N. 199 SENTENZA 17 - 20 luglio 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Servizi pubblici locali di rilevanza economica - Disciplina di adeguamento al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea - Ricorso della Regione Puglia - Asserito contrasto con il trattato europeo, con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nonche' con il principio di preemption - Genericita' e indeterminatezza delle censure - Impossibilita' di individuare i termini della questione - Inammissibilita'. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 4. - Costituzione, art. 117, primo comma; trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), artt. 14, 106 e 345; carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 36, nonche' principio di preemption. Servizi pubblici locali di rilevanza economica - Disciplina di adeguamento al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea - Ricorsi delle Regioni Puglia, Lazio, Marche, Emilia-Romagna e Umbria - Evocazione di parametro di legittimita' diverso da quelli che sovrintendono al riparto di competenze - Onere di indicare e motivare la possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto di competenze - Ammissibilita' della questione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 4. - Costituzione, art. 75. Servizi pubblici locali di rilevanza economica - Disciplina di adeguamento al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea - Contenuto precettivo riproduttivo della ratio della norma abrogata e che, anzi, rende ancor piu' limitate le ipotesi di affidamento diretto e di gestione in house - Violazione del divieto di riproposizione della disciplina formale e sostanziale oggetto di abrogazione referendaria - Lesione indiretta delle competenze costituzionali delle Regioni in materia di servizi pubblici locali - Illegittimita' costituzionale - Assorbimento degli ulteriori profili. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 4, nel testo originario e in quello risultante dalle successive modificazioni. - Costituzione, art. 75 (artt. 5, 77, 114, 117 e 118; statuto della Regione Sardegna, artt. 3 e 4).

      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'articolo  4  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.  148,  promossi  con
ricorsi delle Regioni Puglia, Lazio, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e
della Regione autonoma della Sardegna, notificati il 12  ottobre,  il
14-16, il 14-18 ed il 15 novembre 2011, depositati il 21 ottobre,  il
18, il 22, il 23 ed il 24 novembre 2011, rispettivamente iscritti  ai
nn. 124, 134, 138, 144, 147 e 160 del registro ricorsi 2011. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  19  giugno  2012  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per
le Regioni Emilia-Romagna ed Umbria, Massimo Luciani per  la  Regione
autonoma della Sardegna, Renato Marini  per  la  Regione  Lazio,  Ugo
Mattei e Alberto Lucarelli per la Regione Puglia, Stefano Grassi  per
la Regione Marche e l'avvocato  dello  Stato  Paolo  Gentili  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso (reg. ric. n. 124 del  2011),  notificato  il  12
ottobre 2011 e depositato il successivo 21 ottobre, la Regione Puglia
ha impugnato, fra l'altro, l'articolo 4 del decreto-legge  13  agosto
2011,  n.  138  (Ulteriori  misure  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148,  nella  parte  in  cui  la  predetta
norma, intitolata «Adeguamento della disciplina dei servizi  pubblici
locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione  europea»,
detta la nuova disciplina dei servizi pubblici  locali  di  rilevanza
economica, per violazione degli articoli 117, primo e  quarto  comma,
118, nonche' degli articoli 5, 75, 77 e 114 della Costituzione. 
    1.1.- In particolare, la ricorrente sostiene che il  citato  art.
4, limitando le ipotesi di affidamento in house dei servizi  pubblici
locali senza gara al  di  sotto  di  900.000  euro  alle  societa'  a
capitale interamente pubblico, ed in  generale  comprimendo  in  capo
agli enti territoriali e locali il potere di  qualificare  la  natura
dei predetti servizi e di scegliere i relativi modelli  di  gestione,
al di la' di ogni obiettivo di tutela  degli  aspetti  concorrenziali
inerenti   alla   gara,   contrasterebbe   con    i    principi    di
autodeterminazione degli enti locali (artt. 5, 114, 117 e 118 Cost.).
La norma impugnata contrasterebbe poi anche con  l'articolo  345  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione  europea  (TFUE),  espressione
del principio di neutralita' rispetto agli assetti proprietari  delle
imprese e alle relative forme giuridiche, e con  il  principio  della
cosiddetta  preemption,  in  virtu'  del  quale  l'esistenza  di  una
regolamentazione  europea  precluderebbe  l'adozione  di   discipline
divergenti,  ponendo  peraltro  nel  nulla  intere  disposizioni  dei
Trattati (gli artt. 14 e 106, comma 2, TFUE, ma anche l'art. 36 della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea). 
    Il  predetto  art.  4,  inoltre,  reintrodurrebbe  la  disciplina
contenuta nell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, che  era  stato  abrogato
dal referendum del  12-13  giugno  2011,  riproducendone  i  medesimi
principi ispiratori e  le  medesime  modalita'  di  applicazione,  in
violazione della volonta'  popolare  espressa  ex  art  75  Cost.,  e
ricorrendo  ad  un'interpretazione  "estrema"  delle   regole   della
concorrenza e del mercato, lesiva delle competenze regionali in  tema
di servizi pubblici locali e di organizzazione degli enti locali. 
    La Regione Puglia  evoca,  infine,  la  violazione  dell'art.  77
Cost., considerato che, essendo direttamente applicabili  nel  nostro
ordinamento le norme dell'Unione europea a  seguito  dell'abrogazione
dell'art. 23-bis, non sussisterebbero, nella  specie,  le  prescritte
ragioni di «straordinaria necessita' ed  urgenza»  per  l'adeguamento
della  legislazione  alla  normativa  sovranazionale,  ben  potendosi
effettuare  un  simile  intervento  in  coerenza  con   gli   assetti
decentrati introdotti dalla Costituzione  e  con  il  pieno  rispetto
della volonta' del suo popolo, espressa attraverso il referendum. 
