quadro costituzionale che e' profondamente mutato e che non consente piu' allo Stato l'allocazione diretta di funzioni amministrative agli enti locali in ambiti che non siano di competenza esclusiva dello Stato. E tale conclusione verrebbe ad essere indirettamente confermata dalla citata sentenza n. 74 del 2001 e dalla precedente sentenza n. 408 del 1998 di questa Corte, nonche' dalla piu' recente pronuncia n. 172 del 2004. Quanto, poi, alle deleghe di cui all'art. 2 della legge n. 30, cui si collegano le norme del decreto n. 276 riguardanti i contratti a contenuto formativo e di tirocinio, le memorie delle Regioni premettono che non avrebbe fondamento la pretesa dello Stato di fondare la legittimita' costituzionale delle norme impugnate sulla competenza esclusiva in tema di ordinamento civile e di definizione della politica economica del Paese. Le disposizioni censurate non investono l'ordinamento civile cosi' come definito dalla giurisprudenza costituzionale, perche' non riguardano la disciplina dei rapporti privati che si instaurano tra datore di lavoro e lavoratore, ne' i reciproci diritti ed obblighi (si richiama, in proposito, la sentenza n. 359 del 2003). Quanto alla potesta' statale in materia di definizione della politica economica, cui ha fatto cenno la difesa erariale, si rileva che tale materia non e' prevista dall'art. 117 della Costituzione e non puo' farsi rientrare nella previsione del secondo comma, lettera e), della medesima diposizione. Non sarebbe ravvisabile, inoltre, neppure una competenza esclusiva dello Stato in base all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, perche' la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni - secondo quanto affermato nelle sentenze costituzionali n. 282 del 2002 e n. 88 del 2003 - non e' una materia, bensi' una competenza che lo Stato ha di dettare norme per la fissazione di un livello minimo di soddisfacimento di diritti civili e sociali, ed e' evidente che cio' non si adatta al caso in esame. In rapporto, infine, alle censure riguardanti gli artt. da 47 a 60 e da 70 a 74 del d.lgs. n. 276, le difese delle ricorrenti ribadiscono che la competenza statale in materia di ordinamento civile - cui, secondo l'Avvocatura dello Stato, le disposizioni sono da ascrivere - puo' limitare la legislazione regionale solo se non venga esercitata in modo tale da assorbire e condizionare oltre ogni limite ragionevole le competenze legislative attribuite alle Regioni. Nel caso di specie il legislatore statale non si e' limitato a disciplinare i rapporti interprivati di lavoro, ma si e' occupato anche dei servizi pubblici e privati attinenti al mercato del lavoro, delle connesse politiche attive e passive nonche' di interventi rientranti nell'istruzione e formazione professionale, sicche' ha violato l'assetto delle competenze legislative fissato dalla Costituzione, impedendo alle Regioni il pieno dispiegamento delle potesta' normative loro riconosciute. Considerato in diritto 1. - Le Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Basilicata e la Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, la Regione Marche anche in riferimento all'art. 76 della Costituzione, la Regione Basilicata anche in riferimento all'art. 24 della Costituzione e la Provincia autonoma di Trento anche in riferimento agli artt. 8, numero 29), 9, numeri 2), 4) e 5) dello statuto di cui al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, alle norme di attuazione dello statuto, all'art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 471 ed all'art. 3 del d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, hanno proposto ricorsi, ai sensi dell'art. 127, primo comma, della Costituzione, contro la legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro). Le Regioni Toscana e Marche, prima ancora di censurare per il loro contenuto singole disposizioni della legge, hanno impugnato questa nel suo insieme ed in particolare gli artt. 1, comma l, e 2, comma 1, in quanto illegittimamente il legislatore statale si sarebbe avvalso dello strumento della delega per stabilire principi fondamentali in materia di competenza legislativa concorrente (tutela e sicurezza del lavoro: art. 117, terzo comma, della Costituzione). Con le altre censure, del cui specifico contenuto si dira' quando saranno analiticamente esaminate, le ricorrenti si dolgono che il legislatore abbia dettato norme non di principio in materie di competenza concorrente oppure abbia invaso sfere di competenza esclusiva regionale - e provinciale per quanto concerne la Provincia di Trento - in particolare disciplinando l'attivita' regolamentare in materie che esorbitano da quelle di esclusiva competenza legislativa statale. Le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento, con altri ricorsi, hanno poi impugnato numerose disposizioni del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), sempre in riferimento ai parametri costituzionali suindicati (nonche' anche agli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione la prima, all'art. 97 della Costituzione la seconda, agli artt. 3, 41 e 77 della Costituzione la terza ed all'art. 3 della Costituzione la Provincia autonoma). Prima dell'udienza, con provvedimento del 28 settembre 2004, e' stata disposta la trattazione separata da tutte le altre delle questioni concernenti le impugnazioni avverso l'art. 8 e l'art. 1, comma 2, lettera d), prima parte, della legge n. 30 del 2003 per essere discusse ed esaminate insieme a quelle aventi ad oggetto disposizioni del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124 (Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'art. 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30). 2. - Tutti i ricorsi, con eccezione delle questioni appena indicate, vanno riuniti in quanto, avendo essi ad oggetto questioni analoghe o connesse, ne risulta opportuna la trattazione unitaria. In via preliminare, si rileva l'inammissibilita' del ricorso della Regione Toscana contro la legge n. 30 del 2003, perche' la delibera della Giunta regionale n. 379 del 2003, di autorizzazione al Presidente a proporre il ricorso, omette di indicare specificamente le disposizioni da impugnare e le ragioni della impugnativa e si limita ad affermare che la legge stessa «appare in piu' parti invasiva delle competenze attribuite alla Regione dagli artt. 117 e 118 della Costituzione». Infatti, e' principio piu' volte affermato da questa Corte che la delibera di autorizzazione al ricorso di cui all'art. 127 della Costituzione puo' concernere l'intera legge soltanto qualora quest'ultima abbia un contenuto omogeneo e le censure siano formulate in modo tale da non ingenerare dubbi sull'oggetto e le ragioni dell'impugnativa (cfr. sentenze n. 85 del 1990, n. 261 del 1995, n. 94 e n. 213 del 2003 e ancor piu' di recente, n. 359 del 2003 e n. 238 del 2004). Nella specie si rileva, senza che sia necessario procedere all'esame delle sue singole disposizioni, che la legge impugnata attiene a materie diverse, quali i servizi per l'impiego, la previsione di nuove figure di rapporti di lavoro, la disciplina dei contratti a contenuto formativo ed altre ancora. Ne consegue che la delibera della Giunta della Regione Toscana, in quanto formulata nei termini generici di cui si e' detto, non e' idonea a sorreggere il ricorso da essa proposto. Poiche' alcune disposizioni della legge n. 30 del 2003 - art. l, comma 2, lettera o); art. 2, comma 1, lettera a); art. 7 - sono state impugnate soltanto dalla Regione Toscana, l'inammissibilita' del ricorso da questa proposto fa si' che le relative doglianze non possano essere scrutinate nel merito. 3. - Cio' premesso, devono essere esaminate con priorita' le censure concernenti l'uso della delegazione legislativa per stabilire i principi fondamentali nelle materie oggetto di competenza legislativa concorrente, censure ritualmente proposte soltanto dalla Regione Marche e che si appuntano, in particolare, contro il comma 1 dell'art. l della legge di delegazione n. 30 del 2003 e contro la prima parte dell'art. 2 della stessa legge. Secondo la ricorrente, poiche' lo strumento della delegazione legislativa comporta da parte del Parlamento la determinazione di principi e criteri direttivi, una volta che questi siano stati stabiliti, le disposizioni emanate in attuazione della delega non potrebbero avere ad oggetto norme contenenti i principi fondamentali della materia bensi' soltanto norme c.d. di dettaglio, con conseguente intromissione nella sfera di competenza legislativa propria della Regione. Lo strumento della delega sarebbe comunque del tutto incongruo ai fini della determinazione dei principi fondamentali. La tesi non e' fondata. Questa Corte ha piu' volte affermato che con il ricorso proposto ai sensi dell'art. 127, secondo comma, della Costituzione, le Regioni possono addurre soltanto la lesione delle loro attribuzioni legislative da parte dello Stato e non anche la violazione di qualsiasi precetto costituzionale. Cio' non significa che i parametri evocabili siano soltanto quelli degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, bensi' che il contrasto con norme costituzionali diverse puo' essere efficacemente addotto soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali (v., ex plurimis, sentenze n. 503 del 2000, n. 274 del 2003 e, piu' di recente, n. 4, n. 6 e n. 196 del 2004). E' soltanto sotto questo profilo - e cio' concerne anche tutte le altre censure - che in questa sede la legittimita' costituzionale delle norme denunciate va accertata, senza che possano aver rilievo denunce di illogicita' o di violazione di principi costituzionali che non ridondino in lesioni delle sfere di competenza regionale. D'altra parte, la nozione di «principio fondamentale», che costituisce il discrimine nelle materie di competenza legislativa concorrente tra attribuzioni statali e attribuzioni regionali, non ha e non puo' avere caratteri di rigidita' e di universalita', perche' le «materie» hanno diversi livelli di definizione che possono mutare nel tempo. E' il legislatore che opera le scelte che ritiene opportune, regolando ciascuna materia sulla base di criteri normativi essenziali che l'interprete deve valutare nella loro obiettivita', senza essere condizionato in modo decisivo da eventuali autoqualificazioni. Ne consegue che il rapporto tra la nozione di principi e criteri direttivi, che concerne il procedimento legislativo di delega, e quella di principi fondamentali della materia, che costituisce il limite oggettivo della potesta' statuale nelle materie di competenza concorrente, non puo' essere stabilito una volta per tutte. E cio' e' confermato da quanto puo' dedursi dalla sentenza n. 359 del 1993, con la quale questa Corte affermo' che con legge delegata potevano essere stabiliti i principi fondamentali di una materia, «stante la diversa natura ed il diverso grado di generalita' che detti principi possono assumere rispetto ai "principi e criteri direttivi" previsti in tema di legislazione delegata dall'art. 76 della Costituzione». Tali affermazioni non sono state smentite dalle sentenze n. 303 del 2003 e n. 280 del 2004, quest'ultima riguardante una delega avente ad oggetto non la determinazione bensi' la ricognizione di principi fondamentali gia' esistenti nell'ordinamento e quindi da esso enucleabili. La lesione delle competenze legislative regionali non deriva dall'uso, di per se', della delega, ma puo' conseguire sia dall'avere il legislatore delegante formulato principi e criteri direttivi che tali non sono, per concretizzarsi invece in norme di dettaglio, sia dall'aver il legislatore delegato esorbitato dall'oggetto della delega, non limitandosi a determinare i principi fondamentali. 