Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro (rapporto di) - Diritto a permessi giornalieri - Fruibilita', in caso di adozione e affidamento, nel primo anno di vita del bambino (anziche' a partire dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria) - Intervenuta abrogazione delle norme censurate - Difetto di motivazione in ordine alla persistente rilevanza della questione oltreche' carenza di elementi relativi alla fattispecie a giudizio - Inammissibilita'. - Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 10; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6. - Costituzione, artt. 3 e 37. Lavoro (rapporto di) - Diritto a permessi giornalieri - Fruibilita', in caso di adozione e affidamento, nel primo anno di vita del bambino - Ritenuta introduzione ex novo della norma censurata nel nuovo decreto delegato, in contrasto con i principi e criteri della legge di delega - Carenza di motivazione sul punto - Inammissibilita' della questione. - D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 45, comma 1. - Costituzione, art. 76, in relazione all'art. 15, comma 1, lettera c), della legge 8 marzo 2000, n. 53. Lavoro (rapporto di) - Diritto a permessi giornalieri - Fruibilita', in caso di adozione e affidamento, entro il primo anno di vita del bambino, anziche' entro il primo anno dall'ingresso del minore nella famiglia - Intrinseca irragionevolezza nonche' contrasto con il principio di eguaglianza, per deteriore trattamento dei genitori adottanti o affidatari e dei minori adottati o affidati, rispetto a quello dei genitori e dei figli naturali - Illegittimita' costituzionale in parte qua - Assorbimento di altri profili. - D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 45, comma 1. - Costituzione, art. 3 (e artt. 29, 30, 31, 37).
ha pronunciato la seguente Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) e dell'art. 45, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi con ordinanze del 9 ottobre 2001 dal Tribunale di Trieste nel procedimento civile vertente tra Rigo Rossella e la Regione Friuli-Venezia Giulia e del 24 luglio 2001 dal Tribunale di Ivrea nel procedimento civile vertente fra l'INPS e Bersano Giovanni ed altra iscritte rispettivamente ai nn. 165 e 294 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 e n. 25, 1a serie speciale, dell'anno 2002. Visti gli atti di costituzione di Rigo Rossella, dell'INPS, della Regione Friuli-Venezia Giulia nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 19 novembre 2002 il giudice relatore Francesco Amirante; Uditi l'avvocato Franco Berti per Rigo Rossella e l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di una controversia di lavoro promossa da Rossella Rigo Vanon nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sua datrice di lavoro, il Tribunale di Trieste ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro). Il giudice a quo specifica che la ricorrente, avendo ottenuto, insieme con il proprio marito, l'affidamento preadottivo di due bambini nati rispettivamente nel 1991 e nel 1994, ha chiesto in sede cautelare di poter essere ammessa a fruire dei periodi di riposo giornaliero di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971. Il provvedimento, concesso dal medesimo giudice remittente in sede cautelare, e' stato poi annullato dal tribunale a seguito di reclamo. Instauratosi il giudizio di merito, il giudice a quo, nel sollevare la presente questione, ricorda di aver accolto l'istanza cautelare della ricorrente in base al convincimento per cui il termine annuale previsto dall'impugnato art. 10 deve decorrere, in caso di affidamento preadottivo, non dalla nascita, bensi' dall'ingresso effettivo del minore in famiglia. A tale convincimento egli precisa di essere giunto sulla base di una lettura sistematica delle norme vigenti, compiuta alla luce delle sentenze di questa Corte n. 1 del 1987, n. 332 del 1988, n. 341 del 1991 e n. 179 del 1993. Le misure di protezione originariamente previste per la sola madre biologica, infatti, sono state estese, grazie alla legge n. 903 del 1977 ed alle citate sentenze, tanto in favore del padre che dei genitori adottivi ed affidatari, facendo decorrere i termini di fruibilita' per questi ultimi dal momento dell'effettivo ingresso del minore nella famiglia. Nelle more del giudizio, tuttavia, sono entrati in vigore la legge 8 marzo 2000, n. 53, ed il