    2.- Anche la Regione Lazio, con ricorso (reg.  ric.  n.  134  del
2011) spedito per la notifica il 14 novembre  2011  e  depositato  il
successivo  18  novembre,  ha  promosso  questione  di   legittimita'
costituzionale, in via principale, dell'intero art. 4 del citato d.l.
n. 138 del 2011 innanzitutto, per violazione  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost. in quanto la norma impugnata, rimettendo all'ente locale
la  possibilita'  di  sottrarre  i  servizi  pubblici   locali   alla
liberalizzazione, dopo aver verificato l'esistenza di benefici per la
comunita' derivanti dal mantenere il regime di esclusiva dei  servizi
stessi, senza alcun fine di tutela della  concorrenza,  conseguirebbe
l'effetto  illegittimo  di  "espropriare"  l'ente   regionale   della
regolazione  della  materia  dei  servizi  pubblici  su  cui  ha  una
competenza legislativa residuale. 
    L'impugnata  disciplina  sarebbe,   inoltre,   costituzionalmente
illegittima  proprio  in  quanto  riproduttiva  di   quella   oggetto
dell'abrogazione referendaria. Infatti, pur ritenendo  che  lo  Stato
goda, attraverso la  tutela  della  concorrenza,  di  una  competenza
trasversale ed abbia la capacita'  di  incidere  sulle  modalita'  di
affidamento dei servizi pubblici locali, a  seguito  dell'abrogazione
referendaria di analoga disciplina  legislativa  statale,  un  simile
intervento del  legislatore  statale  «dovrebbe  essere  in  concreto
ritenuto   radicalmente   escluso»,   in   conseguenza   dell'effetto
vincolante  che  su  di  esso  deriva  dalla  suddetta   abrogazione,
incidendo in modo illegittimo,  attraverso  la  concorrenza,  su  una
materia di legislazione esclusiva della Regione. 
    3.- Con ricorso spedito per la  notifica  il  14  novembre  2011,
depositato il successivo 22 novembre, (reg. ric. n. 138 del 2011), la
Regione Marche ha promosso questione di legittimita'  costituzionale,
in via principale, dell'art. 4, commi 1, 8, 9 10, 11, 12,  13,  18  e
21, del medesimo d.l. n. 138 del 2011, in riferimento agli artt. 75 e
117, quarto comma, Cost. 
    In particolare, essa ha impugnato, in primo luogo, i commi 1,  8,
9, 10, 11, 12 e 13 dell'art. 4, sia  in  relazione  all'art.  75  che
all'art. 117, quarto comma, Cost. in quanto, riproducendo pressocche'
integralmente l'art. 23-bis del d.l. n. 112  del  2008,  eluderebbero
l'esito conseguito  dal  referendum  popolare  del  giugno  2011  sul
medesimo  art.  23-bis,  determinando  una  lesione  indiretta  delle
proprie  attribuzioni  costituzionali  ed  in  specie  della  propria
potesta' legislativa in materia di  servizi  pubblici  locali.  Dette
disposizioni  sarebbero  costituzionalmente  illegittime,  in  quanto
affidando, al comma 1, direttamente agli enti locali  il  compito  di
decidere circa il  regime  giuridico  dei  servizi  pubblici  locali,
sottrarrebbero alla Regione la scelta  in  questione,  in  violazione
della competenza legislativa residuale in materia di servizi pubblici
locali. 
    La Regione  Marche  ha,  inoltre,  impugnato:  il  comma  18  del
medesimo art.  4,  nella  parte  in  cui  prevede  che,  in  caso  di
affidamento in house, la  verifica  del  rispetto  del  contratto  di
servizio avvenga secondo modalita' definite dallo  statuto  dell'ente
locale, in quanto, in tal modo, sottrarrebbe la  disciplina  di  tale
aspetto alla competenza legislativa regionale residuale in materia di
servizi pubblici locali; il comma 21, in quanto, nella parte  in  cui
dispone che «non possono essere nominati amministratori  di  societa'
partecipate da enti locali coloro che nei tre  anni  precedenti  alla
nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, di  cui  all'art.
77 del decreto legislativo 18  agosto  2000,  n.  267,  e  successive
modificazioni,   negli   enti   locali   che   detengono   quote   di
partecipazione al capitale della  stessa  societa'»,  invaderebbe  la
competenza legislativa regionale residuale in materia di  ordinamento
degli enti locali. 
    4.- La Regione Emilia-Romagna e la Regione Umbria,  con  ricorsi,
notificati il 15 novembre 2011, depositati il successivo 23  novembre
(rispettivamente, reg. ric. n. 144 e n. 147 del 2011), hanno promosso
questione di legittimita'  costituzionale,  in  via  principale,  dei
commi 8, 12, 13, 14, 32 e 33, del citato art. 4 del d.l. n.  138  del
2011, in riferimento agli artt. 75 e 117, quarto comma, Cost. 