4. - Occorre percio' procedere all'esame delle singole questioni. Tuttavia, poiche' le censure dipendono in parte da opzioni interpretative di carattere generale adottate dalle ricorrenti, e' su queste che occorre soffermarsi prima di procedere allo scrutinio analitico delle norme impugnate. Il comma 1 dell'art. 1 della legge delega e' cosi' formulato: «Allo scopo di realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza al mercato del lavoro e a migliorare le capacita' d'inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare riguardo alle donne e ai giovani, il Governo e' delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunita' ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupabilita', i principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera». Il comma 2 dello stesso articolo contiene la determinazione dei principi e criteri direttivi indicati sotto le lettere da a) a q), alcune delle quali suddivise in numeri. L'art. 2 e' costituito da un unico comma, indicato con il numero 1, la cui prima parte e' del seguente tenore: «Il Governo e' delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunita', di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca scientifica e con il Ministro per gli affari regionali, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupazione, la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi». Segue l'enunciazione di questi, indicati sotto le lettere da a) ad i). Le due norme citate comportano alcune puntualizzazioni da cui ricavare criteri per la risoluzione delle diverse questioni. Dall'analisi del comma 1 dell'art. 1 si ricava che la delega concerne i servizi per l'impiego ed in particolare il collocamento e la somministrazione di mano d'opera, che il legislatore ritiene tale materia rientrante nella tutela e sicurezza del lavoro, prevista come oggetto di competenza concorrente e che, di conseguenza, nel rispetto delle attribuzioni regionali, la delega e' limitata alla determinazione dei principi fondamentali. La norma di per se' considerata non puo' dar luogo a censure o a specificazioni interpretative se non per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, locuzione, questa, nella quale rientra non soltanto la disciplina dei soggetti ad essa abilitati, ma anche quella dei rapporti intersoggettivi che nascono dalla somministrazione; discipline, quindi, che vanno tenute distinte ai fini della loro riconduzione ai parametri costituzionali. Ora, quale che sia il completo contenuto che debba riconoscersi alla materia «tutela e sicurezza del lavoro», non si dubita che in essa rientri la disciplina dei servizi per l'impiego ed in specie quella del collocamento. Lo scrutinio delle norme impugnate dovra' quindi essere condotto applicando il criterio secondo cui spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali ed alle Regioni l'emanazione delle altre norme comunemente definite di dettaglio; occorre pero' aggiungere che, essendo i servizi per l'impiego predisposti alla soddisfazione del diritto sociale al lavoro, possono verificarsi i presupposti per l'esercizio della potesta' statale di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, come pure che la disciplina dei soggetti comunque abilitati a svolgere opera di intermediazione puo' esigere interventi normativi rientranti nei poteri dello Stato per la tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione). 5. - Considerazioni parzialmente diverse vanno fatte riguardo alla sopracitata prima parte dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003. In questo caso la delega, che concerne la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, non e' limitata alla determinazione dei principi fondamentali e tuttavia il legislatore delegante impone al Governo il rispetto delle competenze affidate alle Regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro. La circostanza che, in questo caso, il legislatore non abbia limitato la delega alla determinazione dei principi fondamentali si puo' spiegare con il rilievo che i contratti a contenuto formativo, tradizionalmente definiti a causa mista, rientrano pur sempre nell'ampia categoria dei contratti di lavoro, la cui disciplina fa parte dell'ordinamento civile e spetta alla competenza esclusiva dello Stato (v. la sentenza n. 359 del 2003). Questioni di legittimita' costituzionale possono quindi anzitutto insorgere per le interferenze tra norme rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo Stato ed altre, come l'istruzione e formazione professionale, alle Regioni. In tali ipotesi puo' parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente. Per la composizione di siffatte interferenze la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed e' quindi necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticita' consente di aver riguardo alle peculiarita' delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, cui pure questa Corte ha fatto ricorso (v. sentenza n. 370 del 2003), qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre. La prima parte dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003, come il comma 1 dell'art. l, non presenta di per se' profili di illegittimita' costituzionale. 6. - Allo scrutinio delle questioni riguardanti le disposizioni del comma 2 dell'art. 1 e della seconda parte del comma 1 dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003 e' opportuno far precedere l'esame delle questioni aventi ad oggetto gli artt. 3 e 5 della stessa legge, al quale si riconnette l'enunciazione di principi applicabili anche per la risoluzione delle prime. Infondate sono le censure mosse dalla sola Regione Marche all'art. 3 della legge n. 30 che ha ad oggetto la delega al Governo ad adottare uno o piu' decreti legislativi recanti norme per promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale, quale tipologia contrattuale idonea a favorire l'incremento del tasso di occupazione e, in particolare, del tasso di partecipazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori con eta' superiore ai cinquantacinque anni al mercato del lavoro, secondo principi e criteri direttivi, raggruppati sotto le lettere da a) a g), dei quali solo quelli delle prime tre sono stati censurati. Essi prevedono l'agevolazione del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto orizzontale (lettera a), l'agevolazione di forme flessibili ed elastiche di lavoro a tempo parziale cosiddetto verticale e misto (lettera b), l'estensione delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale a tempo determinato (lettera c). La Regione impugnante svolge le sue critiche alle norme sul presupposto che esse rientrino nella materia «tutela e sicurezza del lavoro» e che, quindi, per quanto concerne la competenza legislativa, soggiacciano al criterio dell'attribuzione allo Stato della competenza a determinare i principi fondamentali e della spettanza alle Regioni di tutto cio' che non rientri tra questi. Tale ottica non puo' essere condivisa. La disciplina intersoggettiva di qualsiasi rapporto di lavoro, e quindi anche di quello a tempo parziale, come gia' detto, rientra nella materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato. Non ha rilievo che la normativa sia ispirata a criteri di flessibilita' ed elasticita' in modo tale che, adattandosi alle diverse singole situazioni, ed in particolare a quelle delle persone che appaiono piu' svantaggiate (giovani, donne, disoccupati da lungo tempo, disabili etc.), possa essere favorita l'occupazione. Infatti, l'incremento del tasso di occupazione e' una finalita' che puo' essere perseguita con misure che incidono su diverse materie: servizi per l'impiego, disciplina civilistica intersoggettiva del rapporto, previdenziale, tributaria e quante altre il legislatore nell'esercizio della sua discrezionalita', a seconda dei contesti, possa ritenere piu' appropriate al raggiungimento dello scopo. Non ha quindi alcun rilievo, ai fini che qui interessano, la circostanza che il legislatore espressamente consideri il lavoro a tempo parziale «quale tipologia contrattuale idonea a favorire il tasso di occupazione». 7. - Non fondate sono anche le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5 della suindicata legge il quale, «al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro», attribuisce al Governo la delega «ad adottare ... uno o piu' decreti legislativi recanti disposizioni in materia di certificazione del relativo contratto stipulato tra le parti, nel rispetto dei ... principi e criteri direttivi» indicati sotto le lettere da a) ad i) e dei quali sono impugnati dalla sola Regione Basilicata i criteri indicati sotto le lettere e) ed f). La prima delle disposizioni impugnate stabilisce come principio e criterio direttivo l'«attribuzione di piena forza legale al contratto certificato ai sensi della procedura di cui alla lettera d), con esclusione della possibilita' del ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione del programma negoziale da parte dell'organo preposto alla certificazione e di difformita' tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione». La disposizione sub lettera f) introduce come principi e criteri direttivi: la «previsione di espletare il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 410 del codice di procedura civile innanzi all'organo preposto alla certificazione quando si intenda impugnare l'erronea qualificazione dello stesso o la difformita' tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell'accertamento svolto dall'organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformita' tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato. In caso del ricorso in giudizio, introduzione dell'obbligo in capo all'autorita' giudiziaria competente di accertare anche le dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro». La Regione Basilicata sostiene che le disposizioni censurate contengano norme di dettaglio in materia di competenza legislativa concorrente e che, se interpretate nel senso di restringere la proponibilita' di azioni giudiziarie, contrastino con l'art. 24 della Costituzione. Le censure sono in parte inammissibili ed in parte infondate. Quanto all'inammissibilita' va osservato che, secondo quanto premesso sub punto 3, il parametro da ultimo citato non riguarda la sfera di attribuzioni della ricorrente: nessuna competenza e', infatti, attribuita alle Regioni per la tutela del diritto di difesa. Per quel che riguarda l'infondatezza, va precisato che le suindicate disposizioni, nella parte in cui tendono ad attribuire un particolare valore probatorio al contratto certificato, attengono all'ordinamento civile e, in quanto dirette a condizionare l'esercizio in giudizio dei diritti nascenti dal contratto di lavoro e la stessa attivita' dei giudici, attengono anche alla materia «giurisdizione e norme processuali» e sono quindi estranee a qualsiasi competenza legislativa regionale. 