N. 104 SENTENZA 26 marzo - 1 aprile 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro (rapporto di) - Diritto a permessi giornalieri - Fruibilita', in caso di adozione e affidamento, nel primo anno di vita del bambino (anziche' a partire dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia adottiva o affidataria) - Intervenuta abrogazione delle norme censurate - Difetto di motivazione in ordine alla persistente rilevanza della questione oltreche' carenza di elementi relativi alla fattispecie a giudizio - Inammissibilita'. - Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 10; legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6. - Costituzione, artt. 3 e 37. Lavoro (rapporto di) - Diritto a permessi giornalieri - Fruibilita', in caso di adozione e affidamento, nel primo anno di vita del bambino - Ritenuta introduzione ex novo della norma censurata nel nuovo decreto delegato, in contrasto con i principi e criteri della legge di delega - Carenza di motivazione sul punto - Inammissibilita' della questione. - D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 45, comma 1. - Costituzione, art. 76, in relazione all'art. 15, comma 1, lettera c), della legge 8 marzo 2000, n. 53. Lavoro (rapporto di) - Diritto a permessi giornalieri - Fruibilita', in caso di adozione e affidamento, entro il primo anno di vita del bambino, anziche' entro il primo anno dall'ingresso del minore nella famiglia - Intrinseca irragionevolezza nonche' contrasto con il principio di eguaglianza, per deteriore trattamento dei genitori adottanti o affidatari e dei minori adottati o affidati, rispetto a quello dei genitori e dei figli naturali - Illegittimita' costituzionale in parte qua - Assorbimento di altri profili. - D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 45, comma 1. - Costituzione, art. 3 (e artt. 29, 30, 31, 37).

ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 10 della legge
30 dicembre  1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e 6 della
legge  9 dicembre  1977,  n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e
donne  in  materia  di  lavoro)  e dell'art. 45, comma 1, del decreto
legislativo  26 marzo  2001,  n. 151  (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela della maternita' e della paternita',
a  norma  dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi
con  ordinanze  del  9 ottobre  2001  dal  Tribunale  di  Trieste nel
procedimento   civile   vertente  tra  Rigo  Rossella  e  la  Regione
Friuli-Venezia Giulia e del 24 luglio 2001 dal Tribunale di Ivrea nel
procedimento  civile  vertente fra l'INPS e Bersano Giovanni ed altra
iscritte rispettivamente ai nn. 165 e 294 del registro ordinanze 2002
e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 e n. 25,
1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti gli atti di costituzione di Rigo Rossella, dell'INPS, della
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  nonche'  gli  atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19 novembre  2002  il giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  l'avvocato  Franco  Berti  per  Rigo Rossella e l'avvocato
dello  Stato  Gaetano  Zotta  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel corso di una controversia di lavoro promossa da Rossella
Rigo  Vanon  nei  confronti  della  Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia,  sua  datrice di lavoro, il Tribunale di Trieste ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3
e  37  della Costituzione, dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971,
n. 1204  (Tutela  delle lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge
9 dicembre 1977, n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e donne in
materia di lavoro).
    Il  giudice  a  quo specifica che la ricorrente, avendo ottenuto,
insieme  con  il  proprio  marito,  l'affidamento  preadottivo di due
bambini  nati rispettivamente nel 1991 e nel 1994, ha chiesto in sede
cautelare  di  poter  essere  ammessa  a fruire dei periodi di riposo
giornaliero  di  cui  all'art. 10  della  legge  n. 1204 del 1971. Il
provvedimento,  concesso  dal  medesimo  giudice  remittente  in sede
cautelare, e' stato poi annullato dal tribunale a seguito di reclamo.
    Instauratosi  il  giudizio  di  merito,  il  giudice  a  quo, nel
sollevare  la  presente  questione, ricorda di aver accolto l'istanza
cautelare  della  ricorrente  in  base  al  convincimento  per cui il
termine  annuale  previsto  dall'impugnato art. 10 deve decorrere, in
caso   di   affidamento   preadottivo,   non  dalla  nascita,  bensi'
dall'ingresso  effettivo del minore in famiglia. A tale convincimento
egli  precisa  di essere giunto sulla base di una lettura sistematica
delle  norme  vigenti,  compiuta  alla  luce delle sentenze di questa
Corte  n. 1  del  1987, n. 332 del 1988, n. 341 del 1991 e n. 179 del
1993.  Le  misure  di protezione originariamente previste per la sola
madre biologica, infatti, sono state estese, grazie alla legge n. 903
del  1977  ed alle citate sentenze, tanto in favore del padre che dei
genitori  adottivi  ed  affidatari,  facendo  decorrere  i termini di
fruibilita' per questi ultimi dal momento dell'effettivo ingresso del
minore nella famiglia.