    Esse impugnano, in primo luogo, i commi 8, 12, 13, 32 e 33, nella
parte in cui, ripristinando norme gia' contenute nell'art. 23-bis del
d.l. n. 112 del 2008, abrogato mediante referendum,  e  nel  relativo
regolamento di attuazione, di cui al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 7 settembre  2010,  n.  168  (Regolamento  in  materia  di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell'articolo
23-bis,  comma  10,  del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n.   112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto  2008,  n.  133),
rispettivamente: a) escludono l'affidamento diretto  in  house  dalle
forme ordinarie di conferimento della gestione dei servizi  pubblici,
ove il  valore  economico  del  servizio  sia  superiore  alla  somma
complessiva di 900 mila euro annui  (commi  8  e  13);  b)  prevedono
l'affidamento  del  servizio  a  societa'  a   partecipazione   mista
pubblica, a condizione che essa sia costituita con  procedura  avente
ad oggetto, allo stesso tempo, la selezione del  socio  privato,  cui
devono  essere  attribuiti  specifici   compiti   operativi   e   una
partecipazione non inferiore al 40 %, e l'affidamento  del  servizio,
con conseguente  esclusione  di  altre  fattispecie  di  partenariato
pubblico-privato  presenti  a  livello  comunitario  (comma  12);  c)
disciplinano il regime transitorio degli affidamenti, riproponendo in
termini analoghi limitazioni e scadenze al regime  degli  affidamenti
in atto gia' fissate dall'abrogato art. 23-bis e volte a  penalizzare
le forme  di  autoproduzione  dei  servizi  (comma  32);  d)  infine,
confermano il  divieto,  per  le  societa'  titolari  di  affidamenti
diretti, di acquisire servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali
diversi, nonche' di svolgere  servizi  o  attivita'  per  altri  enti
pubblici o privati, ne' direttamente, ne' tramite  societa'  ad  esse
riferite, ne' partecipando a gare (comma 33). 
    Cosi' disponendo, i richiamati commi violerebbero gli artt. 75  e
117, quarto comma, Cost. in quanto, rendendo estremamente limitate le
ipotesi di affidamento diretto e,  in  particolare,  di  gestione  in
house di quasi tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica
ed indicando come alternative ed equivalenti  le  sole  modalita'  di
esternalizzazione, determinerebbero una limitazione  della  capacita'
di  scelta  degli  enti  territoriali,   suscettibile   di   incidere
sull'autonomia  loro  riconosciuta  in  materia,  arbitraria  perche'
realizzata senza alcuna  concertazione  con  i  predetti,  ed  ancora
maggiore di quella delineata dall'art. 23-bis del  d.l.  n.  112  del
2008 che il referendum ha eliminato "in toto", in  violazione  quindi
anche del  divieto  di  riproposizione  della  disciplina  formale  e
sostanziale oggetto di abrogazione referendaria, di cui  all'art.  75
Cost. 
    Una censura particolare e', poi, proposta nei confronti del comma
14 del predetto art. 4, nella parte in cui prevede  l'assoggettamento
delle societa' in house al patto di stabilita'  interno  «secondo  le
modalita' definite, con il concerto del Ministro per le  riforme  per
il federalismo, in sede di attuazione dell'art. 18, comma 2-bis,  del
d.l.  n.  112  del  2008».  Tale  norma  sarebbe   costituzionalmente
illegittima per le stesse ragioni per le quali questa Corte,  con  la
sentenza n. 325 del 2010, ha ritenuto costituzionalmente  illegittimo
il riferimento al patto di stabilita' previsto dal comma 10,  lettera
a) dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del  2008,  sul  presupposto  che
«l'ambito di applicazione del patto  di  stabilita'  interno  attiene
alla materia del coordinamento della finanza  pubblica  (sentenze  n.
284 e n. 237 del 2009; n. 267 del 2006),  di  competenza  legislativa
concorrente, e non a  materie  di  competenza  legislativa  esclusiva
statale, per  le  quali  soltanto  l'art.  117,  sesto  comma,  Cost.
attribuisce allo Stato la potesta' regolamentare». 
    5.- Con ricorso, notificato il 15 novembre  2011,  depositato  il
successivo 24 novembre (reg. ric. n. 160 del 2011), anche la  Regione
autonoma  della  Sardegna  ha  promosso  questione  di   legittimita'
costituzionale, in via principale, dell'art. 4 del d.l.  n.  138  del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, per
violazione degli artt. 3, (specialmente comma 1, lettere a, b e g)  e
4 (specialmente comma 1, lettere f e g) della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna). 
    La norma impugnata violerebbe gli  artt.  3  e  4  dello  statuto
speciale, in quanto, attribuendo direttamente  agli  enti  locali  la
competenza a determinare  le  modalita'  di  erogazione  dei  servizi
pubblici (in specie al comma 1),  lederebbe  le  competenze  primarie
della Regione Sardegna nelle  materie  «ordinamento  degli  uffici  e
degli  enti  amministrativi  della  Regione  e  stato  giuridico   ed
economico del personale», «ordinamento degli enti locali», «trasporti
su  linee  automobilistiche  e  tranviarie»,  nonche'  la  competenza
concorrente nelle materie «assunzione di pubblici servizi»  e  «linee
marittime ed aeree di cabotaggio  fra  i  porti  e  gli  scali  della
Regione», dettando norme in materie connesse, ma distinte  da  quella
della tutela della concorrenza, quali  lo  svolgimento  del  servizio
pubblico, il rispetto del patto di stabilita' da parte delle  aziende
appaltanti, l'assunzione del personale e  l'acquisizione  di  beni  e
servizi  da  parte  delle  imprese   aggiudicatarie   del   servizio,
l'organizzazione del controllo  da  parte  dell'ente  appaltante  sul
servizio pubblico erogato. 
