N. 200 SENTENZA 17 - 20 luglio 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Conseguenze di ordine finanziario collegate al tempestivo adeguamento - Elemento di valutazione della virtuosita' delle Regioni e degli enti locali ai fini del riparto delle risorse finanziarie determinate annualmente con il patto di stabilita' interno - Ricorsi delle Regioni Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto - Sopravvenuta abrogazione della norma censurata - Non applicabilita' della norma medio tempore - Cessazione della materia del contendere. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 5, 117, 119 e 120; statuto della Regione Sardegna, artt. 3, primo comma, lett. d), f), g), o) e p), 4, primo comma, lett. a), b), e), f) ed m), e 7. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Ricorso della Regione Calabria - Asserita carenza dei presupposti della straordinaria necessita' e urgenza necessari per la decretazione d'urgenza - Censura priva di motivazione - Inammissibilita' della questione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3. - Costituzione, artt. 70 e 77. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Ricorso della Regione Puglia - Asserito contrasto con i principi costituzionali in materia economica - Asserita lesione della potesta' legislativa autonoma delle Regioni - Censure generiche e indeterminate - Inammissibilita' della questione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3. - Costituzione, artt. 41, 42, 43, 114, secondo comma, e 117. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Ricorso della Regione Lazio - Asserita interferenza con la competenza legislativa residuale regionale in materia di commercio e attivita' produttive - Asserita lesione del principio di leale collaborazione - Insussistenza - Attivita' legislativa esercitata nell'ambito della competenza statale della tutela della concorrenza - Non fondatezza della questione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3, comma 1. - Costituzione, art. 117. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Qualificazione del principio come "principio fondamentale per lo sviluppo economico" rivolto all'attuazione della "piena tutela della concorrenza" - Ricorso della Regione Calabria - Asserita interferenza con la competenza legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute e governo del territorio, e residuale in materia di commercio - Asserita lesione del principio di leale collaborazione - Insussistenza - Attivita' legislativa esercitata nell'ambito della competenza statale della tutela della concorrenza - Non fondatezza della questione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3, commi 1 e 2. - Costituzione, artt. 41, 97 e 117. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Qualificazione del principio come "principio fondamentale per lo sviluppo economico" rivolto all'attuazione della "piena tutela della concorrenza" - Ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna ed Umbria - Asserita interferenza con la competenza legislativa regionale residuale in materia di "sviluppo economico" - Insussistenza - Attivita' legislativa esercitata nell'ambito della competenza statale della tutela della concorrenza - Non fondatezza della questione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3, comma 2. - Costituzione, art. 117. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Termine di adeguamento - Scadenza - Soppressione delle disposizioni statali incompatibili e diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio attivita' (SCIA) e dell'autocertificazione con controlli successivi - Facolta' per il Governo di adottare, nelle more, regolamenti di semplificazione - Determinazione di una situazione di grave incertezza normativa, irragionevole e contraria al buon andamento della pubblica amministrazione - Illegittimita' costituzionale. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3, comma 3. - Costituzione, artt. 3, 97 e 117, terzo, quarto e sesto comma. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Eliminazione di restrizioni all'esercizio di attivita' economiche attraverso l'adozione di un regolamento governativo - Ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria - Asserita lesione del principio di legalita' sostanziale per l'indeterminatezza della potesta' regolamentare attribuita allo Stato - Asserita interferenza negli ambiti di competenza residuali della Regione - Asserita lesione del principio di leale collaborazione - Insussistenza - Ambito di applicazione della norma censurata circoscrivibile alle sole materie di competenza esclusiva statale - Non fondatezza della questione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3, comma 10. - Costituzione, art. 117. Iniziativa economica - Principi in tema di regolazione delle attivita' economiche - Posizione del principio secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge - Possibilita', riguardante lo Stato e non anche le Regioni, di mantenere delle limitazioni alle liberta' economiche, da individuarsi con decreto presidenziale - Ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria - Asserita compressione della potesta' legislativa regionale - Asserita lesione del principio di leale collaborazione - Insussistenza - Ambito di applicazione della norma censurata circoscrivibile alle sole materie di competenza esclusiva statale - Non fondatezza della questione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 3, comma 11. - Costituzione, art. 117.

      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'articolo  3  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.  148,  promossi  con
ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Lazio, Emilia-Romagna, Veneto,
Umbria, Calabria e della Regione autonoma Sardegna, notificati il  12
ottobre, il 14-18, il 14-16, il 15, il 17  e  il  15  novembre  2011,
depositati in cancelleria il 21 ottobre, il 17, il 18, il 23 ed il 24
novembre 2011 e rispettivamente iscritti ai nn. 124, 133,  134,  144,
145, 147, 158 e 160 del registro ricorsi 2011. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  19  giugno  2012  il  Giudice
relatore Marta Cartabia; 
    uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per
le Regioni Emilia-Romagna e Umbria, Massimo Luciani  per  la  Regione
autonoma Sardegna, Renato  Marini  per  la  Regione  Lazio,  Marcello
Cecchetti per la Regione Toscana, Luigi Manzi per la Regione  Veneto,
Graziano Pungi' per  la  Regione  Calabria,  Ugo  Mattei  ed  Alberto
Lucarelli per la  Regione  Puglia  e  l'avvocato  dello  Stato  Paolo
Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Le Regioni Puglia, Toscana, Lazio,  Emilia-Romagna,  Veneto,
Umbria e Calabria, e la Regione  autonoma  Sardegna  hanno  impugnato
l'articolo 3, oltre  ad  altre  disposizioni,  del  decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria e per  lo  sviluppo),  come  convertito  dalla  legge  14
settembre 2011, n. 148, con ricorsi notificati rispettivamente il  12
ottobre, il 14-18, il 14-16, il 15, il 17  e  il  15  novembre  2011,
depositati in cancelleria il 21 ottobre, il 17, il 18, il 23 ed il 24
novembre 2011 e iscritti ai nn. 124, 133, 134, 144, 145, 147,  158  e
160 del registro ricorsi 2011. 
    2. - L'articolo 3  impugnato,  come  risultante  dalla  legge  di
conversione,  al  comma  1  stabilisce  il  «principio  secondo   cui
l'iniziativa e  l'attivita'  economica  privata  sono  libere  ed  e'
permesso tutto cio' che non e' espressamente  vietato  dalla  legge»,
imponendo  allo  Stato  e  all'intero  sistema  delle  autonomie   di
adeguarvisi entro un termine prestabilito, inizialmente fissato in un
anno dall'entrata in vigore della legge di conversione. Tale  termine
e' stato successivamente individuato nel 30 settembre 2012,  in  base
all'art. 1, comma 4-bis, del decreto-legge  24  gennaio  2012,  n.  1
(Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle
infrastrutture e la competitivita'), convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Dopo aver  enunciato  il  principio
summenzionato, il medesimo art. 3,  comma  1,  impugnato  elenca  una
serie di principi, beni e ambiti che possono  giustificare  eccezioni
al  principio  stesso:  limitazioni  all'iniziativa  e  all'attivita'
economica possono essere giustificate per garantire il  rispetto  dei
«vincoli derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e  dagli  obblighi
internazionali» e dei «principi fondamentali della Costituzione»; per
assicurare  che  l'attivita'  economica  non  arrechi   «danno   alla
sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana» e  non  si  svolga  in
«contrasto con l'utilita'  sociale»;  per  garantire  «la  protezione
della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali,
dell'ambiente, del paesaggio e  del  patrimonio  culturale»;  e  dare
applicazione alle «disposizioni relative alle attivita'  di  racconta
di giochi pubblici  ovvero  che  comunque  comportano  effetti  sulla
finanza pubblica». 
    Il comma 2, del medesimo art. 3, qualifica tale intervento  quale
«principio fondamentale per lo sviluppo economico» e attuazione della
«piena tutela della concorrenza tra le imprese». 
    Il comma 3 prevede  che  siano  «in  ogni  caso  soppresse,  alla
scadenza del termine di cui al comma  1,  le  disposizioni  normative
statali incompatibili con quanto disposto  nel  medesimo  comma,  con
conseguente diretta applicazione degli istituti della segnalazione di
inizio  di  attivita'   e   dell'autocertificazione   con   controlli
successivi», e consente al Governo, nelle more  della  decorrenza  di
detto termine, di adottare  strumenti  di  semplificazione  normativa
attraverso norme di natura regolamentare. A questo scopo «Entro il 31
dicembre 2012 il Governo  e'  autorizzato  ad  adottare  uno  o  piu'
regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n.  400,  con  i  quali  vengono  individuate  le  disposizioni
abrogate per effetto di quanto disposto  nel  presente  comma  ed  e'
definita  la  disciplina  regolamentare   della   materia   ai   fini
dell'adeguamento al principio di cui al comma 1». 
    Il successivo comma 4 stabilisce che  «L'adeguamento  di  Comuni,
Province e Regioni all'obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento
di valutazione della virtuosita' dei predetti enti ai sensi dell'art.
20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111». Tale comma 4 e' stato  successivamente
abrogato dall'articolo 30, comma 6, della legge 12 novembre 2011,  n.
183  (Disposizioni  per  la  formazione  del   bilancio   annuale   e
pluriennale dello Stato. Legge di stabilita' 2012), a  decorrere  dal
1° gennaio 2012. 
    I successivi commi dell'art. 3 implementano  la  liberalizzazione
dell'esercizio  delle  professioni  ed   eliminano   una   serie   di
restrizioni all'accesso alle medesime. 
    I commi 10 e 11, infine, rispettivamente consentono la revoca  di
ulteriori restrizioni  all'esercizio  delle  attivita'  economiche  e
all'accesso  alle  medesime,   attraverso   norme   regolamentari   e
permettono,  invece,  di  mantenere  le   restrizioni   per   singole
attivita', con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,  in
presenza di ragioni di interesse generale,  rispetto  alle  quali  le
restrizioni costituiscono una misura  indispensabile,  proporzionata,
idonea e non discriminatoria sotto il profilo della concorrenza. Piu'
specificamente     l'esclusione     di     un'attivita'     economica
dall'abrogazione delle restrizioni e' giustificata  qualora:  «a)  la
limitazione sia funzionale a ragioni di interesse pubblico,  tra  cui
in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana; b)  la
restrizione rappresenti un mezzo idoneo, indispensabile e, dal  punto
di  vista  del  grado  di  interferenza  nella  liberta'   economica,
ragionevolmente   proporzionato   all'interesse   pubblico   cui   e'
destinata;  c)  la  restrizione  non  introduca  una  discriminazione
diretta  o  indiretta  basata  sulla  nazionalita'  o,  nel  caso  di
societa', sulla sede legale dell'impresa». 