    Nelle  more  del  giudizio,  tuttavia,  sono entrati in vigore la
legge  8 marzo  2000,  n. 53, ed il testo unico approvato con decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151; quest'ultimo ha chiarito (art. 45)
che le disposizioni relative ai riposi giornalieri si applicano anche
in caso di adozione e di affidamento "entro il primo anno di vita del
bambino".   Siffatta   disposizione,   unitamente  al  carattere  non
innovativo  del menzionato testo unico, desumibile dall'art. 15 della
legge  n. 53  del  2000  (che contiene la relativa delega), induce il
remittente  a  ritenere  che  anche  per  il  passato  i  permessi in
questione potessero essere goduti dal genitore affidatario solo entro
il primo anno di vita del bambino.
    E'  proprio  tale  limitazione temporale, peraltro, a far sorgere
nel  remittente  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  delle norme
impugnate. Nella quasi totalita' dei casi, infatti, i bambini dati in
affidamento  preadottivo  o in adozione entrano nella famiglia quando
hanno  gia'  compiuto  il  primo  anno di eta', sicche' i permessi in
oggetto finirebbero con l'essere prerogativa pressoche' esclusiva dei
genitori   biologici,   con  evidente  violazione  del  principio  di
eguaglianza.  Oltre  a  cio',  l'anzidetta  limitazione  si  pone  in
contrasto  anche  con  l'art. 37  Cost.  perche'  la  madre adottiva,
qualora non possa (per motivi economici) o non voglia avvalersi della
c.d.  astensione facoltativa (oggi congedo parentale), si trova nella
sostanziale  impossibilita'  di  assistere  il minore che le e' stato
affidato;  sicche' non le resta altra soluzione che la permanenza nel
posto  di  lavoro, con tutti gli effetti negativi che inevitabilmente
derivano a carico del figlio.
    Il  Tribunale di Trieste, pertanto, chiede che le norme impugnate
vengano dichiarate costituzionalmente illegittime "nella parte in cui
non  prevedono  a  favore  delle  madri  adottive  o  affidatarie  in
preadozione  il  diritto  di fruire dei periodi di riposo giornaliero
entro  l'anno  dall'effettivo  ingresso  del  bambino  nella famiglia
adottiva o affidataria".
    2.1  -  Si  e' costituita in giudizio la ricorrente Rossella Rigo
Vanon, chiedendo che la questione venga decisa nel senso indicato dal
remittente.
    Rileva    la    parte    privata   che,   ove   venisse   accolta
l'interpretazione  restrittiva  indicata dal Tribunale di Trieste, le
norme  impugnate  non  potrebbero  sottrarsi alle indicate censure di
illegittimita'   costituzionale.  La  legislazione  protettiva  della
maternita',  infatti,  non  si limita a prendere in considerazione le
esigenze  fisiologiche del minore, bensi' tiene presenti anche quelle
relazionali  ed  affettive,  tanto  che  i  termini  di ammissione al
congedo  obbligatorio  e  facoltativo, sebbene collegati all'eta' del
minore  adottando,  decorrono  dal  momento  in  cui questi compie il
proprio  ingresso  nella  famiglia.  E  non  si vede per quale motivo
analoga  previsione  non  debba  valere  anche  per i permessi di cui
all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971.
    2.2  - In prossimita' dell'udienza la parte privata Rossella Rigo
Vanon   ha   presentato   un'articolata   memoria,   insistendo   per
l'accoglimento delle rassegnate conclusioni.
    Premette  la  parte  che  la vicenda processuale in oggetto si e'
svolta  prima dell'entrata in vigore del testo unico di cui al d.lgs.
n. 151  del 2001 e che il diritto dei genitori adottivi di fruire dei
permessi  giornalieri  deve  ritenersi gia' previsto dall'ordinamento
ancor prima dell'entrata in vigore del testo unico medesimo.
    La Rigo Vanon richiama innanzitutto il dibattito svoltosi in seno
alla  giurisprudenza di legittimita' relativamente all'estensibilita'
in  favore  dei  genitori adottivi ed affidatari delle provvidenze di
cui  alla legge n. 1204 del 1971 per il periodo anteriore all'entrata
in   vigore   della  legge  n. 903  del  1977  -  il  cui  art. 6  ha
espressamente  risolto  il  quesito  in  senso  favorevole  (almeno a
partire  da  quella  data) - e ricorda la sentenza n. 332 del 1988 di
questa  Corte  con  la quale sono state dichiarate costituzionalmente
illegittime  (quindi,  con  effetto  retroattivo)  una serie di norme
della  legge  n. 1204  del 1971 nella parte in cui non estendevano le
provvidenze   ivi   previste  ai  genitori  adottivi  ed  anche  agli
affidatari  provvisori,  fissando  in  tutti  i  casi  i  termini  di
fruizione dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia.
    La  parte  privata  prosegue  poi  richiamando  altre pronunce di
questa  Corte  di fondamentale importanza nella materia in questione,
ossia le sentenze n. 1 del 1987, n. 341 del 1991 e n. 179 del 1993.
    Alla  luce  della giurisprudenza costituzionale evocata, la parte
privata  ritiene  che  la  disciplina  di cui all'art. 10 della legge
n. 1204  del  1971  debba  applicarsi  anche  in  favore dei genitori
adottivi  ed affidatari, attraverso un procedimento interpretativo di
carattere  "logico-sistematico" che collega le norme esistenti, cosi'
come  riviste dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali
dell'ordinamento.
