N. 179 SENTENZA 2 - 11 luglio 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Procedimento amministrativo - Disposizioni in materia di semplificazione amministrativa e riduzione degli adempimenti gravanti sulle piccole e medie imprese - Disposizioni in materia di superamento del dissenso espresso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita', in sede di conferenza di servizi - Ricorsi delle Regioni Valle d'Aosta, Toscana, Liguria, Emilia Romagna e Puglia - Norme contenute in un decreto legge convertito - Impugnazione rivolta contro le disposizioni della legge di conversione - Eccepita tardivita' dei ricorsi - Reiezione. - D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122), art. 49, commi 3, lett. b), 4, 4-quater e 4-quinquies. - Costituzione, art. 117, quarto e sesto comma, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; statuto della Regione Valle d'Aosta, artt. 2, primo comma, lett. g), p) q), e 3, primo comma, lett. a), e relative norme di attuazione. Procedimento amministrativo - Impresa e imprenditore - Semplificazione amministrativa e riduzione degli adempimenti gravanti sulle piccole e medie imprese - Adozione della relativa disciplina mediante regolamenti governativi di delegificazione - Ricorsi delle Regioni Valle d'Aosta ed Emilia-Romagna - Asserita violazione della competenza legislativa e regolamentare delle Regioni nelle materie concorrenti e residuali del commercio e dell'industria - Asserita violazione delle competenze primaria e attuativa-integrativa della Regione speciale in materia di artigianato, industria alberghiera, turismo, tutela del paesaggio, urbanistica, piani regolatori - Asserita violazione del principio di leale collaborazione per mancanza di concertazione - Insussistenza - Delimitazione della potesta' regolamentare di delegificazione del Governo alle sole materie di competenza esclusiva statale - Non fondatezza delle questioni. - D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122), art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies. - Costituzione, art. 117, quarto e sesto comma, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; statuto della Regione Valle d'Aosta, artt. 2, primo comma, lett. g), p) q), e 3, primo comma, lett. a), e relative norme di attuazione. Procedimento amministrativo - Conferenza di servizi - Dissenso espresso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita' - Disciplina per il superamento del dissenso - Ricorsi delle Regioni Toscana, Liguria e Puglia - Ius superveniens non incidente sul contenuto precettivo della disposizione impugnata - Trasferimento della questione sulla norma risultante dalla modifica. - D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122), art. 49, comma 3, lett. b). - Costituzione, artt. 117 e 118. Procedimento amministrativo - Conferenza di servizi - Dissenso espresso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumita' - Disciplina per il superamento del dissenso - Previsione di potere sostitutivo del Governo, in materie di competenza regionale, come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell'intesa - Insufficienza alla stregua dei principi posti dalla giurisprudenza costituzionale in tema di chiamata in sussidiarieta' - Necessita' di ulteriori procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze - Mancata previsione - Violazione del principio di leale collaborazione - Illegittimita' costituzionale in parte qua - Assorbimento di ulteriore questione. - D.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122), art. 49, comma 3, lett. b). - Costituzione, artt. 117 e 118.

      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  49,
commi 3, 4, 4-quater, e 4-  quinquies  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni,  dalla
legge  30  luglio  2010,  n.  122,  promossi  dalle   Regioni   Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, Toscana, Liguria,  Emilia-Romagna  e  Puglia,
notificati il 24-27 e il 28 settembre 2010, depositati in cancelleria
il 28 e il 30 settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010  e  rispettivamente
iscritti ai nn. 96, 97, 102, 106 e 107 del registro ricorsi 2010. 
    Visti gli atti di costituzione di Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  maggio  2012  il   Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    uditi gli avvocati Ulisse Corea per  la  Regione  autonoma  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria ed
Emilia-Romagna,  Stefano  Grassi  per  la  Regione  Puglia,  Marcello
Cecchetti per la Regione Toscana e  l'avvocato  dello  Stato  Antonio
Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso (reg. ric. n. 96  del  2010),  depositato  il  28
settembre 2010, la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste  ha
promosso questione di legittimita' costituzionale in via  principale,
fra l'altro, dell'articolo 49,  commi  4-quater  e  4-quinquies,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione   finanziaria   e   di   competitivita'   economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in
riferimento all'art. 117, quarto e sesto comma,  della  Costituzione,
in combinato disposto con l'art. 10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione), nonche' in riferimento agli articoli 2,  primo  comma,
lettere g), p) e q), e  3,  primo  comma,  lettera  a),  della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la  Valle
d'Aosta) ed alle relative norme di attuazione, nonche', in subordine,
al principio di leale collaborazione. 
    1.1.- In particolare, la ricorrente sostiene che i commi 4-quater
e 4-quinquies dell'art. 49 del citato d.l.  n.  78  del  2010,  nella
parte in cui demandano a regolamenti governativi  di  delegificazione
il compito di dettare una disciplina  volta  alla  semplificazione  e
riduzione degli adempimenti amministrativi gravanti sulle  piccole  e
medie  imprese,  al  fine  di  promuovere  lo  sviluppo  del  sistema
produttivo e la competitivita' delle imprese, inciderebbero anche  su
materie spettanti alla competenza legislativa della Regione medesima.
Le  richiamate  disposizioni,  infatti,  toccherebbero  sia   settori
(industria,  commercio)  riconducibili  alla   competenza   regionale
residuale di cui all'art. 117, quarto comma, Cost., attribuibile alla
Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste in virtu' dell'art.  10
della legge cost. n. 3 del 2001, in relazione ai  quali  la  potesta'
regolamentare  non  spetta  allo  Stato,  sia  settori  (artigianato,
industria alberghiera, turismo e tutela del  paesaggio;  urbanistica,
piani  regolatori  per  zone  di  particolare  importanza  turistica)
spettanti    alla    competenza    piena    o     alla     competenza
integrativo-attuativa della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta/Vallee
d'Aoste ai sensi dell'art. 2,  primo  comma,  lettere  g),  p)  e  q)
dell'art. 3, primo comma, dello statuto speciale. 
    In sintesi, la ricorrente ritiene che  la  disciplina  introdotta
dall'art. 49, commi 4-quater e  4-quinquies,  non  possa  ascriversi,
nella  sua  totalita',  ad  una  competenza  esclusiva  dello  Stato,
insistendo, in modo prevalente, su ambiti di legislazione  regionale.
Pertanto, il rinvio ad un regolamento governativo per  la  disciplina
degli adempimenti amministrativi cui sono tenute le piccole  e  medie
imprese si porrebbe in immediato  contrasto  con  l'art.  117,  sesto
comma, Cost., in base al quale la potesta' regolamentare spetta  allo
Stato soltanto nelle materie di legislazione esclusiva,  fatta  salva
la possibilita' di delega alla Regione. 