    6.- In tutti  i  giudizi  si  e'  costituito  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  i  ricorsi  vengano  dichiarati
infondati. 
    In particolare,  il  resistente  osserva  che  le  argomentazioni
relative  alla  dedotta  violazione  del  riparto  costituzionale  di
competenze coincidono sostanzialmente con quelle  gia'  proposte  nei
ricorsi relativi all'art. 23-bis, del d.l. n. 112 del 2008 e ritenute
prive di fondamento dalla sentenza n. 325 del 2010. 
    Neppure  avrebbe  maggior  fondamento  la  censura  proposta   in
riferimento all'art. 75 Cost. poiche', diversamente da quanto opinato
dalla  ricorrente,  la  giurisprudenza  costituzionale,  pur   avendo
rilevato in alcune decisioni la non riproponibilita'  della  medesima
disciplina abrogata, non avrebbe mai avuto occasione  di  specificare
la portata di tale preclusione. 
    Inoltre, non corrisponderebbe al vero  che  la  nuova  disciplina
condividerebbe la ratio dell'abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112 del
2008:  infatti,  mentre   quest'ultima   disposizione   mirava   alla
realizzazione di una sistema di concorrenza per il mercato, il  nuovo
articolo  4  del  d.l.  n.  138  del  2011   sarebbe   diretto   alla
realizzazione di un  sistema  di  concorrenza  nel  mercato.  Infine,
sarebbero numerosi gli elementi di diversita' fra  le  discipline  in
gioco, fra cui, di particolare significato, l'esclusione del  settore
idrico e l'innalzamento a 900.000 euro della soglia al di sotto della
quale l'affidamento in house e'  rimesso  alla  scelta  discrezionale
dell'ente. 
    In generale, il resistente osserva che la normativa in  esame,  a
fronte  della  necessita',  condivisa  a  livello   comunitario,   di
garantire uno sviluppo  economico  maggiore  mediante  la  promozione
della concorrenza e la liberalizzazione delle attivita' e dei servizi
aventi rilevanza economica, ha dovuto rimediare  al  vuoto  normativo
venutosi a creare con il referendum abrogativo del  12  e  13  giugno
2011 (art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008), avendo comunque cura  di
tutelare  settori  particolarmente  sensibili  nel   rispetto   della
volonta' popolare. 
    7.-  All'udienza  pubblica   le   parti   hanno   insistito   per
l'accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sei distinti ricorsi, le Regioni Puglia (reg. ric. n. 124
del 2011), Lazio (reg. ric. n. 134 del 2011), Marche  (reg.  ric.  n.
138 del 2011), Emilia-Romagna (reg. ric. n.  144  del  2011),  Umbria
(reg. ric. n. 147 del 2011) e  la  Regione  autonoma  della  Sardegna
(reg. ric. n. 160 del 2011) hanno promosso questioni di  legittimita'
costituzionale di svariate disposizioni del decreto-legge  13  agosto
2011,  n.  138  (Ulteriori  misure  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148, ed in particolare dell'articolo 4. 
    Riservata a  separate  pronunce  la  decisione  sull'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel suddetto decreto-legge n.  138
del  2011,  sono  qui  esaminate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale aventi ad oggetto l'articolo 4 del  predetto  decreto,
in riferimento agli  articoli  5,  75,  77,  114,  117  e  118  della
Costituzione, nonche' in relazione agli articoli 3 e  4  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna). 
    I  ricorsi  censurano,  con   argomentazioni   in   buona   parte
coincidenti, la stessa norma.  I  relativi  giudizi,  dunque,  devono
essere riuniti per essere definiti con unica sentenza. 
    2.-  In   linea   preliminare,   occorre   prendere   atto   che,
successivamente alla proposizione dei ricorsi, l'impugnato art. 4 del
d.l. n. 138 del 2011 ha subito numerose modifiche, in particolare per
effetto dell'art. 9, comma 2, lettera n),  della  legge  12  novembre
2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - Legge di stabilita' 2012)  e  dell'art.  25
del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per  la
concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e  la  competitivita'),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  24
marzo 2012, n. 27, nonche' dell'art. 53, comma  1,  lettera  b),  del
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per  la  crescita
del Paese). 
    Tali  modifiche  sopravvenute,  che  limitano  ulteriormente   le
ipotesi di affidamento diretto  dei  servizi  pubblici  locali  (come
risulta,  in  specie,  dall'introduzione   della   previsione   della
possibilita' di affidamenti diretti solo  per  i  servizi  di  valore
inferiore a  200.000  euro:  comma  13;  previo  parere  obbligatorio
dell'Autorita' garante della  concorrenza  e  del  mercato  che  puo'
pronunciarsi «in merito all'esistenza di ragioni idonee e sufficienti
all'attribuzione di diritti di  esclusiva»:  comma  3;  con  espressa
previsione  della  prevalenza  della  normativa  in  questione  sulle
normative di settore: comma 34; con la previsione dell'esercizio  del
potere sostitutivo del Governo nel caso di  inottemperanza  a  quanto
previsto dalla normativa in questione: comma  32-bis)  confermano  il
contenuto prescrittivo  delle  disposizioni  oggetto  delle  censure,
sollevate con i ricorsi  indicati  in  epigrafe,  comprimendo,  anzi,
ancor di  piu',  le  sfere  di  competenza  regionale.  Pertanto,  le
predette questioni - in forza del  principio  di  effettivita'  della
tutela costituzionale - devono essere estese alla nuova  formulazione
dell'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 (sentenza n. 142 del 2012). 