    Secondo la parte privata, del resto, sarebbe molto difficile, sul
piano   della   legittimita'  costituzionale,  dare  una  spiegazione
accettabile del perche' la fruibilita' dei permessi giornalieri debba
essere  ristretta  anche per i bambini adottivi al solo primo anno di
vita,  dettando  una  regola  che  in  concreto renderebbe l'istituto
pressoche'  inapplicabile  e  che  risulterebbe incomprensibile da un
punto  di  vista  logico,  oltre  che  in  contrasto  con l'obiettivo
fondamentale   di   salvaguardare   nel  modo  migliore  l'evoluzione
psico-fisica   del   minore.  Siffatta  interpretazione  restrittiva,
d'altra  parte,  risulterebbe  in  evidente  contrasto  con  tutti  i
parametri costituzionali invocati dal giudice remittente.
    3.   -   Si   e'  costituita  in  giudizio  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia, parte convenuta nel giudizio a quo, chiedendo
che   la  prospettata  questione  venga  dichiarata  inammissibile  o
infondata.
    L'inammissibilita'   deriverebbe   dalla   completa   carenza  di
motivazione  in  punto  di  rilevanza,  poiche'  il remittente non ha
neppure  precisato  quale  sia stata l'effettiva data di ingresso dei
minori nella famiglia della ricorrente.
    Nel  merito,  la  parte osserva che la parificazione tra genitori
biologici  e  genitori adottivi e' stata compiuta dalle leggi vigenti
in  riferimento al congedo di maternita' ed al congedo parentale (che
attualmente indicano l'astensione obbligatoria e quella facoltativa).
    I  riposi  giornalieri di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del
1971  hanno,  invece,  una  finalita'  ben  diversa, che e' quella di
accudire   il  neonato  nella  fase  immediatamente  successiva  alla
nascita;  tale  necessita' di assistenza diretta si conclude, secondo
la  valutazione  del  legislatore,  col  compimento del primo anno di
vita.   Estendere  la  fruibilita'  di  tali  permessi  entro  l'anno
dall'effettivo ingresso del minore nella famiglia significa snaturare
la  portata  dell'istituto,  compiendo  una  valutazione  che  e'  di
politica legislativa; anche per le madri biologiche, d'altra parte, i
permessi  non sono piu' concedibili una volta trascorso il primo anno
di  vita  del  bambino,  restando  alle  medesime la sola facolta' di
avvalersi  del  congedo  parentale, di modo che nessuna diversita' di
trattamento puo' essere ravvisata nel sistema vigente.
    Da tanto consegue l'infondatezza della questione.
    4.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  con  atto  difensivo  di  contenuto  identico  a quello della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
    5.  - Il Tribunale di Ivrea - adito in sede di reclamo avverso il
provvedimento  d'urgenza  concesso  dal giudice monocratico, ai sensi
dell'art. 700  cod.  proc.  civ.,  col  quale  veniva riconosciuto al
ricorrente,  padre  adottivo  di un minore, il diritto alla fruizione
dei  riposi  giornalieri entro l'anno dall'ingresso del bambino nella
famiglia  - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37
e  77  della  Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 45  del  decreto  legislativo  26 marzo 2001, n. 151 (Testo
unico  delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno
della maternita' e della paternita', a norma dell'art. 15 della legge
8 marzo 2000, n. 53).
    Osserva  il giudice a quo che l'impugnato provvedimento d'urgenza
e'  stato  emesso  in  primo grado in base al convincimento per cui i
riposi  giornalieri  previsti  dall'art. 10  della  legge 30 dicembre
1971,  n. 1204,  e  dall'art. 3, comma 5, della legge n. 53 del 2000,
possono  essere  fruiti  dai genitori adottivi non entro l'anno dalla
nascita  del minore, bensi' entro l'anno dal momento in cui lo stesso
ha  fatto  il  suo  effettivo  ingresso  nella  famiglia.  In sede di
reclamo,  proposto  dall'Istituto nazionale della previdenza sociale,
tanto   quest'ultimo  quanto  il  datore  di  lavoro  hanno  eccepito
l'erroneita'  del  provvedimento favorevole al lavoratore, sostenendo
che  il  quadro  normativo  complessivo,  da  leggersi  alla luce del
sopravvenuto art. 45 del d.lgs. n. 151 del 2001, imponeva di limitare
la  concessione  dei  permessi in questione al primo anno di vita del
bambino.
    Cio'   premesso  in  punto  di  fatto,  il  Tribunale  di  Ivrea,
accogliendo e facendo propria l'eccezione avanzata in sede di reclamo
dal   lavoratore   (che   insisteva  nel  contempo  per  la  conferma
dell'impugnato   provvedimento),   ha  ritenuto  di  dover  sollevare
questione  di  legittimita'  costituzionale del citato art. 45 "nella
parte  in  cui  dispone che le norme in materia di riposi di cui agli
artt. 39,  40,  41 dello stesso decreto si applicano anche in caso di
adozione  e  di  affidamento soltanto entro il primo anno di vita del
bambino" (comma 1).
