N. 204 SENTENZA 29 - 30 novembre 1982

N. 204 SENTENZA 29 NOVEMBRE 1982 Deposito in cancelleria: 30 novembre 1982. Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 338 del 9 dicembre 1982. Pres. ELIA - Rel. ANDRIOLI Lavoro - Statuto dei lavoratori - Sanzioni relative a infrazioni disciplinari - Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, primo, secondo e terzo comma - Interpretazione - Inapplicabilita' ai licenziamenti disciplinari quando detti commi non siano espressamente richiamati dalla normazione legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro - Violazione dell'art. 3 della Costituzione - Illegittimita' costituzionale. Lavoro - Statuto dei lavoratori - Sanzioni relative a infrazioni disciplinari - Termine dilatorio per la loro applicazione -Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, quinto comma - Non sono violati gli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione - Esclusione di illegittimita' costituzionale. Lavoro - Statuto dei lavoratori - Sanzioni relative a infrazioni disciplinari - Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, settimo comma - Inefficacia e sospensione delle sanzioni per la durata del giudizio promosso dal datore di lavoro - Non sono violati gli artt. 3 e 24 della Costituzione - Esclusione di illegittimita' costituzionale. Lavoro - Statuto dei lavoratori - Sanzioni relative a infrazioni disciplinari - Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, primo comma - Reintegrazione nel posto di lavoro - Assunta violazione dell'art. 3 della Costituzione - Insussistenza -Effetti della disposizione conseguenti alla contestuale pronuncia di illegittimita' di altre norme - Esclusione di illegittimita' costituzionale. Decisioni della Corte costituzionale - Tipologia - Sentenza interpretativa di rigetto preferita, nella specie, ad una interpretativa di accoglimento - Presupposto.

                                SENTENZA
     nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 7  e
 18, comma primo, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela
 della  liberta'  e  dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e
 dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento)
 promossi con le ordinanze emesse dal Pretore di Parma il 23  ottobre  e
 il  22  novembre  1976,  dal  Pretore di Treviso il 18 dicembre e il 27
 novembre 1976, dal Pretore di Parma il 1 dicembre 1976 e dal Pretore di
 Treviso l'11  agosto 1977, rispettivamente iscritte ai nn.  739  e  758
 del  registro  ordinanze  1976  ed ai nn. 38, 39, 57 e 468 del registro
 ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
 nn. 31, 44, 66, 80, 87 e 334 del 1977.
     Visti  gli atti di costituzione di Bombardieri Gianni, della s.n.c.
 Dal Negro Teodomiro e di Faraoni Franca;
     udito  nell'udienza  pubblica del 5 maggio 1982 il Giudice relatore
 Virgilio Andrioli;
     udito l'avv. Luciano Ventura, per Bombardieri Gianni e per  Faraoni
 Franca.
                           Ritenuto in fatto:
     1.1.  -  Con ricorso, depositato il 1 e notificato l'8 luglio 1976,
 Gianni Bombardieri chiese in via principale dichiararsi  illegittimo  -
 tra  l'altro per mancata affissione del codice disciplinare nell'unita'
 di lavoro cui era addetto - il licenziamento intimatogli dalla  datrice
 s.p.a.  Alivar  con lettera 31 maggio dello stesso anno e per l'effetto
 condannare  la  medesima  a  reintegrarlo  nel  posto  di  lavoro  e  a
 risarcirgli  i  danni  patiti  e  patiendi  in  misura  pari  a  cinque
 mensilita' di  retribuzione  globale,  in  via  subordinata  dichiarare
 insussistente  la  contestata  giusta  causa di recesso e condannare la
 Alivar al pagamento, in favore di esso ricorrente,  della  retribuzione
 per  il  periodo  1-15 giugno, nonche' della indennita' sostitutiva del
 preavviso nella misura di due mesi e mezzo di  retribuzione,  con  ogni
 conseguente effetto sulle indennita' periodiche e di fine rapporto. Nel
 contraddittorio  della Alivar, costituitasi con memoria depositata il 6
 agosto 1976, l'adito Pretore di  Parma,  in  funzione  di  giudice  del
 lavoro,  con ordinanza pronunciata il 23 ottobre 1976 (notificata l'8 e
 comunicata l'11 ' del successivo mese di novembre, pubblicata nella  G.
 U.  n. 31 del 2 febbraio 1977 e iscritta al n. 739 R.O. 1976), giudico'
 rilevante e non manifestamente infondata,  in  riferimento  all'art.  3
 Cost.,  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art.  7 comma
 primo l. 20 maggio 1970 n.  300,  in  quanto  non  sia  applicabile  ai
 licenziamenti   disciplinari,   sul   riflesso   che  il  principio  di
 uguaglianza sarebbe violato dall'art. 7,  se  interpretato  nel  senso,
 prospettato  dalla  giurisprudenza  della Sezione Lavoro della Corte di
 Cassazione, che "nessuna delle disposizioni  dell'art.  7  (e,  quindi,
 neanche  la disposizione di cui al primo comma di tale articolo, che si
 assume  nella  specie  violata)  sia   applicabile   ai   licenziamenti
 disciplinari,  con la conseguenza che le garanzie, da tali disposizioni
 assicurate al lavoratore in caso di adozione di sanzioni  disciplinari,
 non   sarebbero   applicabili   al   licenziamento   disciplinare,  che
 costituisce indubbiamente la piu' grave di tali sanzioni".