    3.- Le Regioni hanno impugnato il citato art. 4  nella  parte  in
cui tale disposizione, rubricata come «Adeguamento  della  disciplina
dei servizi pubblici locali al referendum popolare e  alla  normativa
dall'Unione europea», detta la nuova disciplina dei servizi  pubblici
locali  di  rilevanza  economica  in  luogo  dell'art.   23-bis   del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
abrogato a seguito del referendum del 12 e 13 giugno 2011. Le Regioni
Puglia, Lazio e Sardegna hanno censurato l'intero art. 4,  mentre  le
altre Regioni (Marche,  Umbria  ed  Emilia-Romagna)  hanno  censurato
taluni commi del medesimo articolo. 
    In particolare, secondo la  Regione  Puglia,  il  citato  art.  4
violerebbe, innanzitutto, l'art. 117, primo comma,  Cost.,  ponendosi
in contrasto con gli artt. 14 e 106 del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione  europea  e  con  l'art.  36  della  Carta  dei   diritti
fondamentali  dell'Unione  europea,  dai  quali  si  desumerebbe   il
riconoscimento di un principio di pluralismo di fonti, nonche' con il
principio  comunitario   di   neutralita'   rispetto   agli   assetti
proprietari delle imprese e alle relative forme  giuridiche  ex  art.
345 del TFUE e con il principio di preemption in  base  al  quale  la
regolamentazione dell'Unione europea avrebbe l'effetto di  precludere
a livello nazionale l'adozione di discipline divergenti. 
    Da tutte le Regioni, ad eccezione della  Regione  autonoma  della
Sardegna, viene dedotta la violazione dell'art. 75 Cost.,  in  quanto
la norma impugnata (ed in particolare i commi 1, 8, 9 10, 11, 12 e 13
secondo la Regione Marche ed anche i commi 32 e 33 secondo le Regioni
Emilia-Romagna  ed  Umbria)  avrebbe  riprodotto  la  norma   oggetto
dell'abrogazione referendaria (art. 23-bis del d.l. n. 112 del  2008)
e parti significative delle norme di attuazione  della  medesima,  di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre  2010,  n.
168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali  di  rilevanza
economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del  decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6
agosto 2008, n. 133), recando una disciplina  che  rende  ancor  piu'
limitate le ipotesi di affidamento  diretto  e,  in  particolare,  di
gestione in house  di  quasi  tutti  i  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica, in  violazione  del  divieto  di  riproposizione
della  disciplina  formale  e  sostanziale  oggetto  di   abrogazione
referendaria, di cui all'art. 75 Cost.,  e  con  conseguente  lesione
indiretta delle  proprie  competenze  costituzionali  in  materia  di
servizi pubblici locali. 
    La Regione Puglia ha censurato, inoltre, la predetta norma  anche
sotto il profilo della violazione dell'art. 77 Cost.,  in  quanto,  a
seguito dell'abrogazione dell'art. 23-bis del d.l. n.  112  del  2008
sarebbe comunque applicabile direttamente nel nostro  ordinamento  la
normativa comunitaria conferente e non sussisterebbero le ragioni  di
«straordinaria   necessita'   ed   urgenza»   per   provvedere    con
decreto-legge, ben  potendosi  effettuare  un  simile  intervento  in
coerenza con gli assetti decentrati introdotti dalla  Costituzione  e
con il  pieno  rispetto  della  volonta'  del  suo  popolo,  espressa
attraverso il referendum. 
    Tutte le Regioni, poi, hanno impugnato la norma  per  il  mancato
rispetto del  riparto  di  competenze  tra  Stato  e  Regioni  quanto
all'affidamento e alla disciplina dei  servizi  pubblici  locali.  La
norma denunciata - ed in particolare i commi 1, 8, 9, 10, 11, 12 e 13
- nella parte in cui attribuisce direttamente  agli  enti  locali  la
competenza a decidere circa le modalita' di  erogazione  dei  servizi
pubblici (in specie al comma 1) e delimita la stessa decisione  degli
enti locali, stabilendo vincoli stringenti  alla  possibilita'  degli
affidamenti diretti,  determinerebbe  una  lesione  della  competenza
regionale residuale in materia di servizi pubblici locali,  eccedendo
dall'ambito della competenza  statale  in  materia  di  tutela  della
concorrenza, che  comprende  il  solo  profilo  dell'affidamento  del
servizio pubblico  locale,  e  dettando  altresi'  norme  in  materie
connesse, ma distinte, in violazione degli artt. 5, 114,  117  e  118
della Costituzione, nonche' degli artt. 3 e 4 dello statuto  speciale
per la Sardegna. 
    La Regione Marche  ha,  altresi',  impugnato:  il  comma  18  del
medesimo art. 4, in quanto, prevedendo che, in caso di affidamento in
house, la verifica del rispetto del  contratto  di  servizio  avvenga
secondo modalita' definite dallo statuto dell'ente locale, violerebbe
la potesta' legislativa regionale residuale  in  materia  di  servizi
pubblici locali; il  comma  21,  nella  parte  in  cui,  limitando  i
requisiti per la nomina degli amministratori di societa'  partecipate
da enti locali, invaderebbe  la  competenza  regionale  residuale  in
materia di ordinamento degli enti locali. 