    Nel motivare sulla non manifesta infondatezza della questione, il
tribunale   remittente   ricorda   che   la  normativa  sui  permessi
giornalieri  di  maternita'  trovava in origine il proprio fondamento
nell'esigenza dell'allattamento; tale esigenza, benche' non superata,
puo' tuttavia considerarsi non piu' esclusiva alla luce sia di quanto
sostenuto  da  questa  Corte  nella  sentenza n. 179 del 1993 sia del
testo  dell'art. 6-ter della legge n. 903 del 1977, introdotto con la
menzionata  legge n. 53 del 2000. Non si tratta, infatti, soltanto di
permettere  alla  madre  (o  al  padre)  di  badare alle fondamentali
esigenze   fisiche   del   bambino,  ma  anche  di  curare  l'aspetto
relazionale del rapporto genitoriale, favorendo il contatto affettivo
fra  il  genitore ed il figlio. L'art. 39 del d.lgs. n. 151 del 2001,
d'altra  parte,  sembra  aver recepito tale mutamento di prospettiva,
facendo  riferimento  agli  asili  nido  piuttosto che alle camere di
allattamento.
    A   tale   evoluzione  della  tutela  della  maternita'  e  della
paternita'  si e' affiancata una crescente attenzione del legislatore
nei  confronti  della  famiglia  adottiva, tradottasi in una serie di
norme che di fatto equiparano i genitori adottivi a quelli biologici.
    Sulla  base  di  tali  premesse, al tribunale remittente la norma
censurata  pare  in contrasto con i numerosi parametri costituzionali
citati. Innanzitutto con l'art. 3 Cost., inteso sia come principio di
eguaglianza   che   come  principio  di  ragionevolezza,  perche'  il
legislatore  ha  fissato  un  medesimo  termine  di  fruibilita'  dei
permessi  in oggetto mentre e' evidente che l'inserimento del bambino
nella  famiglia  adottiva  avviene,  a differenza che per la famiglia
biologica,  in un momento successivo alla nascita, sicche' la parita'
di  trattamento  finisce  col  tradursi  in un evidente ostacolo alla
crescita  armoniosa  del  figlio  adottivo,  a  dispetto  di tutte le
indicazioni  provenienti proprio dalla giurisprudenza costituzionale;
e  cio'  e'  tanto  piu'  irrazionale  in  quanto il legislatore, nel
regolare  il  congedo  per  la  malattia del figlio, ha dimostrato di
tener  presente la diversa situazione dei figli adottivi, consentendo
ai  genitori  di assentarsi fino al compimento del sesto anno di eta'
da parte del minore.
    Altrettanto  evidente  appare  al  tribunale il contrasto con gli
artt. 29,  30  e  31  Cost.,  norme tutte finalizzate alla protezione
della  famiglia  e  della  filiazione;  l'art. 45 impugnato, infatti,
dimostra   di   trascurare  le  esigenze  di  carattere  affettivo  e
relazionale  del  figlio  che sono senz'altro presenti anche nel caso
della  filiazione  adottiva,  dettando  una  regola  che nella grande
maggioranza dei casi finira' col non poter essere utilizzata, perche'
la  complessita'  della procedura di adozione e' tale che l'effettivo
ingresso del minore nella famiglia avviene quando il medesimo ha gia'
compiuto il primo anno di vita. Ragioni del tutto analoghe inducono a
ritenere  violato  l'art. 37  Cost.,  perche'  la  norma  in  oggetto
contrasta  con  l'obiettivo  di protezione della lavoratrice madre (e
del  lavoratore padre) alla luce delle sentenze costituzionali n. 179
del  1993  e n. 341 del 1991, le quali hanno chiarito che le esigenze
di  equilibrata crescita del minore rendono necessaria la presenza di
entrambi  i  genitori,  con  un  criterio  che vale anche in rapporto
all'affidamento ed all'adozione.
    Ultima   censura   ravvisata  dal  remittente  e'  la  violazione
dell'art. 77  Cost.  sotto  il  profilo  dell'eccesso  di  delega: in
contrasto  con  i  criteri  direttivi  fissati dall'art. 15, comma 1,
lettera c),  della  legge n. 53 del 2000 - secondo cui il legislatore
delegato  aveva  il  potere di modificare le norme esistenti soltanto
allo  scopo di garantirne la coerenza logica e sistematica - la norma
impugnata   pone,  infatti,  un  limite  per  l'applicabilita'  delle
disposizioni   sui   riposi   giornalieri  nel  caso  di  adozioni  o
affidamenti non previsto dalla previgente normativa.
    La  questione si palesa rilevante, d'altra parte, perche', stante
l'immediata  applicabilita'  ratione temporis dell'art. 45 del d.lgs.
n. 151 del 2001, in caso di rigetto della proposta questione da parte
della  Corte,  il  tribunale  non potrebbe che accogliere il reclamo,
annullando  la prima ordinanza cautelare e negando la sussistenza del
diritto del padre ricorrente a fruire dei periodi di riposo in esame,
essendo  stati  i medesimi concessi in relazione ad un momento in cui
il  minore adottato aveva gia' compiuto il primo anno di eta' (mentre
non era ancora trascorso il primo anno dall'ingresso nella famiglia).
