N. 427 SENTENZA 18 - 25 luglio 1989

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro- Licenziamento disciplinare- Inapplicabilita', nel caso, delle garanzie procedimentali previste dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori - Illegittimita' costituzionale parziale. (Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7). (Cost., art. 3).

 ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 7, secondo e
 terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme  sulla  tutela
 della  liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e
 dell'attivita'  sindacale  nei  luoghi  di   lavoro   e   norme   sul
 collocamento),  promosso  con ordinanza emessa il 13 gennaio 1989 dal
 Tribunale di Vicenza nel  procedimento  civile  vertente  tra  Taccon
 Giancarlo  e  la Pellicceria T.G. di Toniolo Graziano, iscritta al n.
 181 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 14, prima serie speciale dell'anno 1989;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 giugno 1989 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con lettera in data 26 febbraio 1986 Taccon Giancarlo veniva
 licenziato dal suo datore di lavoro "a seguito dei fatti accaduti  il
 giorno 14 febbraio 1986" e con effetto dal 17 febbraio 1986.
    Avverso  il  licenziamento  cosi'  motivato proponeva impugnazione
 giudiziaria il  lavoratore,  assumendone  la  natura  disciplinare  e
 l'illegittimita'  per  mancata  osservanza  della  procedura  di  cui
 all'art. 7 della legge n. 300 del 1970.
    Il  Pretore  adito rigettava la domanda, ritenendo non applicabile
 alla fattispecie la teste' citata norma, per essere presso  l'azienda
 occupati meno di sedici dipendenti.
    Il   Tribunale  di  Vicenza,  in  sede  di  appello  avverso  tale
 decisione,  sollevava  questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  7,  secondo  e  terzo comma, della citata legge n. 300 del
 1970, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    Osservava   al   riguardo   che  l'impugnato  licenziamento  aveva
 carattere sostanzialmente disciplinare, come dimostrato dall'espresso
 riferimento  a  fatti  accaduti  il  14 febbraio 1986 (consistenti in
 ingiurie e minacce in danno del datore di lavoro, che  aveva  percio'
 proposto    querela)   nonche'   dall'intimazione   in   tronco   del
 licenziamento stesso: donde la  rilevanza  della  questione  relativa
 alla   suddetta   normativa,   interpretata,   alla   stregua   della
 giurisprudenza  della  Corte  regolatrice,  nel   senso   della   sua
 inapplicabilita'   all'ipotesi,   ricorrente  nella  fattispecie,  di
 licenziamento disciplinare irrogato da datore di lavoro con  meno  di
 sedici dipendenti.
    Il giudice a quo osservava, poi, nel merito della questione che la
 sancita  non  operativita'  della  normativa  de  qua  nell'area   di
 recedibilita'  ad nutum da parte del datore di lavoro (anche nel caso
 in  cui  quest'ultimo  non   ritenga   di   avvalersi   puramente   e
 semplicemente  del  correlativo  potere,  ma commini il licenziamento
 come sanzione per una  mancanza  del  lavoratore,  cosi'  ponendo  il
 motivo disciplinare come determinante della sua volonta' di recedere)
 e' viziata  dall'incoerenza  derivante  dal  fatto  che  le  garanzie
 procedimentali  di cui al citato art. 7 della legge n. 300 del 1970 -
 ed, in particolare, quelle della previa contestazione degli  addebiti
 e  dell'ammissione del lavoratore a rendere le sue giustificazioni -,
 denegate nel caso della  massima  sanzione  (espulsiva)  sono  invece
 accordate, ancorche' in presenza di un numero di dipendenti inferiore
 a sedici, in relazione all'irrogazione di sanzioni di minore entita':
 cio'  a maggior ragione quando si consideri la sostanziale differenza
 fra licenziamento ad nutum e licenziamento  disciplinare,  nel  quale
 ultimo non esiste un motivo di recesso riconducibile a valori di tipo
 puramente economico, bensi' l'autonomo rilievo  determinante  di  una
 presunta  infrazione  di  obblighi  gravanti sul lavoratore, rispetto
 alla quale quest'ultimo ha uno specifico interesse alla  difesa,  sia
 al fine di evitare la perdita del posto di lavoro, sia a tutela della
 propria dignita' professionale e personale.
    2.   -   Nel  susseguente  giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'
 intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il  tramite
 dell'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  la quale ha preliminarmente
 concluso nel senso dell'inammissibilita' della  questione,  rilevando
 che  il  Tribunale  remittente non avrebbe precisato se il contestato
 licenziamento era stato intimato ex art. 2118 ovvero ex art. 2119 del
 codice  civile, ne' se al rapporto di lavoro de quo fosse applicabile
 un contratto collettivo che richiamasse  espressamente,  in  tema  di
 licenziamenti  per  "mancanze",  le  garanzie  procedimentali  di cui
 all'art. 7 dello Statuto  dei  lavoratori:  decisione,  questa,  gia'
 adottata  dalla Corte con ordinanza n. 1068 del 1988, in relazione ad
 identica questione, anch'essa sollevata in  carenza  di  precisazioni
 siffatte.