    3. - La Regione Puglia, con il ricorso  citato  in  epigrafe,  ha
impugnato  l'intero  art.  3  del  decreto-legge  sopra  citato,  per
violazione degli articoli 41, 42, 43, 114, secondo comma, e 117 Cost. 
    La ricorrente ritiene che  tale  articolo  -  stabilendo  che  le
Regioni e gli enti locali debbano adeguare i  propri  ordinamenti  al
principio secondo cui l'iniziativa e  l'attivita'  economica  private
sono libere ed e'  permesso  tutto  cio'  che  non  e'  espressamente
vietato dalla legge, e apponendo un elenco tassativo  di  ipotesi  in
cui il legislatore, statale o regionale, puo' espressamente  limitare
l'esercizio dell'attivita' economica - contrasti con l'art. 41  della
Costituzione.  In  base  alla   disposizione   impugnata   gli   enti
territoriali dovrebbero, dunque,  adeguarsi  ad  una  disciplina  che
sovvertirebbe   il   quadro    costituzionale    dell'iniziativa    e
dell'attivita'  economica,  introducendo  «un   assetto   decisamente
sbilanciato a favore dell'iniziativa privata». 
    Inoltre, l'obbligo diffuso di adeguamento all'art.  3  censurato,
equiparando Regioni ed enti locali,  rappresenterebbe  una  forzatura
del disegno  costituzionale,  in  quanto,  a  differenza  degli  enti
locali,  le  Regioni  detengono  una  potesta'  legislativa  autonoma
garantita ex  art.  117  Cost.,  che  dunque  non  potrebbe  soffrire
l'inserimento, per via  di  legge  statale  ordinaria,  di  un  nuovo
principio che ne limiti la "sovranita' legislativa". 
    4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato  atto
di costituzione e  memoria  difensiva  relativamente  alle  doglianze
della Regione Puglia, il 21 novembre 2011. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene  che  l'art.  3
del decreto-legge impugnato sia una norma finalizzata a  ridurre  gli
oneri amministrativi e procedimentali a  limitazione  della  liberta'
d'impresa e per favorire la ripresa economica. Per tale  ragione,  la
disposizione sarebbe coerente con  l'art.  41  Cost.  e  con  il  suo
orientamento a favore della libera iniziativa  economica,  delimitata
dal rispetto dei principi fondamentali. Essa sarebbe  stata  adottata
dal legislatore con l'obiettivo di sviluppare la competitivita' delle
imprese sul piano internazionale, in base alla competenza legislativa
statale in materia di concorrenza. 
    5. - La Regione Puglia ha depositato, il 23 maggio 2012,  memoria
a  sostegno  delle  proprie  doglianze,  tuttavia  senza   aggiungere
ulteriori argomenti con riferimento all'art. 3 impugnato. 
    6. - La Regione Toscana,  con  ricorso  citato  in  epigrafe,  ha
impugnato l'art. 3, comma 4, per violazione degli articoli 117, commi
terzo  e  quarto,  e  119  Cost.  La  ricorrente  sostiene   che   la
legislazione statale, stabilendo il principio secondo cui, in  ambito
economico, e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato  e
prevedendo  che  l'adeguamento  a  tale  principio  sia   considerato
elemento di valutazione della virtuosita' delle Regioni ai  fini  del
patto di stabilita', costituirebbe un intervento normativo «del tutto
estraneo alle finalita' di  coordinamento  della  finanza  pubblica»,
esorbitando dunque dai limiti che il legislatore statale incontra  in
tale  materia.  La  virtuosita',  criterio  sorto   nell'ambito   del
contenimento e razionalizzazione  della  spesa  pubblica,  diverrebbe
quindi uno strumento capace di coartare la «volonta'  delle  Regioni»
nella disciplina dell'attivita' economica, travalicando cosi' le  sue
originarie finalita': tramite  le  disposizioni  impugnate  verrebbe,
infatti,  vincolata  la  potesta'  legislativa  regionale  per   fini
estranei all'obiettivo del contenimento della spesa. 
    7. - Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  depositato
memoria avverso l'impugnazione della Regione  Toscana  il  giorno  27
dicembre 2011, sostenendo che  la  doglianza  sia  stata  superata  a
seguito dell'entrata in vigore dell'art. 30, comma 6, della legge  n.
183  del  2011,  che  ha  abrogato  il  comma  4  dell'art.   3   del
decreto-legge n. 138 del  2011,  oggetto  di  censura.  Pertanto,  Il
Presidente del Consiglio dei ministri ha richiesto che sia dichiarata
la cessazione della materia del contendere. 
    8. - La Regione Toscana ha, con memoria depositata il  29  maggio
2012,  evidenziato  che  la   previsione   abrogata   sarebbe   stata
«integralmente riproposta» dall'art. 1, comma 4, del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1  (Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,  lo
sviluppo delle infrastrutture e la competitivita'),  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  24  marzo  2012,  n.  27  e  ugualmente
impugnato dalla Regione Toscana. 
    9. - La  Regione  Lazio,  con  ricorso  citato  in  epigrafe,  ha
impugnato l'art. 3, comma 1, in combinato disposto  con  il  comma  4
dello stesso articolo 3 del decreto-legge piu' volte richiamato. 
    La disposizione contenuta nel comma  1,  secondo  la  ricorrente,
interverrebbe in un ambito prevalentemente attinente alla  disciplina
del commercio e delle attivita'  produttive,  materie  che  la  Corte
avrebbe  costantemente   ritenuto   riconducibili   alla   competenza
residuale regionale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma,  Cost.  La
legislazione impugnata,  in  violazione  del  riparto  di  competenze
stabilito dall'art. 117 Cost. introdurrebbe una disciplina che impone
alla Regione di regolare tali settori secondo i principi dettati  dal
legislatore  statale,  per   di   piu'   prevedendo   un   meccanismo
sanzionatorio in caso di mancato adeguamento, che  penalizzerebbe  la
Regione in relazione al patto di stabilita' interno. 
    A detta della ricorrente Regione Lazio, non sarebbe conferente la
qualificazione dell'intervento normativo quale strumento  di  "tutela
della concorrenza", ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera
e). Infatti, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale,  un
intervento normativo regionale, che limitasse l'iniziativa  economica
privata per ragioni non coincidenti con quelle indicate  dalla  norma
impugnata, efficaci erga omnes e fondate su presupposti  ragionevoli,
non confliggerebbe con la libera concorrenza, purche'  non  privilegi
alcun operatore economico, ne' alteri la competizione  tra  essi.  La
disposizione  impugnata,   dunque,   introdurrebbe   costrizioni   al
legislatore regionale non  giustificate  sulla  base  delle  esigenze
della tutela della concorrenza. 
    Infine, anche qualora si ritenesse di qualificare il comma 1 - e,
per relationem, il comma 4 - quale misura a tutela della concorrenza,
la disciplina statale, a detta della Regione Lazio,  risulterebbe  in
ogni caso costituzionalmente illegittima e  lesiva  delle  competenze
regionali,  in  quanto  non  rispettosa  del   principio   di   leale
collaborazione. Infatti,  nelle  disposizioni  impugnate,  i  profili
della tutela della concorrenza s'intreccerebbero inevitabilmente  con
altri aspetti riconducibili alle materie delle "attivita' produttive"
e  del   "commercio",   di   competenza   regionale.   Pertanto,   si
verificherebbe  un'ipotesi  di  intreccio  di  competenze  statali  e
regionali, che esige il ricorso  a  forme  di  leale  collaborazione,
coinvolgendo le Regioni nella produzione della legislazione statale -
forme che tuttavia la legislazione statale censurata non prevede. 
    10. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato,  il
27 dicembre 2012, atto di costituzione e memoria. 
    Con riferimento alla censura relativa all'art.  3,  comma  1,  la
difesa erariale sostiene che la  disposizione  si  ponga  all'interno
della  competenza  esclusiva  statale  in  tema   di   tutela   della
concorrenza, poiche' le limitazioni diverse da quelle consentite  dal
comma  impugnato  comprimerebbero  il  carattere  concorrenziale  dei
mercati. 
    Viceversa, gli interventi legislativi  regionali  in  materia  di
commercio e attivita' produttive sarebbero in ogni caso  possibili  a
seguito dell'introduzione della legislazione impugnata,  con  l'ovvio
limite del principio di proporzionalita' ex art. 3 Cost. 
    11. - Le Regioni Emilia-Romagna e Umbria, con i ricorsi  indicati
in epigrafe, hanno  impugnato  per  identiche  ragioni,  anche  nelle
enunciazioni, l'art. 3, commi 2, 3, 4, 10 e 11. 
    11.1. - Entrambe le Regioni muovono dal presupposto che il  comma
1 dell'articolo  3  stabilisce  un  «ovvio  principio  di  liberta'»,
imponendo eccezioni dai caratteri ampi e determinati, evocativi di un
principio di ragionevolezza, per cui  si  potrebbe  «affermare  senza
paura di sbagliare che tutti  i  divieti  oggi  esistenti  potrebbero
giustificarsi in base ad  una  o  piu'  delle  categorie  enunciate».
Tuttavia, proprio per questa ragione, quell'enunciazione di principio
non  sarebbe  ne'  in  grado  di  fungere  da  norma  parametro   per
l'abrogazione di regimi amministrativi  eventualmente  incompatibili,
ne' di indicare quali percorsi normativi si possano attivare  per  il
suo recepimento. 
    11.2. - In particolare, l'art. 3, comma 2, qualificando il  comma
1 quale principio fondamentale per lo sviluppo economico e la  tutela
della concorrenza, violerebbe la  competenza  legislativa  regionale,
considerato che lo sviluppo economico  rientrerebbe  tra  le  materie
residuali regionali. Del resto, a detta delle ricorrenti, il medesimo
comma 1 sembrerebbe escludere l'invasione delle competenze regionali,
poiche', dal momento  che  impone  loro  di  adeguarsi  al  principio
enunciato, ne riconosce le competenze in tale ambito. 
    11.3.  -  Il  nucleo  centrale  dell'impugnazione,  per  espressa
affermazione delle ricorrenti, si individuerebbe nell'art.  3,  comma
3, il quale stabilisce che, alla scadenza del termine di un anno,  le
disposizioni di normative statali incompatibili sono «soppresse», con
conseguente  diretta  applicazione  degli  istituti  di  segnalazione
d'inizio di  attivita'  e  autocertificazione,  con  le  eccezioni  a
protezione dei principi fondamentali stabiliti all'art. 3,  comma  1.