    Un'ulteriore censura e', poi, proposta, dalle Regioni  Umbria  ed
Emilia-Romagna, nei confronti del comma 14 del predetto art. 4, nella
parte in cui prevede l'assoggettamento delle  societa'  in  house  al
patto di stabilita' interno, per  le  stesse  ragioni  per  le  quali
questa  Corte,  con  la  sentenza  n.  325  del  2010,  ha   ritenuto
costituzionalmente illegittimo il riferimento al patto di  stabilita'
previsto dal comma 10, lettera a), dell'art. 23-bis del d.l.  n.  112
del 2008. 
    4.-  Preliminarmente,  va  dichiarata  l'inammissibilita'   della
questione promossa dalla Regione Puglia in riferimento all'art.  117,
primo comma, Cost., per contrasto con gli artt. 14,  106  e  345  del
Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e con l'art. 36  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,  nonche'  con  il
principio della c.d. preemption. 
    4.1.- Posto che l'esigenza di una adeguata motivazione a sostegno
della impugnativa si pone «in  termini  perfino  piu'  pregnanti  nei
giudizi diretti che non in quelli incidentali» (sentenza n.  450  del
2005), nella specie l'assoluta genericita' ed indeterminatezza  delle
censure proposte con riguardo alla  pretesa  violazione  di  principi
comunitari,  anch'essi  genericamente  invocati,  non   consente   di
individuare  in  modo  corretto  i   termini   della   questione   di
costituzionalita',  con  conseguente  inammissibilita'  della  stessa
(sentenza n. 119 del 2010). 
    5.- E', invece, ammissibile la questione  proposta  da  tutte  le
ricorrenti, ad eccezione della Regione autonoma  della  Sardegna,  in
riferimento all'art. 75 Cost. 
    5.1.- Questa Corte ha piu' volte affermato che le Regioni possono
evocare parametri di legittimita' diversi da quelli che sovrintendono
al riparto di attribuzioni solo allorquando la violazione  denunciata
sia «potenzialmente  idonea  a  determinare  una  vulnerazione  delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni» (sentenza n. 303 del 2003;
di recente, nello stesso senso, sentenze n. 80 e n. 22  del  2012)  e
queste abbiano sufficientemente motivato in ordine ai profili di  una
"possibile ridondanza"  della  predetta  violazione  sul  riparto  di
competenze, assolvendo all'onere di operare la necessaria indicazione
della specifica competenza regionale che  ne  risulterebbe  offesa  e
delle ragioni di tale lesione (sentenza n. 33 del 2011). 
    Nella specie, le richiamate condizioni  di  ammissibilita'  delle
censure sono soddisfatte. 
    Le ricorrenti assumono che, con  l'abrogazione  dell'art.  23-bis
del d.l. n. 112 del 2008, che riduceva le possibilita' di affidamenti
diretti dei servizi pubblici locali,  con  conseguente  delimitazione
degli ambiti di competenza  legislativa  residuale  delle  Regioni  e
regolamentare degli enti locali, le competenze regionali e degli enti
locali nel settore dei servizi pubblici  locali  si  sono  riespanse.
Infatti,  a  seguito  della  predetta  abrogazione,   la   disciplina
applicabile era quella comunitaria, piu' "favorevole" per le  Regioni
e per gli enti locali.  Pertanto,  la  reintroduzione  da  parte  del
legislatore    statale    della    medesima    disciplina     oggetto
dell'abrogazione referendaria (anzi, di  una  regolamentazione  ancor
piu' restrittiva, frutto  di  un'interpretazione  ancor  piu'  estesa
dell'ambito  di  operativita'  della  materia  della   tutela   della
concorrenza di competenza statale  esclusiva),  ledendo  la  volonta'
popolare espressa attraverso la consultazione  referendaria,  avrebbe
determinato anche una potenziale lesione delle  richiamate  sfere  di
competenza sia delle Regioni che degli enti locali. 
    Cosi' argomentando, le  Regioni  hanno  fornito  una  sufficiente
motivazione in ordine ai profili  della  "possibile  ridondanza"  sul
riparto di competenze della denunciata  violazione,  evidenziando  la
potenziale lesione della potesta' legislativa regionale residuale  in
materia di servizi  pubblici  locali  (e  della  relativa  competenza
regolamentare degli enti locali)  che  deriverebbe  dalla  violazione
dell'art. 75 Cost. 
    5.2.- Nel merito, la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 e' fondata. 
    5.2.1.- Il citato art. 4 e' stato adottato con d.l. n. 138 del 13
agosto 2011, dopo che, con decreto del Presidente della Repubblica 18
luglio 2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di  referendum  popolare,
dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del  2008,  convertito,
con  modificazioni,  dalla  legge  n.  133  del  2008,  e  successive
modificazioni, nel testo risultante a seguito  della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 325 del 2010,  in  materia  di  modalita'  di
affidamento e gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica),  era  stata  dichiarata  l'abrogazione,  a   seguito   di
referendum popolare, dell'art. 23-bis  del  d.l.  n.  112  del  2008,
recante la precedente  disciplina  dei  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica. 
    Quest'ultima si caratterizzava  per  il  fatto  che  dettava  una
normativa generale di settore, inerente  a  quasi  tutti  i  predetti
servizi, fatta eccezione per quelli espressamente  esclusi,  volta  a
restringere,  rispetto  al  livello  minimo  stabilito  dalle  regole
concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto  e,  in
particolare, di gestione in house  dei  servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica,  consentite  solo  in  casi  eccezionali  ed  al
ricorrere di specifiche condizioni, la cui puntuale  regolamentazione
veniva, peraltro, demandata ad un regolamento  governativo,  adottato
con il decreto del Presidente della Repubblica 7  settembre  2010  n.