    6.  -  Si  e'  costituito  in  giudizio  l'INPS, chiedendo che la
questione venga dichiarata non fondata.
    Osserva  l'ente  previdenziale che i riposi giornalieri dei quali
si  discute  sono stati istituiti con lo scopo primario di consentire
l'allattamento  del  bambino,  ossia  per  soddisfare  un'esigenza di
alimentazione  e  di crescita, tanto che in passato parecchie aziende
avevano   creato   le   apposite   camere   di  allattamento.  Mutato
radicalmente  l'assetto  della  societa',  tali  permessi  sono stati
concessi  anche ai padri lavoratori, sicche' alla funzione originaria
dei medesimi se ne sono affiancate altre, le quali tuttavia non hanno
eliminato  la ratio fondamentale per cui essi costituiscono un vero e
proprio   diritto   del   lavoratore.  Se,  d'altronde,  la  funzione
alimentare non fosse a base dei riposi in questione, non si capirebbe
il  motivo  per il quale in caso di parto plurimo la legge prevede il
raddoppio  della  durata  degli stessi (art. 41 del d.lgs. n. 151 del
2001).
    Alla  luce  di  siffatta  ricostruzione, quindi, appare del tutto
ragionevole il termine annuale, decorrente dal momento della nascita,
che  il  legislatore  ha fissato per la fruibilita' di tali permessi;
decorso  il  primo  anno  di  vita,  infatti,  si  sara'  compiuto lo
"svezzamento",  il  che consentira' al genitore di tornare al normale
orario  di  lavoro  salva  la  possibilita'  di  godere  del  congedo
parentale.
    Del  pari infondati paiono all'INPS i profili di violazione degli
artt. 29,  30,  31  e  37 Cost., perche' la tutela della maternita' e
della  paternita'  e' ampiamente assicurata nel nostro ordinamento da
altri  e  ben  piu'  importanti  istituti  -  quali  il  congedo  per
maternita',  quello  parentale  e quello per le malattie del figlio -
che  testimoniano  l'equilibrio complessivo del sistema vigente e che
consentono   di   restringere  l'ambito  temporale  dei  permessi  di
allattamento,   senza   timori   di  violazione  di  alcun  parametro
costituzionale, nei limiti fissati dalla norma impugnata.
    7.  -  E'  intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale   dello   Stato,   concludendo   per   l'inammissibilita'  o
l'infondatezza della questione.
    La  difesa erariale rileva che l'ordinanza del Tribunale di Ivrea
non  pare  aver  compreso  il vero obiettivo che il legislatore si e'
prefisso  di  raggiungere  con  la  norma  impugnata. La ratio legis,
infatti,  non  e'  tanto quella di fornire un'ulteriore protezione al
genitore lavoratore, quanto piuttosto quella di garantire un'adeguata
assistenza  al  bambino  nella  prima  e piu' delicata fase della sua
esistenza.  A  tale scopo la fruibilita' dei permessi e' stata estesa
anche   al   padre,   indirettamente  dimostrando  che  la  finalita'
dell'allattamento  al  seno  e'  solo  uno  degli  obiettivi,  ma non
l'unico,  che la norma intende perseguire. Tuttavia il legislatore si
e'  anche  preoccupato  di contemperare le esigenze di assistenza del
bambino  con  quelle  del lavoro, limitando il godimento dei permessi
giornalieri  al  primo anno di vita del minore; nessuna disparita' di
trattamento  e'  ravvisabile,  percio',  tra  figli  adottivi e figli
cresciuti dai genitori biologici, perche' la norma ha ritenuto che le
esigenze  primarie  di  accudimento del neonato cessino al compimento
del  primo  anno di eta'. Sindacare la scelta compiuta, estendendo la
portata   della   norma   nel   senso   auspicato   dal   remittente,
significherebbe  entrare in una sfera riservata alla discrezionalita'
del  legislatore,  per  di piu' creando una fattispecie dagli incerti
confini applicativi.
    Le  considerazioni  svolte  dimostrano  anche,  secondo la difesa
erariale,  l'inesistenza della presunta violazione dell'art. 77 Cost.
sotto il profilo dell'eccesso di delega; la norma impugnata, infatti,
in  conformita'  al  criterio  direttivo di cui all'art. 15, comma 1,
lettera c),   della  legge  n. 53  del  2000,  non  mira  affatto  ad
introdurre  nell'ordinamento  una  norma  nuova,  bensi'  soltanto ad
assicurare  la  coerenza  logica  complessiva  del  sistema normativo
vigente.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il  Tribunale  di  Trieste  ed  il  Tribunale  di  Ivrea
sottopongono  all'esame  della  Corte  due  questioni che, quantunque
aventi ad oggetto disposizioni diverse (ratione temporis), sono nella
sostanza di identico contenuto.