testo unico approvato con decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151; quest'ultimo ha chiarito (art. 45) che le disposizioni relative ai riposi giornalieri si applicano anche in caso di adozione e di affidamento "entro il primo anno di vita del bambino". Siffatta disposizione, unitamente al carattere non innovativo del menzionato testo unico, desumibile dall'art. 15 della legge n. 53 del 2000 (che contiene la relativa delega), induce il remittente a ritenere che anche per il passato i permessi in questione potessero essere goduti dal genitore affidatario solo entro il primo anno di vita del bambino. E' proprio tale limitazione temporale, peraltro, a far sorgere nel remittente dubbi di legittimita' costituzionale delle norme impugnate. Nella quasi totalita' dei casi, infatti, i bambini dati in affidamento preadottivo o in adozione entrano nella famiglia quando hanno gia' compiuto il primo anno di eta', sicche' i permessi in oggetto finirebbero con l'essere prerogativa pressoche' esclusiva dei genitori biologici, con evidente violazione del principio di eguaglianza. Oltre a cio', l'anzidetta limitazione si pone in contrasto anche con l'art. 37 Cost. perche' la madre adottiva, qualora non possa (per motivi economici) o non voglia avvalersi della c.d. astensione facoltativa (oggi congedo parentale), si trova nella sostanziale impossibilita' di assistere il minore che le e' stato affidato; sicche' non le resta altra soluzione che la permanenza nel posto di lavoro, con tutti gli effetti negativi che inevitabilmente derivano a carico del figlio. Il Tribunale di Trieste, pertanto, chiede che le norme impugnate vengano dichiarate costituzionalmente illegittime "nella parte in cui non prevedono a favore delle madri adottive o affidatarie in preadozione il diritto di fruire dei periodi di riposo giornaliero entro l'anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria". 2.1 - Si e' costituita in giudizio la ricorrente Rossella Rigo Vanon, chiedendo che la questione venga decisa nel senso indicato dal remittente. Rileva la parte privata che, ove venisse accolta l'interpretazione restrittiva indicata dal Tribunale di Trieste, le norme impugnate non potrebbero sottrarsi alle indicate censure di illegittimita' costituzionale. La legislazione protettiva della maternita', infatti, non si limita a prendere in considerazione le esigenze fisiologiche del minore, bensi' tiene presenti anche quelle relazionali ed affettive, tanto che i termini di ammissione al congedo obbligatorio e facoltativo, sebbene collegati all'eta' del minore adottando, decorrono dal momento in cui questi compie il proprio ingresso nella famiglia. E non si vede per quale motivo analoga previsione non debba valere anche per i permessi di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971. 2.2 - In prossimita' dell'udienza la parte privata Rossella Rigo Vanon ha presentato un'articolata memoria, insistendo per l'accoglimento delle rassegnate conclusioni. Premette la parte che la vicenda processuale in oggetto si e' svolta prima dell'entrata in vigore del testo unico di cui al d.lgs. n. 151 del 2001 e che il diritto dei genitori adottivi di fruire dei permessi giornalieri deve ritenersi gia' previsto dall'ordinamento ancor prima dell'entrata in vigore del testo unico medesimo. La Rigo Vanon richiama innanzitutto il dibattito svoltosi in seno alla giurisprudenza di legittimita' relativamente all'estensibilita' in favore dei genitori adottivi ed affidatari delle provvidenze di cui alla legge n. 1204 del 1971 per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 903 del 1977 - il cui art. 6 ha espressamente risolto il quesito in senso favorevole (almeno a partire da quella data) - e ricorda la sentenza n. 332 del 1988 di questa Corte con la quale sono state dichiarate costituzionalmente illegittime (quindi, con effetto retroattivo) una serie di norme della legge n. 1204 del 1971 nella parte in cui non estendevano le provvidenze ivi previste ai genitori adottivi ed anche agli affidatari provvisori, fissando in tutti i casi i termini di fruizione dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia. La parte privata prosegue poi richiamando altre pronunce di questa Corte di fondamentale importanza nella materia in questione, ossia le sentenze n. 1 del 1987, n. 341 del 1991 e n. 179 del 1993. Alla luce della giurisprudenza