N. 98 SENTENZA 29 aprile - 5 giugno 2015

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Impiego pubblico - Soggetti privati o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza che conferiscono incarichi a pubblici dipendenti - Sanzioni amministrative per l'omessa tempestiva comunicazione dei compensi all'amministrazione di appartenenza dell'incaricato. - Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), art. 53, comma 15. -

      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  53,  comma
15, del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165  (Norme  generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche),  promosso  dal  Tribunale   ordinario   di   Ancona   nel
procedimento vertente tra R.G. ed altre e l'Agenzia delle  entrate  -
Direzione provinciale di Ancona, con ordinanza del 20 febbraio  2014,
iscritta al n. 152 del registro ordinanze  2014  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  40,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2014. 
    Visti l'atto di costituzione di R.G. ed altre, nonche' l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  28  aprile  2015  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    uditi l'avvocato Giovanni Paolo Businello per  R.G.  ed  altre  e
l'avvocato dello Stato Barbara Tidore per il Presidente del Consiglio
dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Ancona, in funzione di giudice  del
lavoro, solleva - in riferimento agli artt. 3,  24,  76  e  77  della
Costituzione, e in relazione alla legge 15 marzo 1997, n. 59  (Delega
al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni  ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e  per  la
semplificazione amministrativa) nonche' alla legge 23  ottobre  1992,
n. 421 (Delega al Governo per la  razionalizzazione  e  la  revisione
delle discipline in materia  di  sanita',  di  pubblico  impiego,  di
previdenza e di finanza territoriale)  -  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 53, comma 15,  del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze  delle   amministrazioni   pubbliche),   «nella   versione
introdotta» dall'art. 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80
(Nuove disposizioni in materia di organizzazione  e  di  rapporti  di
lavoro  nelle  amministrazioni  pubbliche,  di  giurisdizione   nelle
controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate  in
attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo  1997,  n.
59), nella parte in cui dispone che «I soggetti di cui al comma 9 che
omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione
di cui allo stesso comma 9». 
    Premette   il   Tribunale   di   essere   chiamato   a   decidere
sull'opposizione proposta da  alcuni  soggetti  privati  avverso  una
serie di ordinanze-ingiunzione emesse dall'Agenzia delle entrate  per
sanzioni amministrative pecuniarie irrogate, a norma dell'art. 6  del
decreto-legge  28  marzo  1997,  n.  79  (Misure   urgenti   per   il
riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con  modificazioni,
dalla legge 28 maggio  1997,  n.  140,  per  avere  conferito  a  due
dipendenti della Marina militare incarico di attivita'  professionale
senza   la   preventiva   autorizzazione   dell'amministrazione    di
appartenenza, negli anni 2008 e 2009, e per non aver comunicato  alla
stessa amministrazione i compensi erogati nei medesimi anni. 
    Risulta pacifico - sottolinea il giudice a quo - che i ricorrenti
non abbiano adempiuto agli obblighi di comunicazione  prescritti  per
chi conferisca incarichi a pubblici dipendenti, a norma dell'art.  53
del d.lgs. n. 165 del 2001; cosi'  come  risulta  pacifico  che  essa
medesima fosse a conoscenza del  fatto  che  i  propri  collaboratori
erano dipendenti pubblici militari. 