    In  subordine,  la  Regione  sostiene  che,  qualora  si  volesse
rintracciare il fondamento dell'intervento  del  legislatore  statale
nella necessita' di soddisfare esigenze unitarie  che  devono  essere
sottoposte ad una regolamentazione uniforme, vi sarebbe comunque  una
violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5
e 120 Cost. giacche' le disposizioni censurate  non  prevedono  alcun
meccanismo di raccordo  e  di  concertazione  con  il  sistema  delle
autonomie territoriali e segnatamente con la Regione  autonoma  Valle
d'Aosta. La previsione statale  relativa  al  citato  istituto  della
delegificazione, in grado di determinare  l'abrogazione  delle  norme
regolatrici della  materia  adottate  dalla  Regione  autonoma  Valle
d'Aosta   nell'esercizio   delle   proprie   competenze    normative,
costituzionalmente garantite nel settore dello sviluppo  economico  e
competitivita' delle piccole e medie imprese in assenza di meccanismi
di  concertazione  e  raccordo,  sarebbe  del  tutto   sproporzionata
rispetto alla finalita' perseguita per violazione  del  principio  di
leale collaborazione e quindi costituzionalmente illegittima. 
    2.- Con ricorso (reg. ric. n. 106  del  2010),  depositato  il  6
ottobre 2010, anche la Regione Emilia-Romagna ha  promosso  questione
di legittimita' costituzionale in via principale dell'art. 49,  comma
4-quater,  del  citato  d.l.  n.  78  del   2010,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge n. 122 del  2010,  in  relazione  all'art.
117, commi terzo, quarto e sesto, Cost.  ed  al  principio  di  leale
collaborazione. 
    In  particolare,  la  Regione  sostiene   che   la   disposizione
impugnata,  nella  parte  in  cui  reca  una  disciplina  volta  alla
semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi gravanti
sulle piccole e medie imprese, al fine di promuovere lo sviluppo  del
sistema produttivo e la competitivita' delle imprese,  prevedendo  il
ricorso allo strumento della delegificazione, sia  costituzionalmente
illegittima in quanto consentirebbe allo Stato  di  intervenire,  con
atti di natura regolamentare, a disciplinare  materie  di  competenza
regionale. 
    3.- In entrambi i giudizi,  si  e'  costituito  nel  giudizio  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che  il  ricorso  sia
dichiarato inammissibile, in quanto tardivo, e comunque sia respinto. 
    L'Avvocatura generale dello Stato ritiene,  infatti,  che  l'art.
49, comma 4-quater, in quanto volto ad introdurre  una  significativa
semplificazione  del  procedimento  amministrativo   riguardante   le
piccole e medie imprese, sia ispirato alla tutela della  concorrenza,
e valga solo per le norme di competenza statale,  stanti  i  richiami
all'art. 20 e seguenti della legge n. 59 del 1997. 
    4.- Con ricorso (reg. ric. n. 97  del  2010),  depositato  il  30
settembre  2010,  la  Regione  Toscana  ha  promosso   questione   di
legittimita' costituzionale in via principale, fra l'altro, dell'art.
49, comma 3,  del  citato  d.l.  n.  78  del  2010,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che sostituisce  i  commi
3, 3-bis, 3-ter e 3-quater dell'art. 14-quater della legge  7  agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),  in  riferimento
all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.,  anche  sotto  il  profilo
della  violazione  del  principio  di  leale  collaborazione,  ed  in
riferimento all'art. 120 Cost. 
    4.1.-  La  Regione  premette  che  il  nuovo  comma  3  dell'art.
14-quater della legge n. 241 del 1990 disciplina il  superamento  del
dissenso espresso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico  o  alla
tutela  della  salute  e  della  pubblica  incolumita'  in  sede   di
Conferenza di servizi, prevedendo che, a fronte di tale dissenso, «la
questione, in attuazione  e  nel  rispetto  del  principio  di  leale
collaborazione e dell'articolo 120  della  Costituzione,  e'  rimessa
dall'amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio  dei
ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa  intesa  con
la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate,  in  caso
di dissenso tra un'amministrazione statale e una regionale o tra piu'
amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e  gli
enti locali interessati, in caso di dissenso  tra  un'amministrazione
statale o regionale e un ente locale  o  tra  piu'  enti  locali.  Se
l'intesa  non  e'  raggiunta  nei  successivi   trenta   giorni,   la
deliberazione  del  Consiglio  dei  Ministri  puo'  essere   comunque
adottata. Se il motivato dissenso e' espresso da una Regione o da una
Provincia autonoma in una delle materie  di  propria  competenza,  il
Consiglio dei Ministri  delibera  in  esercizio  del  proprio  potere
sostitutivo con la partecipazione  dei  Presidenti  delle  Regioni  o
delle Province autonome interessate». 
    Tale previsione inciderebbe su molteplici  competenze  regionali,
quali il governo del territorio, la valorizzazione dei beni culturali
ed ambientali, la tutela della salute, il turismo  ed  il  commercio.
Proprio in tali casi, quando cioe' vi sia una forte interferenza  fra
competenze e funzioni statali e  regionali,  osserva  la  ricorrente,
occorre raggiungere un'intesa che, alla stregua della  giurisprudenza
costituzionale   formatasi   con   riguardo   alla    "chiamata    in
sussidiarieta'" deve avere natura  "forte",  nel  senso  che  il  suo
mancato raggiungimento impedisce la decisione finale. 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  invece,  il  nuovo  terzo   comma
dell'art. 14-quater della legge n. 241 del  1990,  a  modifica  della
disciplina  previgente  che   dettava   procedimenti   complessi   di
superamento del dissenso  fra  amministrazioni  diverse  in  sede  di
Conferenza, a tutela dei livelli di competenza delle Regioni e  degli
enti locali coinvolti, sostanzialmente porrebbe  la  Regione  in  una
posizione di subordinazione rispetto a quella statale, consentendo la
determinazione   unilaterale   governativa   in   caso   di   mancato
raggiungimento  dell'intesa  nel  termine  di  trenta  giorni   dalla
rimessione della questione al Consiglio dei ministri,  in  violazione
degli  artt.  117  e  118  Cost.,  nonche'  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    Le disposizioni censurate  sarebbero  inoltre  costituzionalmente
illegittime anche sotto un altro profilo. Esse, infatti,  equiparando
il   caso   di   contrasto   fra   un'amministrazione   statale    ed
un'amministrazione locale a quello del contrasto fra  amministrazioni
locali  ed  amministrazione  regionale,  senza  che   sia   possibile
comprendere, nel secondo caso, quali esigenze di  esercizio  unitario
possano giustificare la remissione della decisione al  Consiglio  dei
ministri, esproprierebbero  la  Regione  di  proprie  competenze,  in
assenza di qualsiasi elemento  utile  a  predeterminare  l'ambito  di
operativita' di una simile avocazione di compiti allo Stato,  nonche'
a giustificare la stessa necessita' di tale avocazione decisionale. 