     1.2. - Avanti la Corte si e' costituito per il  Bombardieri  l'avv.
 Luciano  Ventura  giusta  delega  in margine all'atto, depositato il 21
 febbraio 1977, con  il  quale  ha  concluso  per  la  dichiarazione  di
 fondatezza  della proposta questione ponendo in particolare rilievo che
 il licenziamento per violazione degli obblighi  propri  del  lavoratore
 subordinato  non  differisce  -  nel  contenuto,  nelle  finalita', nel
 rispetto del canone giuridico della proporzionalita' tra  infrazione  e
 sanzione  -  da  un  provvedimento  disciplinare  e pertanto non merita
 diversa disciplina. Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  non  e'
 intervenuto.
     2.1. - Con ricorso, depositato il 13 e notificato il 18 del mese di
 maggio  1976  alla  datrice  ditta  Concari dott. Piero, il geom. Livio
 Sartori  chiese  dichiararsi  illegittimo  o   comunque   invalido   il
 licenziamento   intimatogli   il  7  aprile  1976  e,  di  conseguenza,
 condannarsi la ditta, poi costituitasi con memoria  depositata  l'11  '
 giugno 1976, al ripristino del rapporto di lavoro e al risarcimento dei
 danni  sofferti  e  alla  corresponsione degli interessi. Con ordinanza
 pronunciata  il  22  novembre  1976  (notificata  il  successivo  25  e
 comunicata  il 2 dicembre, pubblicata nella G. U. n. 44 del 16 febbraio
 1977  e  iscritta  al n.   758 R.O. 1976), l'adito Pretore di Parma, in
 funzione di giudice del lavoro, giudico' rilevante e non manifestamente
 infondata,  in  riferimento  all'art.  3   Cost.,   la   questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art.  7, commi primo, secondo e quinto
 l.  20  maggio  1970  n.  300, in quanto inapplicabili ai licenziamenti
 disciplinari: rilevante in quanto l'inadempimento del lavoratore, posto
 a base del licenziamento, sarebbe - in quanto  motivato  da  colpa  del
 medesimo   -   da   qualificare  licenziamento  disciplinare,  regolato
 dall'art. 7 che sostituirebbe di diritto l'art. 68  cap.    C.C.N.L.  1
 gennaio  1973  per  i  dipendenti  delle  imprese  edili  e affini, che
 giustificherebbe,  ad  avviso   della   ditta   datrice,   l'automatica
 risoluzione  del rapporto di lavoro provocata dal fatto addebitato; non
 manifestamente infondata per le  ragioni  esposte  nella  ordinanza  23
 ottobre  1976  (supra  l.  1),  cui  il giudice "a quo" aggiunse che la
 diversita' di trattamento non e'  giustificata  dalla  non  omogeneita'
 ontologica tra licenziamento e le altre sanzioni disciplinari in quanto
 "le  garanzie  di cui all'art. 7 dello Statuto sono dettate in funzione
 della tutela  del  lavoratore  assoggettato  all'esercizio  del  potere
 disciplinare  del  datore  di  lavoro  e  non  pare percio' ragionevole
 escluderne  l'applicabilita'  nel   caso   in   cui   venga   adottata,
 nell'esercizio   di   tale   potere,   la  piu'  grave  delle  sanzioni
 disciplinari".
     2.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si e' costituita ne'  ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
     3.1.  - Miatto Maria, essendo stata licenziata sotto la data del 19
 maggio  1976,  chiese  costituirsi  il  collegio  di  conciliazione   e
 arbitrato  previsto dall'art. 7, comma sesto, l. 20 maggio 1970 n. 300,
 ma la datrice s.n.c.  Dal Negro Teodomiro non solo  non  procede'  alla
 designazione  del  proprio  arbitro,  ma,  a sensi dello stesso art. 7,
 comma settimo, adi' il Pretore di Treviso, in funzione di  giudice  del
 lavoro, per la dichiarazione di legittimita' del licenziamento intimato
 alla  lavoratrice,  comecche'  adottato per giusta causa o giustificato
 motivo. Con ricorso ex art. 700 c.p.c. la Miatto chiese ordinarsi  alla
 datrice   di   reintegrarla   d'urgenza   nel  posto  di  lavoro  e  di
 corrisponderle la retribuzione non erogatale dal 23 febbraio 1976  alla
 data  della  ordinanza e, in subordine, alla data del licenziamento. Il
 Pretore, con ordinanza pronunciata il 27 novembre 1976 (comunicata il 4
 dicembre e notificata il 15 gennaio 1977, pubblicata sulla G. U. n.  80
 del 23 marzo 1977 e iscritta al n. 39 R.O. 1977), giudico' rilevante  e
 non  manifestamente  infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.,
 la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 e  segnatamente
 del  comma  settimo  ultima  parte l. 20 maggio 1970 n. 300:  rilevante
 perche' il provvedimento di reintegrazione, cui, in sede di  cognizione
 sommaria,  non  potrebbe  pervenirsi  in  considerazione  dei complessi
 accertamenti tecnici resi necessari dall'apprezzamento delle ragioni di
 merito addotte dalle parti, potrebbe essere adottato se,  in  contrasto
 con  l'orientamento  giurisprudenziale della Sezione Lavoro della Corte
 di Cassazione, l'art. 7 l. 300/1970 fosse  applicato  ai  licenziamenti
 disciplinari  ovvero  se l'art. 7, interpretato cosi' come inteso dalla