Tale previsione risulterebbe  generica  e  inapplicabile  e  pertanto
irragionevole, in base all'art. 3 Cost., oltre che contraria al  buon
andamento della pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost., e  infine
in conflitto con il  principio  di  certezza  del  diritto,  a  causa
dell'incertezza sulla disciplina vigente che ne deriverebbe. 
    Il secondo  e  terzo  periodo  del  medesimo  art.  3,  comma  3,
prevedono che, nelle  more  della  decorrenza  del  termine  annuale,
l'adeguamento al principio di liberalizzazione possa  avvenire  anche
attraverso la semplificazione normativa e che il Governo, entro il 31
gennaio 2012, possa adottare uno  o  piu'  regolamenti  con  i  quali
individuare  le  disposizioni  abrogate  e  definire  la   disciplina
regolamentare applicabile. Secondo le  ricorrenti,  questi  strumenti
rappresenterebbero la chiave di volta del sistema,  dal  momento  che
l'abrogazione implicita imposta dal primo periodo dell'art. 3,  comma
3, sarebbe di impossibile applicazione per la vaghezza  dei  principi
invocati. Tuttavia, la previsione di strumenti di  delegificazione  e
semplificazione sarebbe costituzionalmente  illegittima,  secondo  le
due  ricorrenti,  innanzitutto  per  violazione  del   principio   di
legalita' sostanziale.  Infatti,  i  regolamenti  di  delegificazione
interverrebbero in mancanza di una "cornice legislativa"  all'interno
della  quale   dovrebbero   esplicarsi.   Pertanto,   la   disciplina
regolamentare finirebbe per essere «meramente  potestativa  da  parte
del potere esecutivo».  In  secondo  luogo,  l'assenza  di  qualunque
delimitazione di materia estenderebbe  il  potere  regolamentare  del
Governo anche alle materie di competenza legislativa  regionale,  sia
concorrente che residuale, e pertanto sarebbe in violazione dell'art.
117, sesto comma, Cost. Infine, qualora, a  detta  delle  ricorrenti,
l'intervento statale fosse inquadrabile in termini di sussidiarieta',
e dovesse ammettersi l'attribuzione della potesta'  regolamentare  in
capo allo Stato, la disciplina permarrebbe  illegittima  per  mancata
previsione di un'intesa in sede di  Conferenza  Stato-Regioni  per  i
profili di competenza regionale. 
    11.4. - Le Regioni  Emilia-Romagna  e  Umbria  censurano  inoltre
l'art. 3, comma 4, ritenendolo illegittimo per due ordini di ragioni.
In primo luogo, esso esprimerebbe un dovere di adeguamento indefinito
e generico da parte delle Regioni nei confronti della disposizione di
principio statale, mancando di individuare i  parametri  di  giudizio
attraverso  i  quali  accertare  l'adeguamento.  Cio'  configurerebbe
complessivamente un tratto d'incertezza  e  di  irrazionalita'  della
disciplina, sottoponendo la potesta' legislativa regionale  a  limiti
diversi da quelli costituzionalmente previsti. 
    Inoltre, anche qualora  i  criteri  ai  quali  adeguarsi  fossero
definiti, non sussisterebbe un nesso razionale tra  il  principio  di
liberalizzazione e gli effetti sulla finanza regionale che  il  comma
censurato ricollega al suo inadempimento, sicche'  sarebbe  incongruo
penalizzare  finanziariamente  le  Regioni  per   «presunti   mancati
adeguamenti ai principi statali». 
    11.5. -  L'art.  3,  comma  10,  viene  impugnato  dalle  Regioni
Emilia-Romagna e Umbria poiche'  la  previsione  che  un  regolamento
dell'esecutivo possa eliminare  eventuali  restrizioni  all'esercizio
delle attivita' economiche  violerebbe  ugualmente  il  principio  di
legalita' sostanziale, per assenza di  qualunque  criterio  idoneo  a
circoscrivere  l'esercizio  del  potere  regolamentare.  La  medesima
disposizione confliggerebbe inoltre  con  l'art.  117,  sesto  comma,
Cost.,  ove  si  ritenesse  che  il  regolamento  ivi  previsto  puo'
estendersi ad oggetti ed ambiti di competenza regionale. Infine, essa
sarebbe  illegittima  per   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione, poiche' non prevede la conclusione  di  un'intesa  in
sede di Conferenza Stato-Regioni, laddove i  regolamenti  governativi
dovessero interferire con materie di competenza regionale. 
    11.6. -  L'art.  3,  comma  11,  dispone  che  singole  attivita'
economiche possano essere escluse dall'abrogazione delle  restrizioni
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, attraverso una
procedura che deve coinvolgere il ministro competente per materia, il
Ministro dell'economia e delle finanze e  l'Autorita'  garante  della
concorrenza e del mercato, entro quattro mesi dall'entrata in  vigore
della legge di conversione del decreto-legge, purche' a)  si  sia  in
presenza di ragioni di interesse pubblico, in particolare  di  quelle
legate alla salute umana, b) tale limitazione alla liberta' economica
sia indispensabile, idonea e proporzionata, c) e tale restrizione non
generi una discriminazione diretta o indiretta. 
    Tale   disposizione,   secondo   l'impugnativa   delle    Regioni
Emilia-Romagna e Umbria, sarebbe illegittima, in quanto consentirebbe
soltanto allo Stato e non alle  Regioni  di  far  valere  ragioni  di
interesse  pubblico  per  consentire   limitazioni   alle   attivita'
economiche.  Inoltre,  anche  qualora  ragioni   di   uniformita'   e
sussidiarieta' consentissero l'attrazione di tali competenze in  capo
allo  Stato,  gli  interessi  regionali  dovrebbero  trovare   spazio
attraverso   il   modello   dell'intesa   in   sede   di   Conferenza
Stato-Regioni, che la disposizione non  prevede.  Per  tale  ragione,
verrebbe pertanto violato anche il canone della leale collaborazione. 
    12. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha  depositato  il
27 dicembre 2011 due distinti atti d'intervento e memoria  d'identico
contenuto, nei confronti delle doglianze delle Regioni Emilia-Romagna
e Umbria, chiarendo, con riferimento all'art.  3,  comma  1,  che  si
tratta di una «disposizione  programmatica»,  come  tale  inidonea  a
recare  lesione  alle  competenze  legislative  regionali  e  che  il
medesimo  art.  3,  commi  3,  10  e  11,  si  riferisce  alle   sole
disposizioni statali; quindi tali  commi,  cosi'  interpretati,  sono
insuscettibili di impingere nelle competenze regionali. In ogni caso,
il legislatore statale avrebbe agito in base all'art. 41  Cost.,  che
gli attribuirebbe, in tesi,  il  potere  di  attuare  gli  interventi
opportuni per  il  coordinamento  dell'attivita'  economica;  il  suo
intervento si situerebbe, inoltre, nel quadro  della  sua  competenza
esclusiva statale a tutela della  concorrenza.  Conseguentemente,  la
normativa non sarebbe neppure viziata d'irragionevolezza. 
    13. - La Regione Emilia-Romagna e la Regione Umbria, con  memorie
distinte, ma di identico contenuto, depositate entrambe il 29  maggio
2012, hanno evidenziato, da un lato, che l'abrogazione  dell'art.  3,
comma 4, effettuata dall'art. 30, comma 6, della  legge  n.  183  del
2011, ha determinato la cessazione della materia del  contendere,  in
quanto l'effetto abrogativo si sarebbe realizzato prima dello scadere
del termine previsto per l'adeguamento regionale; dall'altro,  che  i
commi  3,  10  e  11,  invece,   non   recano   contenuti   meramente
programmatici,  ma  potrebbero  incidere  su  competenze  legislative
regionali. Inoltre, a differenza di  quanto  sostenuto  dalla  difesa
erariale  ad  esclusione   della   illegittimita'   della   normativa
censurata, l'art. 41 Cost. non attribuirebbe una competenza esclusiva
allo Stato nel campo della regolazione  delle  attivita'  economiche,
sicche' gli interventi normativi  di  attuazione  di  tale  principio
costituzionale si distribuirebbero invece tra Stato e Regioni,  sulla
base dell'ordine delle competenze determinate dall'art. 117 Cost. 
    14. - La Regione Veneto, con il ricorso citato  in  epigrafe,  ha
impugnato l'art. 3, comma 4, del decreto-legge n. 138 del  2011,  con
riferimento agli articoli 5, 117 e 120 Cost., e al principio di leale
collaborazione. 
    14.1. - La ricorrente muove anzitutto dalla  ricostruzione  della
materia  "sviluppo  economico",  che  dovrebbe   rientrare   tra   le
competenze  esclusive  regionali  o,  comunque,  strutturarsi   quale
"materia trasversale" e pertanto investire tutti gli ambiti, anche di
competenza regionale. La Corte, con sentenza n. 165 del 2007, avrebbe
gia' precisato  i  limiti  delle  attribuzioni  statali  in  tema  di
sviluppo economico, anche con riferimento alle pressanti esigenze  di
natura finanziaria, riconoscendo che tali attribuzioni interferiscono
con quelle regionali. 
    Tuttavia, la Corte medesima, con sentenza n. 64 del 2007, avrebbe
gia' riconosciuto la competenza del legislatore regionale  a  fissare
limiti alla libera concorrenza e all'accesso al mercato, purche'  non
irragionevoli e giustificati al fine di ridurre gli effetti  negativi
che si possano produrre nel tessuto economico preesistente. 
    14.2. - L'obbligo di adeguamento, imposto in modo indifferenziato
e  corredato  di  sanzione   ai   sensi   dell'art.   3,   comma   4,
interferirebbe,  dunque,  con  ambiti  di   attribuzione   regionale,
vulnerando il riparto di competenze ex art. 117 Cost. Inoltre,  anche
a voler ammettere la necessita' di rispondere a  preminenti  esigenze
di solidarieta' nazionale, tali da giustificare l'esercizio  unitario
di  una  funzione  statale  in  materia  di  liberalizzazione   delle
attivita' economiche in deroga al normale riparto  sancito  dall'art.
117 Cost., risulterebbe comunque necessario rispettare  il  principio
di leale collaborazione. 
    La sanzione prevista dall'art. 3, comma 4,  infine,  risulterebbe
sproporzionata in relazione alla condotta eventualmente difforme  dal
precetto. Il sistema individuato dal legislatore nel decreto-legge n.