    Sarebbe, inoltre, violato anche l'art. 120 Cost.,  posto  che  il
nuovo terzo comma dell'art. 14-quater della legge  n.  241  del  1990
disciplinerebbe un'ipotesi di potere sostitutivo straordinario al  di
fuori dei limiti indicati dalla citata norma costituzionale,  per  la
quale  e'  necessario  il  previo  verificarsi  di  un  inadempimento
dell'ente sostituito rispetto ad un'attivita' ad  esso  imposta  come
obbligatoria. Tale,  infatti,  non  potrebbe  essere  considerato  il
raggiungimento dell'intesa prevista per l'esercizio di  una  funzione
amministrativa da  parte  dello  Stato  a  seguito  di  "chiamata  in
sussidiarieta'", come riconosciuto dalla Corte  costituzionale  anche
nella recente sentenza n. 278 del 2010. 
    5.- Con ricorso (reg. ric. n. 102  del  2010),  depositato  il  6
ottobre 2010, anche la  Regione  Liguria  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale in via principale dell'art. 49, comma  3,
lettera b), nonche' comma 4, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. L'art. 49,  comma  3,  e'
censurato nella parte in cui, modificando l'art.14-quater della legge
n. 241 del 1990, nel caso di dissenso espresso, in sede di conferenza
di  servizi,  dalla  Regione  in  materie   di   propria   spettanza,
attribuisce la competenza  decisionale  al  Consiglio  dei  ministri,
determinando  una  palese  violazione  dell'autonomia  amministrativa
regionale e dunque dell'art. 118 Cost. Anche il richiamo all'art. 120
Cost. sarebbe inidoneo a giustificare la competenza del Consiglio dei
ministri, data la palese mancanza dei presupposti ivi prescritti  per
l'esercizio del potere sostitutivo. In ogni caso,  poi,  difetterebbe
sia il carattere obbligatorio dell'atto  omesso,  sia  la  previsione
della necessaria intesa forte, con conseguente violazione degli artt.
117 e 118 Cost e  del  principio  di  leale  collaborazione.  Ne'  la
mancata previsione della suddetta intesa "forte" potrebbe  -  secondo
la  Regione  Liguria  -  essere  in  alcun   modo   surrogata   dalla
partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome
interessate alla seduta del Consiglio dei ministri  che  esercita  il
potere sostitutivo, posto che una simile partecipazione si  limita  a
portare nel Consiglio la voce della Regione,  senza  tradursi  in  un
potere di "codeliberazione". 
    La predetta norma  e',  infine,  censurata  anche  in  "combinato
disposto" con l'art. 49, comma 4, del medesimo d.l. n. 78  del  2010,
nella parte in cui quest'ultimo, novellando l'art. 29 della legge  n.
241 del 1990, attribuisce alle disposizioni della stessa legge n. 241
concernenti la conferenza di servizi il carattere di norme  attinenti
ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'art. 117,  secondo
comma, lettera m), Cost., con l'evidente scopo di renderle vincolanti
nei confronti delle Regioni.  La  Regione  Liguria  contesta  che  la
disciplina della conferenza  di  servizi  attenga  effettivamente  ai
livelli essenziali delle prestazioni: con le richiamate  disposizioni
non si stabilirebbe alcuno standard  qualitativo  o  quantitativo  di
prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel diritto civile o
sociale garantito dalla stessa Costituzione,  ma  si  regolerebbe  lo
svolgimento dell'attivita' amministrativa, in settori  vastissimi  ed
indeterminati, alcuni di competenza regionale, quali il  governo  del
territorio,  la  tutela  della  salute,  l'ordinamento  degli  uffici
regionali, l'artigianato, il turismo, il commercio. 
    6.- Il citato art. 49, comma 3, lettera  b),  e'  stato,  infine,
impugnato dalla Regione Puglia, con ricorso (reg.  ric.  n.  107  del
2010), depositato il 7 ottobre 2010, in riferimento agli  artt.  117,
terzo e quarto comma, 118, primo e  secondo  comma,  e  120,  secondo
comma, Cost. 
    In particolare, la Regione sostiene che la norma  impugnata,  che
pone una nuova regolamentazione in materia di conferenza di  servizi,
sostituendo  integralmente  i  commi  3,  3-bis,  3-ter  e   3-quater
dell'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, violerebbe il  primo
comma dell'art. 118 Cost., in quanto avocherebbe a livello statale un
fascio di competenze amministrative senza che cio' sia in alcun  modo
giustificato dal principio di sussidiarieta', non sussistendo  quelle
esigenze di esercizio unitario  che  sole,  ai  sensi  dell'art.  118
Cost., potrebbero giustificare una  simile  avocazione.  La  predetta
violazione sarebbe resa palese dal generale  ambito  di  applicazione
della normativa denunciata, la quale opera la  richiamata  avocazione
allo  Stato  delle  funzioni   amministrative,   prescindendo   dalle
situazioni  che  caratterizzano  ciascuna  di  esse  e  dunque  dalla
concreta  ed  effettiva  sussistenza  delle  esigenze  di   esercizio
unitario. 
    L'art. 118, primo comma, Cost. sarebbe poi violato anche sotto un
ulteriore profilo. 
    La norma impugnata, nella parte in cui attribuisce  la  decisione
circa  il  provvedimento  da  adottare  al  Consiglio  dei   ministri
all'esito dell'infruttuoso svolgimento della conferenza  di  servizi,
delineerebbe un'ipotesi di esercizio di potere sostitutivo  ordinario
che  non  soddisfa  i  requisiti   elaborati   dalla   giurisprudenza
costituzionale sul punto. Essa, infatti, stabilisce che la  decisione
del Consiglio dei ministri e' destinata ad intervenire non  gia'  per
riparare ad una inerzia dell'ente (regionale o locale) titolare della
funzione,  ma  per  sostituire   alla   valutazione   (negativa)   di
quest'ultimo (diniego espresso in sede di conferenza di servizi), una
diversa valutazione operata dallo Stato. 
    L'art. 49, comma 3, lettera b), si porrebbe altresi' in contrasto
con l'art. 120, secondo comma, Cost. 
    Detta norma, infatti, nel consentire al  Governo  di  sostituirsi
agli altri enti territoriali nell'eventualita' che uno  di  essi  non
presti il proprio assenso nell'ambito della  conferenza  di  servizi,
contrasterebbe con quanto prescritto dall'art.  120,  secondo  comma,
Cost., il quale prevede che  nel  caso  concreto  debba  esistere  il
rischio della lesione di uno degli interessi  dal  medesimo  tutelati
per poter procedere alla surrogazione; rischio che  non  puo'  essere
meramente  presunto  in  astratto,  ma  deve  risultare  accertato  e
motivato in  relazione  al  caso  concreto.  L'esercizio  del  potere
sostitutivo sarebbe, peraltro, autorizzato non gia'  in  presenza  di
un'inerzia alla quale far fronte, ma in presenza di un  comportamento
amministrativo commissivo, estrinsecatesi nel diniego di consenso  in
sede di conferenza. 
    La Regione deduce, inoltre, l'illegittimita' costituzionale della
suddetta norma anche in relazione all'art. 117, terzo e quarto comma,
Cost., in quanto  detta  norma  avrebbe  un  ambito  di  applicazione
generalizzato e coinvolgerebbe, quindi, anche procedimenti  destinati
ad esplicarsi in ambiti materiali di competenza regionale concorrente
o residuale. 
