N. 176 SENTENZA 2 - 6 luglio 2012

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Bilancio e contabilita' pubblica - Sviluppo delle Regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del piano nazionale per il Sud - Deroga ai vincoli del patto di stabilita' in favore delle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia - Redistribuzione dei maggiori oneri tra lo Stato e le restanti Regioni, per effetto della clausola di invarianza dei tetti - Ricorsi delle Regioni Toscana, Veneto e Sardegna - Preliminare valutazione sull'ammissibilita' dei ricorsi in riferimento all'art. 119 della Costituzione. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 5-bis - Bilancio e contabilita' pubblica - Sviluppo delle Regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del piano nazionale per il Sud - Deroga ai vincoli del patto di stabilita' in favore delle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia - Redistribuzione dei maggiori oneri tra lo Stato e le restanti Regioni, per effetto della clausola di invarianza dei tetti - Aggravio del bilancio delle altre Regioni e rimodulazione piu' onerosa dei rispettivi patti di stabilita' - Violazione del principio secondo cui gli interventi perequativi e solidali devono garantire risorse aggiuntive rispetto a quelle reperite per l'esercizio delle normali funzioni e tali risorse devono provenire dallo Stato - Lesione dell'autonomia finanziaria regionale - Illegittimita' costituzionale. - D.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148), art. 5-bis. - Costituzione, art. 119, commi terzo e quinto (artt. 3 e 5). Bilancio e contabilita' pubblica - Sviluppo delle Regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del piano nazionale per il Sud - Deroga ai vincoli del patto di stabilita' - Ius superveniens che rafforza ed estende il meccanismo previsto dalla norma impugnata gia' dichiarata incostituzionale - Conseguente incremento degli oneri a carico delle Regioni chiamate in solidarieta' - Inscindibile connessione funzionale tra la norma impugnata e quella sopravvenuta - Illegittimita' costituzionale in via consequenziale. - Legge 12 novembre 2011, n. 183, art. 32, comma 4, lett. n). - Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27.

      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  5-bis
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori  misure  urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per  lo  sviluppo),  convertito,
con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011,  n.  148,  promossi
dalla Regione Toscana, dalla Regione Veneto e dalla Regione  autonoma
Sardegna, con distinti ricorsi notificati il 14-18 ed il 15  novembre
2011, depositati in cancelleria il 17, il 23 ed il 24 novembre  2011,
ed iscritti ai numeri 133, 145 e 160 del registro ricorsi 2011. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  19  giugno  2012  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione autonoma  della
Sardegna, Marcello Cecchetti per la Regione Toscana, Luigi Manzi  per
la Regione Veneto e l'avvocato  dello  Stato  Paolo  Gentili  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ritenuto in fatto 
    1. - La Regione Toscana, in persona del  Presidente  pro-tempore,
autorizzato dalla Giunta regionale con delibere, rispettivamente, del
3 ottobre 2011, n. 833 e del 9 novembre 2011, n.  962,  ha  impugnato
vari articoli del decreto-legge 13 agosto  2011,  n.  138  (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,
e tra questi l'art. 5-bis, denunciando la violazione  dell'art.  119,
terzo e quinto comma, della Costituzione. 
    L'art. 5-bis (Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e
realizzazione del Piano Sud) del d.l. n. 138 del 2011, introdotto con
la legge di conversione n. 148 del 2011, al comma  1  stabilisce  che
«al fine di garantire l'efficacia delle  misure  finanziarie  per  lo
sviluppo delle  regioni  dell'obiettivo  convergenza  e  l'attuazione
delle  finalita'  del  Piano  per  il  Sud,  a  decorrere   dall'anno
finanziario in corso alla data di entrata in vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e
di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni  a
valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione  di  cui
all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio  2011,  n.  88,  sui
cofinanziamenti  nazionali   dei   fondi   comunitari   a   finalita'
strutturale, nonche' sulle risorse individuate  ai  sensi  di  quanto
previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133, puo' eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126  e  127,
della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto,  comunque,  delle
condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del
presente articolo». 
    Il comma 2 prevede quindi  che  «al  fine  di  salvaguardare  gli
equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia
e delle finanze, di concerto con il Ministro per i  rapporti  con  le
regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre  di
ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari  per  l'attuazione  del
comma 1, nonche' le modalita' di  attribuzione  allo  Stato  ed  alle
restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso
il rispetto  dei  tetti  complessivi,  fissati  dalla  legge  per  il
concorso dello Stato e  delle  predette  regioni  alla  realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento». 
    Secondo la Regione Toscana tali disposizioni, oltre a creare  una
forte disparita' tra  le  Regioni  che  potranno  e  quelle  che  non
potranno escludere dal patto di stabilita'  le  spese  a  valere  sui
fondi  suddetti,  realizzerebbero   un'operazione   incostituzionale,
allorche' prevedono che i maggiori oneri derivanti  dall'applicazione
del comma 1 dell'art. 5-bis siano posti a carico anche delle  Regioni
escluse dall'obiettivo convergenza. La  normativa  in  esame  infatti
confermerebbe in ogni caso l'obbligo di garantire  gli  equilibri  di
finanza pubblica, cosicche'  le  piu'  ampie  possibilita'  di  spesa
riconosciute alle cinque Regioni in  obiettivo  convergenza  andranno
compensate con  i  maggiori  oneri  che  sono  accollati  anche  alle
restanti Regioni. 
    Secondo la ricorrente la previsione in esame  si  tradurrebbe  in
una violazione dell'art. 119, terzo e  quinto  comma,  Cost.  per  le
seguenti ragioni. 
    L'incidenza della spesa gravante sui fondi  destinati  alle  aree
sottosviluppate sarebbe molto piu'  elevata  per  le  cinque  Regioni
comprese nell'obiettivo convergenza rispetto  a  quella  delle  altre
Regioni (12.350,636 milioni di euro per le cinque Regioni, rispetto a
4.675,955 milioni di euro per tutto il centro-nord,  come  si  evince
dalla delibera n. 80 del 2011 del Comitato interministeriale  per  la
programmazione economica - CIPE - adottata in data 11 gennaio 2011  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica,  prima  serie
generale, n. 80 del  7  aprile  2011,  contenente  la  tabella  delle
risorse  dei  fondi  per  le  aree  sottosviluppate  -  F.A.S.,  anni
2007-2013, destinate alle Regioni). Ne consegue che riequilibrare  lo
sforamento del tetto del patto di stabilita' rispetto a tale  ingente
cifra determinera' rilevanti oneri per le Regioni del centro-nord, in
violazione dell'art. 119, terzo comma, Cost. 
    Lo Stato inoltre  imporrebbe,  illegittimamente,  una  forma  del
tutto impropria di solidarieta' tra le Regioni,  al  di  fuori  dello
strumento della perequazione, cosi' come disciplinato dall'art.  119,
terzo comma, Cost., secondo cui: «la legge dello Stato istituisce  un
fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con
minore capacita' fiscale per abitante», strumento gia'  compiutamente
delineato dalla legge 5 maggio 2009, n.  42  (Delega  al  Governo  in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della
Costituzione). 
    Secondo la Regione Toscana, lo Stato,  ai  sensi  dell'art.  119,
quinto comma,  Cost.,  avrebbe  il  potere-dovere  di  promuovere  lo
sviluppo economico e di rimuovere gli squilibri economici  e  sociali
che  affliggono  determinati  territori  e  proprio  a  questi  scopi
potrebbe  destinare  risorse  aggiuntive  ed  effettuare   interventi
speciali. Ma, tuttavia, gli strumenti per l'attuazione  dell'articolo
119 Cost. sarebbero stati piu' correttamente  definiti  dall'art.  16
della legge n. 42 del 2009, che infatti al comma 1, lettere a) ed e),
la' dove detta i limiti per il legislatore delegato,  stabilisce  che
detti  contributi  speciali  siano  utilizzati  secondo  obiettivi  e
criteri definiti d'intesa con la Conferenza unificata, ma pur  sempre
restando essi  a  carico  del  bilancio  dello  Stato.  Evidenzia  in
proposito la Regione ricorrente che neppure il decreto legislativo 31
maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia di risorse aggiuntive  ed
interventi  speciali  per  la  rimozione  di  squilibri  economici  e
sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n.  42),
emanato  nell'esercizio  della   delega   legislativa,   prevederebbe
meccanismi di redistribuzione degli oneri finanziari  in  alcun  modo
assimilabili a quelli oggetto della contestata disposizione. 