 Cassazione,  fosse  ritenuto   incostituzionale;   non   manifestamente
 infondata   1)   non  solo  perche'  ad  una  sanzione,  che,  come  il
 licenziamento,  implica  la  perdita  del  costo  di  lavoro,  non   si
 applicherebbe  l'art.  7  comma settimo - a tenor del quale le sanzioni
 disciplinari sono sospese sino alla definizione del giudizio le  quante
 volte  il  datore  di lavoro, come nella specie, adisca il giudice e la
 sanzione disciplinare viene di conseguenza sospesa per  la  durata  del
 giudizio  -  che  pur  si  applica  ad altre sanzioni disciplinari meno
 gravi, II) ma anche perche' non agevole e' l'accertamento, in concreto,
 della gravita' delle mancanze del lavoratore, e, III)  infine,  perche'
 l'art. 7 somministrerebbe al lavoratore mezzi di difesa piu' efficienti
 di  quelli  previsti dagli artt. 2 e 7 l. 15 luglio 1966 n. 604, che si
 limitano l'uno a conferirgli la facolta' di interpellare la controparte
 sui motivi del licenziamento e l'altro a prevedere la possibilita', per
 il lavoratore, di  promuovere  il  tentativo  di  conciliazione  presso
 l'ufficio provinciale del lavoro, cui per un verso non e' il lavoratore
 tenuto  a  parteciparvi e per altro verso non seguirebbe la sospensione
 dell'intimato licenziamento.
     3.2. - Avanti la Corte si sono costituiti per la s.n.c.  Dal  Negro
 gli  avv.ti Paolo Pantaleoni e Rosario Flammia, in virtu' di mandato ad
 litem 7 gennaio 1977 per notar Spinelli di  Treviso  (rep.  n.  25395),
 deducendo,   con   la   memoria   depositata   il   23  febbraio  1977,
 l'inammissibilita'  dell'incidente  oggetto  del   quale   sarebbe   la
 interpretazione  di  una  disposizione avente forza di legge ordinaria,
 della  quale  la  Cassazione  ha  per  giunta  reputato  manifestamente
 infondata   la   questione   di   legittimita'  costituzionale  che  ne
 originerebbe, e soggiungendo che, se fossero esatte  le  argomentazioni
 del  giudice "a quo", si perverrebbe alla conclusione, sempre ad avviso
 della  parte   costituita   paradossale,   di   ritenere   affetta   da
 illegittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  gli  artt. 3 e 24
 Cost., anche la disciplina dei licenziamenti di cui alla  l.  604/1966,
 dal  momento  che i vizi d'incostituzionalita' per mancata applicazione
 dell'art. 7 ai licenziamenti c.d.  disciplinari sono stati dedotti  dal
 Pretore  di  Treviso sulla base del raffronto in parte qua tra le leggi
 del '66 e del '70. Il Presidente del  Consiglio  dei  sinistri  non  ha
 spiegato intervento.
     4.1.  -  Con ricorso ex art. 700 c.p.c., depositato il 23 settembre
 1976, Leone Pietro chiese al Pretore di Treviso: "nel merito: Accertato
 che il rapporto di lavoro tra il sig. Leone Pietro e la Ditta  Filatura
 San Lorenzo S.p.a. era un rapporto definitivo e a tempo indeterminato e
 quindi  che  la  volonta'  espressa  dalla ditta con lettera 27-7-1976,
 diretta a troncare il rapporto di  lavoro,  ha  valore  di  lettera  di
 licenziamento,  dichiararsi  inefficace  il licenziamento stesso per la
 mancata comunicazione dei motivi e in ogni caso invalido  per  mancanza
 di   una   giusta  causa  o  di  un  giustificato  motivo,  condannarsi
 conseguentemente la Filatura San Lorenzo S.p.a.,  in  persona  del  suo
 legale  rappresentante  pro tempore, alla reintegrazione del sig. Leone
 Pietro nel proprio posto di lavoro, condannarsi inoltre la Filatura San
 Lorenzo S.p.a. al risarcimento dei danni subiti dal sig.  Leone  Pietro
 nella  misura  che  verra'  quantificata  e  comunque non inferiore a 5
 mensilita', e, in caso di  mancata  riassunzione,  a  corrispondere  al
 ricorrente  la  retribuzione  dalla  data della sentenza a quella della
 reintegrazione". Nel contraddittorio della datrice, che si oppose  alla
 domanda dando atto di occupare piu' di trentacinque dipendenti, l'adito
 Pretore,  in  funzione  di giudice del lavoro, escluso che nella specie
 ricorressero gli estremi del rapporto a termine o del lavoro in  prova,
 e  premesso  che  il  licenziamento  per scarso rendimento (come quello
 nella specie intimato), collegandosi alla  inosservanza  da  parte  del
 lavoratore  dell'obbligo  di  usare la diligenza richiesta dalla natura
 della   prestazione,   costituisce   licenziamento   disciplinare,  con
 ordinanza pronunciata il 18 dicembre 1976 (comunicata il successivo  31
 e  notificata  il  15 gennaio 1977, pubblicata nella G. U.  n. 66 del 9
 marzo 1977 e iscritta al n. 38 R.O. 1977),  giudico'  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata,  in  riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 l. 300/1970  nella
 parte  in  cui l'applicabilita' dei commi secondo, terzo e quinto dello
 stesso ai licenziamenti disciplinari era da  ritenersi  esclusa,  sulla
 base  della  motivazione svolta nella ordinanza 27 novembre 1976 (supra
 3.1.).