8. - Si deve ora procedere allo scrutinio delle questioni aventi ad oggetto le disposizioni dell'art. l, comma 2, della legge n. 30 del 2003, le quali determinano i principi e criteri direttivi cui avrebbe dovuto attenersi il legislatore delegato, e congiuntamente, ove cio' sia possibile, di quelle concernenti le norme del d.lgs. n. 276 del 2003 che ne costituiscano l'attuazione, destinate a determinare i principi fondamentali. La questione relativa alla disposizione di cui alla lettera a) del menzionato art. 1, comma 2, sollevata dalla sola Regione Marche con riferimento agli articoli 76 e 117, terzo comma, della Costituzione, non e' fondata. La prescrizione di «snellimento e semplificazione delle procedure di incontro tra domanda ed offerta di lavoro» e' sufficientemente specifica per soddisfare l'esigenza di determinatezza che un criterio direttivo deve possedere per non essere in contrasto con l'art. 76 della Costituzione e, nel contempo, non fissa norme di dettaglio. Le disposizioni sub lettera b), rette, come tutte quelle del comma 2 in esame, dalla prescrizione secondo cui la delega e' esercitata «nel rispetto dei principi e criteri direttivi che seguono», sono cosi' formulate: «modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico, al fine di renderlo maggiormente efficiente e competitivo, secondo una disciplina incentrata su: 1) rispetto delle competenze previste dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, con particolare riferimento alle competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano; 2) sostegno e sviluppo dell'attivita' lavorativa femminile e giovanile, nonche' sostegno al reinserimento dei lavoratori anziani; 3) abrogazione di tutte le norme incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento, ivi inclusa la legge 29 aprile 1949, n. 264, fermo restando il regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati ai sensi di quanto disposto dalla lettera l) e stabilendo, in materia di collocamento pubblico, un nuovo apparato sanzionatorio, con previsione di sanzioni amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge; 4) mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro». Le questioni aventi ad oggetto la prima parte della indicata lettera b) e le disposizioni di cui ai numeri 1 e 2, impugnate dalla sola Regione Marche, non sono fondate. Mentre il primo periodo contiene l'indicazione di principi generali e delle finalita', nessuna lesione puo' derivare alla Regione dalla disposizione che impone il rispetto delle competenze previste dalla Costituzione, ed in particolare di quelle delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (numero 1), e da quella di principio che impone il sostegno e lo sviluppo dell'attivita' lavorativa femminile e giovanile ed il sostegno al reinserimento dei lavoratori anziani (numero 2). Il numero 3, anch'esso impugnato dalla sola Regione Marche, contiene diversi principi e criteri direttivi: la previsione dell'abrogazione di tutte le norme che risulteranno incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento, ivi inclusa la legge 29 aprile 1949, n. 264; la conservazione del regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati, ai sensi di quanto disposto dalla lettera l); la previsione, in materia di collocamento pubblico, di un nuovo apparato sanzionatorio, contenente sanzioni amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge. Neppure le censure rivolte a siffatte disposizioni sono fondate. L'inclusione, tra i principi direttivi, dell'abrogazione delle norme incompatibili e' soltanto l'esplicitazione di un principio generale gia' esistente nell'ordinamento. La conservazione del regime dell'autorizzazione e dell'accreditamento, ai sensi di quanto disposto dalla lettera l), costituisce un mero rinvio a tale disposizione, oggetto di autonome censure che saranno esaminate in prosieguo. Infine, poiche' la competenza a disciplinare un apparato sanzionatorio va attribuita secondo le norme che regolano la materia cui le sanzioni si riferiscono, trattandosi nella specie di competenza concorrente (tutela e sicurezza del lavoro), allo Stato compete determinare i principi fondamentali e tra questi ultimi va inclusa la prescrizione che il nuovo apparato dovra' contenere sanzioni amministrative. La disposizione di cui al numero 4, che include tra i principi e criteri direttivi il mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro, e' stata impugnata anche dalle Regioni Emilia-Romagna e Basilicata, per contrasto non solo con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, ma anche con l'art. 118 della Costituzione e con il principio di sussidiarieta'. La censura non e' fondata. La disposizione, che non comporta alcuna estensione delle funzioni gia' svolte dallo Stato, riguarda il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, previsto come materia di competenza esclusiva dello Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione. La conduzione diretta del sistema informativo statistico ed informatico - dato che questo non puo' non riguardare l'intero territorio nazionale - costituisce il mezzo idoneo a che il sistema stesso risulti complessivamente coordinato. La norma, peraltro, non esclude la facolta' delle Regioni di disciplinare la predisposizione in sede regionale di sistemi di raccolta dati e deve essere valutata insieme con quelle del decreto delegato concernenti il sistema suindicato. Infatti, le disposizioni del Capo III (Borsa continua nazionale del lavoro e monitoraggio statistico), di cui agli artt. 15, 16 e 17 del d.lgs. n. 276 del 2003, contengono norme dalle quali risulta il coinvolgimento delle Regioni nella gestione della rete informativa idonea al funzionamento della borsa continua del lavoro. In particolare l'art. 15, comma 1, stabilisce che «a garanzia dell'effettivo godimento del diritto al lavoro di cui all'art. 4 della Costituzione, e nel pieno rispetto dell'art. 120 della Costituzione stessa, viene costituita la borsa continua nazionale del lavoro, quale sistema aperto e trasparente di incontro tra domanda e offerta di lavoro basato su una rete di nodi regionali». Ed il comma 5 dello stesso articolo prescrive che «il coordinamento tra il livello nazionale ed il livello regionale deve in ogni caso garantire, nel rispetto degli articoli 4 e 120 della Costituzione, la piena operativita' della borsa continua nazionale del lavoro in ambito nazionale e comunitario. A tal fine il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rende disponibile l'offerta degli strumenti tecnici alle regioni e alle province autonome che ne facciano richiesta nell'ambito dell'esercizio delle loro competenze». Inoltre, ed e' cio' che piu' conta, l'art. 16 prevede: «1. - Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce, di concerto con il Ministro della innovazione e della tecnologia, e d'intesa con le regioni e le province autonome, gli standard tecnici e i flussi informativi di scambio tra i sistemi, nonche' le sedi tecniche finalizzate ad assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema a livello nazionale. 2. - La definizione degli standard tecnici e dei flussi informativi di scambio tra i sistemi avviene nel rispetto delle competenze definite nell'Accordo Stato-regioni-autonomie locali dell'11 luglio 2002 e delle disposizioni di cui all'art. 31, comma 2, della legge 31 dicembre 1996, n. 675». Infine, il comma 5 dell'art. 17 stabilisce che «in attesa dell'entrata a regime della borsa continua nazionale del lavoro il Ministero del lavoro e delle politiche sociali predispone, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, uno o piu' modelli di rilevazione da somministrare alle agenzie autorizzate o accreditate, nonche' agli enti di cui all'art. 6. La mancata risposta al questionario di cui al comma precedente e' valutata ai fini del ritiro dell'autorizzazione o accreditamento». Le norme del decreto legislativo comportano, quindi, il coinvolgimento delle Regioni nella disciplina e gestione del sistema informatico. 9. - Le Regioni Marche, Emilia-Romagna e Basilicata e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato la disposizione dell'art. 1, comma 2, lettera c), la quale stabilisce il «mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonche' alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale». Secondo le ricorrenti, la norma comporta l'attribuzione allo Stato della competenza per l'intera disciplina laddove, concernendo essa una materia di competenza concorrente, allo Stato dovrebbe spettare solo la determinazione dei principi fondamentali, con esclusione delle funzioni amministrative; sarebbe inoltre violato il principio di sussidiarieta'. La disposizione appare estranea alla ratio della delega non soltanto per la materia, ma anche per il suo autonomo contenuto precettivo, come puo' dedursi pure dalla constatazione che nessuna norma e' stata emessa sul punto con il decreto legislativo. Le censure non sono fondate perche' - come si e' detto scrutinando le questioni aventi ad oggetto l'art. 5 della legge n. 30 - non e' condivisibile la premessa dalla quale esse muovono. Infatti la conciliazione delle controversie di lavoro, rispetto alla quale le funzioni amministrative sono strettamente strumentali, non rientra nella materia della tutela e sicurezza del lavoro, bensi' in quella dell'ordinamento civile, in quanto concernente la definizione transattiva delle controversie stesse, ed in quella della giurisdizione e norme processuali per l'incidenza che la previsione e la regolamentazione del tentativo di componimento bonario delle liti possono avere sullo svolgimento del processo. Per quanto riguarda l'impugnazione della Provincia di Trento, l'inammissibilita' della censura si fonda sul semplice rilievo che, prescrivendo il mantenimento delle funzioni svolte dallo Stato, la norma non puo' incidere su quelle gia' esercitate dalla ricorrente ai sensi del proprio statuto. 10. - La disposizione di cui alla lettera d) dell'art. 1, comma 2, e' stata impugnata da tutte le ricorrenti, ma le questioni aventi ad oggetto la prima parte, la quale prescrive il «mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro», sono state stralciate insieme a quelle riguardanti l'art. 8 di cui si e' detto. La seconda parte, da scrutinare, prescrive il mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative «alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea e all'autorizzazione per attivita' lavorative all'estero». Da tutte le ricorrenti la norma e' impugnata, al di la' di profili non essenziali delle censure, sostanzialmente perche', attenendo i suindicati flussi di entrata dei lavoratori extracomunitari alla domanda di lavoro sul territorio regionale, la competenza non puo' spettare esclusivamente allo Stato. Ora, a prescindere dal rilievo che la disposizione non attribuisce allo Stato alcuna nuova competenza, la materia «immigrazione» appartiene alla potesta' esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera b, della Costituzione). La censura e' per tale parte infondata, mentre generica e' la denuncia di contrasto con l'art. 118 della Costituzione, sicche' la censura e' sotto questo profilo inammissibile. 