    Nel  merito  ha, poi, rilevato che la questione sarebbe, comunque,
 infondata, non ravvisandosi il  preteso  difetto  di  coerenza  della
 normativa   censurata,   in   quanto  l'operativita'  delle  garanzie
 procedimentali  in  caso  di  sanzioni   disciplinari,   minori   del
 licenziamento,  irrogate  da  datore  di  lavoro  con  meno di sedici
 dipendenti, trova ragionevole giustificazione nel fatto che queste, a
 differenza  del  licenziamento,  sia  pure disciplinare, intimato dal
 medesimo datore di lavoro, possono essere effettivamente rimosse  per
 effetto  dell'applicazione  di  dette  garanzie, inidonee, invece, ad
 impedire il risultato  della  risoluzione  del  rapporto  di  lavoro,
 ottenibile  ad  nutum.  Ne', in senso dirimente, possono invocarsi le
 necessita' di tutela  della  dignita'  del  lavoratore,  che  trovano
 comunque    adeguato    presidio   nei   normali   mezzi   apprestati
 dall'ordinamento.
                         Considerato in diritto
    Il  Tribunale  di Vicenza dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 7, secondo e terzo comma, della legge n. 300 del 1970,  ove
 interpretata   alla   stregua   della   giurisprudenza   della  Corte
 regolatrice, nel senso  della  sua  inapplicabilita'  all'ipotesi  di
 licenziamento  disciplinare irrogato dal datore di lavoro con meno di
 sedici dipendenti, in quanto  risulterebbe  violato  l'art.  3  della
 Costituzione  perche' le garanzie procedimentali previste dalla norma
 censurata sarebbero applicate a lavoratori delle  dette  aziende  per
 sanzioni di minore entita', mentre il licenziamento c.d. disciplinare
 oltre a produrre la perdita del posto  di  lavoro  lede  la  dignita'
 professionale e personale del lavoratore.
    La questione e' fondata.
    Questa  Corte ha affermato (sentenza n. 204 del 1982; ordinanza n.
 345 del 1988) che le garanzie di cui all'art. 7 della  legge  n.  300
 del  1970  si  applicano ai licenziamenti qualificabili come sanzione
 disciplinare secondo la legge o l'autonomia collettiva;  il  relativo
 accertamento   e  la  relativa  qualificazione  spettano  ai  giudici
 remittenti  e   possono   essere   effettuati   secondo   l'indirizzo
 giurisprudenziale affermatosi in materia.
    Nella  fattispecie  il  Tribunale  di  Vicenza  ha  qualificato il
 licenziamento intimato di carattere sostanzialmente disciplinare.
    Principi   di   civilta'   giuridica  ed  innegabili  esigenze  di
 assicurazione della parita' di  trattamento  garantita  dal  precetto
 costituzionale  (art.  3  della Costituzione) richiedono che a favore
 del lavoratore, colpito dalla piu' grave delle sanzioni disciplinari,
 quale  e' quella espulsiva, con perdita del posto di lavoro e lesione
 della  dignita'  professionale  e  personale,  siano  assicurate   le
 garanzie   previste   dall'art.   7   dello  Statuto  dei  lavoratori
 specificamente a favore di colui  al  quale  e'  stata  inflitta  una
 sanzione disciplinare.
    Il lavoratore deve essere posto in grado di conoscere l'infrazione
 contestata, la sanzione ed i  motivi;  deve  essere,  inoltre,  posto
 nella  condizione  di  difendersi  adeguatamente,  di  fare accertare
 l'effettiva sussistenza dell'addebito in contraddittorio con  l'altra
 parte, cioe' del datore di lavoro.
    Queste ragioni attengono alle specie del licenziamento e ai motivi
 che lo determinano e prescindono dal numero dei dipendenti  impiegati
 nell'impresa,   il  quale  (numero)  condiziona  le  conseguenze  che
 derivano   dall'eventuale   declaratoria   di   illegittimita'    del
 licenziamento.
    Sicche' le garanzie di cui all'art. 7 dello Statuto dei lavoratori
 devono  essere  riconosciute  anche  ai  lavoratori  di  imprese  che
 occupino  meno  di  sedici  dipendenti e non possono essere omesse in
 alcun caso a tutela del lavoratore.
    Non   vi  e'  dubbio  infatti  che  il  licenziamento  per  motivi
 disciplinari senza l'osservanza delle garanzie suddette puo' incidere
 sulla  sfera  morale e professionale del lavoratore e crea ostacoli o
 addirittura  impedimenti  alle  nuove  occasioni  di  lavoro  che  il
 licenziato  deve  poi necessariamente trovare. Tanto piu' grave e' il
 pregiudizio che si verifica se il licenziato non sia posto  in  grado
 grado  di  difendersi  e  fare  accertare  l'insussistenza dei motivi
 "disciplinari",  peraltro  unilateralmente  mossi  e  addebitati  dal
 datore di lavoro.
    Del  resto  la  sfera  di  operativita'  dell'art. 2118 del codice
 civile, dopo gli interventi del legislatore in tema di  licenziamento
 (leggi  n.  604  del  1966  e  n.  300  del  1970)  ispirati  anche a
 raccomandazioni    internazionali    (sessioni    della    Conferenza
 internazionale  del  lavoro)  (sentenza n. 2 del 1986), ed i numerosi
 accordi sindacali che sono intervenuti e  continuamente  intervengono
 in  materia,  si e' molto ridotta e la norma non e' piu', quindi, una
 regola del nostro ordinamento di efficacia generale.