    Sarebbe dunque del tutto evidente, prosegue il ricorso,  che  con
l'articolo 5-bis del d.l.  n.  138  del  2011  si  sia  costruito  un
meccanismo negativo, in cui la spesa per gli investimenti finalizzati
allo sviluppo di alcune Regioni viene posta a carico delle altre; ma,
secondo il dettato costituzionale, gli oneri necessari allo  sviluppo
delle Regioni meno avanzate dovrebbero essere sostenuti dallo  Stato,
ai  sensi  dell'art.  119,  quinto  comma,  Cost.  In  sostanza,   la
solidarieta' tra le Regioni potrebbe e dovrebbe trovare realizzazione
mediante uno strumento ben preciso,  indicato  dall'art.  119,  terzo
comma, Cost., ossia il fondo perequativo. 
    L'articolo 5-bis invece, secondo quanto assunto dalla ricorrente,
contrasterebbe sia con il terzo che con il quinto comma dell'art. 119
Cost.  Al  riguardo,  la  Regione   Toscana   precisa   inoltre   che
l'incostituzionalita' della norma non potrebbe  ritenersi  superabile
per il fatto che anche lo Stato concorrera' ai  maggiori  oneri,  ne'
tanto meno  in  ragione  della  previsione  dell'intesa  in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni per il riparto tra le varie Regioni di detti
oneri: a quest'ultimo proposito, infatti, la ricorrente  osserva  che
l'intesa non interverrebbe  sull'an  dell'attribuzione  alle  Regioni
estranee  all'"obiettivo  convergenza"   dei   maggiori   oneri,   ma
riguarderebbe esclusivamente le modalita' di attribuzione a  ciascuna
Regione di detti maggiori oneri, vertendosi quindi solo in  punto  di
quantum e fermo restando,  in  ogni  caso,  «il  rispetto  dei  tetti
complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e  delle
predette  regioni  alla  realizzazione  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica per l'anno di riferimento». In altri termini,  non  potrebbe
ritenersi sufficiente la previsione da parte del legislatore  statale
dell'intesa con le Regioni in quanto, nel caso  di  specie,  l'intesa
consentirebbe alle stesse di  intervenire  solo  sulle  modalita'  di
attribuzione alle Regioni dei maggiori  oneri,  mentre  sono  proprio
questi che si assumono costituzionalmente illegittimi. 
    Non  sarebbe  in  definitiva  ammissibile,  secondo  la   Regione
Toscana,  che,  ricorrendo  ad  uno  strumento  quale   l'intesa   in
Conferenza Stato-Regioni (sede in cui si realizza la collaborazione e
la concertazione istituzionale, non pero' lo stravolgimento  di  ogni
regola  e  competenza),  lo  Stato  possa  eludere  i  propri  doveri
costituzionali,  riversandone  la  responsabilita'  sulle  Regioni  e
ponendole in competizione tra loro sul  delicatissimo  terreno  dello
sviluppo. 
    2. - La Regione Veneto, in persona  del  Presidente  pro-tempore,
autorizzato dalla Giunta regionale con delibera dell'8 novembre 2011,
n. 1790, ha impugnato  vari  articoli  del  d.l.  n.  138  del  2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148  del  2011,  e  tra
queste dell'art. 5-bis, denunciando la violazione  degli  artt.  5  e
119, terzo e quinto comma, Cost. 
    2.1. - Con riguardo all'art. 5-bis, sostiene la ricorrente che lo
scopo  dell'intervento  normativo,   apparentemente   indirizzato   a
predisporre  strumenti  di  sviluppo  territoriale  corredati   dalle
necessarie modalita' di perequazione finanziaria, si risolverebbe, in
sostanza, nell'introduzione di misure  speciali,  dichiaratamente  di
favore e per cio' stesso sperequative, destinate soltanto  ad  alcune
Regioni - che  gia'  versano  in  grave  difficolta'  finanziaria  ed
istituzionale e quindi meno "virtuose" - mediante  un  meccanismo  di
finanziamento indiretto a destinazione vincolata. 
    Prosegue la Regione Veneto che, secondo quello che pare essere la
corretta  interpretazione  della  disposizione,  tale  modalita'   di
finanziamento indiretto consisterebbe nella  possibilita',  accordata
alle «regioni dell'obiettivo convergenza (...) e  del  piano  per  il
sud», di eccedere in termini di competenza e di  cassa  i  limiti  di
spesa posti dalla legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge  di
stabilita' 2011), a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo  e
la coesione di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 88 del 2011. 
    Siffatta impostazione, secondo  la  ricorrente,  si  porrebbe  in
insanabile contrasto con l'art. 119 Cost., che sancisce il  principio
della piena responsabilita' finanziaria gravante su ciascun  ente  in
relazione alle funzioni di cui e'  tributario.  E  tale  inderogabile
principio varrebbe, a fortiori, per quelle Regioni, come  il  Veneto,
che,  lungi   dall'essere   tra   le   possibili   destinatarie   del
finanziamento indiretto con vincolo di destinazione, proprio  perche'
"virtuose", saranno tenute comunque a contribuire ai  maggiori  oneri
derivanti dalla deroga ai tetti  di  spesa  fissati  dalla  legge  di
stabilita' 2011. 
    L'art. 119 Cost., espone la ricorrente, riconosce agli  enti  che
compongono la Repubblica,  e  tra  questi  certamente  alle  Regioni,
autonomia finanziaria di entrata e di spesa e disegna il  sistema  di
finanziamento delle funzioni loro attribuite, limitando drasticamente
la possibilita' che lo Stato possa disporre fondi di finanziamento  a
favore delle autonomie regionali  e  locali.  La  norma  della  Carta
fondamentale,  infatti,  prosegue   la   ricorrente,   legittimerebbe
formalmente soltanto due tipologie di fondi statali. 
    Alla prima di dette  tipologie  sarebbe  riconducibile  il  fondo
perequativo, privo di vincoli di destinazione, di cui al terzo  comma
dell'art. 119 Cost., utilizzabile per le amministrazioni  con  minore
capacita' fiscale per  abitante  e  cumulabile  alle  entrate  ed  ai
tributi  propri  delle  amministrazioni  medesime,  unitamente   alla
compartecipazione  al  gettito  di  tributi  erariali  riferibile  al
territorio di pertinenza, ai  sensi  dell'art.  119,  secondo  comma,
Cost. Tutti tali cespiti finanziari sono ordinariamente  destinati  a
finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite  a  Regioni
ed enti locali ai sensi del quarto comma dell'art. 119 medesimo. 
    L'altra tipologia,  prosegue  la  Regione  Veneto,  consisterebbe
nelle «risorse aggiuntive» e negli «interventi speciali» previsti  in
favore  di  determinate  Regioni,  Province,  Citta'   metropolitane,
Comuni, al fine di «promuovere lo sviluppo economico, la  coesione  e
la solidarieta' sociale, (...) rimuovere gli  squilibri  economici  e
sociali, (...)  favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti  della
persona, (...) provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle
loro funzioni», ai sensi del quinto comma dell'art. 119 Cost. 
    In relazione a quanto  sopra,  sembra  corretto  alla  ricorrente
concludere che l'intervento legislativo specificamente impugnato  non
possa essere annoverato, non possedendone le caratteristiche, ne' tra
i fondi perequativi, ne' tra quegli speciali stanziamenti di  cui  al
quinto comma  dell'art.  119  Cost.  Conseguentemente,  non  trovando
collocazione nella norma della Carta fondamentale,  l'art.  5-bis  di
cui si tratta dovrebbe  considerarsi  incompatibile  con  l'art.  119
Cost., cosi' come innovato per effetto della recente riforma  che  ha
interessato il Titolo V. 