     4.2. - Avanti la Corte nessuna delle parti si e' costituita ne'  ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
     5.1. - Con sentenza 7 giugno 1976 depositata il successivo 2 luglio
 il  Pretore  di  Borgo  Val di Taro, in funzione di giudice del lavoro,
 seguendo l'orientamento giurisprudenziale in virtu' del quale anche  al
 licenziamento  e'  applicabile  l'art.  7 l. 300/1970, aveva dichiarato
 l'illegittimita' del licenziamento, intimato  a  Faraoni  Franca  dalla
 datrice   Ditta   Solange  di  Patrizzi  Santina,  con  la  conseguente
 reintegrazione della medesima nel  posto  di  lavoro  e  condannato  la
 datrice al risarcimento dei danni sofferti dalla Faraoni sulla premessa
 che  nella  specie  non  erano  stati  osservati  i  vari momenti della
 procedura prevista dall'art. 7 (affissione delle sanzioni ecc.).
     Con ordinanza emessa il 1 dicembre 1976 (notificata  il  successivo
 29 e comunicata il 10 gennaio 1977, pubblicata nella G. U. n. 87 del 30
 marzo  1977  e  iscritta  al  n.  57  R.O. 1977), il Tribunale di Parma
 (Sezione per le controversie di lavoro),  al  quale  la  Ditta  Solange
 aveva  proposto  appello  con  ricorso  depositato  il  27 luglio 1976,
 giudico' rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento  agli
 artt.  2  e  3 Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli
 artt. 7, commi primo, secondo e quinto, nonche' 18 comma primo l.  300/
 1970  in  quanto  quest'ultimo  non  prevede  anche  la  invalidita'  e
 inefficacia dei licenziamenti disciplinari intimati senza  l'osservanza
 prevista  dall'art.  7. Dimostrata la correttezza della interpretazione
 dell'art. 7 intesa a dirlo inapplicabile ai licenziamenti disciplinari,
 e negata l'idoneita' dell'art.   24 Cost. a fungere  da  parametro  per
 riferirsi  la norma ai soli procedimenti giudiziali, il giudice "a quo"
 richiamo' gli artt. 2 e 3, il primo perche'  la  disciplina  normativa,
 cosi'  come  interpretata,  sacrifica diritti inviolabili della persona
 entro la formazione sociale della comunita' di  lavoro,  e  il  secondo
 perche'  non  risponde  al  canone di eguaglianza una normativa che non
 riserva per la sanzione piu' grave del licenziamento garanzie  previste
 per le altre sanzioni; per quel che attiene alla rilevanza, la ravviso'
 nella  natura  disciplinare  del  licenziamento precisando che la Corte
 veniva adita non gia' per risolvere un  dubbio  interpretativo,  bensi'
 per   provocare,   traverso   l'individuazione  del  significato  delle
 disposizioni impugnate, il controllo di legittimita' sulle medesime.
     5.2. - Avanti la Corte si e'  costituito  per  la  Faraoni,  giusta
 delega  in margine all'atto depositato il 15 aprile 1977 l'avv. Luciano
 Ventura concludendo per l'accoglimento della questione sulla base delle
 riassunte  motivazioni  del  Tribunale  di  Parma.  Il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.
     6.1.  -  Con  ricorso depositato il 27 novembre 1976, di cui non e'
 agli atti la copia notificata alla datrice Ditta Panto s.a.s. Industria
 Serramenti,  Bruno   Dal   Col   chiese   dichiararsi   inefficace   il
 licenziamento  intimatogli perche' privo di giusta causa e giustificato
 motivo  e  condannarsi la datrice a riammetterlo in servizio ex art. 18
 l. 300/1970, previa assunzione di prove per interpello e per testi. Nel
 contraddittorio della Ditta, la quale,  con  memoria  depositata  il  5
 febbraio  1977,  aveva  chiesto  respingersi la domanda del ricorrente,
 l'adito Pretore di Treviso, in funzione di giudice del lavoro,  assunto
 l'interrogatorio libero delle parti ed escussi i testi e autorizzato il
 ricorrente  a  modificare  parzialmente  le conclusioni nel senso della
 richiesta di declaratoria d'illegittimita' del licenziamento anche "per
 violazione dell'art. 7 legge 300/1970", in relazione  alla  circostanza
 che   la   datrice   non  aveva  provveduto  alla  nomina  del  proprio
 rappresentante  in  seno  al  collegio  di  conciliazione  e  arbitrato
 promosso  dal  lavoratore  ai  sensi  del  comma sesto dell'art. 7, con
 ordinanza emessa l'11 ' agosto 1977 (notificata il 30 e  comunicata  il
 31  dello  stesso  mese, pubblicata nella G.   U. n. 334 del 7 dicembre
 1977 e iscritta al  n.  468  R.O.    1977)  giudico'  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata,  in  riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la
 questione di legittimita' costituzionale del ripetuto  art.    7  nella
 parte  in  cui  non  debba ritenersi applicabile anche ai licenziamenti
 disciplinari, limitandosi a  richiamare  le  precedenti  due  ordinanze
 (supra  3.1.;  4.1.)  nonche'  la  ordinanza  n.  119/  1976 resa sulla
 controversia tra l'Amm.ne provinciale di Treviso e l'INAIL,  e  negando
 l'applicabilita'   dell'art.  17  C.C.N.L.    1  settembre  1973  della
 categoria, il quale si limiterebbe  a  dire  applicabile  la  procedura
 delineata nell'art. 7 "nei casi dalla medesima previsti".