    Dopo aver riprodotto il testo di diversi commi  dell'art.  53  in
discorso e in contrasto alla tesi degli opponenti (secondo  cui  «non
dovrebbe ricevere sanzione, per i  militari,  l'omessa  comunicazione
all'amministrazione di appartenenza dei compensi erogati imposta  dal
comma 11 del citato art.  53,  in  quanto  il  comma  6,  che  regola
l'ambito di applicazione della norma, fa riferimento ai commi da 7  a
13,  escludendo,  dunque,  il   comma   15,   contenente   l'apparato
sanzionatorio, differentemente  da  quanto  disposto  nella  versione
precedente del predetto comma 6 che richiamava, al contrario, anche i
commi fino al 16»), il Tribunale reputa che l'eliminazione, dal comma
6 dell'articolo impugnato, del riferimento al comma 15 si giustifichi
per il fatto che la sanzione per l'omessa  comunicazione  «non  viene
irrogata ai dipendenti pubblici,  ma  soltanto  ai  soggetti  che  si
avvalgono della loro opera»; con la conseguente piena  applicabilita'
nei confronti di questi ultimi delle sanzioni previste - in  caso  di
omessa comunicazione, da parte  dell'ente  conferente,  dei  compensi
erogati ogni anno - dall'art. 6 del d.l. n. 79 del 1997 in  relazione
ai  dipendenti  destinatari  di  incarichi  retribuiti.   Troverebbe,
quindi, applicazione, nel caso di specie,  la  normativa  di  cui  al
comma 15 dell'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    Ripercorsa la disciplina delle leggi-delega n. 59 del 1997  e  n.
421 del 1992, dalla prima richiamata, il giudice  rimettente  osserva
come l'art. 26 del d.lgs. n. 80 del 1998, nell'introdurre  importanti
modifiche all'art. 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.  29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992,  n.  421),
abbia, da un lato, sostituito  «l'obbligo  della  mera  comunicazione
dell'incarico con l'obbligo di  ottenere  la  previa  autorizzazione»
dell'amministrazione, prevedendo, correlativamente, che  la  sanzione
amministrativa  si   applichi   «all'inadempimento   all'obbligo   di
autorizzazione»;  dall'altro  lato,  introdotto  «un'altra   identica
[sanzione]  anche  in   caso   di   inottemperanza   all'obbligo   di
comunicazione dei compensi erogati». 
    Dalla riportata normativa emergerebbe come «la legge  delega  non
contenesse alcun riferimento alla  possibilita'  di  introduzione  di
sanzioni amministrative in caso di inottemperanza  agli  obblighi  di
pubblicita'  degli  incarichi  conferiti  ai  pubblici   dipendenti»,
malgrado anche le sanzioni amministrative rispondano al principio  di
legalita' e richiedano, percio', se disposte in base a una  legge  di
delega, l'enunciazione di precisi criteri direttivi.  D'altra  parte,
pur ricorrendo «ad un  apprezzamento  in  precedenza  espresso  dallo
stesso legislatore», si ricaverebbe  che  l'ipotesi  di  un  illecito
amministrativo,  gia'  introdotta  dal  legislatore  nella   precipua
materia, era stata limitata  «espressamente  alla  condotta  relativa
alla mancata comunicazione  dell'incarico,  con  esclusione,  invece,
della diversa ma conseguente condotta della mancata comunicazione  di
compensi». 
    D'altra  parte,  dovendo  le  disposizioni  della  delega  essere
interpretate secondo il criterio  della  ragionevolezza,  questo  non
sarebbe stato, nella specie, rispettato: sia per la previsione di una
doppia sanzione, «peraltro particolarmente afflittiva  nel  quantum»,
sia perche' «le esigenze di buon andamento della p.a., di trasparenza
e di compatibilita' dell'incarico  privato  con  l'impiego  pubblico»
sarebbero garantite gia' «dalla  necessita'  di  ottenere  la  previa
autorizzazione», «ponendosi l'obbligo aggiuntivo della  comunicazione
dei compensi come un mero adempimento accessorio». 
    La doppia sanzione, d'altra parte, porrebbe «il soggetto che, per
ignoranza o negligenza, non abbia chiesto  la  previa  autorizzazione
all'incarico  nell'alternativa  di  perseguire   nell'illecito,   con
rischio di comminazione della doppia sanzione, laddove scoperto, o di
autodenunciarsi, provvedendo alla comunicazione del  compenso»,  «con
conseguente violazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost.». 