    In altri termini, la Regione Veneto reputa  che  l'ingiustificato
privilegio - accordato ad alcune Regioni che gia'  beneficiano  della
facolta' di attingere ai fondi comunitari - di superare i  limiti  di
spesa  imposti  dal  sistema  finanziario  interno  a  tutela   della
stabilita' economica snaturi e sradichi il nesso istituzionalmente  e
giuridicamente  inscindibile  tra  attribuzione  delle   risorse   ed
esercizio delle funzioni, rischiando di tradursi in un'elargizione ad
hoc   perseguita   con   modalita'   indirette.   La   stessa   Corte
costituzionale avrebbe gia' avuto modo di vagliare tale modalita'  di
intervento, censurando l'introduzione nell'ordinamento  di  qualsiasi
strumento  indiretto,  ma  pervasivo,  di   ingerenza   dello   Stato
nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali e  di
sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente  a
quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali  di
propria competenza (si cita la sentenza n. 16 del 2004). 
    2.2. -  La  Regione  Veneto  evidenzia  inoltre,  come  ulteriore
profilo  di  illegittimita'  della  norma  impugnata,   l'irrazionale
preferenza riconosciuta alle sole «regioni dell'obiettivo convergenza
(...) e del piano per il sud», che  si  concreterebbe  in  meccanismi
forieri di un'ingiustificata e percio' iniqua diseguaglianza, tali da
minare nella sostanza la stessa unita' ed indivisibilita' dello Stato
sancita all'art. 5 Cost. La previsione oggetto di impugnazione, per i
considerevoli  contenuti  discriminatori  che  presenterebbe,   viene
quindi ritenuta dalla  ricorrente  in  insanabile  contrasto  con  il
principio di responsabilita' finanziaria, che, allo scopo di impedire
il protrarsi di situazioni di sperpero e non corretto  impiego  delle
risorse provenienti dalla  fiscalita'  generale,  precluderebbe  allo
Stato la possibilita' di attribuire risorse  aggiuntive  ai  soggetti
istituzionali che abbiano oltrepassato i limiti finanziari consentiti
ovvero che non abbiano utilizzato le disponibilita'  economiche  loro
attribuite secondo le regole di buona amministrazione. 
    2.3. - Secondo la Regione Veneto, conclusivamente, la  condizione
di privilegio riservata dalla disposizione in esame ad alcune Regioni
in ordine all'obbligo  di  rispetto  dei  limiti  di  spesa,  non  si
fonderebbe, infatti, su valutazioni oggettive afferenti a determinate
carenze infrastrutturali o  immateriali  che,  in  termini  generali,
potrebbero legittimare l'intervento legislativo di  favore,  rendendo
accettabili  eventuali  misure  perequative  necessarie  a   sostegno
dell'unita' nazionale.  Al  contrario,  sostiene  la  ricorrente,  la
norma,  basandosi  su  di  una  irragionevole  ed  apodittica  quanto
ingiustificata   presunzione   di    inferiorita'    infrastrutturale
presupposta in alcune Regioni, verrebbe ad esacerbare  il  dislivello
giuridico   e   finanziario,   alterando   le   corrette    relazioni
istituzionali e cosi' rendendo del tutto illegittimo quell'obbligo di
ripianamento,  posto  a  carico  delle  restanti  Regioni.  Cio'   si
tradurrebbe in un altrettanto illegittimo depauperamento  finanziario
ed  istituzionale,  tenuto  conto  che  le  risorse  destinate   alla
perequazione  provengono   necessariamente   dai   fondi   altrimenti
destinati all'esercizio delle funzioni di competenza. 
    3. - La Regione autonoma Sardegna, in persona del suo  Presidente
pro-tempore, autorizzato dalla Giunta regionale con delibera  del  10
novembre 2011, n. 45, ha proposto impugnazione di alcuni articoli del
d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla  legge  n.
148  del  2011  e,  tra  questi,  dell'art.  5-bis,  denunciando   la
violazione degli artt. 3 e 119, terzo e quinto comma, Cost. 
    Con riferimento all'art. 5-bis, evidenzia la ricorrente di essere
tra le otto Regioni incluse nel c.d. "piano nazionale  per  il  sud",
ossia nel programma di attivita' strategiche che il Governo ha varato
nel novembre del 2010, proponendosi il fine -  come  si  legge  nella
relazione esplicativa del piano  -  di  «creare  nel  Mezzogiorno  un
ambiente favorevole e pre-condizioni adeguate al pieno  dispiegamento
delle sue potenzialita'  di  sviluppo»,  a  fronte  del  «divario  di
sviluppo tra il Mezzogiorno ed il resto del Paese (...) da  oltre  40
anni immutato nelle sue dimensioni quantitative» e del  «divario  nel
Pil pro capite del Mezzogiorno rispetto al  Centro  Nord  (...)  oggi
all'incirca uguale a quello degli anni '60». Al  contrario,  prosegue
la ricorrente, essa non e' inclusa tra quelle che possono partecipare
al c.d. "obiettivo convergenza" dell'Unione europea - varato  con  il
regolamento della Comunita' europea  11  luglio  2006,  n.  1083/2006
(Regolamento del Consiglio recante disposizioni  generali  sul  Fondo
europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul  Fondo
di coesione e che abroga il regolamento (CE) n. 1260/1999) al fine di
promuovere una maggiore armonizzazione e coerenza  nell'utilizzo  dei
fondi  strutturali  europei  (la  ricorrente   richiama,   a   questo
proposito, il "considerando" n. 9 del citato Regolamento) - in quanto
non rientrerebbe nei parametri stabiliti in base al  «sistema  comune
di classificazione delle  regioni»  introdotto  dal  regolamento  del
Parlamento europeo e del Consiglio n. 1059/2003 del  26  maggio  2003
(Regolamento  del  Parlamento  europeo  e  del   Consiglio   relativo
all'istituzione  di   una   classificazione   comune   delle   unita'
territoriali per la statistica - NUTS), ex  art.  5  del  regolamento
(CE) n. 1083/2006.  Per  effetto  della  disposizione  impugnata,  le
Regioni non inserite nell'"obiettivo convergenza", ma che presentano,
comunque, quella situazione di mancato sviluppo che ne ha determinato
l'inserimento nel "piano nazionale per il sud", come e' il caso della
Sardegna, non solo non si vedono riconoscere i  benefici  di  cui  al
comma 1 del medesimo articolo 5-bis, ma subiscono anche i  pregiudizi
derivanti dal comma 2, trovandosi obbligate a cofinanziare le risorse
destinate al sostegno di altre Regioni  alle  quali,  comunque,  sono
accomunate da una condizione di arretratezza rispetto agli indicatori
di sviluppo nazionali. 
    Per quanto sopra la ricorrente ritiene  che  la  disposizione  in
esame: 
    - violi l'art. 3 Cost.  sotto  il  profilo  della  disparita'  di
trattamento, in quanto considera in maniera diversa Regioni  ed  aree
del Paese  che  presentano  gli  stessi  gravi  problemi  di  mancato
sviluppo sociale ed economico; 
    -   violi   l'art.   3   Cost.    anche    sotto    il    profilo
dell'irragionevolezza,   in   quanto,   al   fine   di   colmare   le
diseguaglianze strutturali tra le diverse aree  del  Paese,  richiede
maggiori oneri a Regioni che lo stesso  Stato  ha  ritenuto,  con  il
"piano nazionale  per  il  sud",  meritevoli  di  beneficiare  di  un
particolare sforzo di sostegno sociale ed economico; 
    - violi, infine, il terzo ed il quinto comma dell'art. 119 Cost.,
in quanto aggrava le diseguaglianze tra Regioni  ed  aree  del  Paese
arretrate quanto alle condizioni di sviluppo, contrastando in maniera
frontale con i principi  di  perequazione,  coesione  e  solidarieta'
sociale ivi previsti. 
    4. - Si e' costituito  in  tutti  i  giudizi  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato. 