138 del 2011, all'art. 3, richiamerebbe  per  alcuni  aspetti  quanto
previsto  dalla  legge  10  febbraio  1953,  n.  62  (Costituzione  e
funzionamento degli organi regionali), all'art. 10, primo  comma,  il
quale stabiliva che i principi della legislazione statale  innovativi
abrogassero  le  norme  regionali  con  essi  contrastanti,   ma,   a
differenza  dalle  disposizioni  oggi  in  discussione,   mantenevano
intatta la facolta' delle Regioni  di  continuare  ad  esercitare  le
proprie competenze  legislative,  adeguandosi  alle  nuove  normative
statali di principio. Del  resto,  un'ulteriore  alternativa  ad  uno
strumento tanto pervasivo quale un principio  generale  corredato  di
una sanzione di natura finanziaria  si  ritroverebbe  nell'art.  117,
quinto  comma,  Cost.,  gia'  attuato  dall'art.   84   del   decreto
legislativo  26  marzo  2010,  n.  59  (Attuazione  della   direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), che  disciplina
la cedevolezza  delle  normative  incompatibili,  prevedendo  che  le
disposizioni del medesimo decreto  si  applichino  anche  in  materie
legislative regionali sino all'entrata in vigore  delle  disposizioni
regionali attuative della normativa. 
    Per tali ragioni, il comma 4 dell'articolo impugnato prevedrebbe,
conclusivamente, uno strumento sanzionatorio eccessivo e lesivo delle
prerogative di autonomia garantite all'art. 5 Cost. 
    15. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato atto
di costituzione il 27 dicembre  2012,  sostenendo  che  la  doglianza
relativa all'art. 3, comma 4, risulta inammissibile per  sopravvenuta
carenza d'interesse, a seguito dell'abrogazione  intervenuta  con  la
legge n. 183 del 2011 (art. 30, comma 6). 
    16. - La Regione Calabria, con il ricorso citato in epigrafe,  ha
impugnato l'art. 3, commi 1, 2 e 4,  del  decreto-legge  n.  138  del
2011, piu' volte menzionato, in riferimento alle competenze regionali
in tema di tutela della salute. 
    L'attuazione  di   tali   disposizioni   del   decreto-legge   in
discussione, secondo la ricorrente, determinerebbe una  significativa
innovazione nel sistema sanitario. Infatti, in base a  giurisprudenza
costante della Corte di giustizia dell'Unione europea, le prestazioni
mediche rientrerebbero nell'ambito di applicazione delle disposizioni
relative alla libera prestazione dei  servizi  e  pertanto  sarebbero
interessate  dall'intervento  normativo.  La   ricorrente   evidenzia
l'impatto della normativa sul sistema sanitario calabrese, alla  luce
del fatto che, con legge regionale 18 luglio del 2008, n.  24  (Norme
in materia di autorizzazione, accreditamento, accordi contrattuali  e
controlli delle strutture sanitarie  e  socio-sanitarie  pubbliche  e
private),  la  Regione  Calabria  ha  disciplinato  il   sistema   di
erogazione delle prestazioni sanitarie,  prevedendo  l'autorizzazione
sanitaria,  quale  provvedimento  con  cui  si  consente  l'esercizio
dell'attivita' sanitaria o socio-sanitaria,  da  parte  di  strutture
pubbliche, private o di professionisti (art. 3, comma 1),  mentre  ha
consentito alle strutture pubbliche e private  ed  ai  professionisti
gia' autorizzati di erogare prestazioni sanitarie  o  socio-sanitarie
per conto del  sistema  sanitario  nazionale  tramite  accreditamento
(art. 11, comma 1), stabilendo altresi' che quest'ultimo possa essere
concesso in relazione alle necessita' della Regione, evidenziate  nel
Piano Sanitario Regionale (art.  11,  comma  4).  Questa  sistema  di
erogazione delle prestazioni sanitarie seguiva del resto gli articoli
8-ter e 8-quater del decreto legislativo 30  dicembre  1992,  n.  502
(Riordino  della   disciplina   in   materia   sanitaria,   a   norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421). 
    La Regione Calabria,  oggetto  di  commissariamento  per  deficit
sanitario (delibera del Consiglio dei ministri del 30  luglio  2010),
ha adottato un apposito  piano  di  rientro  (delibera  della  Giunta
regionale n. 845/09), approvato con accordo  Stato-Regione  stipulato
il 17 dicembre 2009 e a sua volta oggetto di  delibera  regionale  n.
908  del  2009.  Tale  piano   di   rientro   prevede,   tramite   un
cronoprogramma, di riorganizzare la  rete  di  ospedali  e  strutture
pubbliche e private, mediante analisi della domanda  e  dell'offerta.
Il  sistema  sanitario   regionale,   cosi'   sommamente   delineato,
troverebbe un supporto nella giurisprudenza della Corte di  giustizia
dell'Unione europea, e in particolare nella sentenza 10  marzo  2009,
in causa C-169/07, Hartlauer, che ha ritenuto non  incompatibili  con
il diritto comunitario le restrizioni allo svolgimento di  attivita',
giustificate da ragioni di sanita' pubblica, purche' non discriminino
gli operatori in base alla nazionalita' e, qualora la limitazione sia
volta alla realizzazione  di  un  livello  elevato  di  tutela  della
salute, contemperando tale obiettivo con la necessita'  di  prevenire
il rischio di una grave alterazione dell'equilibrio finanziario. 
    Le norme impugnate, secondo la ricorrente, violerebbero  pertanto
gli articoli 41, terzo  comma,  e  97  Cost.,  invadendo  inoltre  la
competenza concorrente regionale in materia di tutela  della  salute,
prevista  dall'art.  117  Cost.,  dal  momento   che   la   normativa
sembrerebbe imporre  di  accogliere  «senza  alcun  filtro  tutte  le
istanze di autorizzazione ed accreditamento»,  in  contrasto  con  il
sistema introdotto dalla Regione. 
    Inoltre, l'art. 3, commi 1 e 2, violerebbe gli  artt.  41,  terzo
comma, e 97 Cost., anche con riferimento ad altri tipi  di  attivita'
(ad  esempio,  vendita  al  pubblico  dei  farmaci  da  banco  o   di
automedicazione,  aperture   di   strutture   di   grande   e   media
distribuzione),      pregiudicando      l'ordinato      funzionamento
dell'ordinamento regionale. Esso, inoltre, invaderebbe la  competenza
concorrente ex art. 117 Cost. in materia di governo  del  territorio,
di tutela della salute, di commercio, vietando sostanzialmente  -  ad
esempio - «di  subordinare  il  rilascio  delle  autorizzazioni  alla
determinazione di requisiti quali la superficie minima che deve avere
l'apposito  reparto  destinato  allo   svolgimento   della   riferita
attivita'»,  o  alla  «idonea   pianificazione   territoriale   degli
insediamenti  delle  attivita'  commerciali»,   o   di   condizionare
«l'apertura di grandi strutture di vendita in  base  alla  dimensione
demografica del territorio comunale di insediamento». 
    L'art.  3,  commi  1,  2  e  4,  porrebbe  la  Regione   Calabria
nell'alternativa di  ottemperare  a  tali  norme  liberalizzanti,  in
violazione del piano di  rientro,  oppure  di  mantenere  il  proprio
ordinamento, rischiando di non essere valutata come ente virtuoso, ex
art. 3, comma  4.  Tali  commi  sarebbero  pertanto  complessivamente
viziati  da  illegittimita'  costituzionale,   per   violazione   del
principio di ragionevolezza, ex art. 3  Cost.,  e  del  principio  di
leale collaborazione. 
    E'  anche  dedotta  -  pur  senza  specifica  motivazione  -   la
violazione degli artt. 70 e 77 Cost. in riferimento all'intero art. 3
del menzionato decreto-legge. 
    17. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato atto
di costituzione  il  27  dicembre  2012,  sviluppando  argomentazioni
identiche a quelle svolte nei confronti delle Regioni  Emilia-Romagna
e Umbria, di cui al punto 12, alle quali pertanto si rinvia. 
    18. - La Regione Calabria ha depositato ulteriore memoria  il  23
maggio 2012, ribadendo le conclusioni avanzate nel ricorso. 
    19. - La Regione autonoma Sardegna,  con  il  ricorso  citato  in
epigrafe, ha impugnato l'art. 3, comma 4, del  decreto-legge  n.  138
del 2011, con riferimento agli articoli 3, 4 e  7  dello  statuto  di
autonomia (Legge costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  3)  e  agli
articoli 3, 117 e 119 della Costituzione. 
    19.1. - L'art. 3, comma 4, del decreto impugnato  trasformerebbe,
secondo  la  ricorrente,  in  vincoli  di  finanza   pubblica   degli
adempimenti di carattere sostanziale privi di rilevanza  finanziaria.
Ci si troverebbe dunque  di  fronte  ad  «un  caso  paradigmatico  di
eccesso  di  potere  legislativo  e,  comunque,  di  violazione   del
principio di ragionevolezza», in contrasto con  l'art.  3  Cost.,  in
combinato disposto con gli articoli 117 e 119 Cost., che, del  resto,
non contemplerebbero una tale competenza statale. 
    19.2. - Piu' precisamente, l'art. 3, comma  4,  attribuendo  allo
Stato il potere di valutare il livello di attuazione regionale a fini
di determinazioni di  carattere  finanziario,  gli  consentirebbe  di
condizionare le scelte del legislatore  regionale  al  di  fuori  del
riparto di competenze stabilito dall'art. 117, secondo e terzo comma,
Cost. In particolare, con tale disposizione lo Stato vincolerebbe nei
fatti le Regioni nelle materie di competenza legislativa  concorrente
pur senza dettarne i principi fondamentali ex art. 117, comma  terzo,
Cost. 
    19.3. - L'articolo 3, comma  4,  viene  inoltre  impugnato  dalla
Regione autonoma Sardegna per contrasto con gli artt. 3, 4 e 7  dello
statuto di autonomia, in quanto la disposizione limita  indebitamente
l'autonomia regionale sia nelle materie di competenza  esclusiva  che
in quelle di competenza  concorrente,  sia,  infine,  in  materia  di
bilancio.  Infatti,  la  regolamentazione  dell'iniziativa  economica
privata interessa, oltre ad ambiti materiali indicati  all'art.  117,
terzo comma, Cost., anche quelli elencati agli articoli 3 e  4  dello
statuto, ed in  particolare  all'art.  3,  primo  comma,  lettere  d)
(agricoltura e foreste) f) (edilizia e urbanistica), g) (trasporti su
linee automobilistiche e tramviarie), o) (artigianato), p)  (turismo,
industria  alberghiera)  e  all'art.  4,  primo  comma,  lettere   a)
(industria, commercio ed esercizio industriale delle miniere, cave  e
saline),  b)  (istituzione  ed  ordinamento  degli  enti  di  credito
fondiario ed agrario, delle casse di  risparmio),  e)  (produzione  e
distribuzione dell'energia elettrica), f) (linee marittime  ed  aeree
di cabotaggio fra i porti e gli scali della  Regione),  m)  (pubblici
spettacoli), che allocano diverse competenze alla Regione.  L'art.  7
dello statuto, infine, sarebbe violato in quanto assegna alla Regione
un'ampia autonomia finanziaria. 