costituzionale evocata, la parte privata ritiene che la disciplina di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971 debba applicarsi anche in favore dei genitori adottivi ed affidatari, attraverso un procedimento interpretativo di carattere "logico-sistematico" che collega le norme esistenti, cosi' come riviste dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali dell'ordinamento. Secondo la parte privata, del resto, sarebbe molto difficile, sul piano della legittimita' costituzionale, dare una spiegazione accettabile del perche' la fruibilita' dei permessi giornalieri debba essere ristretta anche per i bambini adottivi al solo primo anno di vita, dettando una regola che in concreto renderebbe l'istituto pressoche' inapplicabile e che risulterebbe incomprensibile da un punto di vista logico, oltre che in contrasto con l'obiettivo fondamentale di salvaguardare nel modo migliore l'evoluzione psico-fisica del minore. Siffatta interpretazione restrittiva, d'altra parte, risulterebbe in evidente contrasto con tutti i parametri costituzionali invocati dal giudice remittente. 3. - Si e' costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, parte convenuta nel giudizio a quo, chiedendo che la prospettata questione venga dichiarata inammissibile o infondata. L'inammissibilita' deriverebbe dalla completa carenza di motivazione in punto di rilevanza, poiche' il remittente non ha neppure precisato quale sia stata l'effettiva data di ingresso dei minori nella famiglia della ricorrente. Nel merito, la parte osserva che la parificazione tra genitori biologici e genitori adottivi e' stata compiuta dalle leggi vigenti in riferimento al congedo di maternita' ed al congedo parentale (che attualmente indicano l'astensione obbligatoria e quella facoltativa). I riposi giornalieri di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971 hanno, invece, una finalita' ben diversa, che e' quella di accudire il neonato nella fase immediatamente successiva alla nascita; tale necessita' di assistenza diretta si conclude, secondo la valutazione del legislatore, col compimento del primo anno di vita. Estendere la fruibilita' di tali permessi entro l'anno dall'effettivo ingresso del minore nella famiglia significa snaturare la portata dell'istituto, compiendo una valutazione che e' di politica legislativa; anche per le madri biologiche, d'altra parte, i permessi non sono piu' concedibili una volta trascorso il primo anno di vita del bambino, restando alle medesime la sola facolta' di avvalersi del congedo parentale, di modo che nessuna diversita' di trattamento puo' essere ravvisata nel sistema vigente. Da tanto consegue l'infondatezza della questione. 4. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto difensivo di contenuto identico a quello della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 5. - Il Tribunale di Ivrea - adito in sede di reclamo avverso il provvedimento d'urgenza concesso dal giudice monocratico, ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., col quale veniva riconosciuto al ricorrente, padre adottivo di un minore, il diritto alla fruizione dei riposi giornalieri entro l'anno dall'ingresso del bambino nella famiglia - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 45 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53). Osserva il giudice a quo che l'impugnato provvedimento d'urgenza e' stato emesso in primo grado in base al convincimento per cui i riposi giornalieri previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e dall'art. 3, comma 5, della legge n. 53 del 2000, possono essere fruiti dai genitori adottivi non entro l'anno dalla nascita del minore, bensi' entro l'anno dal momento in cui lo stesso ha fatto il suo effettivo ingresso nella famiglia. In sede di reclamo, proposto dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, tanto quest'ultimo quanto il datore di lavoro hanno eccepito l'erroneita' del provvedimento favorevole al lavoratore, sostenendo che il quadro normativo complessivo, da leggersi alla luce del sopravvenuto art. 45 del d.lgs. n. 151 del 2001, imponeva di limitare la concessione dei permessi in questione al primo anno di vita del bambino. Cio' premesso in punto di fatto, il Tribunale di Ivrea, accogliendo e facendo propria l'eccezione avanzata in sede di reclamo dal lavoratore (che insisteva nel contempo per la conferma dell'impugnato