    4.1. - Con riguardo ai motivi del ricorso proposto dalla  Regione
Toscana, la difesa erariale ha anzitutto richiamato, quali fondamenti
dell'esercizio  della  potesta'  legislativa  espressa  dalla   norma
impugnata, i principi posti dagli artt.  117,  terzo  comma,  e  119,
secondo comma, Cost., dai quali si  evincerebbe  che  in  materia  di
coordinamento di finanza  pubblica  la  determinazione  dei  principi
fondamentali e' riservata alla legislazione statale, anche al fine di
perseguire  gli  obiettivi  concordati  in  sede  di  Unione  europea
(sentenza n. 35 del 2005). 
    Inoltre, secondo la difesa erariale, non vi sarebbero dubbi sulle
finalita' della norma, volta al contenimento della spesa pubblica  ed
al  risanamento  del  debito,  che  costituiscono  obiettivi  al  cui
perseguimento sono tenute a collaborare anche le Regioni, se del caso
tramite l'imposizione di vincoli di bilancio  tesi  al  coordinamento
finanziario (sentenze n. 237 e n. 284 del 2009). 
    Il   Presidente   del   Consiglio   evidenzia   che   il   quadro
costituzionale di riferimento,  quale  descritto  nel  ricorso  della
Regione Toscana, non  potrebbe  piu'  essere  considerato  del  tutto
attuale o immutabile, tenuto conto dell'approvazione del  disegno  di
legge costituzionale  per  l'obbligo  di  pareggio  del  bilancio,  a
modifica degli artt. 81, 100, 117 e 119 Cost. In  altri  termini,  si
dovrebbe tener conto di un processo in corso  per  la  valorizzazione
dei principi di sostenibilita'  del  debito  di  tutte  le  pubbliche
amministrazioni e del correlato vincolo di pareggio del bilancio.  In
secondo luogo, non potrebbero essere rinvenuti nell'art.  119  Cost.,
cosi'   come   costantemente   interpretato   nella    giurisprudenza
costituzionale, i limiti invocati dalle ricorrenti  all'adozione  del
sistema di solidarieta' tra Regioni cosi' come  introdotto  dall'art.
5-bis in esame. Osserva difatti la difesa erariale  che  nel  sistema
delineato dall'art. 119  Cost.  le  funzioni  pubbliche  regionali  e
locali devono essere interamente  finanziate  attraverso  le  risorse
derivanti da compartecipazioni, tributi propri e  fondo  perequativo,
secondo quanto stabilito dal quarto  comma,  mentre  i  finanziamenti
speciali (di natura perequativa), previsti  dal  quinto  comma,  sono
costituiti da risorse eventuali ed aggiuntive e  devono  riferirsi  a
finalita'  di  perequazione  e  di  garanzia  diverse   dal   normale
esercizio, oltre a doversi indirizzare a specifici enti  locali  o  a
categorie di essi (sentenze n. 370 del 2003, n. 16 del  2004,  n.  49
del 2004). 
    Il Presidente del Consiglio rammenta inoltre che il giudice delle
leggi, nella sentenza n. 37 del 2004, ha rilevato  espressamente  che
«(...) l'attuazione di questo disegno costituzionale  richiede  pero'
come necessaria premessa l'intervento  del  legislatore  statale,  il
quale, al fine di coordinare l'insieme della finanza pubblica, dovra'
non solo fissare i principi  cui  i  legislatori  regionali  dovranno
attenersi, ma anche determinare le grandi linee  dell'intero  sistema
tributario, e definire gli spazi e i  limiti  entro  i  quali  potra'
esplicarsi la potesta' impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni
ed  enti  locali  (...)  poiche'  non  e'  ammissibile,  in   materia
tributaria, una piena esplicazione di potesta' regionali autonome  in
carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata  dal
Parlamento nazionale, si deve tuttora ritenere preclusa alle  Regioni
(se non nei limiti ad  esse  gia'  espressamente  riconosciuti  dalla
legge statale) la  potesta'  di  legiferare  sui  tributi  esistenti,
istituiti e regolati da leggi statali (sentenze n. 296 del 2003 e  n.
297 del 2003); e per converso si deve ritenere tuttora  spettante  al
legislatore statale la potesta' di dettare norme modificative,  anche
nel  dettaglio,  della  disciplina  dei  tributi  locali  esistenti».
L'intervento normativo de quo, non discostandosi dai limiti tracciati
dalla giurisprudenza  costituzionale,  sarebbe  quindi  da  ritenersi
immune dalle censure sollevate. 
    4.2. - Con riferimento all'impugnazione  proposta  dalla  Regione
Veneto, il Presidente del Consiglio obietta inoltre che l'art.  5-bis
non introdurrebbe un nuovo tipo di fondo, non previsto dall'art.  119
Cost. Al contrario, esso prevederebbe una  particolare  modalita'  di
quantificazione delle spese imputabili al fondo per lo sviluppo e  la
coesione, nonche' ai  cofinanziamenti  nazionali  di  interventi  dei
fondi comunitari a finalita' strutturale. Non si introdurrebbe in tal
modo una generalizzata deroga ai limiti di spesa previsti dalla legge
di stabilita'  per  il  2011.  La  disposizione  impugnata,  infatti,
secondo la difesa erariale, non autorizzerebbe sic et simpliciter  le
Regioni interessate  a  superare  tali  limiti  nell'impegnare  spese
imputabili alle fonti suddette.  Al  contrario,  essa  subordinerebbe
(comma 2) tale possibilita' alla determinazione  di  precisi  "limiti
finanziari" da stabilire d'intesa tra lo Stato e tutte le  Regioni  e
Province autonome; e,  comunque,  ribadisce  che  l'applicazione  del
comma 1 non potra' in nessun caso comportare il superamento del tetto
massimo di concorso finanziario  dello  Stato  e  delle  Regioni  non
interessate, stabilito dalla legge di stabilita'. Ne deriverebbe,  in
tale  prospettiva,  che  il  superamento  dei  limiti  dovra'  quindi
avvenire "a saldi invariati". 
    Oltre a cio',  la  difesa  erariale  evidenzia  che,  in  seguito
all'adozione della norma impugnata, con l'art. 32, comma  4,  lettera
n), della legge 12 novembre 2011, n. 183, recante  «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.  (Legge
di stabilita' 2012)», si e' stabilito che siano escluse dal patto  di
stabilita' regionale «le spese a valere sulle risorse del  fondo  per
lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti  nazionali  di
fondi comunitari a finalita' strutturale e sulle risorse  individuate
ai sensi di quanto previsto dall'art. 6-sexies d.l. 25  giugno  2008,
n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6  agosto  2008,  n.
133, subordinatamente e nei limiti previsti dal decreto del  Ministro
dell'economia e delle finanze di cui all'art. 5-bis comma 2 del  d.l.
13 agosto  2011  n.  138  conv.  con  modificazioni  dalla  legge  14
settembre 2011 n. 148». 
    Ne conseguirebbe che, per effetto di tale disposizione, tutte  le
spese imputabili alle fonti contemplate dal comma 1  dell'art.  5-bis
del d.l. n. 138 del 2011 sono ora sottratte ai vincoli del  patto  di
stabilita' e che tale sottrazione vale per tutte le Regioni,  purche'
siano rispettate  le  condizioni  fissate  dal  decreto  ministeriale
previsto dal comma 2 dello stesso articolo. 
    In definitiva, secondo il Presidente del Consiglio,  per  effetto
di quanto disposto dal predetto art. 32, comma 4, lettera  n),  della
legge di stabilita' per il  2012,  la  questione  dovrebbe  ritenersi
superata. 
    4.3. -  Relativamente  all'impugnazione  della  Regione  autonoma
Sardegna, la difesa erariale evidenzia  che  anche  le  doglianze  di
detta ricorrente potrebbero considerarsi  superate  per  effetto  del
citato art. 32, comma 4, lettera n), della legge  n.  183  del  2011.