11. - La sola Regione Marche ha ritualmente impugnato la disposizione dell'art. 1, comma 2, lettera e), la quale stabilisce, come principio e criterio direttivo da seguire nella nuova disciplina del collocamento, il «mantenimento da parte delle province delle funzioni amministrative, attribuite dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469». La ricorrente denuncia la violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione in quanto non spetta allo Stato l'attribuzione delle funzioni amministrative nelle materie di competenza concorrente. La censura non e' fondata ai sensi delle considerazioni che seguono. L'allocazione delle funzioni amministrative nelle materie, come quella di cui si tratta (tutela e sicurezza del lavoro), di competenza concorrente, non spetta, in linea di principio, allo Stato. Tuttavia, come questa Corte ha gia' affermato (v. sentenza n. 13 del 2004), vi sono funzioni e servizi pubblici che non possono subire interruzioni se non a costo di incidere su diritti che non possono essere sacrificati. Tali rilievi comportano che le funzioni delle Province continueranno a svolgersi secondo le disposizioni vigenti fin quando le Regioni non le avranno sostituite con una propria disciplina. La norma va intesa, quindi, nel senso che le funzioni amministrative sono mantenute in capo alle Province senza precludere la possibilita' di diverse discipline da parte delle Regioni. Cosi' interpretata la norma non lede la sfera di attribuzioni regionali. L'art. 3, comma 2, prima parte, del d.lgs. n. 276 del 2003, impugnato dalle Regioni Marche e Toscana, contiene una norma analoga a quella di cui all'art. 1, comma 2, lettera e), della legge delega e lo scrutinio relativo conduce, quindi, alle medesime conclusioni. 12. - La disposizione di cui all'art. 1, comma 2, lettera f), della legge delega fissa come principio e criterio direttivo l'«incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e operatori pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province». Le censure contro tale norma devono essere esaminate congiuntamente a quelle contro le disposizioni sub lettere l) e m) dello stesso art. 1, comma 2, lettera f), della legge di delegazione nonche' a quelle contro gli artt. 3, comma 2; 4; 6; 12, commi 3 e 5; 13, commi 1 e 6; 14, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, per la connessione che esiste tra le norme impugnate e quindi tra le questioni di cui sono oggetto. La disposizione sub art. 1, comma 2, lettera l), della legge delega, impugnata ritualmente dalle Regioni Marche ed Emilia-Romagna, e' cosi' formulata: «identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali, e privati, che abbiano adeguati requisiti giuridici e finanziari, differenziato in funzione del tipo di attivita' svolta, comprensivo delle ipotesi di trasferimento della autorizzazione e modulato in relazione alla natura giuridica dell'intermediario, con particolare riferimento alle associazioni non riconosciute ovvero a enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, nonche' alle universita' e agli istituti di scuola secondaria di secondo grado, prevedendo, altresi', che non vi siano oneri o spese a carico dei lavoratori, fatto salvo quanto previsto dall'art. 7 della Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 19 giugno 1997, n. 181, ratificata dall'Italia in data 1° febbraio 2000». Le disposizioni di cui alla lettera m) dell'art. 1, comma 2, della legge n. 30 del 2003, impugnate dalla sola Regione Marche, sono le seguenti: «abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e sua sostituzione con una nuova disciplina basata sui seguenti criteri direttivi: 1) autorizzazione della somministrazione di manodopera, solo da parte dei soggetti identificati ai sensi della lettera l); 2) ammissibilita' della somministrazione di manodopera, anche a tempo indeterminato, in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative; 3) chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco, nonche' di interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro; 4) garanzia del regime di solidarieta' tra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui; 5) trattamento assicurato ai lavoratori coinvolti nell'attivita' di somministrazione di manodopera non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice; 6) conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, prevedendo altresi' specifiche sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata nonche' un regime sanzionatorio piu' incisivo nel caso di sfruttamento del lavoro minorile; 7) utilizzazione del meccanismo certificatorio di cui all'art. 5 ai fini della distinzione concreta tra interposizione illecita e appalto genuino, sulla base di indici e codici di comportamento elaborati in sede amministrativa che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio di impresa da parte dell'appaltatore». Dell'art. 3 del d.lgs. n. 276 del 2003, che introduce le norme del Titolo II (Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro) e reca la rubrica «finalita», e' stato censurato il comma 2, per intero, dalle Regioni Marche e Toscana e solo le disposizioni sub lettere a) e c) dalla Regione Emilia-Romagna. Il comma, nelle parti censurate, e' del seguente tenore: «Ferme restando le competenze delle regioni in materia di regolazione e organizzazione del mercato del lavoro regionale e fermo restando il mantenimento da parte delle province delle funzioni amministrative attribuite dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni, per realizzare l'obiettivo di cui al comma 1: a) viene identificato un unico regime di autorizzazione per i soggetti che svolgono attivita' di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale; b) vengono stabiliti i principi generali per la definizione dei regimi di accreditamento regionali degli operatori pubblici o privati che forniscono servizi al lavoro nell'ambito dei sistemi territoriali di riferimento anche a supporto delle attivita' di cui alla lettera a); c) vengono identificate le forme di coordinamento e raccordo tra gli operatori, pubblici o privati, al fine di un migliore funzionamento del mercato del lavoro; d) vengono stabiliti i principi e criteri direttivi per la realizzazione di una borsa continua del lavoro; e) vengono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con la nuova regolamentazione del mercato del lavoro e viene introdotto un nuovo regime sanzionatorio». L'art. 2, comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 276 del 2003, che detta la definizione di «autorizzazione» alle agenzie del lavoro, e' impugnato dalla sola Regione Emilia-Romagna e la relativa impugnazione e' da ritenere inammissibile, non essendo tale disposizione compresa tra quelle indicate nella delibera della Giunta regionale. Del pari inammissibile e' l'impugnativa dell'art. 5 del medesimo decreto, proposta dalla sola Provincia autonoma di Trento in modo generico, senza alcuna esplicitazione delle relative censure. Gli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 276 del 2003, inseriti nel Capo I (Regime autorizzatorio e accreditamenti), sono formulati nel seguente modo: Art. 4 (Agenzie per il lavoro): «1. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e' istituito un apposito albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attivita' di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale. Il predetto albo e' articolato in cinque sezioni: a) agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attivita' di cui all'art. 20; b) agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente una delle attivita' specifiche di cui all'art. 20, comma 3, lettere da a) a h); c) agenzie di intermediazione; d) agenzie di ricerca e selezione del personale; e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale. 2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilascia entro sessanta giorni dalla richiesta e previo accertamento della sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari di cui all'art. 5, l'autorizzazione provvisoria all'esercizio delle attivita' per le quali viene fatta richiesta di autorizzazione, provvedendo contestualmente alla iscrizione delle agenzie nel predetto albo. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i novanta giorni successivi rilascia l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica del corretto andamento dell'attivita' svolta. 3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, decorsi inutilmente i termini previsti, la domanda di autorizzazione provvisoria o a tempo indeterminato si intende accettata. 4. Le agenzie autorizzate comunicano alla autorita' concedente, nonche' alle regioni e alle province autonome competenti, gli spostamenti di sede, l'apertura delle filiali o succursali, la cessazione della attivita' ed hanno inoltre l'obbligo di fornire alla autorita' concedente tutte le informazioni da questa richieste. 5. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce le modalita' della presentazione della richiesta di autorizzazione di cui al comma 2, i criteri per la verifica del corretto andamento della attivita' svolta cui e' subordinato il rilascio della autorizzazione a tempo indeterminato, i criteri e le modalita' di revoca della autorizzazione, nonche' ogni altro profilo relativo alla organizzazione e alle modalita' di funzionamento dell'albo delle agenzie per il lavoro. 6. L'iscrizione alla sezione dell'albo di cui alla lettera a), comma 1, comporta automaticamente l'iscrizione della agenzia alle sezioni di cui alle lettere c) d) ed e) del predetto albo. L'iscrizione alla sezione dell'albo di cui al comma 1, lettera c), comporta automaticamente l'iscrizione della agenzia alle sezioni di cui alle lettere d) ed e) del predetto albo. 7. L'autorizzazione di cui al presente articolo non puo' essere oggetto di transazione commerciale». L'articolo e' stato impugnato nel suo complesso dalle Regioni Marche e Toscana e dalla Provincia di Trento, nonche', con esclusione del comma 7, dalla Regione Emilia-Romagna. L'art. 6 (Regimi particolari di autorizzazione) e' stato impugnato nella sua totalita' dalle Regioni Emilia-Romagna e Marche nonche' nei commi da 6 a 8 dalla Regione Toscana e dalla Provincia di Trento ed e' cosi' formulato: «1. Sono autorizzate allo svolgimento della attivita' di intermediazione le universita' pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie che hanno come oggetto l'alta formazione con specifico riferimento alle problematiche del mercato del lavoro, a condizione che svolgano la predetta attivita' senza finalita' di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro, nonche' l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto al successivo art. 17. 2. Sono altresi' autorizzati allo svolgimento della attivita' di intermediazione, secondo le procedure di cui all'art. 4 o di cui al comma 6 del presente articolo, i comuni, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari, a condizione che svolgano la predetta attivita' senza finalita' di lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), f) e g) di cui all'art. 5, comma 1, nonche' l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto o1 successivo art. 17. 3. Sono altresi' autorizzate allo svolgimento della attivita' di intermediazione le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro, le associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e aventi come oggetto sociale la tutela e l'assistenza delle attivita' imprenditoriali, del lavoro o delle disabilita', e gli enti bilaterali a condizione che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), d), e), f), g) di cui all'art. 5, comma 1. 