    Essa, inoltre, si porrebbe in  contrasto  con  il  secondo  comma
dell'art. 118 Cost. in quanto, realizzando un'allocazione di funzioni
amministrative in modo generalizzato ed indifferenziato, prescindendo
dalla materia in  cui  tali  funzioni  sono  destinate  a  svolgersi,
inciderebbe anche su  procedimenti  amministrativi  che  ricadono  in
ambiti di competenza regionale concorrente o residuale. 
    7.- In tutti e tre i predetti giudizi (reg. ric. nn.  97,  102  e
107 del 2010) si  e'  costituito  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che il ricorso sia rigettato. 
    In via preliminare, il resistente  eccepisce  la  tardivita'  del
ricorso proposto avverso le  norme  del  d.l.  n.  78  del  2010  non
modificate  in  sede  di   conversione   e,   quindi,   in   ipotesi,
immediatamente lesive. 
    Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che  l'art.
49,  comma  3,  nella  parte  in  cui  modifica  la  disciplina   del
procedimento amministrativo  della  conferenza  di  servizi,  essendo
norma volta ad attuare una  semplificazione  procedurale,  sfugga  ad
ogni censura di illegittimita' costituzionale, anche nella  parte  in
cui regola l'intervento sostitutivo del  Consiglio  dei  ministri,  a
seguito dell'infruttuoso esperimento della conferenza.  Nella  specie
si sarebbe, infatti,  in  presenza  di  una  situazione  inerente  ai
livelli essenziali delle  prestazioni  civili,  avendo  il  cittadino
diritto ad ottenere una determinazione finale altrimenti  paralizzata
dal dissenso opposto da  una  amministrazione  preposta  alla  tutela
ambientale, culturale o sanitaria. 
    8.-  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica,   le   parti   hanno
depositato memorie con le quali hanno  insistito  per  l'accoglimento
delle conclusioni svolte nelle difese scritte. 
    In particolare, la Regione Liguria, con riferimento all'art.  49,
comma 3, lettera b), del d.l. n. 78 del 2010,  ribadisce  le  censure
gia' proposte, rilevando che esso e' stato oggetto  di  una  modifica
puramente formale ad opera dell'art. 5, comma 2, lettera  b),  numero
1), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con  modificazioni,
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, che ne conferma la lesivita'. 
    9.- Anche all'udienza  pubblica  la  parti  hanno  insistito  per
l'accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste  (reg.  ric.
n. 96 del 2010), la Regione Toscana (reg. ric. n. 97  del  2010),  la
Regione  Liguria  (reg.  ric.  n.   102   del   2010),   la   Regione
Emilia-Romagna (reg. ric. n. 106 del 2010) e la Regione Puglia  (reg.
ric. n. 107  del  2010)  hanno  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni,  dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122. 
    In  particolare,  le  Regioni  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste  ed
Emilia-Romagna  hanno  impugnato  i  commi  4-quater  e   4-quinquies
dell'articolo 49 del d.l. n. 78 del 2010, le Regioni Toscana, Liguria
e Puglia hanno impugnato il comma 3, in specie lettera b), del citato
art. 49, mentre la sola Regione Liguria ha impugnato anche il comma 4
del medesimo art. 49. 
    Riservata a  separate  pronunce  la  decisione  sull'impugnazione
delle altre disposizioni contenute nel suddetto decreto-legge  n.  78
del 2010, debbono essere qui esaminate le questioni  di  legittimita'
costituzionale aventi ad oggetto l'art. 49, commi 3, lettera  b),  4,
4-quater, e 4-quinquies, del d.l. n.  78  del  2010,  in  riferimento
all'articolo 117, terzo, quarto e sesto comma, della Costituzione, in
combinato disposto  con  l'art.  10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte  seconda  della
Costituzione), nonche' in riferimento agli articoli 2,  primo  comma,
lettere g), p) e q), e  3,  primo  comma,  lettera  a),  della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la  Valle
d'Aosta) ed alle relative norme di attuazione, nonche', in subordine,
al principio di leale collaborazione. 
    2.-  In  considerazione  della  parziale  identita'  delle  norme
impugnate e delle censure proposte con i suddetti ricorsi, i giudizi,
come sopra delimitati, devono  essere  riuniti  per  essere  trattati
congiuntamente e decisi con un'unica pronuncia. 
    3.- La difesa  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha
eccepito in via preliminare la tardivita'  di  tutti  i  ricorsi,  in
quanto proposti avverso disposizioni della legge di conversione  gia'
contenute, nell'identico testo, nel decreto-legge n. 78  del  2010  e
non impugnate tempestivamente. 
    L'eccezione va rigettata. 
    Come  ripetutamente  affermato  da  questa  Corte,  «la  Regione,
qualora si ritenga lesa nelle proprie competenze costituzionali da un
decreto-legge, puo' impugnarlo nei  termini  previsti  dall'art.  127
Cost. (con il rischio, pero', che l'iniziativa di investire la  Corte
resti vanificata dall'eventualita' di una mancata conversione) oppure
riservarsi di impugnare la  sola  legge  di  conversione,  che  rende
permanente e definitiva la normativa dettata con il decreto-legge. La
conversione in legge, infatti, ha  l'effetto  di  reiterare,  con  la
novazione della  fonte,  la  lesione  da  cui  deriva  l'interesse  a
ricorrere della Regione» (sentenze n. 151 e n. 148 del 2012,  n.  232
del 2011 e n. 430 del 2007). 
    Deve, pertanto, riconoscersi la tempestivita' delle impugnazioni,
pur se relative a disposizioni del d.l. n. 78 del 2010 non modificate
in sede di conversione (sentenza n. 148 del 2012). 
    4.- Nel merito, la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste
(reg. ric. n. 96 del 2010) e la Regione Emilia-Romagna (reg. ric.  n.
106 del 2010) hanno promosso questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, del d.l. n. 78 del  2010,
nella  parte  in   cui   demanda   a   regolamenti   governativi   di
delegificazione il compito  di  dettare  una  disciplina  volta  alla
semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi gravanti
sulle piccole e medie imprese, al fine di promuovere lo sviluppo  del
sistema produttivo e la competitivita' delle imprese. 
    Cosi' disponendo, detta norma violerebbe  anzitutto  l'art.  117,
commi terzo, quarto e sesto, Cost. in quanto  inciderebbe  in  ambiti
materiali  (industria,  commercio)  riconducibili   alla   competenza
regionale residuale o concorrente, che  e'  attribuibile  anche  alla
Regione autonoma Valle d'Aosta in virtu'  dell'art.  10  della  legge
cost. n. 3 del 2001, consentendo allo Stato di intervenire su di essi
con atti di natura regolamentare. La Regione autonoma  Valle  d'Aosta
lamenta anche la violazione dell'art. 2, primo comma, lettere g),  p)
e q), e dell'art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto  speciale
per la Valle d'Aosta in quanto  la  norma  impugnata  inciderebbe  in
ambiti  materiali  (artigianato,  industria  alberghiera,  turismo  e
tutela del paesaggio;  urbanistica,  piani  regolatori  per  zone  di
particolare  importanza  turistica)  che  lo  statuto  assegna   alla
competenza  primaria  ovvero  attuativa-integrativa  di  leggi  della
Regione autonoma Valle d'Aosta. 