Osserva difatti che tale disposizione, la cui formulazione  e'  stata
condivisa dalle stesse autonomie regionali, consente di  estendere  a
tutte le Regioni, e non  solo  a  quelle  ricomprese  nell'"obiettivo
convergenza", le esclusioni in parola, fermi  restando  i  limiti  da
stabilire con il predetto decreto del Ministro dell'economia e  delle
finanze al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica. 
    5. - Con memorie depositate in vista  dell'udienza  pubblica,  le
Regioni Toscana e Sardegna hanno replicato alle difese erariali. 
    5.1. - In particolare, la Regione Toscana ha osservato che mentre
il fondo perequativo sarebbe finalizzato a realizzare  l'inderogabile
solidarieta' tra le Regioni, nella fattispecie in  esame  si  sarebbe
tuttavia creato un meccanismo inammissibile, che  introduce  elementi
di solidarieta' interregionale al  di  fuori  di  tutti  i  parametri
previsti  dall'art.  119,  terzo  comma,  Cost.,  nel  quadro   degli
interventi finalizzati allo sviluppo,  attualmente  disciplinati  nel
quinto comma dell'art. 119 Cost. A tal fine,  ricorda  la  ricorrente
che il d.lgs. n. 88 del 2011, istitutivo del Fondo per lo sviluppo  e
la coesione,  e'  intitolato  proprio  «Disposizioni  in  materia  di
risorse  aggiuntive  ed  interventi  speciali  per  la  rimozione  di
squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5
maggio 2009, n. 42». Ne', secondo la ricorrente, a giustificazione di
tale operazione potrebbe addursi il  fatto  che  a  questo  scopo  si
utilizzino  strumenti  -  quali  il  patto  di   stabilita'   ed   il
contenimento  della  spesa  pubblica  -  di  matrice  comunitaria   e
rientranti nella potesta' legislativa statale di coordinamento  della
finanza pubblica, posto che essi per  loro  natura  dovrebbero  avere
un'applicazione uniforme (o, quantomeno, non penalizzante per  alcune
Regioni). La stessa sentenza della Corte costituzionale  n.  284  del
2009, citata dalla difesa erariale a  sostegno  delle  proprie  tesi,
confermerebbe invece, secondo  la  ricorrente,  l'illegittimita'  del
meccanismo di cui all'art. 5-bis in esame, allorche' - in ordine alla
censura avverso l'articolo 77, comma 1, del decreto legge  25  giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti  per  lo  sviluppo  economico,  la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133, che,  che  imponeva
all'intero settore regionale il  concorso  alla  realizzazione  degli
obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2009-2011 - la Corte ha
affermato   che   «la   norma   impugnata   non   introduce    alcuna
discriminazione tra Regioni con differenti gradi di sviluppo,  ma  si
limita a porre un vincolo generale per  l'intero  settore  regionale.
Gli interventi statali fondati sulla  differenziazione  tra  Regioni,
volti a rimuovere gli squilibri economici e sociali,  devono  seguire
le modalita'  fissate  dall'art.  119,  quinto  comma,  Cost.,  senza
alterare i vincoli generali di contenimento della spesa pubblica, che
non possono che essere uniformi». 
    Neppure conferente, secondo la ricorrente, sarebbe il riferimento
agli interventi legislativi sulla potesta' tributaria regionale,  che
non avrebbe alcun rilievo nella fattispecie in esame. 
    Infine, il richiamo al principio del c.d. "pareggio di  bilancio"
evidenzierebbe ulteriormente i profili di illegittimita' della  norma
prospettati dalla Regione Toscana con il proprio ricorso: il  dovere,
sancito dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione
del principio del pareggio di bilancio nella  Carta  costituzionale),
di assicurare "l'equilibrio tra spese ed  entrate"  sarebbe  riferito
allo Stato ed a tutte le altre pubbliche amministrazioni, comprese le
Regioni, ma ognuno limitatamente al proprio  bilancio.  Diversamente,
la norma in esame, creerebbe una sorta di compensazione (da ritenersi
non  conforme  a  Costituzione)  tra  bilanci  di  Regioni   diverse,
allorche' prevede che i maggiori  oneri  derivanti  dall'applicazione
del comma 1 dell'art.  5-bis  siano  posti  a  carico  (anche)  delle
Regioni escluse dall'"obiettivo convergenza". 
    In sostanza, conclude la ricorrente, sarebbe del  tutto  evidente
che con l'art. 5-bis del d.l. n. 138  del  2011  venga  costruito  un
meccanismo negativo, in cui la spesa per gli investimenti finalizzati
allo sviluppo di alcune Regioni e' posta a carico delle altre. Ma, si
osserva, secondo il dettato costituzionale le risorse necessarie allo
sviluppo delle Regioni meno  avanzate  o  andrebbero  reperite  dallo
Stato, ai  sensi  dell'articolo  119,  quinto  comma,  Cost.,  oppure
dovrebbero  essere   rinvenute   attraverso   il   meccanismo   della
solidarieta' tra le Regioni, nell'unica forma indicata dall'art. 119,
terzo comma, Cost., ossia il fondo perequativo. 
    5.2. - La  Regione  autonoma  Sardegna,  nella  propria  memoria,
contesta l'affermazione della difesa  dello  Stato  che  sostiene  il
superamento delle doglianze regionali in ragione della sopravvenienza
dell'art. 32, comma 4, lettera n), della legge n. 183 del  2011.  Se,
difatti, e' vero, argomenta la ricorrente, che l'art.  32,  comma  4,
della legge n. 183 del 2011 prevede che  «il  complesso  delle  spese
finali di cui ai commi 2 e  3  e'  determinato,  sia  in  termini  di
competenza sia in termini di cassa, dalla somma delle spese  correnti
e in conto capitale risultanti dal consuntivo al netto» di una  serie
di capitoli di bilancio,  tra  i  quali,  come  ricorda  l'Avvocatura
erariale, vi e' quella relativa alle spese a valere sulle risorse del
fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, subordinatamente  e  nei
limiti previsti dal decreto  di  cui  al  comma  2  dell'art.  5-bis,
d'altra parte si obietta che i commi 2 e 3 del medesimo art. 32 della
legge di  stabilita'  2012  fanno  riferimento,  rispettivamente,  al
«complesso delle spese finali in termini di competenza finanziaria di
ciascuna Regione a statuto ordinario» ed al  «complesso  delle  spese
finali in termini di cassa di ciascuna Regione a statuto ordinario». 
    La lettura della disposizione,  secondo  la  ricorrente,  farebbe
intendere che tale detrazione, rilevante  ai  fini  del  calcolo  del
complesso delle spese finali, sia rilevante solo  per  le  Regioni  a
statuto ordinario, dunque non per quelle a statuto speciale. 
    Ma  anche  nel  caso  in  cui  tale  detrazione,  in  virtu'   di
un'interpretazione   costituzionalmente   orientata,    si    dovesse
considerare prevista anche per  queste  ultime,  secondo  la  Regione
autonoma Sardegna l'esclusione dal patto di  stabilita'  delle  spese
necessarie  per  finanziare  gli  oneri  imposti  dalla  disposizione
censurata  non  sarebbe  comunque  idonea  a  fugare  tutti  i   vizi
d'illegittimita' della disposizione gia' evidenziati nelle precedenti
difese, ed, anzi, li confermerebbe: il fatto che  gli  oneri  imposti
alle Regioni che non rientrano nell'"obiettivo convergenza" non siano
contabilizzati agli effetti del patto di stabilita' non esclude certo
che la Regione autonoma Sardegna non debba comunque impiegare proprie
risorse appunto per finanziare  tali  oneri.  In  altri  termini,  si
conclude, il problema sollevato dalla Sardegna  col  proprio  ricorso
non atteneva a circostanze contabili, seppure  legate  al  meccanismo
del  patto  di  stabilita',  bensi',  piu'  semplicemente,  all'onere
finanziario che grava sulla Regione.  Si  tratterebbe  quindi  di  un
onere   economico-finanziario   lesivo   dell'autonomia   di    detta
ricorrente, profilo su cui lo Stato non avrebbe svolto deduzioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  -  Vengono   all'esame   di   questa   Corte   tre   ricorsi,
rispettivamente proposti dalla  Regione  Toscana  (ric.  n.  133  del
2011), dalla Regione Veneto (ric. n. 145 del 2011)  e  dalla  Regione
autonoma Sardegna (ric. n. 160 del 2011),  le  quali  hanno  promosso
questioni di legittimita' costituzionale nei  confronti  di  numerose
disposizioni del decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138  (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    Riservate a  separate  pronunce  le  decisioni  sull'impugnazione
delle altre  norme  contenute  nel  suddetto  decreto-legge,  vengono
decise in questa sede le questioni relative all'articolo 5-bis. 