    2.- Si sono costituiti in  giudizio  i  soggetti  ricorrenti  nel
giudizio principale, chiedendo  una  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale della norma denunciata. 
    Dopo la rievocazione dei  fatti  di  causa  e  delle  difese  ivi
dispiegate,  viene  dedotto  il   vizio   di   difetto   di   delega,
sottolineando come la giurisprudenza costituzionale non abbia mancato
di puntualizzare che, anche per le sanzioni amministrative, i criteri
della  delega  «devono   essere   precisi   e   vanno   rigorosamente
interpretati», dovendosi, nella specie, escludere che la  valutazione
della necessita' di una sanzione possa trarsi da un apprezzamento  in
precedenza espresso dal legislatore, in ragione del  principio  della
successione delle leggi nel tempo. 
    Richiamato il contenuto dell'ordinanza di rimessione,  si  chiede
l'accoglimento  della  questione  anche  in  riferimento  al  dedotto
profilo di violazione del criterio di ragionevolezza. 
    3.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
chiesto di dichiarare  inammissibile  e  comunque  di  respingere  la
proposta questione. 
    Osserva  l'Avvocatura  generale   che   l'introduzione   di   una
fattispecie di illecito e' un ordinario strumento di  normazione  per
rafforzare la tutela dei  beni  protetti,  sicche'  tali  fattispecie
rappresenterebbero un coerente sviluppo delle indicazioni fornite dal
legislatore delegante. 
    Quanto alla pretesa violazione del principio  di  ragionevolezza,
il giudice rimettente avrebbe trascurato di considerare  la  distinta
offensivita'  delle  due  condotte   sanzionate:   mentre,   infatti,
l'acquisizione del preventivo consenso mirerebbe ad evitare possibili
conflitti di interesse, l'obbligo della  comunicazione  dei  compensi
risponderebbe alla finalita' «di aggiornamento costante  della  banca
dati presso il Dipartimento della Funzione Pubblica,  utilizzata  per
il monitoraggio degli incarichi extraistituzionali». 
    Gli aspetti relativi all'esercizio del diritto di difesa, infine,
sarebbero irrilevanti - la societa' opponente era a conoscenza  della
qualita' di dipendenti pubblici delle persone occupate -  e  comunque
infondati,  posto  che,  se  l'ignoranza  inescusabile  della   norma
regolativa dell'illecito non  e'  esimente,  a  maggior  ragione  non
potrebbe parlarsi di una violazione del diritto di difesa. 
    4.- In prossimita'  dell'udienza,  le  parti  private  costituite
hanno depositato  una  "memoria  illustrativa"  per  contrastare  gli
argomenti svolti  dall'Avvocatura  generale,  ribadendo  richieste  e
conclusioni gia' rassegnate nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Ancona, in funzione di giudice  del
lavoro, solleva, in riferimento agli artt.  3,  24,  76  e  77  della
Costituzione, e in relazione alla legge 15 marzo 1997, n. 59  (Delega
al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni  ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e  per  la
semplificazione amministrativa) nonche' alla legge 23  ottobre  1992,
n. 421 (Delega al Governo per la  razionalizzazione  e  la  revisione
delle discipline in materia  di  sanita',  di  pubblico  impiego,  di
previdenza e di  finanza  territoriale),  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 53, comma 15,  del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze  delle   amministrazioni   pubbliche),   «nella   versione
introdotta» dall'art. 26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80
(Nuove disposizioni in materia di organizzazione  e  di  rapporti  di
lavoro  nelle  amministrazioni  pubbliche,  di  giurisdizione   nelle
controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate  in
attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo  1997,  n.
59). 
    Secondo il giudice rimettente, la legge di delegazione, sulla cui
base e'  stata  adottata  la  disciplina  di  cui  alla  disposizione
denunciata,  non   conteneva   alcuna   indicazione   relativa   alla
possibilita' di introdurre  sanzioni  amministrative  pecuniarie  per
l'inosservanza dei previsti obblighi di pubblicita'  degli  incarichi
conferiti ai pubblici dipendenti  e  di  comunicazione  dei  relativi
compensi. 