    In particolare, il Tribunale di Trieste dubita della legittimita'
costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione,
dell'art. 10  della  legge  30 dicembre  1971,  n. 1204 (Tutela delle
lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903
(Parita'  di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro); il
Tribunale   di  Ivrea,  invece,  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 45   (comma  1)  del  decreto  legislativo
26 marzo  2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in
materia  di  tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a
norma  dell'art. 15  della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento
agli artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della Costituzione.
    Fondamento  di  entrambe le questioni e' il dubbio riguardante la
fruizione  dei permessi giornalieri in favore dei genitori adottivi e
degli affidatari, che la legislazione vigente limita al primo anno di
vita  del  bambino,  cosi'  come per i figli biologici. Ad avviso dei
tribunali  remittenti,  invece,  in caso di adozione o di affidamento
tali  permessi  dovrebbero  essere  fruibili  a partire dalla data di
effettivo  ingresso  del  minore  nella famiglia, pur rimanendo fermo
l'attuale  limite  annuale,  sussistendo  altrimenti violazione sotto
vari profili dei menzionati parametri costituzionali.
    2.  -  Le due questioni si differenziano sostanzialmente soltanto
da  un punto di vista di cronologia delle norme impugnate, perche' le
leggi n. 1204 del 1971 e n. 903 del 1977 sono state trasfuse, assieme
a  molte  altre, nel testo unico di cui al d.lgs. n. 151 del 2001; il
Tribunale  di Trieste ha impugnato le norme previgenti, mentre quello
di  Ivrea  ha  impugnato  l'art. 45  del  testo  unico. Le questioni,
pertanto, possono essere riunite e decise con una sola pronuncia.
    3.   -   La  questione  proposta  del  Tribunale  di  Trieste  e'
inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
    Da  un  lato,  infatti, il giudice a quo non ha descritto in modo
adeguato  la  fattispecie sottoposta al suo esame; in particolare, ha
omesso  di indicare un dato essenziale ai fini della rilevanza, ossia
la data di effettivo ingresso nella famiglia della ricorrente dei due
bambini destinatari dell'affidamento preadottivo; d'altro canto, poi,
egli, pur mostrando di conoscere la legge n. 53 del 2000 ed il d.lgs.
n. 151  del  2001,  non  ha tuttavia fornito alcuna motivazione sulla
ragione  che  lo  ha  indotto  a sottoporre all'esame della Corte due
norme  espressamente  abrogate  dall'art. 86  del  decreto  da ultimo
menzionato.  In  tal  modo  il giudice remittente ha dimenticato che,
secondo  pacifica  giurisprudenza  di  questa  Corte  (v.  da  ultimo
l'ordinanza   n. 204   del   2002),   lo  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale   avente   ad   oggetto  norme  abrogate  prima  della
rimessione  della questione e' possibile solo a condizione che si dia
conto  delle  ragioni  per  le  quali  tale scrutinio mantiene la sua
rilevanza nel giudizio principale.
    Ne',    d'altronde,    per   sopperire   alle   suddette   lacune
dell'ordinanza,  e'  possibile  fare  ricorso  alle allegazioni delle
parti.
    4.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
Tribunale  di  Ivrea va esaminata, logicamente, innanzitutto sotto il
profilo  preliminare  dell'eccesso di delega; ad avviso del giudice a
quo, infatti, poiche' il testo unico di cui al d.lgs. n. 151 del 2001
non  avrebbe potuto avere contenuto innovativo - in forza dei criteri
direttivi  contenuti  nell'art. 15,  comma 1, lettera c), della legge
delega  n. 53  del  2000  -  l'art. 45  impugnato, nello stabilire il
limite  del  primo  anno  di  vita  del  bambino anche per i genitori
adottivi  e  per  gli affidatari, avrebbe oltrepassato i limiti della
delega stessa.
    Questa censura e' inammissibile.
    Il  giudice  remittente  prospetta infatti il vizio di eccesso di
delega  nel  convincimento che il limite di un anno dalla nascita del
bambino  non fosse gia' previsto dall'art. 10 della legge n. 1204 del
1971  e  sia  stato  quindi introdotto ex novo illegittimamente dalla
norma  censurata,  ma di tale convincimento il Tribunale di Ivrea non
fornisce  alcuna  motivazione,  con  la conseguenza che la questione,
sotto il profilo qui esaminato, e' inammissibile.
    5. - La  questione  prospettata  dal Tribunale di Ivrea e' invece
fondata  per  violazione dell'articolo 3 della Costituzione sia sotto
il  profilo dell'eguaglianza, perche' la norma censurata assoggetta a
eguale   trattamento  situazioni  diverse,  sia  sotto  quello  della
intrinseca irragionevolezza.
    Si   premette   che  l'istituto  dei  riposi  giornalieri,  senza
indugiare  sulla  normativa anteriore alla Costituzione, aveva la sua
originaria  disciplina  nell'articolo 9  della  legge 26 aprile 1950,
n. 860,  ed  era  regolato  come strumento finalizzato esclusivamente
all'allattamento.  La  norma  richiamata attribuiva il diritto a tali
permessi  soltanto  alle  madri che allattavano direttamente i propri
bambini,  prevedendo  le pause in funzione di quell'unica necessita',
tanto  che  la  predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle
cosiddette  camere  di  allattamento  e  dell'asilo nido obbligava le
lavoratrici  ad  allattare  in sede, senza possibilita' di uscire dai
locali aziendali.