    Detta disposizione, introdotta con  la  legge  di  conversione  e
rubricata sotto il nomen iuris «Sviluppo delle regioni dell'obiettivo
convergenza e realizzazione del piano sud», stabilisce al comma 1 che
la spesa in termini di competenza e di cassa  effettuata  annualmente
da   ciascuna   delle   cinque   Regioni   inserite   nell'"obiettivo
convergenza" (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia),  per
quel che concerne i cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari  a
finalita' strutturale e comunque le risorse  per  lo  sviluppo  e  la
coesione di cui all'art. 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n.
88 (Disposizioni in  materia  di  risorse  aggiuntive  ed  interventi
speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali,  a  norma
dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42), possa eccedere  i
limiti  di  spesa  imposti  dal  patto  di  stabilita'  interno.   Il
successivo  comma  2  prevede  che,  al  fine  di  salvaguardare  gli
equilibri di finanza pubblica, un decreto del Ministro  dell'economia
e delle finanze, di concerto con il Ministro per i  rapporti  con  le
regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre  di
ogni anno, stabilisca i limiti finanziari per l'attuazione del  comma
1, nonche' le modalita' di attribuzione allo Stato  e  alle  restanti
Regioni dei relativi maggiori  oneri,  garantendo  in  ogni  caso  il
rispetto dei tetti complessivi afferenti al  patto  di  stabilita'  e
agli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento. 
    Dopo la presentazione dei ricorsi e'  stato  emanato  l'art.  32,
comma 4, lettera n), della legge 12 novembre 2011,  n.  183,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato. (Legge di stabilita' 2012)», il quale  ha  previsto  che
siano escluse dal patto di stabilita' regionale le  «spese  a  valere
sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la  coesione  sociale,  sui
cofinanziamenti nazionali di fondi comunitari a finalita' strutturale
e sulle risorse individuate ai sensi  di  quanto  previsto  dall'art.
6-sexies del decreto legge 25 giugno 2008,  n.  112,  convertito  con
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133,  subordinatamente  e
nei limiti previsti dal decreto del Ministro  dell'economia  e  delle
finanze di cui all'art. 5-bis, comma 2, del decreto-legge  13  agosto
2011, n. 138, convertito con modificazioni, dalla legge 14  settembre
2011, n. 148». 
    1.1. - Secondo la Regione Toscana la norma  impugnata  violerebbe
l'art. 119, terzo comma, della Costituzione, introducendo  una  forma
di  solidarieta'  tra  le  Regioni  al  di   fuori   degli   istituti
perequativi, cosi' come concepiti dalla predetta norma costituzionale
e dalla conforme disciplina attuativa contenuta nella legge 5  maggio
2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale,  in
attuazione dell'articolo 119  della  Costituzione).  La  disposizione
sarebbe altresi' in contrasto con l'art. 119,  quinto  comma,  Cost.,
istituendo un meccanismo di spesa per gli investimenti destinati allo
sviluppo di alcune Regioni gravante  sulle  altre,  mentre  la  norma
costituzionale stabilisce che gli oneri necessari  per  la  rimozione
degli squilibri economico-sociali  e  la  promozione  dello  sviluppo
economico delle Regioni meno avanzate devono essere  sostenuti  dallo
Stato. 
    Anche  l'articolo  16  della  precitata  legge  n.  42  del  2009
stabilirebbe al comma 1, lettere a) ed e), che i contributi  speciali
siano utilizzati secondo obiettivi e criteri definiti d'intesa con la
Conferenza unificata, ma  pur  sempre  restando  essi  a  carico  del
bilancio dello Stato. 
    1.2. - Secondo la Regione Veneto l'art. 5-bis  violerebbe  l'art.
119, terzo  e  quinto  comma,  Cost.,  in  quanto  esso  sancisce  il
principio della piena responsabilita' finanziaria gravante su ciascun
ente territoriale in relazione alle  funzioni  di  cui  e'  titolare,
prevedendo solo due ipotesi di perequazione, entrambe a carico  dello
Stato: il fondo perequativo, privo di vincoli di destinazione, di cui
al terzo comma dell'art. 119 Cost., nonche' le «risorse aggiuntive» e
gli «interventi speciali» previsti in favore di determinate  Regioni,
Province, Citta' metropolitane, Comuni, al  fine  di  «promuovere  lo
sviluppo economico, la coesione  e  la  solidarieta'  sociale,  (...)
rimuovere  gli  squilibri  economici  e   sociali,   (...)   favorire
l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...)  provvedere  a
scopi diversi dal normale esercizio delle loro  funzioni»,  ai  sensi
dell'art. 119, quinto comma, Cost. La norma impugnata sarebbe inoltre
in contrasto con l'art. 5 Cost., introducendo un  sistema  produttivo
di ingiustificato  privilegio  e  diseguaglianza  a  vantaggio  delle
Regioni  meno  "virtuose",  basato  su  una   mera   presunzione   di
"inferiorita'  strutturale".  In  tal  modo  verrebbe  accentuato  il
dislivello giuridico e finanziario  delle  situazioni  esistenti  nei
diversi contesti regionali. 
    1.3. - La Regione autonoma Sardegna ritiene che l'art. 5-bis  sia
in contrasto con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della disparita'  di
trattamento, in quanto considererebbe in maniera  diversa  Regioni  e
aree del Paese - come  la  medesima  Sardegna  -  ove  si  presentano
analoghi e non inferiori problemi  di  mancato  sviluppo  sociale  ed
economico, e sotto il profilo della  ragionevolezza,  in  quanto,  al
fine di colmare le diseguaglianze strutturali tra le diverse aree del
Paese,  verrebbero  imposti  maggiori  oneri  a   Regioni   come   la
ricorrente, che lo stesso Stato ha ritenuto, con il "piano  nazionale
per il sud", meritevoli di beneficiare di un  particolare  sforzo  di
sostegno sociale ed economico. 
    Anche secondo la Sardegna la norma impugnata sarebbe in contrasto
con l'art. 119, terzo e  quinto  comma,  Cost.,  in  quanto,  facendo
gravare  l'onere  economico-finanziario  relativo   agli   interventi
previsti  dall'"obiettivo  convergenza"  sulle  Regioni  escluse,  ma
parimenti versanti in uno stato di mancato sviluppo  socio-economico,
aggraverebbe  le  diseguaglianze  tra  Regioni  ed  aree  del   Paese
arretrate quanto alle condizioni di  sviluppo,  contrastando  con  il
principio  di  perequazione,  coesione  e  solidarieta'  sociale  ivi
previsto. 
    1.4. - Le difese dell'Avvocatura dello Stato  si  incentrano  sul
preteso carattere di coordinamento della finanza pubblica della norma
impugnata, la quale sarebbe emanata nell'ambito dei principi  sanciti
all'art. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost. 
    La norma sarebbe volta al contenimento della spesa pubblica ed al
risanamento del debito, obiettivi al cui perseguimento sono tenute  a
collaborare anche le Regioni. 
    Secondo l'Avvocatura  non  sarebbero  rinvenibili  nell'art.  119
Cost., cosi' come  costantemente  interpretato  nella  giurisprudenza
costituzionale, i  limiti,  ex  adverso  invocati,  all'adozione  del
sistema di solidarieta' tra Regioni, introdotto  dall'art.  5-bis  in
esame. 