    20. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato atto
di costituzione il 23 dicembre  2011,  sostenendo  che  le  doglianze
relative all'art. 3, comma 4, siano state  superate  dall'abrogazione
della norma impugnata dalla Regione autonoma Sardegna, effettuata con
l'art. 30, comma 6, della legge n. 183 del 2011 
    21. - Con ulteriore memoria depositata  il  29  maggio  2012,  la
Regione autonoma Sardegna riconosce che  l'abrogazione  dell'art.  3,
comma 4, determina l'inutilizzabilita' del criterio  dell'adeguamento
regionale  al  principio  della  liberalizzazione   delle   attivita'
economiche al fine di valutare la virtuosita' dell'ente, rimettendosi
alle conseguenze processuali che riterra' la Corte. 
    22. - Con memoria depositata il 29 maggio 2012, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha ulteriormente replicato in riferimento alle
diverse doglianze presentate dalle Regioni ricorrenti avverso  l'art.
3 del decreto-legge n. 138 del 2011. 
    22.1. - A detta della parte resistente,  le  Regioni  concentrano
l'impugnazione sostanzialmente  sul  principio  di  liberalizzazione,
che, eccedendo dal limite della competenza statale esclusiva in  tema
di  tutela  della  concorrenza,  interferirebbe  con  le   competenze
regionali a disciplinare il commercio e le attivita' produttive. 
    Tuttavia,  secondo   il   resistente,   la   tesi   non   sarebbe
correttamente impostata.  Si  tratterebbe  invece  di  individuare  i
presupposti costituzionali sostanziali della  legislazione  regionale
in  materia  economica,  stabiliti  dall'art.  41  Cost.,  il   quale
enuncerebbe la  liberta'  d'iniziativa  economica  innanzitutto  come
liberta'   "negativa",    «opponibile    a    qualsiasi    intervento
autoritativo». 
    L'art. 3 impugnato, secondo la parte resistente, si limiterebbe a
ribadire il principio  di  liberta'  d'iniziativa  economica  di  cui
all'art. 41, primo comma, Cost., precisando le situazioni nelle quali
a questa liberta' si possano apporre limiti.  Questa  interpretazione
dell'articolo 3 si evincerebbe dalla  lettura  dei  casi  d'eccezione
alla liberta' di esercizio delle attivita' economiche - lettere da a)
ad e) del comma 1 dell'art. 3 del decreto-legge n. 138 del 2011 - che
ricalcano in gran parte le limitazioni gia'  previste  dall'art.  41,
secondo e terzo comma, Cost. ampliandole e precisandole. Pertanto, il
legislatore regionale non  subirebbe  alcuna  limitazione  delle  sue
prerogative in forza dell'art. 3 del decreto-legge impugnato. 
    22.2. - Cosi' inquadrato, dell'intervento del legislatore statale
andrebbe valutato lo scopo normativo di "tutela  della  concorrenza",
esplicitamente statuito  dall'art.  3,  comma  2,  del  decreto-legge
impugnato. Secondo la sentenza di questa Corte n. 430 del  2007,  che
ha puntualizzato i criteri per identificare un  legittimo  intervento
normativo statale in  tale  ambito,  l'art.  3  avrebbe  i  caratteri
richiesti,   poiche',   come   previsto   dalla   sentenza    citata,
perseguirebbe  fini  promozionali   della   concorrenza,   attraverso
l'eliminazione di vincoli all'esercizio dell'attivita' economica. 
    L'art.  3,  comma  3,  del  decreto-legge  impugnato,  prevedendo
l'abrogazione implicita delle disposizioni di normative  statali  che
contengono  restrizioni  alla   libera   iniziativa   economica   non
giustificate dai principi elencati all'art. 3, comma 1, costituirebbe
pertanto  una  declinazione  del  principio   pro-concorrenziale   di
liberalizzazione.  La  disposizione  impugnata  si  risolverebbe  nel
pretendere che le limitazioni all'attivita' economica  si  conformino
ai principi della tutela della  concorrenza,  secondo  l'impostazione
data dall'Unione europea, e rispettino i canoni  di  proporzionalita'
ed  effettiva  necessita'.  Pertanto,  l'eventuale  incidenza   della
legislazione   statale   sugli   ambiti   di   competenza   regionale
risulterebbe, conclusivamente, legittima. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Le Regioni Puglia, Toscana, Lazio,  Emilia-Romagna,  Veneto,
Umbria e Calabria, e la Regione  autonoma  Sardegna,  con  i  ricorsi
indicati in  epigrafe,  hanno  impugnato  numerose  disposizioni  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), come convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    2. - Riservate a separate  decisioni  le  questioni  sulle  altre
disposizioni del decreto-legge n. 138 del  2011,  la  Corte  delimita
l'oggetto del presente giudizio alle censure relative all'articolo  3
del decreto-legge citato, come risultante dalla legge di conversione,
che detta principi in tema di regolazione delle attivita' economiche. 
    I giudizi, cosi' separati e delimitati, in  considerazione  della
loro connessione oggettiva, devono essere riuniti per  essere  decisi
con un'unica pronuncia. 
    3. - L'art. 3 impugnato, nel  testo  modificato  dalla  legge  di
conversione,  al  comma  1  stabilisce  il  «principio  secondo   cui
l'iniziativa e  l'attivita'  economica  privata  sono  libere  ed  e'
permesso tutto cio' che non e' espressamente  vietato  dalla  legge»,
imponendo  allo  Stato  e  all'intero  sistema  delle  autonomie   di
adeguarvisi entro un termine prestabilito, inizialmente fissato in un
anno dall'entrata in vigore della legge di conversione. Tale  termine
e' stato successivamente procrastinato fino al 30 settembre 2012,  in
base all'art. 1, comma 4-bis, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1
(Disposizioni  urgenti  per  la  concorrenza,   lo   sviluppo   delle
infrastrutture e la competitivita'), convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Dopo aver  enunciato  il  principio
summenzionato, il medesimo art. 3,  comma  1,  elenca  una  serie  di
principi,  beni  e  ambiti  che  possono  giustificare  eccezioni  al
principio   stesso:   ai   sensi   di   tali   proposizioni,   limiti
all'iniziativa e all'attivita' economica possono essere  giustificati
per garantire il rispetto  dei  «vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e  dagli  obblighi  internazionali»  e   dei   «principi
fondamentali della  Costituzione»;  per  assicurare  che  l'attivita'
economica non arrechi «danno  alla  sicurezza,  alla  liberta',  alla
dignita'  umana»  e  non  si  svolga  in  «contrasto  con  l'utilita'
sociale»;  per  garantire  «la  protezione  della  salute  umana,  la
conservazione delle specie animali  e  vegetali,  dell'ambiente,  del
paesaggio e del  patrimonio  culturale»;  e  dare  applicazione  alle
«disposizioni relative alle attivita' di raccolta di giochi  pubblici
ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica». 
    Il successivo comma 2 del medesimo art. 3 qualifica le precedenti
disposizioni come «principio fondamentale per lo sviluppo  economico»
e attuazione della «piena tutela della concorrenza tra le imprese». 
    L'art. 3, comma 3, prevede che siano  «in  ogni  caso  soppresse,
alla scadenza  del  termine  di  cui  al  comma  1,  le  disposizioni
normative statali incompatibili  con  quanto  disposto  nel  medesimo
comma, con conseguente  diretta  applicazione  degli  istituti  della
segnalazione di inizio di  attivita'  e  dell'autocertificazione  con
controlli successivi»,  e  consente  al  Governo,  nelle  more  della
decorrenza di detto termine, di adottare strumenti di semplificazione
normativa attraverso provvedimenti di natura regolamentare. A  questo
scopo «Entro il  31  dicembre  2012  il  Governo  e'  autorizzato  ad
adottare uno o piu' regolamenti ai sensi dell'art. 17, comma 2, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, con  i  quali  vengono  individuate  le
disposizioni abrogate per effetto di  quanto  disposto  nel  presente
comma ed e' definita la disciplina  regolamentare  della  materia  ai
fini dell'adeguamento al principio di cui al comma 1». 
    Il comma 4 dell'articolo impugnato stabilisce che  «L'adeguamento
di  Comuni,  Province  e  Regioni  all'obbligo  di  cui  al  comma  1
costituisce elemento di valutazione della  virtuosita'  dei  predetti
enti ai sensi dell'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111». Tale  comma  4
e' stato poi successivamente  abrogato  dall'articolo  30,  comma  6,
della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge  di  stabilita'
2012), a decorrere dal 1° gennaio 2012. 
    I successivi commi dell'art. 3 implementano  la  liberalizzazione
dell'esercizio  delle  professioni  ed   eliminano   una   serie   di
restrizioni all'accesso alle medesime. 
    I commi 10 e 11, infine, rispettivamente consentono la revoca  di
ulteriori restrizioni  all'esercizio  delle  attivita'  economiche  e
all'accesso  alle   medesime   attraverso   norme   regolamentari   e
permettono,  invece,  di  mantenere  le   restrizioni   per   singole
attivita', con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,  in
presenza di ragioni di interesse generale,  rispetto  alle  quali  le
restrizioni costituiscono una misura  indispensabile,  proporzionata,
idonea e non discriminatoria sotto il profilo della concorrenza. Piu'
specificamente,    l'esclusione     di     un'attivita'     economica
dall'abrogazione delle restrizioni e' giustificata  qualora:  «a)  la
limitazione sia funzionale a ragioni di interesse pubblico,  tra  cui
in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana; b)  la
restrizione rappresenti un mezzo idoneo, indispensabile e, dal  punto
di  vista  del  grado  di  interferenza  nella  liberta'   economica,
ragionevolmente   proporzionato   all'interesse   pubblico   cui   e'
destinata;  c)  la  restrizione  non  introduca  una  discriminazione
diretta  o  indiretta  basata  sulla  nazionalita'  o,  nel  caso  di
societa', sulla sede legale dell'impresa». 