168 (Regolamento in materia di servizi pubblici locali  di  rilevanza
economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del  d.l.  n.  112
del 2008). 
    Con la  richiamata  consultazione  referendaria  detta  normativa
veniva abrogata e si realizzava, pertanto, l'intento referendario  di
«escludere l'applicazione delle norme contenute nell'art. 23-bis  che
limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di  affidamento
diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di  pressoche'
tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi  compreso
il servizio idrico)» (sentenza n.  24  del  2011)  e  di  consentire,
conseguentemente, l'applicazione diretta della normativa  comunitaria
conferente. 
    A distanza di meno di un mese  dalla  pubblicazione  del  decreto
dichiarativo dell'avvenuta abrogazione dell'art. 23-bis del  d.l.  n.
112 del 2008, il Governo e' intervenuto nuovamente sulla materia  con
l'impugnato art. 4, il quale, nonostante sia intitolato  «Adeguamento
della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e
alla normativa dall'Unione europea», detta una nuova  disciplina  dei
servizi pubblici locali di  rilevanza  economica,  che  non  solo  e'
contraddistinta dalla medesima ratio di quella  abrogata,  in  quanto
opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti  in  house,
al di la' di quanto prescritto dalla  normativa  comunitaria,  ma  e'
anche  letteralmente  riproduttiva,  in  buona  parte,  di   svariate
disposizioni dell'abrogato art. 23-bis e di  molte  disposizioni  del
regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto  nel  d.P.R.
n. 168 del 2010. 
    Essa, infatti, da un lato,  rende  ancor  piu'  remota  l'ipotesi
dell'affidamento diretto dei servizi, in quanto non solo  limita,  in
via generale, «l'attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in
cui, in  base  ad  una  analisi  di  mercato,  la  libera  iniziativa
economica  privata  non  risulti  idonea  a  garantire  un   servizio
rispondente ai bisogni della comunita'»  (comma  1),  analogamente  a
quanto disposto dall'art. 23-bis (comma 3) del d.l. n. 112 del  2008,
ma la ancora anche al rispetto di una soglia  commisurata  al  valore
dei servizi stessi, il superamento della  quale  (900.000  euro,  nel
testo originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel  testo  vigente
del  comma   13)   determina   automaticamente   l'esclusione   della
possibilita' di affidamenti  diretti.  Tale  effetto  si  verifica  a
prescindere da qualsivoglia valutazione dell'ente locale,  oltre  che
della Regione, ed anche - in linea con l'abrogato art.  23-bis  -  in
difformita' rispetto a quanto previsto dalla  normativa  comunitaria,
che consente, anche se non impone (sentenza  n.  325  del  2010),  la
gestione diretta del servizio pubblico  da  parte  dell'ente  locale,
allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza  ostacoli,  in
diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente  pubblico  (art.
106 TFUE), alle sole  condizioni  del  capitale  totalmente  pubblico
della societa' affidataria, del cosiddetto  controllo  "analogo"  (il
controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario  deve  essere
di "contenuto analogo"  a  quello  esercitato  dall'aggiudicante  sui
propri  uffici)  ed  infine  dello  svolgimento  della   parte   piu'
importante     dell'attivita'     dell'affidatario     in      favore
dell'aggiudicante. 
    Dall'altro lato, la disciplina recata dall'art. 4 del d.l. n. 138
del 2011 riproduce, ora nei principi, ora  testualmente,  sia  talune
disposizioni contenute nell'abrogato art. 23-bis del d.l. n. 112  del
2008 (e' il caso, ad esempio, del comma 3 dell'art. 23-bis  del  d.l.
n. 112 del 2008 "recepito" in via di principio dai primi sette  commi
dell'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, in tema di scelta  della  forma
di gestione del servizio; del comma 8 dell'art. 23-bis  del  d.l.  n.
112 del 2008 che dettava una disciplina transitoria analoga a  quella
dettata dal comma 32 dell'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011; cosi' come
del comma 10, lettera a), dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del  2008,
dichiarato costituzionalmente illegittimo con  sentenza  n.  325  del
2010, sostanzialmente riprodotto dal comma 14 dell'art. 4 del d.l. n.
138 del 2011), sia la maggior parte  delle  disposizioni  recate  dal
regolamento di attuazione dell'art. 23-bis (il testo dei primi  sette
commi dell'art. 4 del d.l. n. 138  del  2011,  ad  esempio,  coincide
letteralmente  con  quello  dell'art.  2  del  regolamento  attuativo
dell'art. 23-bis di cui al d.P.R. n. 168 del 2010,  i  commi  8  e  9
dell'art.  4  coincidono  con  l'art.  3,  comma  2,   del   medesimo
regolamento, mentre i commi 11 e 12  del  citato  art.  4  coincidono
testualmente con gli articoli 3 e 4 dello stesso regolamento). 
    Alla luce delle richiamate indicazioni - nonostante  l'esclusione
dall'ambito di  applicazione  della  nuova  disciplina  del  servizio
idrico  integrato  -   risulta   evidente   l'analogia,   talora   la
coincidenza, della disciplina contenuta nell'art. 4 rispetto a quella
dell'abrogato art. 23-bis del d.l. n.  112  del  2008  e  l'identita'
della ratio ispiratrice. 