    Le disposizioni della delega, d'altra parte, non sarebbero  state
interpretate secondo il criterio della  ragionevolezza:  sia  per  la
previsione  di  una  doppia   sanzione,   «peraltro   particolarmente
afflittiva nel quantum», sia perche' «le esigenze di  buon  andamento
della p.a., di trasparenza e di compatibilita' dell'incarico  privato
con l'impiego pubblico» sarebbero garantite gia' «dalla necessita' di
ottenere la previa autorizzazione», «ponendosi  l'obbligo  aggiuntivo
della  comunicazione  dei   compensi   come   un   mero   adempimento
accessorio». 
    Costituendosi in giudizio, i  soggetti  ricorrenti  nel  giudizio
principale  hanno  chiesto   una   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  chiesto,   invece,   di
dichiarare  inammissibile  e  comunque  di  respingere  la   proposta
questione. 
    2.- La questione e' fondata. 
    2.1.- Come si e'  accennato  in  parte  narrativa,  il  Tribunale
rimettente censura la previsione di cui all'art. 53,  comma  15,  del
d.lgs. n. 165 del 2001,  nella  parte  in  cui  e'  stabilito  che  i
soggetti di cui al comma 9 - vale a dire gli enti pubblici  economici
e i  privati  che  conferiscono  incarichi  retribuiti  a  dipendenti
pubblici senza la  previa  autorizzazione  della  amministrazione  di
appartenenza, e che omettano le comunicazioni di cui al comma  11  (a
norma del quale «entro quindici giorni dalla erogazione del  compenso
per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti  pubblici  o  privati
comunicano  all'amministrazione  di  appartenenza   l'ammontare   dei
compensi erogati ai dipendenti pubblici») -  sono  assoggettati  alle
sanzioni di cui allo stesso comma 9; il quale, a sua  volta,  prevede
l'applicazione dell'art. 6, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997,
n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio  della  finanza  pubblica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n.  140  e
successive  modificazioni  ed  integrazioni,   che   stabilisce   una
«sanzione pecuniaria pari  al  doppio  degli  emolumenti  corrisposti
sotto qualsiasi forma a dipendenti pubblici». 
    Nella prospettazione del giudice  rimettente,  le  censure  fanno
essenzialmente leva sulla circostanza che, nei confronti degli enti o
dei  privati  che  conferiscano  incarichi  retribuiti  a  dipendenti
pubblici senza la previa autorizzazione, si applicherebbe una  doppia
sanzione, di eguale ammontare: una prima sanzione per il conferimento
dell'incarico  senza  autorizzazione  ed  una  seconda  sanzione  per
l'omessa tempestiva comunicazione dell'ammontare dei compensi, per la
quale ultima si profilerebbe, fra l'altro, una sorta  di  obbligo  di
"autodenuncia" da parte del terzo datore di lavoro, non sintonica con
il diritto di difesa. 
    Il nucleo della doglianza  ruota  intorno  al  dedotto  vizio  di
carenza di "copertura" della  disposizione  impugnata  rispetto  alle
direttive della legge di delega, la quale non conterrebbe indicazioni
tali  da  legittimare  la  previsione   del   contestato   meccanismo
sanzionatorio -  in  se',  particolarmente  afflittivo  -  specie  se
interpretate alla luce del principio di ragionevolezza, alla  stregua
del quale deve essere apprezzata la coerenza della normativa delegata
rispetto ai corrispondenti criteri direttivi. 