4. L'ordine nazionale dei consulenti del lavoro puo' chiedere l'iscrizione all'albo di cui all'art. 4 di una apposita fondazione o di altro soggetto giuridico dotato di personalita' giuridica costituito nell'ambito del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro per lo svolgimento a livello nazionale di attivita' di intermediazione. L'iscrizione e' subordinata al rispetto dei requisiti di cui alle lettere c), d), e), f), g) di cui all'art. 5, comma l. 5. E' in ogni caso fatto divieto ai consulenti del lavoro di esercitare individualmente o in altra forma diversa da quella indicata al comma 3 e agli articoli 4 e 5, anche attraverso ramificazioni a livello territoriale, l'attivita' di intermediazione. 6. L'autorizzazione allo svolgimento delle attivita' di cui all'art. 2, comma 1, lettere b), c), d), puo' essere concessa dalle regioni e dalle province autonome con esclusivo riferimento al proprio territorio e previo accertamento della sussistenza dei requisiti di cui agli articoli 4 e 5, fatta eccezione per il requisito di cui all'art. 5, comma 4, lettera b). 7. La regione rilascia entro sessanta giorni dalla richiesta l'autorizzazione provvisoria all'esercizio delle attivita' di cui al comma 6, provvedendo contestualmente alla comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l'iscrizione delle agenzie in una apposita sezione regionale nell'albo di cui all'art. 4, comma 1. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i sessanta giorni successivi la regione rilascia l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica del corretto andamento dell'attivita' svolta. 8. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce d'intesa con la Conferenza unificata le modalita' di costituzione della apposita sezione regionale dell'albo di cui all'art. 4, comma 1, e delle procedure ad essa connesse». Su parte delle norme del decreto legislativo ora riportate ha inciso il decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di occupazione e mercato del lavoro). In particolare, per quanto concerne le disposizioni suindicate, l'art. 2 del decreto correttivo ha apportato le modifiche che si espongono. Il comma 1 ha sostituito il comma 2 dell'art. 6 del d.lgs. n. 276 con il seguente: «Sono altresi' autorizzati allo svolgimento della attivita' di intermediazione, secondo le procedure di cui al comma 6, i comuni singoli o associati nelle forme delle unioni di comuni e delle comunita' montane, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari a condizione che svolgano la predetta attivita' senza finalita' di lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), f) e g) del comma 1, dell'art. 5, nonche' l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto dall'art. 17». Il comma 2 ha sostituito il comma 8 dello stesso art. 6 con il seguente: «Le procedure di autorizzazione di cui ai commi 6 e 7 sono disciplinate dalle regioni nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali desumibili in materia dal presente decreto. In attesa delle normative regionali, i soggetti autorizzati ai sensi della disciplina previgente allo svolgimento della attivita' di intermediazione, nonche' i soggetti di cui al comma 3, che non intendono richiedere l'autorizzazione a livello nazionale possono continuare a svolgere, in via provvisoria e previa comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell'ambito regionale, le attivita' oggetto di autorizzazione con esclusivo riferimento ad una singola regione. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali provvede alla iscrizione dei predetti soggetti, in via provvisoria e previa verifica che l'attivita' si sia svolta nel rispetto della normativa all'epoca vigente, nella sezione regionale dell'albo di cui all'art. 4, comma 1». Infine il comma 3 dell'art. 2 del decreto n. 251 del 2004 ha aggiunto, dopo il comma 8, il seguente comma 8-bis: «I soggetti autorizzati ai sensi del presente articolo non possono in ogni caso svolgere l'attivita' di intermediazione nella forma del consorzio. I soggetti autorizzati da una singola regione, ai sensi dei commi 6, 7 e 8, non possono operare a favore di imprese con sede legale in altre regioni». Alle disposizioni della legge delega di cui alle lettere l) ed m) sopra riportate si ricollegano quelle degli articoli 12, 13 e 14 del d.lgs. n. 276 del 2003, che sono state in parte impugnate dalla sola Regione Emilia-Romagna. La ricorrente, pur avendo incluso nell'epigrafe del ricorso tra le disposizioni cui l'atto si riferisce tutti i commi da 1 a 5 dell'art. 12, ha poi limitato le censure ai commi 3 e 5, per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, dolendosi che, pur essendo i fondi previsti dagli articoli l e 2 destinati in parte a misure di sostegno dell'occupazione e della formazione, entrambe materie di competenza regionale, le Regioni non siano state coinvolte nella loro gestione. I commi impugnati sono cosi' formulati: «3. Gli interventi e le misure di cui ai commi 1 e 2 sono attuati nel quadro di politiche stabilite nel contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro ovvero, in mancanza, stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro maggiormente rappresentative nel predetto ambito». «5. I fondi di cui al comma 4 sono attivati a seguito di autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa verifica della congruita', rispetto alle finalita' istituzionali previste ai commi 1 e 2, dei criteri di gestione e delle strutture di funzionamento del fondo stesso, con particolare riferimento alla sostenibilita' finanziaria complessiva del sistema. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali esercita la vigilanza sulla gestione dei fondi». Dell'art. 13, la Regione Emilia-Romagna impugna i commi 1 e 6, del seguente tenore: «1. Al fine di garantire l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di workfare, alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro e' consentito: a) operare in deroga al regime generale della somministrazione di lavoro, ai sensi del comma 2 dell'art. 23, ma solo in presenza di un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalita', e a fronte della assunzione del lavoratore da parte delle agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto di durata non inferiore a sei mesi; b) determinare altresi', per un periodo massimo di dodici mesi e solo in caso di contratti di durata non inferiore a nove mesi, il trattamento retributivo del lavoratore, detraendo dal compenso dovuto quanto eventualmente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di indennita' di mobilita', indennita' di disoccupazione ordinaria o speciale, o altra indennita' o sussidio la cui corresponsione e' collegata allo stato di disoccupazione o inoccupazione, e detraendo dai contributi dovuti per l'attivita' lavorativa l'ammontare dei contributi figurativi nel caso di trattamenti di mobilita' e di indennita' di disoccupazione ordinaria o speciale». «6. Fino alla data di entrata in vigore di norme regionali che disciplinino la materia, le disposizioni di cui al comma 1 si applicano solo in presenza di una convenzione tra una o piu' agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, anche attraverso le associazioni di rappresentanza e con l'ausilio delle agenzie tecniche strumentali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e i comuni, le provincie o le regioni stesse». Prima di scrutinare le norme suindicate, e' necessario anzitutto richiamare quanto gia' detto riguardo al rapportarsi della disciplina del collocamento, ed in genere dei servizi per l'impiego, agli artt. 4 e 120 della Costituzione nonche' al limite che la competenza regionale puo' incontrare per effetto delle attribuzioni statali riguardo alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (v. sentenza n. 388 del 2004). Tutto cio' visto nell'ottica della realizzazione del diritto sociale al lavoro. Ma se il collocamento, ed in genere tutte le attivita' atte a favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, non sono piu' riservati alle strutture pubbliche, ritenendosi dal legislatore che solo l'apertura ai privati e la collaborazione tra questi e le strutture pubbliche possano rendere efficienti tali attivita', la disciplina dei soggetti comunque abilitati a svolgerle deve essere in armonia con i precetti costituzionali concernenti l'attivita' economica. E sul punto e' necessario rilevare che, se l'originaria disciplina dei privati abilitati all'intermediazione prevedeva che essi avessero come oggetto sociale esclusivo lo svolgimento di tale attivita' (art. 10, comma 3, d.lgs. n. 469 del 1997), questa esclusivita' non e' piu' richiesta, sussistendo soltanto, per i soggetti polifunzionali, l'obbligo di tenere distinte divisioni operative, gestite con contabilita' separata, onde consentire una puntuale conoscenza dei dati specifici (art. 5, comma 1, lettera e, d.lgs. n. 276 del 2003). Dall'angolo visuale dei soggetti che la svolgono, l'attivita' di intermediazione nella sua piu' ampia accezione puo' quindi costituire oggetto di normale attivita' imprenditoriale ed e' soggetta anche alle norme che tutelano la concorrenza. Occorre infine osservare che l'autorizzazione di cui all'art. 1, comma 2, lettera l), della legge delega abilita anche allo svolgimento di tutte le attivita' di cui alla successiva lettera m), concernenti prevalentemente la somministrazione di manodopera o di lavoro altrui ed il regime dei rapporti che da essa nascono, nonche' i criteri di distinzione tra appalto e interposizione ed il regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, materie tutte che rientrano in competenze esclusive dello Stato. Sulla base di tali premesse si puo' procedere allo scrutinio delle singole questioni. L'art. 1, comma 2, lettera l), della legge n. 30 del 2003 e' impugnato ritualmente dalle Regioni Marche ed Emilia-Romagna perche', in una materia di competenza legislativa concorrente, conterrebbe norme di dettaglio. La Regione Emilia-Romagna denuncia anche l'ambiguita' della norma per i dubbi interpretativi che suscita, evocando, oltre agli artt. 117 e 118 della Costituzione, anche gli artt. 3 e 97 della Costituzione, perche' prevederebbe un eguale trattamento per situazioni diseguali e sarebbe comunque contraria al canone della buona amministrazione. Le suindicate censure solo in parte possono trovare ingresso ed essere scrutinate nel merito. A questa Corte, infatti, non compete formulare giudizi di opportunita' o risolvere dubbi interpretativi, mentre i profili relativi agli artt. 3 e 97 della Costituzione non concretano lesioni della sfera di competenza regionale. Le censure sono, quindi, inammissibili, in parte qua. La questione, cosi' delimitata, e' infondata. La scelta di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento costituisce un criterio direttivo idoneo a dar luogo alla formulazione di un principio fondamentale, sul quale basare la disciplina della complessa materia. L'opzione di un unico regime giuridico per chiunque voglia svolgere attivita' in senso generico di intermediazione e' correlata all'esigenza che il mercato del lavoro abbia dimensioni almeno nazionali - in questa sede non vengono in evidenza problemi di adeguamento al diritto comunitario - esigenza la quale a sua volta si radica nel precetto dell'art. 120, primo comma, della Costituzione, la cui osservanza costituisce la