    Lo Stato obietta altresi' che l'art. 5-bis non  introdurrebbe  un
nuovo tipo di fondo rispetto alle previsioni dell'art. 119  Cost.  ma
sarebbe un'applicazione conseguente alla regola  di  indefettibilita'
dei saldi finanziari stabiliti in sede di determinazione del patto di
stabilita' interno. 
    Inoltre, per effetto dell'art. 32, comma  4,  lettera  n),  della
legge n. 183 del 2011, il regime di deroga ai vincoli  del  patto  di
stabilita' sarebbe allargato a tutte le Regioni titolari  di  risorse
imputabili alle fonti contemplate dal comma  1  dell'art.  5-bis  del
decreto-legge, a condizione che siano rispettate le modalita' fissate
dal decreto ministeriale previsto dal comma 2 dello stesso  articolo.
Secondo il Presidente del Consiglio, per effetto di  quanto  disposto
dal predetto art. 32, comma 4, lettera n), della legge di  stabilita'
per il 2012, la questione dovrebbe ritenersi superata. 
    2. - Alla luce delle richiamate argomentazioni va preliminarmente
disposta la riunione dei tre  ricorsi,  attesa  la  loro  connessione
oggettiva e la sostanziale coincidenza delle censure prospettate,  al
fine di un'unica pronunzia. 
    3.  -  Ancora  in   via   preliminare,   deve   essere   valutata
l'ammissibilita' dei ricorsi in riferimento all'invocato parametro di
cui all'art. 119 Cost. 
    L'art. 2, primo comma,  della  legge  costituzionale  9  febbraio
1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimita' costituzionale e  sulle
garanzie d'indipendenza  della  Corte  costituzionale),  prevede  che
«Quando una Regione ritenga che una legge od  atto  avente  forza  di
legge della Repubblica invada  la  sfera  della  competenza  ad  essa
assegnata dalla Costituzione, puo', con  deliberazione  della  Giunta
regionale, promuovere l'azione di legittimita' costituzionale davanti
alla Corte nel termine di 30 giorni dalla pubblicazione della legge o
dell'atto avente forza di legge». L'art.  32  della  legge  11  marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale),  prevede  che  «la  questione   della   legittimita'
costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge  dello
Stato puo' essere promossa dalla Regione che ritiene  dalla  legge  o
dall'atto invasa la sfera della  competenza  assegnata  alla  Regione
stessa dalla Costituzione e da  leggi  costituzionali».  L'art.  127,
secondo comma, Cost. statuisce che «la Regione,  quando  ritenga  che
una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di  un'altra
Regione leda la sua sfera di competenza, puo' promuovere la questione
di legittimita' costituzionale». 
    Alla luce delle suddette disposizioni devono essere scrutinate le
censure mosse  dalle  ricorrenti  alla  disposizione  in  esame:  dal
richiamato quadro normativo si ricava come la loro  legittimazione  a
ricorrere sia strettamente ancorata alla  finalita'  di  salvaguardia
della suddivisione competenziale delineata  dalla  Costituzione.  Nel
caso in esame, la sfera di competenza invasa  non  e'  precisata  con
riferimento  al  riparto  operato  dall'art.  117  Cost.,  ma   viene
lamentata la compressione dell'autonomia finanziaria di cui  all'art.
119 Cost., la  quale  ridonderebbe  sull'esercizio  delle  competenze
regionali. 
    Da  cio'  consegue  che  in  tale  contesto  debba  essere  anche
verificata la sussistenza  di  un  interesse  ad  agire  concreto  ed
attuale consistente in quella utilita' diretta ed  immediata  che  il
soggetto attore puo' effettivamente ottenere con  l'accoglimento  del
ricorso. Infatti, con riguardo alla pretesa violazione dell'art.  119
Cost., questa Corte ha gia' avuto modo di negare  la  sussistenza  di
«una astratta idoneita' della disciplina in contestazione ad influire
sull'autonomia finanziaria delle Regioni» (sentenza n. 216 del 2008).
In   quella   occasione,   peraltro,   la    questione,    dichiarata
inammissibile, ineriva ad  un  intervento  «effettuato  con  oneri  a
carico della fiscalita' generale, sicche' la eventuale caducazione di
tali  norme  non  comporterebbe»  -  stante  l'assenza  di  un  fondo
sanitario nazionale destinato esclusivamente al  finanziamento  della
spesa sanitaria - «la ridistribuzione di maggiori risorse  in  favore
di tutte le Regioni» (sentenza n. 216 del 2008). 
    Diversamente  dal  precedente,  nel  caso  in  esame  le  Regioni
ricorrenti, pur non richiamando l'invasione specifica di alcuna delle
competenze  di  cui  all'art.  117  Cost.,  lamentano   il   concreto
pregiudizio della compressione delle risorse destinate  all'esercizio
delle proprie funzioni e la sua non conformita' ai precetti dell'art.
119 Cost. 
    Cio'  in  conseguenza  dei  riflessi  applicativi   della   norma
impugnata, che comportano sia la conservazione cautelativa, in attesa
dell'emanazione del decreto ministeriale, della provvista finanziaria
a carico delle Regioni contribuenti, sia la sottrazione  delle  somme
compensative, una volta entrato a regime il decreto stesso. 
    Puo' quindi concludersi che le questioni sollevate in riferimento
all'art. 119 Cost. devono ritenersi ammissibili, in quanto  collegano
la lesione competenziale al parametro costituzionale invocato (cosi',
sentenza n. 216 del 2008). 
    4. - Le questioni relative all'art. 5-bis del  d.l.  n.  138  del
2011,  convertito  dalla  legge  n.  148  del  2011,   sollevate   in
riferimento all'art. 119 Cost. sono fondate nei  termini  di  seguito
precisati. 
    Le ricorrenti denunciano la lesione  che  la  norma  arrecherebbe
alle  loro  prerogative,   con   specifico   riguardo   all'autonomia
finanziaria,  poiche'  la  disposizione  impugnata  comporterebbe  un
aggravio del proprio bilancio ed una conseguente  rimodulazione  piu'
onerosa dei rispettivi patti di stabilita'. 
    L'assunto e' effettivamente confermato,  sia  dalla  clausola  di
invarianza complessiva dei tetti di spesa prescritta  dalla  suddetta
disposizione, sia dalla considerazione che tale clausola puo'  essere
rispettata solamente se si ridistribuiscono tali «maggiori oneri» tra
lo Stato e le «restanti regioni». Ne deriva in tal modo una  concreta
incisione della sfera di autonomia finanziaria di queste ultime. 
    Non  sono  in  proposito  pertinenti   le   eccezioni   sollevate
dall'Avvocatura dello Stato, la quale invoca l'emanando  decreto  del
Ministro dell'economia, da  un  lato,  come  risolutivo  ai  fini  di
un'equa   distribuzione   del   sacrificio   e,   dall'altro,    come
temporalmente preclusivo dell'attualita'  del  pregiudizio.  Infatti,
l'art. 5-bis, comma 1, rimette  al  suddetto  decreto,  previsto  dal
comma 2, la fissazione delle condizioni, dei limiti finanziari per la
sua  attuazione  e  delle  modalita'  di  attribuzione  dei  relativi
maggiori oneri allo Stato ed alle restanti Regioni. 
    La norma, tuttavia, precisa che  il  decreto  deve  garantire  il
rispetto dei tetti complessivi stabiliti dalla legge per il  concorso
alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno  di
riferimento da parte dello Stato e delle Regioni. Dunque, l'eventuale
adozione del  decreto  non  sarebbe  comunque  risolutiva  ne'  della
questione inerente al  mancato  rispetto  dei  principi  in  tema  di
perequazione contenuti nell'art. 119 Cost. e nelle  successive  norme
di  attuazione,  ne'  di  quella  posta  in  ordine  al   pregiudizio
finanziario derivante dall'accantonamento e dalla  utilizzazione  per
scopi solidaristici  delle  quote  a  carico  delle  Regioni  stesse.