    In subordine la Regione autonoma Valle d'Aosta ritiene che, anche
a voler sostenere che  l'intervento  del  legislatore  statale  trovi
fondamento nella necessita' di  soddisfare  esigenze  unitarie,  esso
sarebbe comunque illegittimo per violazione del  principio  di  leale
collaborazione, giacche'  le  disposizioni  censurate  non  prevedono
alcun meccanismo di raccordo e di concertazione con il sistema  delle
autonomie territoriali. 
    4.1.-  La  questione  non  e'  fondata  nei  termini  di  seguito
precisati. 
    Le disposizioni impugnate demandano  al  Governo  il  compito  di
individuare, tramite regolamenti di delegificazione, i soli casi  nei
quali l'attivita' delle predette imprese debba  restare  assoggettata
agli adempimenti amministrativi, nel rispetto di  criteri,  stabiliti
dalle medesime, in termini assolutamente generali (fra i  principi  e
criteri direttivi contenuti in esse vi  e',  ad  esempio,  quello  di
eliminare le autorizzazioni, licenze, permessi ovvero  dichiarazioni,
attestazioni,  certificazioni,  comunque  denominati,   nonche'   gli
adempimenti amministrativi e le procedure "non necessarie" ovvero non
proporzionate «in relazione alla dimensione dell'impresa e al settore
di  attivita',  nonche'  alle  esigenze  di  tutela  degli  interessi
pubblici coinvolti»: cosi' le  lettere  a  e  b  del  comma  4-quater
dell'art. 49 del d.l. n. 78 n. 2010, come convertito dalla  legge  n.
122  del  2010),  con  la  conseguente  abrogazione   di   tutte   le
disposizioni che prevedano ulteriori adempimenti. 
    Dette disposizioni  si  inseriscono,  in  maniera  evidente,  nel
novero  di  quegli  interventi  legislativi  volti  a  realizzare  la
semplificazione amministrativa, le cui basi normative  originarie  si
rintracciano nella legge 7  agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in
materia di procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai
documenti  amministrativi),  (oggetto  delle   modifiche   introdotte
dall'impugnato art. 49) e nell'art. 20 della legge 15 marzo 1997,  n.
59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti  alle
regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione
e per la semplificazione amministrativa) e successive  modificazioni,
sulla cui scia si collocano gli interventi normativi successivi. 
    In   particolare,   proprio   con   riguardo   agli   adempimenti
amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, il legislatore
statale, con la legge di semplificazione 28  novembre  2005,  n.  246
(Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005), da un  lato,
aveva  delegato  al  Governo  il  riassetto  delle  disposizioni   di
legislazione statale esclusiva vigenti in tema di oneri burocratici a
carico delle imprese nelle materie di competenza statale; dall'altro,
aveva previsto la possibilita'  di  intese  e  accordi  tra  Stato  e
Regioni al fine della semplificazione dei predetti oneri  burocratici
a carico delle imprese nelle materie di competenza  regionale.  Sulla
base di tale previsione,  in  data  29  marzo  2007  veniva  peraltro
raggiunto in sede di Conferenza Stato-Regioni un accordo tra Stato  e
autonomie territoriali proprio sulla semplificazione  e  la  qualita'
della regolazione, pur ribadendosi che non si sarebbe potuto incidere
in alcun modo sull'autonomia dei Consigli regionali. 
    Nella medesima direzione, l'art. 19 della legge 11 novembre 2011,
n. 180 (Norme per la tutela della liberta' d'impresa.  Statuto  delle
imprese) ha stabilito  che  «Le  regioni  promuovono  la  stipula  di
accordi e di intese in sede di Conferenza permanente per  i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, al fine di favorire il  coordinamento  dell'esercizio  delle
competenze normative in materia di adempimenti  amministrativi  delle
imprese, nonche' il conseguimento  di  ulteriori  livelli  minimi  di
liberalizzazione  degli   adempimenti   connessi   allo   svolgimento
dell'attivita'   d'impresa   sul   territorio    nazionale,    previe
individuazione delle migliori pratiche e verifica dei risultati delle
iniziative sperimentali adottate dalle regioni e dagli enti locali». 
    Dalle  richiamate  disposizioni  emerge  con  chiarezza  che   il
legislatore    statale,    pur    perseguendo    l'obiettivo    della
semplificazione    amministrativa,    ha    dovuto    tener     conto
dell'impossibilita' di trattare in  maniera  unitaria  una  categoria
eterogenea  quale   quella   delle   semplificazioni   amministrative
incidenti genericamente sulle  imprese,  operanti  nei  settori  piu'
disparati, molti dei quali di competenza regionale. 
    A tal proposito, questa Corte ha gia' osservato che «non e' (...)
configurabile  una   materia   "impresa",   disgiunta   dai   settori
(riconducibili, tra l'altro,  esemplificativamente,  all'agricoltura,
al  commercio,  al  turismo,  all'industria)  nei  quali  le  imprese
operano» (sentenza n. 63 del 2008), di talche',  cosi'  come  non  si
puo'  ritenere  che  esista  una  ipotetica  materia  "impresa",  non
espressamente prevista e quindi di competenza residuale delle Regioni
(sentenza n. 63 del 2008), neppure e' possibile ravvisare  un  titolo
di  competenza  statale  esclusiva  a  cui  ricondurre   una   simile
disciplina. La pretesa incidenza  sulla  concorrenza  della  prevista
riduzione degli adempimenti amministrativi  gravanti  sulle  imprese,
costituisce, infatti, un effetto puramente  indiretto  o  riflesso  e
comunque eventuale di simili misure legislative. Ne' la  riconduzione
delle stesse alla competenza  statale  in  materia  di  tutela  della
concorrenza puo' desumersi dal riferimento a generiche  finalita'  di
promozione  dello   sviluppo   del   sistema   produttivo   e   della
competitivita' delle imprese che pure vengano espressamente evocate -
come nel caso di specie - dalle norme statali.  Infatti,  al  di  la'
della non necessaria coincidenza delle predette finalita' con  quella
della  tutela  della  concorrenza,  questa  Corte  ha   ripetutamente
affermato che «ai fini del giudizio di  legittimita'  costituzionale,
la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle  norme  una
natura diversa da quella ad esse propria, quale  risulta  dalla  loro
oggettiva sostanza» (sentenze n. 207 del 2010, n. 447 del 2006  e  n.
482 del 1995), che si desume dall'oggetto e  dalla  disciplina  delle
medesime, dalla ratio perseguita, tralasciando gli aspetti  marginali
e gli effetti riflessi (sentenze n. 430, n. 169 e n. 165 del 2007). 