    I  riposi  giornalieri  erano quindi concepiti come complementari
alle  altre misure dirette alla protezione della maternita' biologica
oltre  che  parzialmente  sostitutivi dell'astensione dal lavoro post
partum.
    Il  successivo  articolo 10 della legge n. 1204 del 1971 dimostra
gia'  un cambiamento di prospettiva. Infatti, la fruizione dei riposi
risulta   non   piu'  strettamente  connessa  all'esigenza  puramente
fisiologica dell'allattamento, tanto che la norma non obbliga piu' la
lavoratrice  ad utilizzare le strutture eventualmente predisposte dal
datore di lavoro, quali le camere di allattamento e gli asili nido, e
comincia  a  dare  rilievo  all'aspetto  affettivo  e relazionale del
rapporto madre-figlio.
    E'   indubbio,  quindi,  che  gli  istituti  a  protezione  della
maternita' nascono e vivono per un certo tempo in un contesto sociale
e  ordinamentale  nel quale da un canto l'adozione, ed in particolare
quella  dei  minorenni,  ha scarsa applicazione e svolge una funzione
ben diversa da quella che avrebbe successivamente assunto, dall'altro
il  ruolo  del  padre  nella  societa'  e  nella  famiglia  e' ancora
concepito  come  del  tutto  secondario riguardo alla crescita e alla
educazione dei figli nei primi anni della loro vita, sicche' cio' che
ha  preminente rilievo e' pur sempre la maternita' biologica. In tale
periodo  e'  soltanto  la  giurisprudenza  ordinaria  che,  non senza
oscillazioni  e  contrasti,  estende  ai genitori adottivi i benefici
previsti per i genitori naturali.
    6. - Il  quadro  muta  radicalmente a partire dagli anni settanta
per  effetto  di  una serie di leggi di riforma (diritto di famiglia,
parita'  di  trattamento  tra  uomo  e  donna  in  materia di lavoro,
adozione dei minori) e di alcune decisioni di questa Corte.
    Limitando  l'indagine  a cio' che piu' specificamente riguarda la
questione  in  esame,  l'art. 6 della legge n. 903 del 1977 ha esteso
alle  madri  adottive  o affidatarie gli istituti dell'astensione dal
lavoro  obbligatoria  e facoltativa e l'art. 7 ha attribuito anche al
padre  lavoratore  il  diritto  all'astensione facoltativa, ma solo a
determinate condizioni.
    Cio'  che  occorre  soprattutto  sottolineare  e'  che  la legge,
stabilendo che i benefici potevano essere goduti, in caso di adozione
o  affidamento,  nel primo anno d'ingresso del bambino nella famiglia
dell'adottante o dell'affidatario, anche se limitatamente all'ipotesi
che  il bambino non avesse superato i sei anni di eta', ha attribuito
rilievo  alla  diversita' di esigenze del bambino adottato rispetto a
quelle  proprie  del  bambino  che vive con i genitori naturali o con
almeno uno di questi.
    7. - Questa  Corte  e'  stata  piu' volte chiamata a pronunciarsi
sulla  legittimita'  costituzionale  delle  norme  disciplinanti  gli
istituti  a  protezione della maternita' e dei minori, in particolare
sotto  il profilo della loro mancata o non totale estensione al padre
lavoratore oppure ai genitori legali (adottanti o affidatari).
    Per  effetto di una serie di decisioni, tutte di accoglimento, il
diritto  all'astensione  obbligatoria  ed  ai  riposi  giornalieri, a
determinate condizioni, e' stato esteso al padre lavoratore (sentenza
n. 1  del  1987);  il  diritto  all'astensione  facoltativa  e' stato
riconosciuto    alla   madre   affidataria   provvisoria   e   quello
all'astensione  obbligatoria  alla  madre  affidataria in preadozione
(sentenza  n. 332  del 1988); il diritto all'astensione nei primi tre
mesi  dall'ingresso del bambino nella famiglia e' stato attribuito al
padre   lavoratore  affidatario  di  minore  per  i  primi  tre  mesi
successivi  all'ingresso  del  bambino  nella famiglia in alternativa
alla   madre  (sentenza  n. 341  del  1991);  il  diritto  ai  riposi
giornalieri,  infine,e'  stato  esteso,  in  via  generale ed in ogni
ipotesi,  al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente,
per  l'assistenza  al  figlio  nel  suo  primo anno di vita (sentenza
n. 179 del 1993).