    4. - Occorre  preliminarmente  esaminare  le  numerose  questioni
relative all'art. 3, comma 4, del decreto-legge n. 138 del  2011,  in
quanto l'Avvocatura dello Stato chiede che sia dichiarata cessata  la
materia del contendere,  alla  luce  della  sopravvenuta  abrogazione
della norma impugnata, in seguito all'entrata in vigore dell'art. 30,
comma 6, della legge n. 183 del 2011. 
    4.1. - In effetti, tutte le Regioni ricorrenti - con  l'eccezione
della Regione Puglia che, come si dira'  tra  breve,  ha  rivolto  le
proprie doglianze all'intero art. 3, complessivamente inteso e  senza
ulteriori precisazioni  -  hanno  evidenziato  specifici  profili  di
illegittimita' costituzionale del comma 4, in quanto  esso  ricollega
conseguenze di ordine finanziario al tempestivo adeguamento, da parte
delle   Regioni   e   degli   enti   locali,   al   principio   della
liberalizzazione   delle   attivita'    economiche,    opportunamente
bilanciato con le altre esigenze enunciate  al  precedente  comma  1:
l'ottemperanza di tali principi, ai sensi della disposizione  qui  in
esame, «costituisce elemento di  valutazione  della  virtuosita'  dei
predetti  enti»,  ai  fini  del  riparto  delle  risorse  finanziarie
determinate annualmente con il Patto di stabilita' interno, ai  sensi
dell'art. 20, comma 3, del  decreto-  legge  6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito,
con modificazioni, dalla legge 15 luglio  2011,  n.  111).  In  altri
termini, la  disposizione  impugnata,  piuttosto  che  sanzionare  le
Regioni  e  gli  enti   locali   inadempienti,   prevede   forme   di
incentivazione finanziaria per gli enti virtuosi, che modifichino  la
propria  legislazione,  in  osservanza  ai  principi  stabiliti   dal
legislatore statale e nei termini previsti. 
    La  disposizione  contenuta  nell'art.  3,  comma  4,  e'   stata
censurata in relazione agli artt. 3, 5, 117,  119  e  120  Cost.,  al
principio di leale collaborazione e, da parte della Regione  autonoma
Sardegna, agli artt. 3, primo comma, lettere d), f), g), o) e p),  4,
primo comma, lettere a), b), e), f) ed  m),  e  7  dello  statuto  di
autonomia (Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3). 
    4.2. - In ordine all'art. 3, comma 4, del decreto-legge impugnato
deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere. 
    In effetti, come  e'  stato  sottolineato  dall'Avvocatura  dello
Stato e da alcune Regioni ricorrenti, la  norma  in  esame  e'  stata
abrogata dall'articolo 30, comma 6, della legge n. 183  del  2011,  a
decorrere dal 1° gennaio 2012. L'abrogazione e', dunque,  intervenuta
prima che scadesse il termine di  adeguamento  al  principio  imposto
alle Regioni, individuato nel 30  settembre  2012,  e  prima  che  la
disposizione medesima potesse esplicare effetti, previsti  a  partire
dall'anno 2012. Ne consegue che  la  norma  non  ha  potuto  ricevere
alcuna applicazione durante il periodo in cui e' rimasta in vigore. 
    5. - Venendo alle singole  questioni  residue  portate  all'esame
della Corte, va considerata una prima  ragione  di  doglianza,  mossa
dalla Regione Calabria, che riguarda l'intero articolo 3. 
    5.1. - Sono evocati a parametro gli articoli 70 e  77  Cost.,  in
quanto  il  contenuto  normativo  della  disposizione  impugnata  non
presenterebbe i  caratteri  di  straordinaria  necessita'  e  urgenza
prescritti   dalla   Costituzione   affinche'   il   Governo    possa
legittimamente   adottare   decreti-legge.   Pertanto,   secondo   la
ricorrente,  la  legge  di  conversione  sarebbe  viziata,  sia   per
violazione  dei  requisiti   costituzionalmente   previsti   per   la
decretazione d'urgenza, sia perche' il Governo avrebbe  indebitamente
usurpato il potere legislativo al Parlamento, attraverso  il  ricorso
allo strumento del decreto-legge. 
    5.2. - Tale censura e' inammissibile, per difetto di motivazione. 
    Infatti, a parte una mera  evocazione  degli  articoli  70  e  77
Cost., ne'  l'atto  introduttivo  del  giudizio,  ne'  la  successiva
memoria offrono  alcun  argomento  a  suffragio  della  censura,  che
documenti l'asserita mancanza  di  presupposti  per  la  decretazione
d'urgenza. Inoltre, deve richiamarsi il consolidato  orientamento  di
questa Corte, in base al  quale  le  Regioni  possono  invocare,  nel
giudizio di costituzionalita' in via principale, parametri diversi da
quelli contenuti nel Titolo V della Parte  II  della  Costituzione  a
condizione  che  la  lamentata  violazione  ridondi  sul  riparto  di
competenze legislative tra Stato e Regioni (sentenze n. 33 del  2011,
n. 156, n. 52 e n. 40 del 2010, n. 341 del 2009). Nel caso di  specie
la ricorrente non spiega in  che  modo  l'asserita  violazione  degli
artt. 70 e 77  Cost.  determini  una  compressione  delle  competenze
costituzionali delle Regioni. 
    6. - Una seconda ragione di  doglianza,  avanzata  dalla  Regione
Puglia ed avente parimenti ad oggetto l'art. 3 nella  sua  interezza,
evoca, quali parametri del giudizio, gli articoli 41,  42,  43,  114,
secondo comma, e 117 Cost. 
    6.1. - Ad avviso della  ricorrente,  la  disposizione  impugnata,
stabilendo che le Regioni e gli enti locali debbano adeguare i propri
ordinamenti al  principio  secondo  cui  l'iniziativa  e  l'attivita'
economica private sono libere ed e' permesso tutto cio'  che  non  e'
espressamente vietato dalla legge, e ponendo un elenco  tassativo  di
ipotesi  in  cui  il   legislatore,   statale   o   regionale,   puo'
espressamente   limitare   l'esercizio   dell'attivita'    economica,
contrasta con l'art. 41 della Costituzione e con gli  altri  principi
costituzionali  in  materia  economica.  In  base  alla  disposizione
impugnata, gli enti territoriali dovrebbero, dunque, adeguarsi ad una
disciplina che sovvertirebbe il quadro costituzionale dell'iniziativa
e dell'attivita'  economica,  introducendo  «un  assetto  decisamente
sbilanciato a favore  dell'iniziativa  privata».  Inoltre,  l'obbligo
diffuso di adeguamento all'art. 3 censurato, equiparando  Regioni  ed
enti   locali,   rappresenterebbe   una    forzatura    del    quadro
costituzionale, in quanto, a differenza degli enti locali, le Regioni
detengono una potesta' legislativa autonoma  garantita  ex  art.  117
Cost., che dunque non potrebbe soffrire  l'inserimento,  per  via  di
legge statale ordinaria, di un  nuovo  principio  che  ne  limiti  la
«sovranita' legislativa». 
    6.2. - Anche tali  censure  risultano  inammissibili,  in  quanto
generiche e indeterminate. 
    Infatti, in primo luogo, la censura si appunta  sull'intero  art.
3, senza  puntualizzare  ulteriormente  quali  disposizioni  di  esso
intenda investire, sebbene l'art. 3  abbia  un  contenuto  complesso.
Inoltre, il richiamo ai parametri di cui agli artt. 41, 42 e 43 Cost.
risulta generico e indeterminato. Si asserisce, senza argomentare, la
sussistenza di un conflitto tra tali previsioni costituzionali  e  il
principio di liberalizzazione  delle  attivita'  economiche  statuito
nella disposizione  impugnata,  principio  che  tra  l'altro  non  e'
affermato in termini assoluti, ma deve essere  modulato  al  fine  di
soddisfare una serie di  esigenze,  alcune  delle  quali  riproducono
anche testualmente i contenuti dell'art. 41 Cost., e ne annoverano di
ulteriori;  ne'  viene  spiegato  per  quali  ragioni  le  previsioni
costituzionali e quella legislativa,  mirata  alla  liberalizzazione,
non sarebbero armonizzabili. 
    Per  la  medesima  ragione  attinente  alla  genericita'  e  alla
insufficiente motivazione del ricorso, risultano inammissibili  anche
le censure  basate  sugli  artt.  114,  terzo  comma,  e  117  Cost.,
parametri che sono evocati genericamente, senza  neppure  specificare
quali aspetti delle disposizioni costituzionali richiamate, che hanno
un  contenuto  particolarmente  complesso  e  articolato,  dovrebbero
rilevare nel presente giudizio. 
    7. - Proseguendo l'esame delle questioni portate all'esame  della
Corte in relazione ai singoli commi dell'art. 3 del decreto-legge  n.
138 del  2011,  vengono  anzitutto  in  rilievo  le  censure  rivolte
all'art. 3, comma 1, e al principio ivi statuito per cui  nell'ambito
delle attivita'  economiche  «e'  permesso  tutto  cio'  che  non  e'
espressamente vietato dalla legge», principio che, come  si  e'  gia'
ricordato piu' volte, subisce limitazioni a tutela di altre  esigenze
indicate dalla medesima disposizione oggetto di esame. 
    7.1. - La Regione Lazio  e  la  Regione  Calabria  contestano  la
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1,  del  decreto-legge
impugnato,  per  violazione  del  riparto  di  competenze   stabilito
all'art.  117  Cost.,  perche'  esso  interferirebbe  con  ambiti  di
pertinenza della legislazione regionale. 
    In particolare, la Regione  Lazio  sottolinea  l'incidenza  della
normativa  impugnata  nelle  materie  del   commercio   e   attivita'
produttive,  che  sarebbero  riservate  alle  Regioni  a  titolo   di
competenza legislativa residuale. Inoltre, secondo la Regione,  anche
a voler concedere che  l'intervento  del  legislatore  statale  possa
essere giustificato in ragione delle competenze ad esso  riconosciute
nell'ambito della tutela della concorrenza, non si potrebbe  comunque
superare il vizio della legge sotto il profilo del  mancato  rispetto
del  principio  di  leale  collaborazione,   considerato   il   fitto
intersecarsi di competenze statali  e  regionali  sul  terreno  delle
attivita' economiche. 
    Per quanto riguarda la Regione Calabria, le censure si  appuntano
piuttosto sulla violazione delle competenze regionali in  materia  di
tutela della salute, commercio, governo del territorio, oltre che sul
mancato rispetto del principio di leale collaborazione,  richiamando,
quali parametri del giudizio,  gli  artt.  41,  97  e  117  Cost.  La
ricorrente teme che, per conformarsi al principio di liberalizzazione
introdotto dal  legislatore  statale,  l'organizzazione  del  sistema
sanitario regionale debba essere radicalmente modificata, dal momento
che, nell'interpretazione della  ricorrente,  il  suddetto  principio
imporrebbe di accogliere «senza alcun  filtro  tutte  le  istanze  di
autorizzazione e accreditamento» presentate dagli operatori sanitari.