provvedimento), ha ritenuto di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale del citato art. 45 "nella parte in cui dispone che le norme in materia di riposi di cui agli artt. 39, 40, 41 dello stesso decreto si applicano anche in caso di adozione e di affidamento soltanto entro il primo anno di vita del bambino" (comma 1). Nel motivare sulla non manifesta infondatezza della questione, il tribunale remittente ricorda che la normativa sui permessi giornalieri di maternita' trovava in origine il proprio fondamento nell'esigenza dell'allattamento; tale esigenza, benche' non superata, puo' tuttavia considerarsi non piu' esclusiva alla luce sia di quanto sostenuto da questa Corte nella sentenza n. 179 del 1993 sia del testo dell'art. 6-ter della legge n. 903 del 1977, introdotto con la menzionata legge n. 53 del 2000. Non si tratta, infatti, soltanto di permettere alla madre (o al padre) di badare alle fondamentali esigenze fisiche del bambino, ma anche di curare l'aspetto relazionale del rapporto genitoriale, favorendo il contatto affettivo fra il genitore ed il figlio. L'art. 39 del d.lgs. n. 151 del 2001, d'altra parte, sembra aver recepito tale mutamento di prospettiva, facendo riferimento agli asili nido piuttosto che alle camere di allattamento. A tale evoluzione della tutela della maternita' e della paternita' si e' affiancata una crescente attenzione del legislatore nei confronti della famiglia adottiva, tradottasi in una serie di norme che di fatto equiparano i genitori adottivi a quelli biologici. Sulla base di tali premesse, al tribunale remittente la norma censurata pare in contrasto con i numerosi parametri costituzionali citati. Innanzitutto con l'art. 3 Cost., inteso sia come principio di eguaglianza che come principio di ragionevolezza, perche' il legislatore ha fissato un medesimo termine di fruibilita' dei permessi in oggetto mentre e' evidente che l'inserimento del bambino nella famiglia adottiva avviene, a differenza che per la famiglia biologica, in un momento successivo alla nascita, sicche' la parita' di trattamento finisce col tradursi in un evidente ostacolo alla crescita armoniosa del figlio adottivo, a dispetto di tutte le indicazioni provenienti proprio dalla giurisprudenza costituzionale; e cio' e' tanto piu' irrazionale in quanto il legislatore, nel regolare il congedo per la malattia del figlio, ha dimostrato di tener presente la diversa situazione dei figli adottivi, consentendo ai genitori di assentarsi fino al compimento del sesto anno di eta' da parte del minore. Altrettanto evidente appare al tribunale il contrasto con gli artt. 29, 30 e 31 Cost., norme tutte finalizzate alla protezione della famiglia e della filiazione; l'art. 45 impugnato, infatti, dimostra di trascurare le esigenze di carattere affettivo e relazionale del figlio che sono senz'altro presenti anche nel caso della filiazione adottiva, dettando una regola che nella grande maggioranza dei casi finira' col non poter essere utilizzata, perche' la complessita' della procedura di adozione e' tale che l'effettivo ingresso del minore nella famiglia avviene quando il medesimo ha gia' compiuto il primo anno di vita. Ragioni del tutto analoghe inducono a ritenere violato l'art. 37 Cost., perche' la norma in oggetto contrasta con l'obiettivo di protezione della lavoratrice madre (e del lavoratore padre) alla luce delle sentenze costituzionali n. 179 del 1993 e n. 341 del 1991, le quali hanno chiarito che le esigenze di equilibrata crescita del minore rendono necessaria la presenza di entrambi i genitori, con un criterio che vale anche in rapporto all'affidamento ed all'adozione. Ultima censura ravvisata dal remittente e' la violazione dell'art. 77 Cost. sotto il profilo dell'eccesso di delega: in contrasto con i criteri direttivi fissati dall'art. 15, comma 1, lettera c), della legge n. 53 del 2000 - secondo cui il legislatore delegato aveva il potere di modificare le norme esistenti soltanto allo scopo di garantirne la coerenza logica e sistematica - la norma impugnata pone, infatti, un limite per l'applicabilita' delle disposizioni sui riposi giornalieri nel caso di adozioni o affidamenti non previsto dalla previgente normativa. La questione si palesa rilevante, d'altra parte, perche', stante l'immediata applicabilita' ratione temporis dell'art. 45 del d.lgs. n. 151 del 2001, in caso di rigetto della proposta questione da parte della Corte, il tribunale non potrebbe che accogliere il reclamo, annullando la prima ordinanza cautelare e negando la sussistenza del diritto del padre ricorrente a fruire dei periodi di riposo in esame, essendo stati i medesimi concessi in relazione ad un momento in cui il minore adottato aveva gia' compiuto il primo anno di eta' (mentre non era ancora trascorso il primo anno dall'ingresso nella famiglia). 