    8. - Da  quanto  sinteticamente  esposto risulta che gli istituti
dell'astensione   dal   lavoro,   obbligatoria   e  facoltativa,  ora
denominati  congedi,  e  quello dei riposi giornalieri oggi non hanno
piu'  l'originario necessario collegamento con la maternita' naturale
e  non  hanno piu' come esclusiva funzione la protezione della salute
della   donna   ed   il   soddisfacimento  delle  esigenze  puramente
fisiologiche  del minore, ma sono diretti anche, come questa Corte ha
gia'   piu'   volte   affermato   nelle  motivazioni  delle  sentenze
suindicate, ad appagare i bisogni affettivi e relazionali del bambino
per realizzare il pieno sviluppo della sua personalita'.
    Cio'  che  piu'  rileva,  ai  fini della soluzione della presente
questione,  e'  la  piena coincidenza tra la ratio delle decisioni di
questa Corte appena richiamate e l'attivita' del legislatore. Questi,
nel  momento  in  cui ha esteso misure previste in caso di filiazione
naturale alla filiazione adottiva ed all'affidamento ha avvertito che
l'eta'   del  minore  diveniva  un  elemento,  se  non  trascurabile,
certamente  secondario,  mentre  veniva  in  primo  piano  il momento
dell'ingresso  del  minore  nella famiglia adottiva o affidataria, in
considerazione  delle  difficolta'  che  tale  ingresso  comporta sia
riguardo  alla  personalita'  in  formazione  del minore, soggetta al
trauma  del distacco dalla madre naturale o a quello del soggiorno in
istituto,   sia   per   i   componenti  della  famiglia  adottante  o
affidataria.
    9. - Il  d.lgs.  n. 151 del 2001, il cui articolo 45 e' censurato
dal  Tribunale  di  Ivrea,  ha  coordinato  e razionalizzato tutta la
disciplina di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessa alla
maternita'   e   paternita'   dei   figli  naturali,  adottivi  e  in
affidamento,  nonche' le misure di sostegno economico alla maternita'
e  alla  paternita'  (art. 1),  ribadendo,  nei casi di adozione e di
affidamento,  la rilevanza del momento dell'ingresso del minore nella
famiglia  per  quanto  concerne la fruizione dei congedi (v. art. 26,
comma 2; art. 31; art. 36, comma 2, del medesimo decreto).
    Le  difese  della  Presidenza  del  Consiglio  e  dell'INPS,  pur
convenendo  sull'evoluzione  e  sul  mutamento  di  funzioni  che gli
istituti  a  sostegno della maternita' e della paternita' hanno avuto
nel  corso  degli  ultimi  decenni,  sostengono che quello dei riposi
giornalieri  conserva  pur  sempre  un collegamento con le necessita'
connesse   alla  prima  eta'  del  minore,  come  sarebbe  dimostrato
dall'art. 41  del  d.lgs.  n. 151 del 2001, secondo cui la durata dei
riposi e' raddoppiata in caso di parto plurimo.
    Tale tesi non puo' essere accolta.
    I  riposi  giornalieri,  una volta venuto meno il nesso esclusivo
con  le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione, come si
e'  detto,  di  soddisfare  i suoi bisogni affettivi e relazionali al
fine  dell'armonico  e  sereno sviluppo della sua personalita'. Essi,
pertanto,  svolgono  una  funzione  omogenea a quella che assolvono i
congedi  e, piu' specificamente, i congedi parentali. Ora, per questi
il  legislatore  ha  ritenuto  rilevante,  in  caso  di adozione o di
affidamento,  il  momento  dell'ingresso  del  minore nella famiglia,
considerando  l'eta' del minore, peraltro diversamente disciplinata a
seconda delle varie ipotesi di adozioni o affidamenti (per l'adozione
internazionale  v.  gli  artt. 27  e  37 del d.lgs. n. 151 del 2001),
esclusivamente  come  un  limite  alla  fruizione  dei  benefici.  Ne
consegue che restringere il diritto ai riposi per gli adottanti e gli
affidatari  al  primo  anno  di  vita  del  bambino  non  soltanto e'
intrinsecamente  irragionevole,  ma  e'  anche  in  contrasto  con il
principio  di  eguaglianza,  perche' l'applicazione agli adottanti ed
agli  affidatari  della  stessa  formale  disciplina  prevista  per i
genitori  naturali finisce per imporre ai primi ed ai minori adottati
o  affidati  un  trattamento  deteriore, attesa la peculiarita' della
loro situazione.
    Ne' puo' indurre a diversa conclusione la richiamata disposizione
sulla  disciplina  dei  riposi  in caso di parto plurimo, poiche' non
solo  le  esigenze  fisiche  ma  anche quelle affettive richiedono un
tempo  maggiore  quando  debbono  essere  soddisfatte riguardo a piu'
persone.
    Deve  essere,  quindi, dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 45  del  d.lgs. n. 151 del 2001, per contrasto con 1'art. 3
della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  non prevede che i riposi
giornalieri  di cui agli articoli 39, 40 e 41 dello stesso decreto si
applichino, in caso di adozione o di affidamento, entro il primo anno
dall'ingresso effettivo del minore nella famiglia.
    Rientra   nella   discrezionalita'   del   legislatore  stabilire
eventualmente dei limiti alla fruizione dei riposi correlati all'eta'
del minore adottato o affidato.
    Restano assorbiti gli altri profili di censura.