    In  questa  cornice  si  inserisce  l'impugnato  art.  49,  commi
4-quater e 4-quinquies, del d.l. n. 78 del 2010. 
    Le  citate  disposizioni,  nella  parte  in   cui   stabiliscono,
testualmente, che «il Governo e' autorizzato ad adottare uno  o  piu'
regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400, (...) volti a semplificare e  ridurre  gli  adempimenti
amministrativi  gravanti  sulle  piccole  e  medie  imprese   (...)»,
precisano che cio' deve avvenire «nel  rispetto  di  quanto  previsto
dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della legge 15 marzo 1997, n.  59,
e successive  modificazioni».  In  particolare  il  citato  art.  20,
nell'attribuire al Governo il compito di adottare un disegno di legge
per la semplificazione e l'eventuale adozione anche  di  regolamenti,
ai sensi dell'art. 17, commi 1 e 2, della  legge  n.  400  del  1988,
precisa, al comma 2, che l'adozione  dei  predetti  regolamenti  puo'
essere prevista solo «per le norme regolamentari di competenza  dello
Stato». La medesima norma, al comma 3-bis introdotto con la legge  di
semplificazione n. 246 del 2005, poi, nel  demandare  al  Governo  il
compito  di   realizzare   una   «raccolta   organica   delle   norme
regolamentari regolanti la medesima materia», ha precisato  che  cio'
puo' e deve fare «nelle materie di competenza esclusiva dello Stato». 
    Da tali richiami risulta, pertanto, evidente che anche l'art. 49,
commi 4-quater e 4-quinquies, del d.l. n. 78  del  2010  delimita  la
competenza del Governo all'adozione di regolamenti di semplificazione
nelle sole materie di  competenza  statale  esclusiva,  senza  quindi
determinare alcuna lesione delle competenze regionali, in  linea  con
quanto stabilito dal sesto comma dell'art. 117 Cost.  ed  in  armonia
con il principio affermato da questa Corte  secondo  il  quale  «alla
fonte secondaria statale e' inibita  in  radice  la  possibilita'  di
vincolare l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale  o  di
incidere su disposizioni regionali preesistenti (sentenza n.  22  del
2003); e neppure i principi di sussidiarieta' e  adeguatezza  possono
conferire ai regolamenti statali una capacita'  che  e'  estranea  al
loro valore, quella cioe' di modificare gli ordinamenti  regionali  a
livello primario» (sentenza n. 303 del 2003). 
    Ove, tuttavia,  in  applicazione  del  suddetto  art.  49,  commi
4-quater   e   4-quinquies,   fossero   adottati    regolamenti    di
delegificazione  invasivi  delle  sfere  di  competenza   legislativa
regionale, residuale o concorrente, e' avverso di essi che le Regioni
ben potranno esperire gli ordinari  rimedi  giurisdizionali,  nonche'
eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede  di  conflitto
di attribuzione a tutela dei predetti ambiti di competenza  (sentenza
n. 33 del 2011; sentenza n. 322 del 2009). 
    5.- Le Regioni Toscana, Liguria e Puglia hanno  impugnato  l'art.
49, comma 3, lettera b), del d.l. n. 78  del  2010,  come  convertito
dalla legge n. 122 del 2010, il quale, introducendo  il  nuovo  terzo
comma dell'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, disciplina  il
superamento del dissenso espresso da  amministrazioni  preposte  alla
tutela   ambientale,   paesaggistico-territoriale,   del   patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela  della  salute  e  della  pubblica
incolumita' in sede  di  conferenza  di  servizi.  Tale  disposizione
stabilisce che, nel predetto caso di dissenso, «la questione (...) e'
rimessa  dall'amministrazione  procedente  alla   deliberazione   del
Consiglio dei ministri,  che  si  pronuncia  entro  sessanta  giorni,
previa intesa con la Regione o le  Regioni  e  le  Province  autonome
interessate, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale e una
regionale o tra piu' amministrazioni regionali, ovvero previa  intesa
con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra
un'amministrazione statale o regionale e un ente locale  o  tra  piu'
enti locali». 
    In particolare, il citato  art.  49,  comma  3,  lettera  b),  e'
censurato, sotto svariati profili, nella parte in cui prescrive  che,
se la predetta «intesa non e' raggiunta nei successivi trenta giorni,
la deliberazione del Consiglio  dei  ministri  puo'  essere  comunque
adottata», e che, ove «il  motivato  dissenso  sia  espresso  da  una
Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie  di  propria
competenza, il Consiglio  dei  Ministri  delibera  in  esercizio  del
proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle
Regioni o delle Province autonome interessate». 
    Cosi' disponendo essa, in primo luogo, invaderebbe  la  sfera  di
competenza legislativa regionale di cui all'art. 117, terzo e  quarto
comma,  Cost.  in  quanto,   avendo   un   ambito   di   applicazione
generalizzato,  coinvolgerebbe  anche   procedimenti   destinati   ad
esplicarsi in ambiti materiali di competenza regionale concorrente  o
residuale, oltre a ledere l'autonomia  amministrativa  regionale,  di
cui all'art. 118 Cost. 
    Ove si assuma, poi, che essa sia dettata per  il  soddisfacimento
di esigenze unitarie, sarebbe comunque costituzionalmente illegittima
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio  di  leale
collaborazione, consentendosi al Consiglio dei ministri  di  assumere
la determinazione in maniera unilaterale,  in  spregio  al  carattere
forte dell'intesa prescritta. 
    Essa, inoltre, disciplinerebbe un'ipotesi di  potere  sostitutivo
straordinario al di fuori dei casi e dei  limiti  indicati  dall'art.
120 Cost. 
    La medesima disposizione e', inoltre, censurata in  specie  dalla
Regione Liguria, in "combinato disposto" con l'art. 49, comma 4,  del
d.l. n. 78 del 2010, nella  parte  in  cui  integra  il  comma  2-ter
dell'art. 29 della  legge  n.  241  del  1990,  introducendo  fra  le
disposizioni individuate e qualificate da quest'ultimo come attinenti
ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili
e sociali di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m),  Cost.,
anche quelle concernenti la conferenza di  servizi.  Tale  "combinato
disposto" sarebbe costituzionalmente illegittimo, tenuto  conto  che,
con le disposizioni sulla conferenza di servizi, non si  stabilirebbe
alcuno   standard   qualitativo   o   quantitativo   di   prestazioni
determinate, attinenti a questo o a quel  diritto  civile  o  sociale
garantito dalla stessa Costituzione, ma si regolerebbe lo svolgimento
dell'attivita'   amministrativa,    in    settori    vastissimi    ed
indeterminati,  molti  dei  quali  di   competenza   regionale,   con
conseguente violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. 