6. - Si e' costituito in giudizio l'INPS, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata. Osserva l'ente previdenziale che i riposi giornalieri dei quali si discute sono stati istituiti con lo scopo primario di consentire l'allattamento del bambino, ossia per soddisfare un'esigenza di alimentazione e di crescita, tanto che in passato parecchie aziende avevano creato le apposite camere di allattamento. Mutato radicalmente l'assetto della societa', tali permessi sono stati concessi anche ai padri lavoratori, sicche' alla funzione originaria dei medesimi se ne sono affiancate altre, le quali tuttavia non hanno eliminato la ratio fondamentale per cui essi costituiscono un vero e proprio diritto del lavoratore. Se, d'altronde, la funzione alimentare non fosse a base dei riposi in questione, non si capirebbe il motivo per il quale in caso di parto plurimo la legge prevede il raddoppio della durata degli stessi (art. 41 del d.lgs. n. 151 del 2001). Alla luce di siffatta ricostruzione, quindi, appare del tutto ragionevole il termine annuale, decorrente dal momento della nascita, che il legislatore ha fissato per la fruibilita' di tali permessi; decorso il primo anno di vita, infatti, si sara' compiuto lo "svezzamento", il che consentira' al genitore di tornare al normale orario di lavoro salva la possibilita' di godere del congedo parentale. Del pari infondati paiono all'INPS i profili di violazione degli artt. 29, 30, 31 e 37 Cost., perche' la tutela della maternita' e della paternita' e' ampiamente assicurata nel nostro ordinamento da altri e ben piu' importanti istituti - quali il congedo per maternita', quello parentale e quello per le malattie del figlio - che testimoniano l'equilibrio complessivo del sistema vigente e che consentono di restringere l'ambito temporale dei permessi di allattamento, senza timori di violazione di alcun parametro costituzionale, nei limiti fissati dalla norma impugnata. 7. - E' intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilita' o l'infondatezza della questione. La difesa erariale rileva che l'ordinanza del Tribunale di Ivrea non pare aver compreso il vero obiettivo che il legislatore si e' prefisso di raggiungere con la norma impugnata. La ratio legis, infatti, non e' tanto quella di fornire un'ulteriore protezione al genitore lavoratore, quanto piuttosto quella di garantire un'adeguata assistenza al bambino nella prima e piu' delicata fase della sua esistenza. A tale scopo la fruibilita' dei permessi e' stata estesa anche al padre, indirettamente dimostrando che la finalita' dell'allattamento al seno e' solo uno degli obiettivi, ma non l'unico, che la norma intende perseguire. Tuttavia il legislatore si e' anche preoccupato di contemperare le esigenze di assistenza del bambino con quelle del lavoro, limitando il godimento dei permessi giornalieri al primo anno di vita del minore; nessuna disparita' di trattamento e' ravvisabile, percio', tra figli adottivi e figli cresciuti dai genitori biologici, perche' la norma ha ritenuto che le esigenze primarie di accudimento del neonato cessino al compimento del primo anno di eta'. Sindacare la scelta compiuta, estendendo la portata della norma nel senso auspicato dal remittente, significherebbe entrare in una sfera riservata alla discrezionalita' del legislatore, per di piu' creando una fattispecie dagli incerti confini applicativi. Le considerazioni svolte dimostrano anche, secondo la difesa erariale, l'inesistenza della presunta violazione dell'art. 77 Cost. sotto il profilo dell'eccesso di delega; la norma impugnata, infatti, in conformita' al criterio direttivo di cui all'art. 15, comma 1, lettera c), della legge n. 53 del 2000, non mira affatto ad introdurre nell'ordinamento una norma nuova, bensi' soltanto ad assicurare la coerenza logica complessiva del sistema normativo vigente. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale di Trieste ed il Tribunale di Ivrea sottopongono all'esame della Corte due questioni che, quantunque aventi ad oggetto disposizioni diverse (ratione temporis), sono nella sostanza di identico contenuto. In particolare, il Tribunale di Trieste dubita della legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro); il Tribunale di Ivrea, invece, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 45 (comma 1) del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della Costituzione. Fondamento di entrambe le questioni e' il dubbio riguardante la fruizione dei permessi giornalieri in favore dei genitori adottivi e degli affidatari, che la legislazione vigente limita al primo anno di vita del bambino, cosi' come per i figli biologici. Ad avviso dei tribunali remittenti, invece, in caso di adozione o di affidamento tali permessi dovrebbero essere fruibili a partire dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia, pur rimanendo fermo l'attuale limite annuale, sussistendo altrimenti violazione sotto vari profili dei menzionati parametri costituzionali. 2. - Le due questioni si differenziano sostanzialmente soltanto da un punto di vista di cronologia delle norme impugnate, perche' le leggi n. 1204 del 1971 e n. 903 del 1977 sono state trasfuse, assieme a molte altre, nel testo unico di cui al d.lgs. n. 151 del 2001; il Tribunale di Trieste ha impugnato le norme previgenti, mentre quello di Ivrea ha impugnato l'art. 45 del testo unico. Le questioni, pertanto, possono essere riunite e decise con una sola pronuncia. 3. - La questione proposta del Tribunale di Trieste e' inammissibile per un duplice ordine di ragioni. Da un lato, infatti, il giudice a quo non ha descritto in modo adeguato la fattispecie sottoposta al suo esame; in particolare, ha omesso di indicare un dato essenziale ai fini della rilevanza, ossia la data di effettivo ingresso nella famiglia della ricorrente dei due bambini destinatari dell'affidamento preadottivo; d'altro canto, poi, egli, pur mostrando di conoscere la legge n. 53 del 2000 ed il d.lgs. n. 151 del 2001, non ha tuttavia fornito alcuna motivazione sulla ragione che lo ha indotto a sottoporre all'esame della Corte due norme espressamente abrogate dall'art. 86 del decreto da ultimo menzionato. In tal modo il giudice remittente ha dimenticato che, secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo l'ordinanza n. 204 del 2002), lo scrutinio di legittimita' costituzionale avente ad oggetto norme abrogate prima della rimessione della questione e' possibile solo a condizione che si dia conto delle ragioni per le quali tale scrutinio mantiene la sua rilevanza nel giudizio principale. Ne', d'altronde, per sopperire alle suddette lacune dell'ordinanza, e' possibile fare ricorso alle allegazioni delle parti. 4. - La questione di legittimita' costituzionale sollevata dal Tribunale di Ivrea va esaminata, logicamente, innanzitutto sotto il profilo preliminare dell'eccesso di delega; ad avviso del giudice a quo, infatti, poiche' il testo unico di cui al d.lgs. n. 151 del 2001 non avrebbe potuto avere contenuto innovativo - in forza dei criteri direttivi contenuti nell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge delega n. 53 del 2000 - l'art. 45 impugnato, nello stabilire il limite del primo anno di vita del bambino anche per i genitori adottivi e per gli affidatari, avrebbe oltrepassato i limiti della delega stessa. Questa censura e' inammissibile. Il giudice remittente prospetta infatti il vizio di eccesso di delega nel convincimento che il limite di un anno dalla nascita del bambino non fosse gia' previsto dall'art. 10 della legge n. 1204 del 1971 e sia stato quindi introdotto ex novo illegittimamente dalla norma censurata, ma di tale convincimento il Tribunale di Ivrea non fornisce alcuna motivazione, con la conseguenza che la questione, sotto il profilo qui esaminato, e' inammissibile. 