     6.2.  - Avanti la Corte nessuna delle parti si e' costituita ne' ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
     7.  -  Nella  memoria  depositata  il   5   maggio   1982,   comune
 all'incidente  iscritto al n. 739 R.O. 1976 (supra 1.), la difesa della
 Faraoni e del Bombardieri, premesso che la inapplicabilita' dell'art. 7
 ai licenziamenti disciplinari e' stata  ribadita  dalle  Sezioni  Unite
 della  Cassazione con sent. 28 marzo 1981 n.  1781 e che la l. 300/1970
 tende a mutare progressivamente lo stato di subordinazione funzionale e
 soggettiva del lavoratore in  aderenza  ad  orientamenti  gia'  accolti
 dalla giurisprudenza (Cass. 24 ottobre 1969 n. 3490, Giust. civ., 1970,
 1,  211) sul tema della esclusione dell'associato da rapporti associati
 e  dalla  giustizia  amministrativa  nel  campo  della  irrogazione  di
 sanzioni  disciplinari  a  impiegati  pubblici,  nega  fondamento  agli
 argomenti  addotti  a  confutazione  della  fondatezza  delle  proposte
 questioni  di  costituzionalita'  perche'  1)  l'art.  7  incide  sulla
 situazione, come prima prospettata, nel senso che la giusta causa opera
 con immediatezza ma nei limiti consentiti dall'assetto  procedurale  in
 particolare  previsto  dai commi secondo, terzo e quinto dell'art. 7, e
 II) la Cassazione  ha  affermato  che  il  principio  dell'immediatezza
 condizionante validita' e tempestivita' del licenziamento in tronco per
 giusta  causa  deve  essere  inteso in senso relativo e puo' essere nei
 casi concreti compatibile con un intervallo di  tempo  reso  necessario
 dall'accertamento  (anche  a  mezzo  di  procedimento disciplinare) dei
 fatti da contestare" (sent. 31 marzo 1969 n. 1065).
     8. - Alla pubblica udienza  del  5  maggio  1982,  nella  quale  il
 giudice  Andrioli ha svolto la relazione, l'avv.  Ventura ha ampiamente
 illustrato le ragioni del Bombardieri e della Faraoni.
                         Considerato in diritto:
     9.  -  Sebbene  il Pretore di Treviso, con le ordinanze 27 novembre
 1976 e 11 agosto 1977, abbia coinvolto l'intero art.  7  l.  20  maggio
 1970,  n.  300 nel sospetto d'incostituzionalita' per contrasto con gli
 artt. 3 e 24  Cost.,  la  motivazione  delle  due  ordinanze  individua
 l'oggetto  della  censura nel solo comma settimo ("Qualora il datore di
 lavoro  non  provveda,  entro  dieci  giorni   dall'invito   rivoltogli
 dall'ufficio  del  lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno
 al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha
 effetto. Se il datore di  lavoro  adisce  l'autorita'  giudiziaria,  la
 sanzione   disciplinare   resta   sospesa  fino  alla  definizione  del
 giudizio").
     Degli altri commi dell'art. 7 il primo e' impugnato dal Pretore  di
 Parma  con  le  ordinanze  23 ottobre e 22 novembre 1976 in riferimento
 all'art. 3 e dal Tribunale di Parma con l'ordinanza 1 dicembre 1976  in
 riferimento  agli  artt.  2 e 3, il secondo e' impugnato dal Pretore di
 Parma con l'ordinanza 22 novembre 1976 e dal  Pretore  di  Treviso  con
 l'ordinanza 18 dicembre 1976 in riferimento all'art. 3, e dal Tribunale
 di  Parma con l'ordinanza 1 dicembre 1976 in riferimento agli artt. 2 e
 3, il terzo dal Pretore di Treviso con l'ordinanza 18 dicembre 1976  in
 riferimento  all'art.  3,  il quinto dai Pretori di Parma e di Treviso,
 rispettivamente, con le ordinanze 22 novembre e  18  dicembre  1976  in
 riferimento  all'art.  3  e  dal Tribunale di Parma in riferimento agli
 artt. 2 e 3, di tal che i soli commi quarto, sesto e ottavo dell'art. 7
 sono immuni da censura.
     Infine, il Tribunale di Parma ha, con la ordinanza 1 dicembre 1976,
 giudicato  rilevante  e,  in  riferimento  agli  artt.  2  e   3,   non
 manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 18
 comma primo l. 20 maggio 1970, n. 300.