premessa perche' siano garantiti anche altri interessi costituzionalmente protetti, quali quelli inerenti alle prestazioni essenziali per la realizzazione del diritto al lavoro, da un lato, ed allo svolgimento di attivita' che possono avere natura economica in regime di concorrenza, dall'altro. La previsione di ambiti regionali del mercato del lavoro e' ausiliaria e complementare rispetto al mercato nazionale. Connessa alla scelta dell'unicita' del regime autorizzatorio o di accreditamento e' quella dell'albo delle agenzie per il lavoro, di cui all'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, mentre la previsione delle sue articolazioni e' in funzione della varieta' sia dei soggetti cui puo' essere data l'autorizzazione o l'accreditamento, sia delle attivita' che essi possono svolgere. Inoltre, poiche' le agenzie iscritte nell'albo possono svolgere la loro attivita' sull'intero territorio nazionale e l'autorizzazione definitiva viene rilasciata solo dopo la verifica del corretto andamento dell'attivita' svolta (art. 4, comma 2, d.lgs. n. 276), la disciplina delle modalita' di rilascio delle autorizzazioni, dei criteri di verifica dell'attivita', di revoca dell'autorizzazione e «di ogni altro profilo relativo alla organizzazione e alle modalita' di funzionamento dell'albo delle agenzie per il lavoro», ancorche' in parte si tratti anche di disciplina di attivita' amministrative, e' coessenziale ai principi fondamentali suindicati. Le censure contro i restanti commi del citato art. 4, anche in considerazione del grado di specificita' delle ragioni addotte, sono quindi infondate. Per quanto concerne le questioni relative all'art. 6, occorre preliminarmente rilevare che le censure prospettate dalle Regioni Marche ed Emilia-Romagna, con riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, sono da ritenere inammissibili in quanto i profili di censura in esse evidenziati non ridondano in lesioni della sfera di competenza costituzionalmente garantita alle Regioni. Nel merito, invece, tenuto conto di quanto disposto dall'art. 2 del d.lgs. n. 251 del 2004, si rileva che il contenuto precettivo del comma 2 non e' mutato per effetto della sostituzione operata da quest'ultimo provvedimento legislativo, cosi' come non e' mutato quello del comma 3 in conseguenza della modifica, sicche' e' sulle norme come sostituite o modificate che occorre trasferire le censure. Esse, come quelle contro i commi 1, 4, 5, 6 e 7, non sono fondate, per ragioni analoghe a quelle gia' esposte con riguardo all'art. 4, con la precisazione che tale esito riguarda anche le doglianze prospettate dalle Regioni Marche, Emilia-Romagna e Toscana in riferimento all'art. 97 della Costituzione. Per quanto riguarda il comma 8, la sostituzione operata dal comma 2 dell'art. 2 del d.lgs. n. 251 del 2004 comporta che non e' piu' previsto che le modalita' di costituzione dell'apposita sezione regionale dell'albo di cui all'art. 4, comma 1, e delle procedure ad essa connesse siano stabilite da un decreto ministeriale; e' invece stabilito che le procedure di autorizzazione di cui ai commi 6 e 7 siano disciplinate dalle Regioni nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali desumibili in materia dallo stesso decreto. Di conseguenza, non vi e' luogo a provvedere essendo cessata la materia del contendere. Le questioni aventi ad oggetto l'art. 1, comma 2, lettera m), della legge n. 30 del 2003, sollevate dalla sola Regione Marche con riferimento all'art. 117, terzo e sesto comma, della Costituzione, in quanto le disposizioni censurate conterrebbero norme di dettaglio in materia di tutela e sicurezza del lavoro, di competenza legislativa concorrente, non sono fondate. La prima parte della norma dispone l'abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 e quella del numero 1 stabilisce come principio e criterio direttivo che l'autorizzazione alla somministrazione di manodopera debba essere data solo ai soggetti autorizzati ai sensi della lettera l). Si tratta di norme concernenti aspetti generali del nuovo sistema del collocamento e della intermediazione, connesse al regime unico dell'autorizzazione di cui si e' detto, e della conseguente abrogazione della legge n. 1369 del 1960 sul presupposto della incompatibilita' del vecchio sistema normativo riguardo al nuovo. Da tali norme non deriva alcuna lesione della sfera di competenza regionale. Le disposizioni sub numeri 2, 4 e 5 contengono norme sulla somministrazione di manodopera o di lavoro altrui e sui rapporti che da essa nascono tra fornitore ed utilizzatore e sui diritti dei lavoratori. Le norme rientrano quindi nella materia dell'ordinamento civile, di esclusiva competenza statale. Le disposizioni di cui ai numeri 3 e 7 riguardano la distinzione tra appalto lecito e interposizione vietata e quindi sono anch'esse da ricondurre all'ordinamento civile. Infine la disposizione contenuta nel numero 6 ha ad oggetto i principi concernenti l'apparato sanzionatorio civilistico e penalistico e quindi ancora una volta materie di competenza esclusiva statale (art. 117, comma secondo, lettera l), della Costituzione). Anche tali questioni non sono, pertanto, fondate. Connessi alle disposizioni della legge di delegazione appena esaminate, in quanto concernono aspetti della somministrazione di lavoro, sono gli articoli 12, 13 e 14 del d.lgs. n. 276 del 2003, dei quali la sola Regione Emilia-Romagna censura rispettivamente i commi 3 e 5, i commi 1 e 6, ed i commi 1 e 2, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione. In particolare, per quanto riguarda l'art. 12, la Regione ricorrente si duole che, pur essendo i fondi di cui ai commi 1 e 2 destinati ad attivita' rientranti in materie o di competenza esclusiva regionale (formazione professionale) o di competenza concorrente (tutela e sicurezza del lavoro), la disciplina sia esclusivamente statale, senza alcun coinvolgimento delle Regioni e quindi anche in violazione dei principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione. Le tesi della ricorrente non sono condivisibili. E' necessario premettere che dai commi 1 e 2 dell'articolo in esame risulta che i soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro devono versare al fondo di cui al comma 4 un primo contributo del quattro per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori a tempo indeterminato e che le somme sono destinate ad interventi in favore dei lavoratori assunti a tempo determinato, intesi, in particolare, a promuovere percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuita' di occasioni di impiego e a prevedere specifiche misure di carattere previdenziale. Si deve osservare che sia per l'origine e quantificazione delle somme (contributi dei datori di lavoro commisurati in percentuale a retribuzioni), sia per una parte della loro destinazione (specifiche misure di carattere previdenziale sempre a favore dei lavoratori assunti a tempo determinato), si tratta di una disciplina essenzialmente di carattere previdenziale, che soltanto eventualmente e in modo marginale puo' farsi rientrare nella tutela e sicurezza del lavoro o nella qualificazione o riqualificazione, queste ultime peraltro da svolgersi, se non esclusivamente, di norma all'interno delle aziende, essendo finalizzate alla continuita' delle occasioni d'impiego. Il comma 2 prevede un identico contributo da destinare in parte all'integrazione del reddito dei lavoratori a tempo determinato e quindi ancora a scopi previdenziali, in parte a iniziative comuni relative all'accertamento dell'utilita' generale della somministrazione di lavoro, o a favorire iniziative per l'inserimento o il reinserimento di lavoratori svantaggiati, oppure percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale. Si tratta di norme generali sulla tutela del lavoro. La prevalenza e soprattutto l'indefettibilita' della natura previdenziale del fondo a fronte di altre destinazioni puramente eventuali delle risorse, il carattere nazionale del medesimo, la necessita' di tener conto della «sostenibilita' finanziaria complessiva del sistema», giustificano l'attrazione alle competenze statali anche di funzioni amministrative (v. sentenza n. 303 del 2003). Le disposizioni impugnate dell'art. 13 disciplinano deroghe al regime generale del contratto di inserimento qualora i soggetti da inserire siano lavoratori svantaggiati. Riguardo ad esse si puo' osservare che, essendo la finalita' quella di favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di tali soggetti, gli strumenti usati attengono anche al regime retributivo e quindi all'ordinamento civile, oppure a diritti previdenziali e dunque a materie di competenza esclusiva statale. La ricorrente Regione Emilia-Romagna osserva che il comma 6 dello stesso articolo, nel prevedere un regime transitorio «fino alla data di entrata in vigore di norme regionali che disciplinino la materia», espressamente riconosce che questa appartiene alla competenza regionale. Ora, a parte il rilievo che non puo' essere una legge ordinaria a modificare l'assetto costituzionale del riparto delle competenze legislative, le norme impugnate hanno ad oggetto la disciplina di strutture e misure idonee a favorire l'inserimento dei soggetti svantaggiati che attengono al regime privatistico o previdenziale, sicche' non e' a queste misure che puo' riferirsi il rinvio ad una futura legislazione regionale. In considerazione delle materie - ordinamento civile e previdenza - cui ineriscono le misure gia' stabilite, la disciplina transitoria non comporta alcuna lesione delle sfere di competenza regionale. Infine, per quanto concerne le disposizioni dell'art. 14, si puo' osservare, da una parte, che esse contengono norme di principio, quale la previsione di una convenzione quadro, dall'altra, che e' assicurato il coinvolgimento delle Regioni, dal momento che e' previsto che le convenzioni «devono essere validate da parte delle regioni». Si rileva, peraltro, che, in relazione ai menzionati artt. 13, commi 1 e 6, e 14, commi 1 e 2, la Regione ricorrente ha altresi' lamentato la violazione dell'art. 76 della Costituzione, sostenendo che tali norme non troverebbero alcun fondamento nella legge delega. Tali censure sono inammissibili poiche' non si risolvono in una lesione della sfera di competenza costituzionalmente garantita alle Regioni. 13. - La Regione Emilia-Romagna ha impugnato, in riferimento agli artt. 3, 4, 76, 117 e 118 della Costituzione, l'art. 22, comma 6, del d.lgs. n. 276 del 2003, il quale stabilisce che «la disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e la riserva di cui all'art. 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 181 del 2000, non si applicano in caso di somministrazione». Il comma 3 dell'art. 4-bis suindicato a sua volta stabilisce che: «fermo restando quanto previsto dai commi 1 e 2, le regioni possono prevedere che una quota delle assunzioni effettuate dai datori di lavoro privati e dagli enti pubblici economici sia riservata a particolari categorie di lavoratori a rischio di esclusione sociale». La ricorrente sostiene che la norma censurata comporta una deroga irragionevole ad un principio fondamentale con lesione delle competenze regionali; deroga non prevista dalla legge di delegazione n. 30 del 2003. Sulla ammissibilita' della questione non possono sorgere dubbi una volta che si rilevi che la disposizione derogata dalla norma censurata comporta potesta' normative delle Regioni, sulle quali la deroga stessa incide, limitandole. Nel merito, la questione e' fondata perche' nessuna disposizione della legge n. 30 del 2003 prevede la deroga suindicata. 