    2.2.-  Lo  specifico  quadro  normativo  di  riferimento  appare,
peraltro,   particolarmente   complesso,   data   la    significativa
stratificazione delle varie  disposizioni  succedutesi  nel  tempo  e
l'innesto di discipline di varia fonte, definitivamente confluite  in
quella di cui al d.lgs. n. 165 del 2001,  destinato  a  svolgere  una
funzione, in parte, meramente ricognitiva e riepilogativa:  a  norma,
infatti, dell'art. 1, comma 8, della legge 24 novembre 2000,  n.  340
(Disposizioni  per   la   delegificazione   di   norme   e   per   la
semplificazione   di   procedimenti   amministrativi   -   Legge   di
semplificazione 1999), richiamato nel preambolo del predetto  decreto
legislativo, il Governo era stato delegato «ad emanare un testo unico
per il riordino delle norme, diverse da quelle del  codice  civile  e
delle leggi sui rapporti  di  lavoro  subordinato  nell'impresa,  che
regolano i rapporti di lavoro dei dipendenti di cui  all'articolo  2,
comma 2, del decreto legislativo 3  febbraio  1993,  n.  29,  secondo
quanto disposto dall'articolo 7 della legge  8  marzo  1999,  n.  50,
apportando le modifiche  necessarie  per  il  migliore  coordinamento
delle diverse disposizioni». 
    Il medesimo preambolo fa poi riferimento all'art. 2  della  legge
n. 421 del 1992, con il quale il Governo aveva ottenuto (comma 1)  la
delega ad emanare, entro la data ivi fissata,  «uno  o  piu'  decreti
legislativi, diretti al contenimento,  alla  razionalizzazione  e  al
controllo della  spesa  per  il  settore  del  pubblico  impiego,  al
miglioramento dell'efficienza e della produttivita', nonche' alla sua
riorganizzazione», sulla base di una serie di criteri direttivi,  fra
i quali viene in questa sede in particolare evidenza  quello  sancito
alla lettera p): che il Governo potesse «prevedere che qualunque tipo
di incarico a dipendenti della pubblica amministrazione possa  essere
conferito in casi  rigorosamente  predeterminati»  e  che,  tuttavia,
«l'amministrazione,  ente,  societa'  o  persona  fisica  che   hanno
conferito al personale dipendente  da  una  pubblica  amministrazione
incarichi previsti dall'articolo 24 della legge 30 dicembre 1991,  n.
412, entro sei mesi dall'emanazione dei decreti legislativi di cui al
presente articolo, siano tenuti a comunicare alle amministrazioni  di
appartenenza del personale medesimo  gli  emolumenti  corrisposti  in
relazione ai predetti incarichi, allo scopo di favorire  la  completa
attuazione dell'anagrafe  delle  prestazioni  prevista  dallo  stesso
articolo 24». 
    In attuazione  della  richiamata  delega  legislativa  era  stato
emanato   il   decreto   legislativo   3   febbraio   1993,   n.   29
(Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle    amministrazioni
pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
impiego, a norma dell'art. 2 della L. 23 ottobre 1992,  n.  421),  il
quale sotto l'art. 58 - divenuto, poi, l'art. 53 del  d.lgs.  n.  165
del 2001 - prevedeva  (comma  6)  l'obbligo  di  comunicazione  degli
incarichi conferiti da privati o enti  pubblici  a  dipendenti  delle
pubbliche  amministrazioni,   in   attuazione   dell'anagrafe   delle
prestazioni, di cui al gia' richiamato art. 24 della legge n. 412 del
1991; nonche' (comma  7)  l'obbligo  di  comunicazione  dei  relativi
compensi, senza, tuttavia, la previsione di alcun genere di sanzioni. 
    Veniva successivamente emanata la legge-delega n.  59  del  1997,
anch'essa espressamente richiamata nel preambolo del  d.lgs.  n.  165
del 2001,  la  quale,  peraltro,  non  conteneva  alcun  principio  o
criterio direttivo avente attinenza o interferenza specifica  con  il
tema qui in discorso. 
    Subito dopo la promulgazione di  quest'ultima  legge  di  delega,
veniva emanato il d.l. n. 79 del 1997, come convertito dalla legge n.