5. - La questione prospettata dal Tribunale di Ivrea e' invece fondata per violazione dell'articolo 3 della Costituzione sia sotto il profilo dell'eguaglianza, perche' la norma censurata assoggetta a eguale trattamento situazioni diverse, sia sotto quello della intrinseca irragionevolezza. Si premette che l'istituto dei riposi giornalieri, senza indugiare sulla normativa anteriore alla Costituzione, aveva la sua originaria disciplina nell'articolo 9 della legge 26 aprile 1950, n. 860, ed era regolato come strumento finalizzato esclusivamente all'allattamento. La norma richiamata attribuiva il diritto a tali permessi soltanto alle madri che allattavano direttamente i propri bambini, prevedendo le pause in funzione di quell'unica necessita', tanto che la predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle cosiddette camere di allattamento e dell'asilo nido obbligava le lavoratrici ad allattare in sede, senza possibilita' di uscire dai locali aziendali. I riposi giornalieri erano quindi concepiti come complementari alle altre misure dirette alla protezione della maternita' biologica oltre che parzialmente sostitutivi dell'astensione dal lavoro post partum. Il successivo articolo 10 della legge n. 1204 del 1971 dimostra gia' un cambiamento di prospettiva. Infatti, la fruizione dei riposi risulta non piu' strettamente connessa all'esigenza puramente fisiologica dell'allattamento, tanto che la norma non obbliga piu' la lavoratrice ad utilizzare le strutture eventualmente predisposte dal datore di lavoro, quali le camere di allattamento e gli asili nido, e comincia a dare rilievo all'aspetto affettivo e relazionale del rapporto madre-figlio. E' indubbio, quindi, che gli istituti a protezione della maternita' nascono e vivono per un certo tempo in un contesto sociale e ordinamentale nel quale da un canto l'adozione, ed in particolare quella dei minorenni, ha scarsa applicazione e svolge una funzione ben diversa da quella che avrebbe successivamente assunto, dall'altro il ruolo del padre nella societa' e nella famiglia e' ancora concepito come del tutto secondario riguardo alla crescita e alla educazione dei figli nei primi anni della loro vita, sicche' cio' che ha preminente rilievo e' pur sempre la maternita' biologica. In tale periodo e' soltanto la giurisprudenza ordinaria che, non senza oscillazioni e contrasti, estende ai genitori adottivi i benefici previsti per i genitori naturali. 6. - Il quadro muta radicalmente a partire dagli anni settanta per effetto di una serie di leggi di riforma (diritto di famiglia, parita' di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro, adozione dei minori) e di alcune decisioni di questa Corte. Limitando l'indagine a cio' che piu' specificamente riguarda la questione in esame, l'art. 6 della legge n. 903 del 1977 ha esteso alle madri adottive o affidatarie gli istituti dell'astensione dal lavoro obbligatoria e facoltativa e l'art. 7 ha attribuito anche al padre lavoratore il diritto all'astensione facoltativa, ma solo a determinate condizioni. Cio' che occorre soprattutto sottolineare e' che la legge, stabilendo che i benefici potevano essere goduti, in caso di adozione o affidamento, nel primo anno d'ingresso del bambino nella famiglia dell'adottante o dell'affidatario, anche se limitatamente all'ipotesi che il bambino non avesse superato i sei anni di eta', ha attribuito rilievo alla diversita' di esigenze del bambino adottato rispetto a quelle proprie del bambino che vive con i genitori naturali o con almeno uno di questi. 7. - Questa Corte e' stata piu' volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale delle norme disciplinanti gli istituti a protezione della maternita' e dei minori, in particolare sotto il profilo della loro mancata o non totale estensione al padre lavoratore oppure ai genitori legali (adottanti o affidatari). Per effetto di una serie di decisioni, tutte di accoglimento, il diritto all'astensione obbligatoria ed ai riposi giornalieri, a determinate condizioni, e' stato esteso al padre lavoratore (sentenza n. 1 del 1987); il diritto all'astensione facoltativa e' stato riconosciuto alla madre affidataria provvisoria e quello all'astensione obbligatoria alla madre affidataria in preadozione (sentenza n. 332 del 1988); il diritto all'astensione nei primi tre mesi dall'ingresso del bambino nella famiglia e' stato attribuito al padre lavoratore affidatario di minore per i primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino nella famiglia in alternativa alla madre (sentenza n. 341 del 1991); il diritto ai riposi giornalieri, infine,e' stato esteso, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente, per l'assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del 1993). 