     Tale  essendo  la  sostanza dei sei procedimenti incidentali, se ne
 appalesa piu' che opportuna la riunione.
     10.1. - Nella pendenza degli or riuniti procedimenti avanti  questa
 Corte,  la  disputa  sulla  estensione,  ai licenziamenti disciplinari,
 dell'art.   7   nella   sua   interezza   ha   trovato,   al    livello
 d'interpretazione,  quell'assetto  unitario  di cui nel biennio 1976-77
 era priva perche' l'ufficio giudiziario, cui compete il magistero della
 nomofilachia,   componendo   contrasti    che    sui    limiti    della
 incompatibilita'  tra  i due corpi di norme si erano avvertiti anche in
 seno alla stessa Corte di Cassazione, ha negato  che  tra  le  sanzioni
 relative  a  infrazioni disciplinari, per le quali e' dettato l'art. 7,
 sia  da  annoverare  il  licenziamento  e,  cosi'  rescrivendo,  si  e'
 affiancato alla opinione di parte della dottrina. Piu' precisamente, le
 Sezioni Unite, con sent. 28 marzo 1981 n. 1781, pur riconoscendo che le
 innovazioni   contenute   nell'art.  7  "apprestano  in  definitiva  al
 lavoratore una  tutela  piu'  efficace  di  quella  predisposta  per  i
 licenziamenti  individuali con la legge n. 604 del 1966" (constatazione
 ribadita dalla Sez. Lav. 25 novembre 1981 n. 6269), hanno enunciato  il
 principio di diritto che "il licenziamento intimato per inadempimento o
 mancanza  del  lavoratore  e'  assoggettato  alla  disciplina contenuta
 nell'art. 2119 cod. civ. e nella legge 15 luglio 1966 n.  604,  a  meno
 che  non  sia applicabile all'atto una diversa disciplina (legislativa,
 collettiva o validamente posta dallo stesso datore di lavoro) la quale,
 oltre ad includerlo fra le  sanzioni  disciplinari,  lo  sottoponga  al
 regime  giuridico  per queste previsto dall'art. 7 legge 20 maggio 1970
 n.    300 o da altra fonte equipollente", perche' il giudice di merito,
 che aveva reso la sentenza cassata, "avendo  constatato  che  l'attrice
 venne  licenziata  per  giustificato  motivo  soggettivo, ha senz'altra
 indagine  ravvisato  nella  vicenda  l'applicazione  di  una   sanzione
 disciplinare ed ha di questa dichiarato l'invalidita' per contrasto con
 le  disposizioni  di  cui  ai  primi tre commi dell'art. 7 della citata
 legge n. 300", ma hanno riservato al giudice di rinvio la verifica  sul
 se    "nella    specie   occorra   procedere   anche   all'applicazione
 dell'ulteriore principio secondo cui la violazione  delle  prescrizioni
 dell'art. 7 citato e di quelle integrative o validamente sostitutive di
 esse  rende  nullo  il  licenziamento  che  sia da considerare sanzione
 disciplinare".
     10.2.  -  Niun  dubbio  che  nel  procedere   allo   scrutinio   di
 costituzionalita'  dei  commi  primo,  secondo,  terzo, quinto, settimo
 dell'art. 7 sia questa Corte tenuta a prendere le mosse  dal  principio
 di  diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione, ma non meno
 certo si e' che non la vincola ne' le somministra,  nel  merito,  utili
 dati  di  convinzione l'apprezzamento di manifesta infondatezza, cui e'
 addivenuta la Sez. Lav.   con le sentt. 1)  20  gennaio  1977  n.  307,
 fondata  su  cio'  che  l'uniformita'  di trattamento tra licenziamenti
 disciplinari e licenziamenti che tali non sono sarebbe garantita  dalla
 l. 604/1966 e dall'art. 18 l. 300/1970, e II) 3 marzo 1979 n. 1351, per
 la  quale  la  contestazione  e  la  discolpa  del lavoratore sarebbero
 previste anche dalla l. 604/1966 e i  principi  di  eguaglianza  e  del
 diritto  al  lavoro  non sarebbero lesi dal ricorso all'uno o all'altro
 complesso di garanzie  procedurali,  rispettivamente  poste  dalle  ll.
 604/1966  e  300/1970  a  disciplina  dei licenziamenti, dappoiche' non
 riesce  arduo  obiettare  ad  ambo  le   sentenze   che   la   migliore
 funzionalita'   delle  difese  assicurate  ai  lavoratori  dall'art.  7
 rispetto al trattamento fatto al diritto di difesa dei  medesimi  dalla
 l.  604/1966  e'  stata, come si e' gia' constatato, riconosciuta anche
 dalle Sezioni Unite, e che il canone - audiatur et  altera  pars  -  e'
 realizzato, nel quadro disegnato nei commi secondo e terzo dell'art. 7,
 prima  della  irrogazione della sanzione (in ipotesi del licenziamento)
 disciplinare, laddove viene, a sensi della  l.  604/1966  (non  escluso
 l'art. 7), attuato a licenziamento disposto e mandato ad esecuzione.