Inoltre,  sotto   l'impatto   della   liberalizzazione   voluta   dal
legislatore statale, la Regione non potrebbe continuare a regolare la
vendita  al  pubblico  di  farmaci  da  banco  o  automedicazione,  o
l'apertura di strutture di media o  grande  distribuzione,  valutando
l'insediamento  di  tali  attivita'  in   base   alla   distribuzione
demografica o imponendo dei requisiti per il loro svolgimento. 
    7.2. - L'asserita invasione delle competenze regionali  da  parte
del legislatore statale si evidenzierebbe piu' chiaramente alla  luce
del comma 2 del medesimo art. 3, che qualifica il precedente comma  1
come «principio fondamentale  per  lo  sviluppo  economico»,  rivolto
all'attuazione della «piena tutela della concorrenza». 
    Le Regioni Calabria, Emilia-Romagna e Umbria,  infatti,  rilevano
che il legislatore statale, evocando le esigenze della «piena  tutela
della concorrenza», intenderebbe giustificare l'imposizione da  parte
dello Stato del principio della liberalizzazione anche in  ambiti  di
competenza  regionale;  d'altra  parte,  la  qualifica  del  medesimo
principio come  attinente  allo  «sviluppo  economico»  appaleserebbe
l'invasione  delle  competenze  regionali,  in  quanto   la   materia
"sviluppo economico" apparterrebbe ai titoli di competenza  residuale
regionale. 
    7.3. - Le questioni relative all'art. 3, commi 1 e  2,  non  sono
fondate. 
    Con la normativa censurata, il legislatore  ha  inteso  stabilire
alcuni principi in materia economica orientati  allo  sviluppo  della
concorrenza, mantenendosi all'interno  della  cornice  delineata  dai
principi costituzionali.  Cosi',  dopo  l'affermazione  di  principio
secondo cui in ambito economico «e' permesso tutto cio'  che  non  e'
espressamente  vietato  dalla  legge»,  segue  l'indicazione  che  il
legislatore statale o  regionale  puo'  e  deve  mantenere  forme  di
regolazione dell'attivita' economica volte a garantire, tra l'altro -
oltre che il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari e la
piena osservanza dei principi costituzionali legati alla tutela della
salute, dell'ambiente,  del  patrimonio  culturale  e  della  finanza
pubblica - in particolare la tutela della sicurezza, della  liberta',
della dignita'  umana,  a  presidio  dell'utilita'  sociale  di  ogni
attivita' economica, come l'art. 41 Cost. richiede.  La  disposizione
impugnata afferma il principio generale della liberalizzazione  delle
attivita'  economiche,  richiedendo  che  eventuali   restrizioni   e
limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare puntuale
giustificazione  in  interessi  di  rango  costituzionale   o   negli
ulteriori interessi che il legislatore statale ha  elencato  all'art.
3, comma 1. Complessivamente considerata, essa non rivela elementi di
incoerenza con il quadro costituzionale, in quanto il principio della
liberalizzazione prelude a una razionalizzazione  della  regolazione,
che  elimini,  da  un  lato,  gli  ostacoli   al   libero   esercizio
dell'attivita' economica che si rivelino inutili o sproporzionati  e,
dall'altro, mantenga le  normative  necessarie  a  garantire  che  le
dinamiche economiche non si  svolgano  in  contrasto  con  l'utilita'
sociale (sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009 e n.  388
del 1992). 
    7.4. - Rispetto alla pretesa invasione delle competenze regionali
in materia di commercio, attivita' produttive e tutela della  salute,
ex art. 117 Cost., occorre anzitutto  osservare  che  il  legislatore
statale ha agito nell'ambito, ad esso spettante, della  tutela  della
concorrenza, come correttamente specificato dall'art. 3, comma 2, del
decreto-legge n. 138 del 2011. 
    Infatti, per quanto l'autoqualificazione offerta dal  legislatore
non sia mai di per se' risolutiva (ex multis,  sentenze  n.  164  del
2012, n. 182 del 2011 e n. 247  del  2010),  in  questo  caso  appare
corretto  inquadrare  il  principio  della   liberalizzazione   delle
attivita' economiche nell'ambito della competenza statale in tema  di
«tutela della concorrenza». Quest'ultimo concetto, la concorrenza, ha
un contenuto complesso in quanto ricomprende non solo l'insieme delle
misure antitrust, ma anche azioni di liberalizzazione, che mirano  ad
assicurare e a promuovere la concorrenza  "nel  mercato"  e  "per  il
mercato", secondo gli  sviluppi  ormai  consolidati  nell'ordinamento
europeo e internazionale e piu' volte ribaditi  dalla  giurisprudenza
di questa Corte (ex multis, sentenze n. 45 e n. 270 del 2010, n.  160
del 2009, n. 430 e n. 401 del 2007). Pertanto,  la  liberalizzazione,
intesa come  razionalizzazione  della  regolazione,  costituisce  uno
degli strumenti di promozione della concorrenza  capace  di  produrre
effetti  virtuosi  per  il  circuito  economico.  Una   politica   di
"ri-regolazione" tende ad aumentare il livello  di  concorrenzialita'
dei mercati e permette ad un maggior numero di operatori economici di
competere, valorizzando le  proprie  risorse  e  competenze.  D'altra
parte,  l'efficienza  e  la  competitivita'  del  sistema   economico
risentono della  qualita'  della  regolazione,  la  quale  condiziona
l'agire degli operatori sul mercato: una regolazione delle  attivita'
economiche ingiustificatamente intrusiva -  cioe'  non  necessaria  e
sproporzionata  rispetto  alla  tutela  di  beni   costituzionalmente
protetti (sentenze n. 247 e n. 152 del  2010,  n.  167  del  2009)  -
genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli
interessi degli operatori economici, dei consumatori e  degli  stessi
lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla  stessa  utilita'
sociale. L'eliminazione degli inutili oneri regolamentari, mantenendo
pero' quelli necessari alla tutela di superiori beni  costituzionali,
e' funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo
nelle competenze del legislatore statale. 
    7.5. - Inquadrato, dunque,  l'intervento  statale  censurato  nel
campo delle competenze statali di portata trasversale  relative  alla
tutela della concorrenza, occorre  ancora  osservare  il  particolare
tenore normativo della disposizione  impugnata:  in  questo  caso  il
legislatore statale non si e' sovrapposto  ai  legislatori  regionali
dettando una propria compiuta disciplina delle attivita'  economiche,
destinata a  sostituirsi  alle  leggi  regionali  in  vigore.  L'atto
impugnato, infatti, non stabilisce  regole,  ma  piuttosto  introduce
disposizioni di principio, le quali, per ottenere piena applicazione,
richiedono ulteriori sviluppi normativi, da parte sia del legislatore
statale, sia di quello regionale,  ciascuno  nel  proprio  ambito  di
competenza. In virtu' della tecnica normativa utilizzata,  basata  su
principi e non su regole, il legislatore nazionale  non  ha  occupato
gli spazi riservati a quello regionale,  ma  ha  agito  presupponendo
invece che le  singole  Regioni  continuino  ad  esercitare  le  loro
competenze, conformandosi tuttavia ai principi  stabiliti  a  livello
statale.  L'intervento  del  legislatore,  statale  e  regionale,  di
attuazione  del  principio  della  liberalizzazione  e'  tanto   piu'
necessario alla luce della considerazione che tale principio  non  e'
stato affermato in termini assoluti, ne' avrebbe  potuto  esserlo  in
virtu' dei vincoli costituzionali, ma richiede di essere modulato per
perseguire gli altri principi indicati dallo stesso  legislatore,  in
attuazione  delle  previsioni  costituzionali.  Di  conseguenza,  per
rispondere  ad  alcune  precise  osservazioni  delle  ricorrenti,  le
discipline  della  vendita  al  pubblico  di  farmaci  da   banco   o
automedicazione,  dell'apertura  di  strutture  di  media  e   grande
distribuzione, o dell'organizzazione sanitaria, non vengono assorbite
nella competenza legislativa dello Stato relativa  alla  concorrenza,
ma richiedono di essere regolate dal legislatore  regionale,  tenendo
conto dei principi indicati  nel  censurato  art.  3,  comma  1,  del
decreto-legge n. 138 del 2011. 
    8. - Sono invece fondate le questioni aventi ad oggetto l'art. 3,
comma 3, del decreto-legge n. 138 del 2011. 
    8.1. - Le Regioni Emilia-Romagna e Umbria hanno censurato  l'art.
3,  comma  3,  il  quale,  al  primo  periodo,  dispone   che   siano
«soppresse», alla scadenza del termine di  un  anno  dall'entrata  in
vigore della legge di conversione  -  termine  poi  prorogato  al  30
settembre 2012 -, le «normative statali incompatibili» con i principi
disposti al comma 1 del medesimo art. 3, con conseguente applicazione
diretta  degli  istituti  di  segnalazione  di  inizio  attivita'   e
dell'autocertificazione. Al secondo periodo, il comma 3 dispone  che,
fino alla scadenza del termine, l'adeguamento al principio di cui  al
comma 1 possa avvenire anche attraverso strumenti di  semplificazione
normativa; infine, al terzo periodo, il  comma  3  autorizza,  a  tal
fine, il  Governo  ad  adottare  uno  o  piu'  regolamenti  ai  sensi
dell'art. 17, comma  2,  della  legge  n.  23  agosto  1988,  n.  400
(Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della  Presidenza
del Consiglio dei Ministri), individuando le disposizioni abrogate  e
definendo la disciplina regolamentare  ai  fini  dell'adeguamento  al
principio di cui al comma 1. 