    5.1.- In via preliminare, va rilevato  che  la  Regione  Liguria,
nell'imminenza dell'udienza pubblica, ha  osservato  che  l'art.  49,
comma 3, lettera b), del d.l. n. 78 del 2010, e' stato oggetto di una
modifica puramente formale ad opera dell'art. 5, comma 2, lettera b),
numero 1), del d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo  -  Prime
disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con  modificazioni,
dalla  legge  12  luglio  2011,  n.  106.  Tale  modifica,  lasciando
sostanzialmente immutato il contenuto  normativo  della  disposizione
impugnata, ne confermerebbe la  lesivita'.  La  Regione  ha  pertanto
ribadito  le  medesime  censure  rivolte  al  testo   originariamente
impugnato anche con riguardo al testo modificato. 
    5.1.1.- L'art. 49, comma 3, lettera b), del d.l. n. 78 del  2010,
come convertito dalla legge n. 122 del 2010, ha introdotto  il  nuovo
terzo comma dell'art. 14-quater della legge n. 241 del  1990  con  il
quale ha dettato la suddetta nuova  disciplina  del  superamento  del
dissenso in sede di conferenza di servizi. Con  l'art.  5,  comma  2,
lettera b), numero 1), del  decreto-legge  13  maggio  2011,  n.  70,
l'art. 14-quater, comma 3, della legge  n.  241  del  1990  e'  stato
ulteriormente modificato, nel  senso  che,  al  secondo  periodo,  le
parole "nei successivi" trenta giorni  sono  state  sostituite  dalla
parola "entro" trenta giorni. Dallo  stesso  tenore  letterale  della
modifica  apportata  risulta  evidente  che  il  contenuto  normativo
risultante dalla stessa appare sostanzialmente immutato. 
    Pertanto, considerato  che  dal  raffronto  fra  le  disposizioni
risulta  evidente  che  l'ultima  modifica,  dato  il  suo  carattere
sostanzialmente marginale, non incide in  alcun  modo  sul  contenuto
precettivo delle disposizioni impugnate, la questione di legittimita'
costituzionale - in forza del principio di effettivita' della  tutela
costituzionale  -  deve  essere  trasferita  sulla  norma  nel  testo
risultante dalla modifica realizzata dall'art. 5,  comma  2,  lettera
b), numero 1), del d.l. n. 70 del 2011 (sentenza n. 114 del 2012). 
    5.2.- Nel merito, la questione e' fondata  per  violazione  degli
artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione. 
    5.2.1.- I censurati commi 3, lettera b), e 4, si inseriscono  nel
testo complessivo del citato art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, che  e'
intitolato «Disposizioni in materia di conferenza di  servizi».  Esso
apporta modifiche  specifiche  alla  disciplina  dell'istituto  della
conferenza di servizi, introdotto,  in  via  generale,  dall'art.  14
della legge n. 241  del  1990,  come  strumento  di  accelerazione  e
semplificazione  dei  procedimenti   amministrativi   particolarmente
complessi perche' implicanti  una  valutazione  contestuale  di  vari
interessi  pubblici  di  competenza   di   diverse   amministrazioni.
Attraverso  la  valutazione  contestuale  e  non  piu'  separata   ed
autonoma, da parte delle  diverse  amministrazioni,  degli  interessi
pubblici  coinvolti  dal  medesimo  procedimento,  si   mirava,   sin
d'allora,  ad  accelerarne  la  conclusione  e   ad   agevolarne   la
razionalizzazione. 
    La conferenza di servizi costituisce, pertanto, come riconosciuto
dalla      giurisprudenza       amministrativa,       un       modulo
procedimentale-organizzativo      suscettibile      di       produrre
un'accelerazione dei tempi procedurali  e,  nel  contempo,  un  esame
congiunto degli interessi pubblici coinvolti. 
    Esso, infatti, consente l'assunzione concordata di determinazioni
sostitutive, a tutti  gli  effetti,  di  concerti,  intese,  assensi,
pareri, nulla osta, richiesti  da  un  procedimento  pluristrutturale
specificatamente conformato dalla  legge,  senza  che  cio'  comporti
alcuna  modificazione  o  sottrazione  delle  competenze,  posto  che
ciascun rappresentante,  partecipante  alla  conferenza,  imputa  gli
effetti  giuridici  degli   atti   che   compie   all'amministrazione
rappresentata,  competente  in  forza  della  normativa  di   settore
(Consiglio Stato, sezione V, 8 maggio 2007, n. 2107). 
    Questa Corte ha gia'  avuto  occasione  di  confermare  che  tale
istituto, «introdotto dalla legge non tanto per eliminare uno o  piu'
atti del procedimento, quanto per rendere contestuale quell'esame  da
parte di amministrazioni  diverse  che,  nella  procedura  ordinaria,
sarebbe  destinato  a  svolgersi  secondo  una   sequenza   temporale
scomposta in fasi distinte» (sentenza n. 62 del 1993), e'  «orientato
alla realizzazione del principio di buon andamento ex art. 97 Cost.»,
in quanto «assume, nell'intento della semplificazione e accelerazione
dell'azione amministrativa, la funzione di coordinamento e mediazione
degli  interessi  in  gioco  al  fine  di  individuare,  mediante  il
contestuale  confronto  degli   interessi   dei   soggetti   che   li
rappresentano, l'interesse pubblico primario e prevalente»  (sentenza
n.  313  del  2010).  Esso,  quindi,  «realizza   (...)   un   giusto
contemperamento fra la necessita' della concentrazione delle funzioni
in un'istanza unitaria e  le  esigenze  connesse  alla  distribuzione
delle competenze fra gli enti che paritariamente vi  partecipano  con
propri rappresentanti, senza che  cio'  implichi  attenuazione  delle
rispettive attribuzioni» (sentenza n. 348 del 1993). 
    Dall'insieme delle richiamate indicazioni  della  giurisprudenza,
da un lato, risulta agevole desumere come esista un'esigenza unitaria
che legittima l'intervento del legislatore statale  anche  in  ordine
alla disciplina di procedimenti  complessi  estranei  alle  sfere  di
competenza esclusiva statale affidati alla conferenza di servizi,  in
vista   dell'obiettivo   della   accelerazione   e    semplificazione
dell'azione  amministrativa;  dall'altro,   e'   ugualmente   agevole
escludere che l'intera disciplina  della  conferenza  di  servizi,  e
dunque anche la disciplina del superamento del  dissenso  all'interno
di essa, sia riconducibile  ad  una  materia  di  competenza  statale
esclusiva, tenuto conto della varieta' dei settori  coinvolti,  molti
dei quali sono innegabilmente relativi anche a  competenze  regionali
(es.: governo del territorio, tutela della salute, valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali). 