Infatti, l'adozione del decreto - in qualsiasi modo articolata -  non
impedirebbe la lesione poiche', sebbene sia prevista l'intesa con  la
Conferenza unificata, questa sarebbe  in  ogni  caso  chiamata  dallo
Stato a raggiungere l'accordo su uno schema di decreto il  quale,  in
conformita'  al  dispositivo  dell'art.  5-bis,   dovrebbe   comunque
contenere una proposta di ripartizione dei  maggiori  oneri  in  capo
allo Stato  medesimo  ed  alle  Regioni.  In  proposito,  il  dettato
normativo, se da un canto rimette  al  decreto  la  fissazione  delle
condizioni e dei limiti finanziari per accedere  al  beneficio  della
deroga,  dall'altro  sottopone  questi  elementi  alla  clausola   di
invarianza dei tetti complessivi del concorso  dello  Stato  e  delle
Regioni. Ne deriva  che  il  meccanismo  normativamente  tratteggiato
comportera' comunque maggiori oneri e che tali oneri  graveranno  sia
sullo Stato che sugli enti territoriali ricorrenti. 
    Anche la mancata adozione del  decreto  non  sarebbe  risolutiva.
Infatti, l'art. 17 della legge 31 dicembre 2009,  n.  196  (Legge  di
contabilita'  e  finanza  pubblica)  -  il  quale   contiene   regole
specificative dell'indefettibile principio di equilibrio del bilancio
espresso  dall'articolo  81,  quarto  comma,  Cost.  -  prevede,   in
relazione ai nuovi o maggiori oneri finanziari  del  tipo  di  quelli
indotti  dall'impugnato  art.  5-bis,  che  lo  Stato  deve  adottare
provvedimenti di immediata salvaguardia (combinato disposto dei commi
1 e 12) per la compensazione degli effetti correlati ai  nuovi  oneri
(«In  ogni  caso  la  clausola  di  salvaguardia  deve  garantire  la
corrispondenza, anche dal punto di vista temporale, tra l'onere e  la
relativa copertura»).  Nel  caso  di  specie  essi  non  possono  che
coincidere con la conseguente riduzione delle autorizzazioni di spesa
afferenti alle ordinarie relazioni finanziarie tra Stato  e  Regioni,
interessate passivamente al meccanismo solidale. Infatti, la clausola
di salvaguardia di cui al comma 12  viene  definita  dal  legislatore
come «effettiva  e  automatica»,  comportando,  conseguentemente,  il
cautelare accantonamento delle risorse non appena entrata  in  vigore
la norma che dispone le maggiori spese. 
    Peraltro, con riguardo alla mancata adozione del decreto,  questa
Corte ha avuto modo di ribadire - in analoga occasione  -  che  «tale
circostanza non e' tuttavia idonea  a  determinare  una  sopravvenuta
carenza  di  interesse  all'impugnativa  da   parte   della   Regione
ricorrente.  Difatti,  in  assenza   dell'abrogazione   delle   norme
impugnate e, dunque,  in  costanza  della  loro  perdurante  vigenza,
permane  l'autorizzazione  in  capo  allo  Stato  ad  attivare   tale
prerogativa in base ai contenuti  e  secondo  i  meccanismi  previsti
dalla disciplina sottoposta attualmente a scrutinio e della quale  la
Regione lamenta, appunto, l'invasivita'» (sentenza n. 451 del 2006). 
    L'analisi letterale e sistematica  della  norma  impugnata  porta
dunque a concludere che essa non si limita ad autorizzare la spendita
dei fondi  integrativi  dei  contributi  comunitari  in  deroga  alle
prescrizioni del patto di stabilita',  ma  attribuisce  piuttosto  le
conseguenze finanziarie di tale disposizione allo Stato e alle  altre
Regioni,  al  fine  di  assicurare  il  rispetto  della  clausola  di
invarianza dei tetti. E' proprio questa "chiamata  in  solidarieta'",
lamentata dalle ricorrenti,  che  rende  concretamente  possibile  ed
attuabile la deroga contenuta nel comma 1 dell'art.  5-bis,  gravando
dei correlati oneri non solo lo Stato ma anche le altre Regioni. 
    Simili forme di ausilio non trovano fondamento, ne' nell'art. 119
Cost., ne'  nella  legge  n.  42  del  2009  e  neppure  nei  decreti
legislativi  6  maggio  2011,  n.  68  (Disposizioni  in  materia  di
autonomia di entrata  delle  regioni  a  statuto  ordinario  e  delle
province, nonche'  di  determinazione  dei  costi  e  dei  fabbisogni
standard nel settore sanitario) e n. 88 del 2011. 
    La disposizione impugnata  non  e'  comunque  riconducibile  alle
ipotesi di cui all'art. 119  Cost.,  poiche'  detta  norma  e  quelle
attuative  sono  esplicite  nello  stabilire   che   gli   interventi
perequativi e solidali devono garantire risorse aggiuntive rispetto a
quelle reperite per l'esercizio delle normali  funzioni  e  che  tali
risorse devono provenire dallo Stato. 
    Questa Corte ha avuto occasione di affermare che «gli  interventi
statali fondati sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere
gli squilibri  economici  e  sociali,  devono  seguire  le  modalita'
fissate dall'art. 119, quinto comma, Cost., senza alterare i  vincoli
generali di contenimento della spesa pubblica, che  non  possono  che
essere  uniformi»  (sentenza  n.  284  del  2009).  Da  cio'   deriva
l'implicito riconoscimento del principio di tipicita' delle ipotesi e
dei  procedimenti  attinenti   alla   perequazione   regionale,   che
caratterizza  la  scelta  legislativa  di  perequazione   "verticale"
effettuata in  sede  di  riforma  del  Titolo  V  della  Costituzione
mediante la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al
titolo V della parte seconda della Costituzione). 
    Il  rispetto  di  detto  principio  di  tipicita'  non  impedisce
certamente - allo stato  della  legislazione  -  che  possano  essere
adottati  interventi  perequativi  a   favore   delle   collettivita'
economicamente  piu'  deboli.  Cio'  potra'  tuttavia  avvenire  solo
attraverso quei moduli legislativi e  procedimentali  non  collidenti
con il dettato dell'art. 119 Cost., alcuni dei quali sono gia'  stati
scrutinati favorevolmente da questa Corte (sentenze n. 71  del  2012,
n. 284 e n. 107 del 2009, n. 216 del 2008, n. 451 del 2006  e  n.  37
del 2004). 
    Mentre il concorso agli  obiettivi  di  finanza  pubblica  e'  un
obbligo  indefettibile  di  tutti  gli  enti  del  settore   pubblico
allargato di cui anche le Regioni devono farsi carico  attraverso  un
accollo  proporzionato  degli  oneri  complessivi  conseguenti   alle
manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52  del  2010),
la perequazione degli squilibri economici in  ambito  regionale  deve
rispettare le modalita' previste dalla Costituzione, di modo  che  il
loro impatto sui conti consolidati  delle  amministrazioni  pubbliche
possa essere fronteggiato ed eventualmente  redistribuito  attraverso
la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti  dal  vigente
ordinamento finanziario e contabile. 
    5. - Lo scrutinio  di  costituzionalita'  attrae  inevitabilmente
anche l'art. 32, comma 4, lettera n), della legge n. 183 del 2011, il
quale, pur non  essendo  stato  impugnato,  conferma  e  rafforza  il
meccanismo previsto dall'art. 5-bis attraverso l'estensione  a  tutte
le  Regioni  della  facolta'  originariamente   limitata   a   quelle
contemporaneamente  ricomprese  nell'"obiettivo  convergenza"  e  nel
"piano nazionale per il sud", con conseguente incremento degli  oneri
a carico delle Regioni chiamate in  solidarieta'.  In  considerazione
dell'inscindibile  connessione  funzionale  esistente  tra  la  norma
impugnata e quella sopravvenuta, che ne riproduce  ed  amplifica  gli
aspetti gia' censurati, l'illegittimita' costituzionale  della  prima
deve essere estesa in  via  consequenziale  alla  seconda,  ai  sensi
dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953 (ex plurimis, sentenza n. 131
del 2012). 
    6.  -  Restano  assorbite  le  altre   questioni   sollevate   in
riferimento agli artt. 3 e 5 Cost.