14. - Occorre procedere a questo punto allo scrutinio delle questioni concernenti la seconda parte dell'art. 2 della legge n. 30 del 2003 e cioe' dei principi e criteri direttivi finalizzati all'attuazione della delega per la revisione e razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nonche' di quelle relative alle disposizioni del d.lgs. n. 276 del 2003 che alla materia della suindicata delega si riconnettono, tenendo presenti i rilievi fatti con riguardo alle questioni relative alla prima parte della disposizione. La norma detta i seguenti criteri e principi direttivi, cominciando dalla lettera b), in quanto la disposizione sub lettera a) e' censurata soltanto dalla Regione Toscana, con impugnazione gia' dichiarata inammissibile: «b) attuazione degli obiettivi e rispetto dei criteri di cui all'art. 16, comma 5, della legge 24 giugno 1997, n. 196, al fine di riordinare gli speciali rapporti di lavoro con contenuti formativi, cosi' da valorizzare l'attivita' formativa svolta in azienda, confermando l'apprendistato come strumento formativo anche nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza tale da garantire il raccordo tra i sistemi della istruzione e della formazione, nonche' il passaggio da un sistema all'altro e, riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle strutture pubbliche designate competenze autorizzatorie in materia, specializzando il contratto di formazione e lavoro al fine di realizzare l'inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in azienda; c) individuazione di misure idonee a favorire forme di apprendistato e di tirocinio di impresa al fine del subentro nella attivita' di impresa; d) revisione delle misure di inserimento al lavoro, non costituenti rapporto di lavoro, mirate alla conoscenza diretta del mondo del lavoro con valorizzazione dello strumento convenzionale fra le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il sistema formativo e le imprese, secondo modalita' coerenti con quanto previsto dagli articoli 17 e 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, prevedendo una durata variabile fra uno e dodici mesi ovvero fino a ventiquattro mesi per i soggetti disabili, in relazione al livello di istruzione, alle caratteristiche della attivita' lavorativa e al territorio di appartenenza nonche', con riferimento ai soggetti disabili, anche in base alla natura della menomazione e all'incidenza della stessa sull'allungamento dei tempi di apprendimento in relazione alle specifiche mansioni in cui vengono inseriti, e prevedendo altresi' la eventuale corresponsione di un sussidio in un quadro di razionalizzazione delle misure di inserimento non costituenti rapporti di lavoro; e) orientamento degli strumenti definiti ai sensi dei principi e dei criteri direttivi di cui alle lettere b), c) e d), nel senso di valorizzare l'inserimento o il reinserimento al lavoro delle donne, particolarmente di quelle uscite dal mercato del lavoro per l'adempimento di compiti familiari e che desiderino rientrarvi, al fine di superare il differenziale occupazionale tra uomini e donne; f) semplificazione e snellimento delle procedure di riconoscimento e di attribuzione degli incentivi connessi ai contratti a contenuto formativo, tenendo conto del tasso di occupazione femminile e prevedendo anche criteri di automaticita'; g) rafforzamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei risultati conseguiti, anche in relazione all'impatto sui livelli di occupazione femminile e sul tasso di occupazione in generale, per effetto della ridefinizione degli interventi di cui al presente articolo da parte delle amministrazioni competenti e tenuto conto dei criteri che saranno determinati dai provvedimenti attuativi, in materia di mercato del lavoro, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; h) sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti dell'attivita' formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all'interno di enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo, determinati con atti delle regioni, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali; i) rinvio ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative, a livello nazionale, territoriale e aziendale, per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalita' di attuazione dell'attivita' formativa in azienda». A tali disposizioni della legge di delegazione si ricollegano quelle del Titolo VI (Apprendistato e contratto di inserimento) del d.lgs. n. 276, distinte nel capo I per l'apprendistato (articoli da 47 a 53) e nel capo II per il contratto di inserimento (articoli da 54 a 60), il cui tenore, nel testo originario impugnato dalle ricorrenti - antecedente alle parziali modifiche, peraltro ininfluenti in questa sede, introdotte dal decreto correttivo n. 251 del 2004 relative agli artt. 53, comma 3, 55, comma 5, 59, comma 3 e all'aggiunta dell'art. 59-bis - era il seguente: «Art. 47 (Definizione, tipologie e limiti quantitativi). - 1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di diritto-dovere di istruzione e di formazione, il contratto di apprendistato e' definito secondo le seguenti tipologie: a) contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; b) contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale; c) contratto di apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. 2. Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro puo' assumere con contratto di apprendistato non puo' superare il 100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro stesso. Il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, puo' assumere apprendisti in numero non superiore a tre. La presente norma non si applica alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui all'art. 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443. 3. In attesa della regolamentazione del contratto di apprendistato ai sensi del presente decreto continua ad applicarsi la vigente normativa in materia. Art. 48 (Apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione). - 1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto quindici anni. 2. Il contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e di formazione ha durata non superiore a tre anni ed e' finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale. La durata del contratto e' determinata in considerazione della qualifica da conseguire, del titolo di studio, dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonche' del bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l'impiego o dai soggetti privati accreditati, mediante l'accertamento dei crediti formativi definiti ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53. 3. Il contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e' disciplinato in base ai seguenti principi: a) forma scritta del contratto, contenente indicazione della prestazione lavorativa oggetto del contratto, del piano formativo individuale, nonche' della qualifica che potra' essere acquisita al termine del rapporto di lavoro sulla base degli esiti della formazione aziendale od extra-aziendale; b) divieto di stabilire il compenso dell'apprendista secondo tariffe di cottimo; c) possibilita' per il datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi di quanto disposto dall'art. 2118 del codice civile; d) divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto di apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. 4. La regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e' rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale, nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi: a) definizione della qualifica professionale ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53; b) previsione di un monte ore di formazione, esterna od interna alla azienda, congruo al conseguimento della qualifica professionale in funzione di quanto stabilito al comma 2 e secondo standard minimi formativi definiti ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53; c) rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalita' di erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli standard generali fissati dalle regioni competenti; d) riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all'interno del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali; e) registrazione della formazione effettuata nel libretto formativo; f) presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate. Art. 49 (Apprendistato professionalizzante). - 1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con contratto di apprendistato professionalizzante, per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e la acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali, i soggetti di eta' compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni. 2. Per soggetti in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, il contratto di apprendistato professionalizzante puo' essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di eta'. 3. I contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale o regionale stabiliscono, in ragione del tipo di qualificazione da conseguire, la durata del contratto di apprendistato professionalizzante che, in ogni caso, non puo' comunque essere inferiore a due anni e superiore a sei. 4. Il contratto di apprendistato professionalizzante e' disciplinato in base ai seguenti principi: a) forma scritta del contratto, contenente indicazione della prestazione oggetto del contratto, del piano formativo individuale, nonche' della eventuale qualifica che potra' essere acquisita al termine del rapporto di lavoro sulla base degli esiti della formazione aziendale od extra-aziendale; b) divieto di stabilire il compenso dell'apprendista secondo tariffe di cottimo; c) possibilita' per il datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi di quanto disposto dall'art. 2118 del codice civile; d) possibilita' di sommare i periodi di apprendistato svolti nell'ambito del diritto-dovere di istruzione e formazione con quelli dell'apprendistato professionalizzante nel rispetto del limite massimo di durata di cui al comma 3; e) divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto di apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. 5. La regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante e' rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano regionale e nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi: a) previsione di un monte ore di formazione formale, interna o esterna alla azienda, di almeno centoventi ore per anno, per la acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali; b) rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalita' di erogazione e della articolazione della formazione, esterna e interna alle singole aziende, anche in relazione alla capacita' formativa interna rispetto a quella offerta dai soggetti esterni; c) riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all'interno del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali; d) registrazione della formazione effettuata nel libretto formativo; e) presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate. Art. 50 (Apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione). - 1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con contratto di apprendistato per conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, nonche' per la specializzazione tecnica superiore di cui all'art. 