8. - Da quanto sinteticamente esposto risulta che gli istituti dell'astensione dal lavoro, obbligatoria e facoltativa, ora denominati congedi, e quello dei riposi giornalieri oggi non hanno piu' l'originario necessario collegamento con la maternita' naturale e non hanno piu' come esclusiva funzione la protezione della salute della donna ed il soddisfacimento delle esigenze puramente fisiologiche del minore, ma sono diretti anche, come questa Corte ha gia' piu' volte affermato nelle motivazioni delle sentenze suindicate, ad appagare i bisogni affettivi e relazionali del bambino per realizzare il pieno sviluppo della sua personalita'. Cio' che piu' rileva, ai fini della soluzione della presente questione, e' la piena coincidenza tra la ratio delle decisioni di questa Corte appena richiamate e l'attivita' del legislatore. Questi, nel momento in cui ha esteso misure previste in caso di filiazione naturale alla filiazione adottiva ed all'affidamento ha avvertito che l'eta' del minore diveniva un elemento, se non trascurabile, certamente secondario, mentre veniva in primo piano il momento dell'ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria, in considerazione delle difficolta' che tale ingresso comporta sia riguardo alla personalita' in formazione del minore, soggetta al trauma del distacco dalla madre naturale o a quello del soggiorno in istituto, sia per i componenti della famiglia adottante o affidataria. 9. - Il d.lgs. n. 151 del 2001, il cui articolo 45 e' censurato dal Tribunale di Ivrea, ha coordinato e razionalizzato tutta la disciplina di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessa alla maternita' e paternita' dei figli naturali, adottivi e in affidamento, nonche' le misure di sostegno economico alla maternita' e alla paternita' (art. 1), ribadendo, nei casi di adozione e di affidamento, la rilevanza del momento dell'ingresso del minore nella famiglia per quanto concerne la fruizione dei congedi (v. art. 26, comma 2; art. 31; art. 36, comma 2, del medesimo decreto). Le difese della Presidenza del Consiglio e dell'INPS, pur convenendo sull'evoluzione e sul mutamento di funzioni che gli istituti a sostegno della maternita' e della paternita' hanno avuto nel corso degli ultimi decenni, sostengono che quello dei riposi giornalieri conserva pur sempre un collegamento con le necessita' connesse alla prima eta' del minore, come sarebbe dimostrato dall'art. 41 del d.lgs. n. 151 del 2001, secondo cui la durata dei riposi e' raddoppiata in caso di parto plurimo. Tale tesi non puo' essere accolta. I riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione, come si e' detto, di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalita'. Essi, pertanto, svolgono una funzione omogenea a quella che assolvono i congedi e, piu' specificamente, i congedi parentali. Ora, per questi il legislatore ha ritenuto rilevante, in caso di adozione o di affidamento, il momento dell'ingresso del minore nella famiglia, considerando l'eta' del minore, peraltro diversamente disciplinata a seconda delle varie ipotesi di adozioni o affidamenti (per l'adozione internazionale v. gli artt. 27 e 37 del d.lgs. n. 151 del 2001), esclusivamente come un limite alla fruizione dei benefici. Ne consegue che restringere il diritto ai riposi per gli adottanti e gli affidatari al primo anno di vita del bambino non soltanto e' intrinsecamente irragionevole, ma e' anche in contrasto con il principio di eguaglianza, perche' l'applicazione agli adottanti ed agli affidatari della stessa formale disciplina prevista per i genitori naturali finisce per imporre ai primi ed ai minori adottati o affidati un trattamento deteriore, attesa la peculiarita' della loro situazione. Ne' puo' indurre a diversa conclusione la richiamata disposizione sulla disciplina dei riposi in caso di parto plurimo, poiche' non solo le esigenze fisiche ma anche quelle affettive richiedono un tempo maggiore quando debbono essere soddisfatte riguardo a piu' persone. Deve essere, quindi, dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 45 del d.lgs. n. 151 del 2001, per contrasto con 1'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che i riposi giornalieri di cui agli articoli 39, 40 e 41 dello stesso decreto si applichino, in caso di adozione o di affidamento, entro il primo anno dall'ingresso effettivo del minore nella famiglia. Rientra nella discrezionalita' del legislatore stabilire eventualmente dei limiti alla fruizione dei riposi correlati all'eta' del minore adottato o affidato. Restano assorbiti gli altri profili di censura.