    Le poche novita' introdotte dall'art. 4 accentuano,  infatti,  la
drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti diretti  dei  servizi
pubblici  locali  che  la  consultazione  referendaria  aveva  inteso
escludere. Tenuto, poi, conto  del  fatto  che  l'intento  abrogativo
espresso con il referendum riguardava  «pressoche'  tutti  i  servizi
pubblici locali di rilevanza economica» (sentenza n. 24 del 2011)  ai
quali era rivolto l'art. 23-bis, non puo' ritenersi che  l'esclusione
del servizio idrico integrato dal novero dei servizi pubblici  locali
ai quali una simile disciplina  si  applica  sia  satisfattiva  della
volonta'  espressa  attraverso  la  consultazione  popolare,  con  la
conseguenza che la norma oggi all'esame costituisce, sostanzialmente,
la reintroduzione della disciplina abrogata con il referendum del  12
e 13 giugno 2011. 
    5.2.2.- La disposizione impugnata viola, quindi,  il  divieto  di
ripristino  della  normativa   abrogata   dalla   volonta'   popolare
desumibile dall'art. 75 Cost., secondo quanto gia' riconosciuto dalla
giurisprudenza costituzionale. 
    Questa Corte, pronunciandosi su un conflitto di attribuzione  fra
poteri  dello  Stato  sollevato  dai  promotori  di   un   referendum
abrogativo, avverso Camera e Senato, in relazione all'approvazione di
una   legge   riproduttiva   della   disciplina   abrogata   mediante
consultazione popolare svoltasi pochi  mesi  prima,  pur  dichiarando
l'inammissibilita' del ricorso  per  difetto  di  legittimazione  dei
ricorrenti,  ormai   privati   della   titolarita'   della   funzione
costituzionalmente    rilevante    e    garantita,     corrispondente
all'attivazione della procedura referendaria, e quindi della qualita'
di potere dello Stato, ha,  tuttavia,  affermato  che  «la  normativa
successivamente  emanata  dal  legislatore  e'  pur  sempre  soggetta
all'ordinario sindacato  di  legittimita'  costituzionale,  e  quindi
permane comunque la possibilita' di un controllo di questa  Corte  in
ordine all'osservanza - da parte del legislatore stesso - dei  limiti
relativi al dedotto divieto di formale o sostanziale ripristino della
normativa abrogata dalla volonta' popolare» (sentenza n. 9 del 1997). 
    Inoltre, ancor prima, questa Corte, escludendo,  con  riferimento
alla disciplina della responsabilita'  civile  dei  giudici  abrogata
mediante  referendum,  la  possibilita',   in   via   interpretativa,
dell'applicazione  di  una  delle   norme   abrogate   quale   «norma
transitoria», ha anche precisato che l'intervenuta abrogazione  della
stessa «non potrebbe consentire al legislatore la scelta politica  di
far rivivere la normativa ivi contenuta  a  titolo  transitorio»,  in
ragione della «peculiare  natura  del  referendum,  quale  atto-fonte
dell'ordinamento» (sentenza n. 468 del 1990). 
    Un simile  vincolo  derivante  dall'abrogazione  referendaria  si
giustifica, alla luce di una  interpretazione  unitaria  della  trama
costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli  strumenti
di democrazia  diretta  nel  sistema  di  democrazia  rappresentativa
delineato dal dettato costituzionale, al solo fine  di  impedire  che
l'esito della consultazione popolare, che  costituisce  esercizio  di
quanto previsto dall'art. 75 Cost., venga posto nel nulla  e  che  ne
venga vanificato l'effetto  utile,  senza  che  si  sia  determinato,
successivamente  all'abrogazione,  alcun  mutamento  ne'  del  quadro
politico, ne' delle circostanze di fatto,  tale  da  giustificare  un
simile effetto. 
    Tale vincolo e', tuttavia, necessariamente delimitato, in ragione
del suo  carattere  puramente  negativo,  posto  che  il  legislatore
ordinario, «pur  dopo  l'accoglimento  della  proposta  referendaria,
conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum
senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto  di
far rivivere la normativa abrogata» (sentenza n. 33  del  1993;  vedi
anche sentenza n. 32 del 1993). 
    In applicazione dei predetti principi, si e' gia' rilevato che la
normativa all'esame costituisce ripristino della normativa  abrogata,
considerato che essa introduce una nuova  disciplina  della  materia,
«senza  modificare  ne'  i  principi  ispiratori  della   complessiva
disciplina  normativa  preesistente   ne'   i   contenuti   normativi
essenziali dei singoli precetti» (sentenza n. 68 del 1978), in palese
contrasto, quindi, con l'intento perseguito  mediante  il  referendum
abrogativo. Ne' puo' ritenersi che sussistano le condizioni  tali  da
giustificare il  superamento  del  predetto  divieto  di  ripristino,
tenuto  conto  del  brevissimo  lasso  di  tempo  intercorso  fra  la
pubblicazione   dell'esito   della   consultazione   referendaria   e
l'adozione  della  nuova  normativa  (23  giorni),  ora  oggetto   di
giudizio, nel quale peraltro non si e'  verificato  nessun  mutamento
idoneo a legittimare la reintroduzione della disciplina abrogata. 
    5.2.3.-  Deve,  pertanto,  essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, per violazione  dell'art.
75 Cost. 
    6.- Dall'accoglimento di  tale  censura  consegue  l'assorbimento
degli altri profili di violazione della  Costituzione  dedotti  dalle
Regioni ricorrenti nei  confronti  della  medesima  norma  o  di  sue
singole disposizioni (sentenza n. 123 del 2010).