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, i soggetti di eta' compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni. 2. Per soggetti in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, il contratto di apprendistato di cui al comma 1 puo' essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di eta'. 3. Ferme restando le intese vigenti, la regolamentazione e la durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione e' rimessa alle regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le universita' e le altre istituzioni formative. Art. 51 (Crediti formativi). - 1. La qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e di istruzione e formazione professionale. 2. Entro dodici mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'istruzione, della universita' e della ricerca, e previa intesa con le regioni e le province autonome definisce le modalita' di riconoscimento dei crediti di cui al comma che precede, nel rispetto delle competenze delle regioni e province autonome e di quanto stabilito nell'Accordo in Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali del 18 febbraio 2000 e nel d.m. 31 maggio 2001 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Art. 52 (Repertorio delle professioni). - 1. Allo scopo di armonizzare le diverse qualifiche professionali e' istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il repertorio delle professioni predisposto da un apposito organismo tecnico di cui fanno parte il Ministero dell'istruzione, della universita' e della ricerca, le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale, e i rappresentanti della Conferenza Stato-regioni. Art. 53 (Incentivi economici e normativi e disposizioni previdenziali). - 1. Durante il rapporto di apprendistato, la categoria di inquadramento del lavoratore non potra' essere inferiore, per piu' di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali e' finalizzato il contratto. 2. Fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti. 3. In attesa della riforma del sistema degli incentivi alla occupazione, restano fermi gli attuali sistemi di incentivazione economica la cui erogazione sara' tuttavia soggetta alla effettiva verifica della formazione svolta secondo le modalita' definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni. In caso di inadempimento nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalita' di cui agli articoli 48, comma 2, 49, comma 1, e 50, comma 1, il datore di lavoro e' tenuto a versare la quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento. 4. Resta ferma la disciplina previdenziale e assistenziale prevista dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25, e successive modificazioni e integrazioni. Art. 54 (Definizione e campo di applicazione). - 1. Il contratto di inserimento e' un contratto di lavoro diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l'inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro delle seguenti categorie di persone: a) soggetti di eta' compresa tra i diciotto e i ventinove anni; b) disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue anni; c) lavoratori con piu' di cinquanta anni di eta' che siano privi di un posto di lavoro; d) lavoratori che desiderino riprendere una attivita' lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni; e) donne di qualsiasi eta' residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile determinato con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile; f) persone riconosciute affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico. 2. I contratti di inserimento possono essere stipulati da: a) enti pubblici economici, imprese e loro consorzi; b) gruppi di imprese; c) associazioni professionali, socio-culturali, sportive; d) fondazioni; e) enti di ricerca, pubblici e privati; f) organizzazioni e associazioni di categoria. 3. Per poter assumere mediante contratti di inserimento i soggetti di cui al comma 2 devono avere mantenuto in servizio almeno il sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti. A tale fine non si computano i lavoratori che si siano dimessi, quelli licenziati per giusta causa e quelli che, al termine del rapporto di lavoro, abbiano rifiutato la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, i contratti risolti nel corso o al termine del periodo di prova, nonche' i contratti non trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato in misura pari a quattro contratti. Agli effetti della presente disposizione si considerano mantenuti in servizio i soggetti per i quali il rapporto di lavoro, nel corso del suo svolgimento sia stato trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 4. La disposizione di cui al comma 3 non trova applicazione quando, nei diciotto mesi precedenti alla assunzione del lavoratore, sia venuto a scadere un solo contratto di inserimento. 5. Restano in ogni caso applicabili, se piu' favorevoli, le disposizioni di cui all'art. 20 della legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di contratto di reinserimento dei lavoratori disoccupati. Art. 55 (Progetto individuale di inserimento). - 1. Condizione per l'assunzione con contratto di inserimento e la definizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento, finalizzato a garantire l'adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo. 2. I contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie determinano, anche all'interno degli enti bilaterali, le modalita' di definizione dei piani individuali di inserimento con particolare riferimento alla realizzazione del progetto, anche attraverso il ricorso ai fondi interprofessionali per la formazione continua, in funzione dell'adeguamento delle capacita' professionali del lavoratore, nonche' le modalita' di definizione e sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad agevolare il conseguimento dell'obiettivo di cui al comma 1. 3. Qualora, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, non sia intervenuta, ai sensi del comma 2, la determinazione da parte del contratto collettivo nazionale di lavoro delle modalita' di definizione dei piani individuali di inserimento, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori e le assiste al fine di promuovere l'accordo. In caso di mancata stipulazione dell'accordo entro i quattro mesi successivi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua in via provvisoria e con proprio decreto, tenuto conto delle indicazioni contenute nell'eventuale accordo interconfederale di cui all'art. 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni espresse da ciascuna delle due parti interessate, le modalita' di definizione dei piani individuali di inserimento di cui al comma 2. 4. La formazione eventualmente effettuata durante l'esecuzione del rapporto di lavoro dovra' essere registrata nel libretto formativo. 5. In caso di gravi inadempienze nella realizzazione del progetto individuale di inserimento il datore di lavoro e' tenuto a versare la quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento. Art. 56 (Forma). - 1. Il contratto di inserimento e' stipulato in forma scritta e in esso deve essere specificamente indicato il progetto individuale di inserimento di cui all'art. 55. 2. In mancanza di forma scritta il contratto e' nullo e il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato. Art. 57 (Durata). - 1. Il contratto di inserimento ha una durata non inferiore a nove mesi e non puo' essere superiore ai diciotto mesi. In caso di assunzione di lavoratori di cui all'art. 54, comma 1, lettera f), la durata massima puo' essere estesa fino a trentasei mesi. 2. Nel computo del limite massimo di durata non si tiene conto degli eventuali periodi dedicati allo svolgimento del servizio militare o di quello civile, nonche' dei periodi di astensione per maternita'. 3. Il contratto di inserimento non e' rinnovabile tra le stesse parti. Eventuali proroghe del contratto sono ammesse entro il limite massimo di durata indicato al comma 1. Art. 58 (Disciplina del rapporto di lavoro). - 1. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e dei contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie, ai contratti di inserimento si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. 2. I contratti collettivi di cui al comma 1 possono stabilire le percentuali massime dei lavoratori assunti con contratto di inserimento. Art. 59 (Incentivi economici e normativi). - 1. Durante il rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore non puo' essere inferiore, per piu' di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali e' preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto. 2. Fatte salve specifiche previsioni di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti. 3. In attesa della riforma del sistema degli incentivi alla occupazione, gli incentivi economici previsti dalla disciplina vigente in materia di contratto di formazione e lavoro trovano applicazione con esclusivo riferimento ai lavoratori di cui all'art. 54, comma, 1, lettere b), c), d), e) ed f). Art. 60 (Tirocini estivi di orientamento). - 1. Si definiscono tirocini estivi di orientamento i tirocini promossi durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un giovane, regolarmente iscritto a un ciclo di studi presso l'universita' o un istituto scolastico di ogni ordine e grado, con fini orientativi e di addestramento pratico. 2. Il tirocinio estivo di orientamento ha una durata non superiore a tre mesi e si svolge nel periodo compreso tra la fine dell'anno accademico e scolastico e l'inizio di quello successivo. Tale durata e' quella massima in caso di pluralita' di tirocini. 3. Eventuali borse lavoro erogate a favore del tirocinante non possono superare l'importo massimo mensile di 600 euro. 4. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, non sono previsti limiti percentuali massimi per l'impiego di adolescenti o giovani al tirocinio estivo di orientamento. 5. Salvo quanto previsto ai commi precedenti ai tirocini estivi si applicano le disposizioni di cui all'art. 18 della legge n. 196 del 1997 e al d.m. 25 marzo 1998, n. 142 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale.». Preliminarmente va osservato che la questione sollevata dalla Regione Toscana con riguardo all'art. 55, comma 3, del decreto in oggetto, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, per un presunto eccesso di delega, appare inammissibile, poiche' la censura non si traduce nella lesione delle competenze regionali. Allo scrutinio nel merito delle singole questioni occorre far precedere alcune considerazioni di carattere generale. La competenza esclusiva delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a cio' destinati, sia mediante strutture proprie che le singole Regioni possano approntare in relazione alle peculiarita' delle realta' locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi. La disciplina della istruzione e della formazione professionale che i privati datori di lavoro somministrano in ambito aziendale ai loro dipendenti - ed e' il caso di rilevare che l'art. 6 della legge