    Le ragioni di doglianza, con riferimento  all'art.  3,  comma  3,
primo periodo, evocano a parametro gli artt. 3 e 97 Cost., in  quanto
l'automatica soppressione delle normative statali  incompatibili  con
la disposizione di principio  di  cui  al  comma  1  genererebbe  una
situazione  di  grave  incertezza  normativa  e   sarebbe,   percio',
irragionevole  e  contraria  al   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione.  Con  riferimento  al  terzo  periodo,  si   lamenta
anzitutto la violazione del principio di legalita'  sostanziale,  dal
momento che i regolamenti di delegificazione verrebbero introdotti in
assenza di una necessaria cornice legislativa; inoltre,  la  medesima
disposizione sarebbe in contrasto anche con l'art. 117, sesto  comma,
Cost.,  in  quanto  l'esercizio  del  potere  regolamentare   sarebbe
autorizzato senza delimitazioni di materia, potendo esplicarsi  anche
nell'ambito di competenze concorrenti e residuali regionali, rispetto
alle quali la potesta'  regolamentare  e'  attribuita  alla  Regione;
infine, anche qualora si ritenesse che si  sia  in  presenza  di  una
ipotesi di attrazione in sussidiarieta' della potesta'  regolamentare
regionale, con riferimento alle materie di cui all'art. 117, terzo  e
quarto comma,  Cost.,  la  legislazione  statale  sarebbe  egualmente
costituzionalmente illegittima, in quanto non avrebbe previsto alcuna
forma d'intesa in sede di  Conferenza  Stato-Regioni,  che  attui  il
principio  di  leale  collaborazione  con  riferimento  alle  materie
concorrenti e residuali regionali. 
    8.2. - L'art. 3, comma 3, e' costituzionalmente  illegittimo,  in
quanto dispone, allo scadere di un termine prestabilito, l'automatica
«soppressione», secondo la terminologia  usata  dal  legislatore,  di
tutte le normative  statali  incompatibili  con  il  principio  della
liberalizzazione delle attivita' economiche, stabilito al comma 1. 
    Alla luce delle  precedenti  considerazioni  relative  al  tenore
normativo  dell'art.  3,  comma  1,  che  contiene  disposizioni   di
principio, e non prescrizioni di carattere specifico e  puntuale,  la
soppressione  generalizzata  delle   normative   statali   con   esso
incompatibili appare indeterminata e  potenzialmente  invasiva  delle
competenze legislative regionali. Infatti,  sebbene  la  disposizione
abbia ad oggetto le sole  normative  statali,  la  «soppressione»  di
queste per incompatibilita' con principi cosi' ampi e  generali  come
quelli enunciati all'art. 3, comma 1, e che richiedono  una  delicata
opera  di  bilanciamento  e  ponderazione  reciproca,  a  parte  ogni
considerazione sulla  sua  praticabilita'  in  concreto,  non  appare
suscettibile  di  esplicare  effetti  confinati  ai  soli  ambiti  di
competenza statale. Altro e'  prevedere  l'abrogazione  di  normative
statali, altro e' asserire che gli effetti dell'abrogazione  di  tali
normative restino circoscritti ad ambiti di  competenza  statale.  Vi
sono normative statali che interessano direttamente o  indirettamente
materie di competenza regionale, come accade  nel  caso  delle  leggi
dello Stato relative  a  materie  di  competenza  concorrente,  o  di
competenza  statale  di  carattere  trasversale,  che  di  necessita'
s'intrecciano con  le  competenze  legislative  regionali.  L'effetto
della soppressione automatica e generalizzata delle normative statali
contrarie ai principi di cui all'art. 3, comma 1, oltre ad avere  una
portata  incerta  e  indefinibile,  potrebbe  riguardare  un   novero
imprecisato di atti normativi statali,  con  possibili  ricadute  sul
legislatore regionale, nel caso che tali atti  riguardino  ambiti  di
competenza  concorrente  o  trasversali,  naturalmente  correlati   a
competenze regionali. 
    Inoltre,      l'automaticita'       dell'abrogazione,       unita
all'indeterminatezza   della   sua   portata,   rende   impraticabile
l'interpretazione  conforme  a  Costituzione,  di   talche'   risulta
impossibile circoscrivere sul piano interpretativo gli effetti  della
disposizione impugnata ai soli ambiti di competenza statale. 
    Infine, poiche' la previsione censurata dispone  la  soppressione
per incompatibilita', senza individuare puntualmente quali  normative
risultino abrogate,  essa  pone  le  Regioni  in  una  condizione  di
obiettiva incertezza, nella misura in cui queste debbano adeguare  le
loro normative ai mutamenti  dell'ordinamento  statale.  Infatti,  le
singole Regioni, stando alla norma censurata, dovrebbero  ricostruire
se le singole disposizioni statali, che presentano profili  per  esse
rilevanti,  risultino  ancora  in  vigore  a  seguito  degli  effetti
dell'art. 3, comma 3, primo periodo. La valutazione sulla  perdurante
vigenza di  normative  statali  incidenti  su  ambiti  di  competenza
regionale spetterebbe a ciascun  legislatore  regionale,  e  potrebbe
dare esiti disomogenei,  se  non  addirittura  divergenti.  Una  tale
prospettiva determinerebbe ambiguita', incoerenza e opacita' su quale
sia la regolazione vigente per le  varie  attivita'  economiche,  che
potrebbe inoltre variare da Regione a Regione, con  ricadute  dannose
anche per gli operatori economici. 
    Di conseguenza, l'art.  3,  comma  3,  appare  viziato  sotto  il
profilo della ragionevolezza,  determinando  una  violazione  che  si
ripercuote sull'autonomia legislativa regionale  garantita  dall'art.
117 Cost., perche', anziche' favorire la  tutela  della  concorrenza,
finisce  per  ostacolarla,  ingenerando  grave   incertezza   fra   i
legislatori regionali e fra gli operatori economici. 
    8.3. - Per le medesime ragioni, la dichiarazione d'illegittimita'
costituzionale del primo periodo  dell'art.  3,  comma  3,  coinvolge
anche i periodi successivi della  disposizione  in  esame,  dato  che
l'ambito di intervento degli strumenti di  semplificazione,  previsti
dal   secondo   periodo,   nonche'   quello   dei   regolamenti    di
delegificazione  di  cui  al  terzo  periodo,  e'   determinato   per
relationem al primo periodo. La stessa indeterminatezza che vizia  la
prima  proposizione  si  riverbera  anche  sui  successivi  contenuti
dell'art.  3,  comma  3,  che   deve,   dunque,   essere   dichiarato
costituzionalmente illegittimo. 
    9. - Le Regioni  Emilia-Romagna  e  Umbria  hanno  poi  impugnato
l'art. 3, comma 10. Questo si colloca  a  seguito  di  una  serie  di
disposizioni abrogative di  restrizioni  all'esercizio  di  attivita'
economiche.  Il  comma  10  consente  l'eliminazione   di   ulteriori
restrizioni,   attraverso   «regolamento   da   emanare   ai    sensi
dell'articolo 17, comma 2,  della  legge  23  agosto  1988,  n.  400,
emanato su  proposta  del  Ministro  competente  entro  quattro  mesi
dall'entrata in vigore» del decreto oggetto di censura. 
    9.1. - A detta delle ricorrenti, tale comma sarebbe viziato sotto
vari profili: anzitutto non risponderebbe al principio  di  legalita'
sostanziale, in quanto l'esercizio della  potesta'  regolamentare  da
parte del Governo, sarebbe  autorizzato  senza  specificazioni  e  in
assenza di criteri capaci di circoscriverlo; inoltre,  contrasterebbe
con l'art. 117 sesto comma, Cost., nella misura in  cui  la  potesta'
regolamentare cui il comma fa riferimento venga esercitata in  ambiti
di competenza regionale; infine, ed in subordine,  nelle  ipotesi  in
cui vengano in rilievo materie di competenza regionale e  si  ritenga
che queste siano state attratte  in  sussidiarieta'  alla  competenza
statale,  sarebbe  del  tutto  assente  la  previsione  di  strumenti
applicativi del principio di leale collaborazione. 
    9.2. - Le questioni aventi ad oggetto l'art.  3,  comma  10,  non
sono fondate. 
    A prescindere da ogni considerazione circa la  conformita'  della
disposizione  impugnata  al  modello  di  delegificazione   delineato
all'art. 17, comma 2,  della  legge  n.  400  del  1988,  per  quanto
riguarda la violazione delle competenze regionali  occorre  osservare
che, a differenza dell'art. 3, comma 3, precedentemente esaminato, il
comma 10 ha un  ambito  di  applicazione  circoscrivibile  alle  sole
materie di competenza statale e pertanto legittimamente  consente  al
Governo  di  esercitare  la  potesta'  regolamentare  per   eliminare
ulteriori - rispetto  a  quelle  stabilite  dai  commi  precedenti  -
restrizioni al libero esercizio delle  attivita'  economiche.  Questa
lettura della disposizione censurata e' l'unica compatibile  sia  con
il  testo  costituzionale,  che  vieta  l'esercizio  della   potesta'
regolamentare da parte del  Governo  al  di  fuori  delle  competenze
esclusive  statali,  sia  con  il  contesto  normativo  in   cui   la
disposizione in esame si colloca. 
    10. - Anche l'art.  3,  comma  11,  e'  impugnato  dalle  Regioni
Emilia-Romagna  e  Umbria.   Tale   comma   prevede   che   eccezioni
all'abrogazione  delle  restrizioni  all'esercizio  delle   attivita'
economiche possano essere concesse «con decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  su  proposta  del  Ministro  competente  di
concerto con il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  sentita
l'Autorita' garante della concorrenza e del  mercato,  entro  quattro
mesi dalla data di entrata in vigore» della legge di conversione  del
decreto-legge impugnato, e in ipotesi indicate espressamente. 
    10.1. - Le ricorrenti lamentano  che  tale  disposizione,  da  un
lato, violerebbe l'art. 117 Cost., in quanto  consentirebbe  soltanto
allo Stato, e non anche alle Regioni, di mantenere delle  limitazioni
alle liberta' economiche,  per  ragioni  di  pubblico  interesse.  In
subordine, anche qualora si  ritenesse  necessario,  per  ragioni  di
uniformita' e sussidiarieta', consentire l'attrazione di tale  potere
regolatorio  in  capo  allo  Stato,  mancherebbe  la  previsione   di
un'intesa  in  sede  di  Conferenza  Stato-Regioni,  con  conseguente
violazione del principio di leale collaborazione. 
    10.2. - Anche le censure relative all'art. 3, comma 11, non  sono
fondate. 
    La disposizione qui censurata, al pari  del  precedente  art.  3,
comma 10, deve essere intesa come dotata di un ambito di applicazione
delimitato alle sole materie di competenza  statale.  Consentendo  di
mantenere  alcune  eccezioni   alla   liberalizzazione   e   pertanto
giustificando  alcune  restrizioni   all'iniziativa   economica,   da
individuarsi con decreto del Presidente della Repubblica,  l'art.  3,
comma 11, si rivolge alle  sole  normative  statali  e,  tra  queste,
soltanto a quelle che non interferiscono con le competenze regionali.
La disposizione censurata,  non  riguardando  materie  di  competenza
legislativa regionale, e' pertanto inidonea a vulnerare gli interessi
regionali.