     11.1.  -  Pertanto,  questa  Corte  procede  ad  accertare se siano
 conformi, oppur no, agli artt. 3,  nonche'  -  come  ha  sospettato  il
 Tribunale  di  Parma  -  2  Cost. i commi primo ("Le norme disciplinari
 relative  alle  sanzioni,  alle  infrazioni  in  relazione  alle  quali
 ciascuna   di   essa   puo'  essere  applicata  ed  alle  procedure  di
 contestazione delle stesse, devono  essere  portate  a  conoscenza  dei
 lavoratori  mediante  affissione  in  luogo  accessibile  a tutti. Esse
 devono applicare quanto in materia e' stabilito da accordi e  contratti
 di  lavoro  ove  esistano"),  secondo  ("Il  datore  di lavoro non puo'
 adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del  lavoratore
 senza  avergli  preventivamente  contestato  l'addebito  e senza averlo
 sentito a sua difesa") e terzo ("Il lavoratore potra'  farsi  assistere
 da   un  rappresentante  dell'associazione  sindacale  cui  aderisce  o
 conferisce mandato"), interpretati come non estensibili  alla  sanzione
 disciplinare del licenziamento, per la quale la normativa (legislativa,
 collettiva o validamente posta dallo stesso datore di lavoro) si limiti
 ad  includere  il licenziamento medesimo tra le sanzioni disciplinari e
 non richiami espressamente il regime per queste previsto dall'art. 7 l.
 300/1970.
     La  risposta  affermativa  deve  essere data da chiunque ravvisi il
 valore essenziale dell'ordinamento giuridico di un Paese  civile  nella
 coerenza tra le parti di cui si compone; valore nel dispregio del quale
 le  norme  che  ne  fan  parte  degradano al livello di gregge privo di
 pastore: canone di coerenza che nel campo delle  norme  di  diritto  e'
 l'espressione  del  principio  di eguaglianza di trattamento tra eguali
 posizioni sancito dall'art. 3.
     Orbene, l'art. 7 comma primo ha sancito il principio  fondamentale,
 per il quale chi e' perseguito per una infrazione, deve essere posto in
 grado di conoscere l'infrazione stessa e la sanzione.
     L'art. 7 commi secondo e terzo, poi, raccoglie il ben noto sviluppo
 -  ad  un  tempo socio-politico e giuridico formale - che ha indotto ad
 esigere come essenziale  presupposto  delle  sanzioni  disciplinari  lo
 svolgersi  di  un  procedimento,  di  quella  forma cioe' di produzione
 dell'atto che rinviene il suo marchio  distintivo  nel  rispetto  della
 regola  del contraddittorio:  audiatur - lo si ripete - et altera pars.
 Rispetto che tanto piu' e' dovuto per quanto competente ad irrogare  la
 sanzione  e' (non gia' - come avviene nel processo giurisdizionale - il
 giudice per tradizione e per legge "super partes", ma) la una pars.
     Una volta introdotta con i commi secondo e terzo  l'osservanza  del
 contraddittorio  tra  datore e lavoratore quale indefettibile regola di
 formazione delle misure  disciplinari,  l'escluderne  il  licenziamento
 disciplinare  sol  perche' la sua normativa non richiama l'art. 7 suona
 offesa dell'art. 3  pur  a  prescindere  dalla  maggiore  gravita'  del
 licenziamento rispetto alle altre misure disciplinari. Ne' ad attingere
 opposto  avviso  vale richiamare la tradizione legislativa o collettiva
 caratterizzata  dalla   posizione   di   distinti   principi   per   il
 licenziamento   e   le   altre  misure  disciplinari  perche'  siffatta
 tradizione,   se   puo'   essere   di   qualche    peso    sul    piano
 dell'interpretazione,  non  e'  idonea  a  fare  della  l.  604/1966 (e
 dell'art. 18 comma primo l. 300/1970) una norma di grado superiore, che
 valga a porre in forse l'applicazione del canone di coerenza.
     Cosi' statuendo la Corte insiste nell'orientamento espresso con  la
 sent.  69/1982,  con  la quale ha giudicato illegittimo, per violazione
 dell'art. 3, l'art. 99 u.c., r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (disciplina  del
 fallimento)  interpretato  nel  senso  che  sancisse l'inappellabilita'
 delle sentenze, rese in sede  di  opposizione  allo  stato  passivo  su
 crediti di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie.
     Ovviamente  il  constatato  contrasto  tra  i  commi  primo a terzo
 dell'art. 7 e l'art. 3 Cost. esime dal verificare se  anche  l'art.  24
 Cost. sia offeso dalla sinora dominante interpretazione dei commi primo
 a terzo dell'art. 7.
     11.2.  - A parametri della denunciata incostituzionalita' del comma
 quinto ("In ogni caso, i  provvedimenti  disciplinari  piu'  gravi  del
 rimprovero  verbale  non  possono  essere  applicati  prima  che  siano
 trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto  che
 vi  ha  dato  causa")  si  prospettano gli artt. 2, 3 e 24 Cost., ma le
 argomentazioni, con le quali i Pretori di Parma (ord. 22 novembre 1976)
 e di Treviso (ord. 18 dicembre 1976) e il Tribunale di  Parma  (ord.  1
 dicembre  1976)  hanno  sostenuto  le impugnazioni, non convincono: non
 l'art. 2 perche' - quale  che  sia  il  significato  da  assegnarsi  al
 vocabolo  "applicati"  (emanati  o  mandati  ad esecuzione) - i diritti
 inviolabili del  lavoratore  sia  come  singolo  sia  nelle  formazioni
 sociali  non sono vulnerati dalla mancata procrastinazione dell'initium
 dell'una o dell'altra operazione, ne' l'art. 24 perche' il comma quinto
 non incide sul diritto del lavoratore,  colpito  da  ogni  e  qualsiasi
 sanzione disciplinare, di essere sentito a difesa avanti al giudice.