    In  particolare,  va  ancora  ricordato  che  questa   Corte   ha
ripetutamente affermato che, per individuare la  materia  alla  quale
devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, non assume
rilievo la qualificazione che di esse abbia dato il  legislatore,  ma
occorre  fare  riferimento  all'oggetto  ed  alla  disciplina   delle
medesime (sentenze n. 430, n. 169 e n. 165 del 2007). In questo caso,
la qualificazione, operata dalla stessa norma impugnata  -  letta  in
combinato disposto con l'art. 49, comma 4 - della disciplina inerente
alla  conferenza  di  servizi,  quale   disciplina   attinente   alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, risulta contraddetta  dal  contenuto  della
medesima.  Essa,  infatti,  lungi  dal   determinare   uno   standard
strutturale o qualitativo di  prestazioni  determinate,  attinenti  a
questo o a quel diritto civile o sociale, in  linea  con  il  secondo
comma, lettera m), dell'art. 117 Cost. (di recente, sentenza  n.  248
del 2011), assolve  al  ben  diverso  fine  di  regolare  l'attivita'
amministrativa, in settori vastissimi  ed  indeterminati,  molti  dei
quali di competenza regionale, (quali il governo del  territorio,  la
tutela  della   salute,   l'ordinamento   degli   uffici   regionali,
l'artigianato, il turismo,  il  commercio),  in  modo  da  soddisfare
l'esigenza,  diffusa  nell'intero  territorio   nazionale,   di   uno
svolgimento della stessa il piu' possibile semplice e celere. 
    Il soddisfacimento di una simile  esigenza  unitaria  giustifica,
pertanto, l'attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarieta', sia
dell'esercizio  concreto  della  funzione  amministrativa  che  della
relativa regolamentazione nelle materie di competenza  regionale,  ma
deve  obbedire  alle  condizioni   stabilite   dalla   giurisprudenza
costituzionale, fra le quali questa Corte  ha  sempre  annoverato  la
presenza di adeguati strumenti di coinvolgimento  delle  Regioni.  In
particolare, si e' affermato che «l'ordinamento costituzionale impone
il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi
regionali per l'esercizio concreto  di  una  funzione  amministrativa
attratta  in  sussidiarieta'  al  livello  statale  in   materie   di
competenza legislativa» (sentenza n. 383 del 2005) e che tali «intese
costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimita'
costituzionale della disciplina legislativa statale che  effettui  la
"chiamata  in  sussidiarieta'"  di  una  funzione  amministrativa  in
materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza  che
deve trattarsi di vere e proprie intese "in senso  forte",  ossia  di
atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili
con decisione unilaterale di una delle parti» (sentenza  n.  383  del
2005). In tali casi, ha inoltre precisato questa Corte,  «il  secondo
comma dell'art. 120 Cost. non puo' essere applicato» (sentenza n. 383
del 2005). 
    E' in questo  quadro  che  occorre  valutare  la  disciplina  del
superamento del dissenso espresso, appunto, in  sede  di  conferenza,
introdotta dall'impugnato comma  3,  lettera  b),  dell'art.  49,  in
specie nella parte in cui, modificando l'art. 14-quater  della  legge
n. 241 del  1990,  stabilisce  che,  ove  il  motivato  dissenso  sia
espresso da una Regione o da una  Provincia  autonoma  in  una  delle
materie di propria competenza  e  non  sia  raggiunta  la  prescritta
intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate
entro trenta giorni, «il Consiglio dei ministri delibera in esercizio
del proprio potere sostitutivo con la partecipazione  dei  Presidenti
delle Regioni o delle Province autonome interessate». 
    Questa Corte,  applicando  i  principi  suddetti,  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  di  analoga   norma   statale   che
prevedeva un potere  sostitutivo  del  Governo  in  caso  di  mancato
raggiungimento dell'intesa, esercitabile decorsi trenta giorni  dalla
convocazione del primo incontro tra il Governo  e  la  Regione  o  la
Provincia  autonoma  interessata,  affermando  che   «la   previsione
dell'intesa, imposta dal principio di leale  collaborazione,  implica
che non sia legittima una norma contenente una "drastica  previsione"
della decisivita' della volonta'  di  una  sola  parte,  in  caso  di
dissenso, ma che siano necessarie "idonee  procedure  per  consentire
reiterate trattative volte a superare le  divergenze"  (ex  plurimis,
sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007,  n.  339  del  2005).  Solo
nell'ipotesi di ulteriore esito negativo  di  tali  procedure  mirate
all'accordo,  puo'  essere   rimessa   al   Governo   una   decisione
unilaterale» (sentenza n. 165 del 2011), come nel caso relativo  alla
disciplina  del  procedimento  di  certificazione  dei  siti   idonei
all'insediamento degli impianti nucleari (sentenza n. 33 del 2011). 
    Allorquando, invece, l'intervento unilaterale dello  Stato  viene
prefigurato   come   mera   conseguenza   automatica   del    mancato
raggiungimento  dell'intesa,  e'  violato  il  principio   di   leale
collaborazione con conseguente sacrificio delle sfere  di  competenza
regionale. 
    Anche la norma oggi impugnata reca la «drastica previsione» della
decisivita' della volonta' di una sola parte, in  caso  di  dissenso,
posto che il  Consiglio  dei  ministri  delibera  unilateralmente  in
materie di competenza regionale, allorquando, a seguito del  dissenso
espresso in conferenza dall'amministrazione regionale competente, non
si raggiunga l'intesa con la  Regione  interessata  nel  termine  dei
successivi trenta giorni: non solo,  infatti,  il  termine  e'  cosi'
esiguo da rendere oltremodo complesso e difficoltoso  lo  svolgimento
di una qualsivoglia trattativa, ma dal  suo  inutile  decorso  si  fa
automaticamente discendere l'attribuzione al Governo  del  potere  di
deliberare, senza che siano previste le necessarie «idonee  procedure
per consentire reiterate trattative volte a superare  le  divergenze»
(come, peraltro, era invece previsto dall'art. 14-quater della  legge
n.  241  del  1990,  nel  testo  previgente,  come  risultante  dalle
modifiche introdotte dalla legge n. 15 del 2005). 
    Ne', d'altro canto, la previsione che il Consiglio  dei  ministri
delibera,  in  esercizio  del  proprio  potere  sostitutivo,  con  la
partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome
interessate,   «puo'   essere   considerata    valida    sostituzione
dell'intesa, giacche' trasferisce nell'ambito interno  di  un  organo
costituzionale dello Stato un confronto tra Stato e Regione, che deve
necessariamente  avvenire  all'esterno,  in  sede  di  trattative  ed
accordi, rispetto ai quali le  parti  siano  poste  su  un  piano  di
parita'» (sentenza n. 165 del 2011). 
    Deve,  pertanto,  dichiararsi   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 49,  comma  3,  lettera  b),  del  d.l.  n.  78  del  2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n.  122  del  2010,  nella
parte in cui prevede che, in caso di dissenso  espresso  in  sede  di
conferenza di servizi da una Regione o da una Provincia autonoma,  in
una delle materie di propria competenza, ove non sia stata raggiunta,
entro il breve termine di trenta giorni, l'intesa, «il Consiglio  dei
ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con  la
partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome
interessate»,  senza  che  siano  previste  ulteriori  procedure  per
consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze. 
    5.2.2.- Conseguentemente, la  questione  promossa  dalla  Regione
Liguria (ric. n. 102 del 2010) nei confronti del  predetto  art.  49,
comma 3, lettera b), letto in "combinato disposto" con il comma 4 del
medesimo art. 49 deve ritenersi assorbita.