     Le  suesposte  ragioni destituiscono di fondamento anche la censura
 sollevata sulla base dell'art. 3 Cost.
     11.3. - A giudizio  del  Pretore  di  Treviso  l'inefficacia  della
 sanzione  disciplinare (consecutiva alla mancata designazione, da parte
 del datore, del rappresentante in seno al collegio di  conciliazione  e
 arbitrato,  di  cui  al  comma sesto) e la sospensione della stessa per
 tutta la durata del giudizio promosso dal datore  negligente,  ove  non
 siano   estese   ai   licenziamenti  disciplinari,  provocherebbero  la
 violazione degli artt. 3 e 24, ma ambo le norme sono a torto evocate.
     Invero il comma settimo, vuoi nel primo vuoi nel  secondo  periodo,
 esibisce  una sorta di astreintes mediante le quali il legislatore mira
 a  piegare  l'intendimento,  dal  datore  nutrito,   di   impedire   la
 costituzione  del  collegio  di  conciliazione  e  di  arbitrato  e  di
 indirizzare la controversia sulle rotaie della giustizia togata,  sulle
 quali  e'  massima  di  comune  esperienza  che  non  corrano frecce di
 qualsiasi colore: e' una scelta di politica legislativa,  che,  se  non
 estesa  al  licenziamento  disciplinare,  non sbarra al lavoratore, che
 siasi rivolto  all'ufficio  provinciale  del  lavoro  e  della  massima
 occupazione,  la  via  del  ricorso  al presidente del tribunale di cui
 all'art. 810 c.p.c. al fine di conseguire -  malgrado  la  indifferenza
 del datore - la integrazione del collegio.
     Del  tutto  fuori  luogo  e'  il  richiamo  dell'art. 24 perche' la
 sospensione  legale  dell'efficacia  dell'atto,  la  cui   eliminazione
 rappresenta   il  petitum  della  domanda  che  il  lavoratore  intende
 sottoporre al collegio di conciliazione e di arbitrato, incide non  sul
 diritto  di  difesa ma sulla posizione sostanziale di cui il lavoratore
 medesimo pretende di essere titolare, ne' diversa  e'  la  diagnosi  da
 stilarsi  in  merito  alla domanda giudiziale del datore, obietto della
 quale  altro  non  e'  che  l'accertamento   negativo   della   pretesa
 sostanziale del lavoratore.
     12.  -  Rimane  l'impugnazione dell'art. 18 comma primo 1.300/1970,
 mossa, sulla base degli artt. 2 e 3 Cost., dal solo Tribunale di  Parma
 il  quale ha lamentato che, ove fossero accolte le censure appuntate ai
 commi primo, secondo, terzo (nonche' quinto e settimo), il  lavoratore,
 fatto   ingiustamente   segno   di   licenziamento   disciplinare,  non
 conseguirebbe  quella  reintegrazione  nel  posto  di  lavoro  che   la
 disposizione  impugnata assicura al lavoratore licenziato nelle ipotesi
 nella medesima elencate (inefficacia per inosservanza dei commi primo e
 secondo dell'art. 2 l. 604/1966, nullita' per insussistenza  di  giusta
 causa  o di giustificato motivo) e in siffatta discrepanza ha ravvisato
 violazione degli artt. 2 e 3 Cost..
     Fermo quanto gia' esposto sull'art. 2 (supra 11.2.), la  violazione
 dell'art.  3  si  appalesa evidente ove si assuma a termine di paragone
 idoneo  a  coglierla  l'ipotesi  descritta  nell'art.  2  l.  604/1966,
 accomunata  alla  vicenda  in  esame  dalla  natura  formale  delle due
 violazioni, la cui constatazione non vieta che il  giustificato  motivo
 sia   successivamente   comunicato   al   lavoratore   con   l'atto  di
 licenziamento,   cosi'   come   il   provvedimento   di   licenziamento
 disciplinare  potra' essere rinnovato con il rispetto dei commi secondo
 e terzo (non  poco  dubbia  e'  invece  la  novellazione  nel  caso  di
 inosservanza  del  comma primo, ma e' problema di natura interpretativa
 che la Corte puo' pur esimersi dal risolvere).
     Di contro, e' da osservare che, una volta estesi i  commi  primo  a
 terzo  ai licenziamenti disciplinari per i quali la normativa si limiti
 ad includerli tra le sanzioni disciplinari  senza  l'espresso  richiamo
 dei  ripetuti  commi,  la  forza  espansiva,  di  cui sono muniti testi
 suscettibili di esprimere piu' ampia norma,  estende  l'art.  18  comma
 primo alla fattispecie consecutiva alla pronuncia d'incostituzionalita'
 che si sta per emanare, e l'osservazione giova a preferire alla tecnica
 della  sentenza  interpretativa  di accoglimento l'altra della sentenza
 interpretativa di rigetto della proposta questione.