140 del 1997, il cui art. 6 introduceva nel  sistema,  per  la  prima
volta, la previsione di una sanzione amministrativa nei confronti dei
soggetti pubblici o privati che non avessero ottemperato  all'obbligo
di cui all'art. 58, comma 6, del gia' citato d.lgs. n. 29  del  1993:
vale a  dire  l'obbligo  di  comunicazione  alle  amministrazioni  di
appartenenza degli incarichi conferiti, da privati o  enti  pubblici,
ad appartenenti alle pubbliche amministrazioni. 
    Dunque, come esattamente messo in luce dal Tribunale  rimettente,
al momento della approvazione del decreto legislativo n. 80 del 1998,
adottato in esercizio della delega di cui alla predetta legge  n.  59
del 1997, il quadro normativo  vigente  prevedeva  l'applicazione  di
sanzioni amministrative nei confronti di coloro che  avessero  omesso
di comunicare alle  amministrazioni  di  appartenenza  gli  incarichi
conferiti a pubblici dipendenti, ma non sanzionava in alcun  modo  la
mancata comunicazione dei compensi erogati. 
    L'art. 26 del predetto d.lgs. n.  80  del  1998,  nell'introdurre
rilevanti modificazioni all'art.  58  del  d.lgs.  n.  29  del  1993,
sostituiva  l'obbligo  della  mera  comunicazione  dell'incarico  con
quello della previa autorizzazione da parte della amministrazione  di
appartenenza  e,  correlativamente,  stabiliva  l'applicazione  della
sanzione amministrativa per l'inadempimento di  tale  obbligo  (comma
9). 
    Ma - ed e' questo il dato qui  di  maggior  interesse  -  con  il
medesimo art. 26 il legislatore delegato ha ritenuto  di  introdurre,
per la prima volta, una identica sanzione anche per l'ipotesi in  cui
i soggetti conferenti incarichi non autorizzati  avessero  omesso  di
comunicare alle  amministrazioni  stesse,  «entro  il  30  aprile  di
ciascun  anno»,   l'ammontare   dei   «compensi   erogati   nell'anno
precedente» (commi 11 e 15). 
    Tale ultima disciplina - recepita, al pari dell'altra, nel  nuovo
decreto delegato e oggetto della attuale denuncia - risulta,  dunque,
non riconducibile a principi  o  criteri  direttivi  enunciati  nelle
leggi di delega succedutesi nel tempo:  cio'  in  contrasto  con  gli
orientamenti della giurisprudenza di questa Corte in tema di rapporti
tra disciplina delegante, di competenza del Parlamento, e  disciplina
delegata, affidata alle scelte - a discrezionalita' "circoscritta"  -
del Governo. 
    2.3.- Puo', infatti, rammentarsi come si sia, in piu'  occasioni,
puntualizzato  che  i  vincoli  derivanti  dall'art.  76  Cost.,  per
l'esercizio della funzione legislativa  da  parte  del  Governo,  non
inibiscano a quest'ultimo l'emanazione di norme che rappresentino  un
coerente sviluppo  o  un  completamento  delle  scelte  espresse  dal
legislatore  delegante,  dovendosi  escludere  che  la  funzione  del
legislatore delegato sia limitata ad una mera  scansione  linguistica
di previsioni stabilite dal primo (tra le  tante  pronunce,  piu'  di
recente, la sentenza n. 229 del  2014).  Ove  cosi'  non  fosse,  del
resto, al legislatore delegato verrebbe  riservata  una  funzione  di
rango quasi regolamentare, priva di autonomia precettiva,  in  aperto
contrasto con il carattere, pur sempre  primario,  del  provvedimento
legislativo delegato. 
    La delega legislativa, in altri termini,  non  esclude  qualsiasi
discrezionalita' del legislatore delegato, destinata a risultare piu'
o meno ampia in  relazione  al  grado  di  specificita'  dei  criteri
fissati dalla legge di delega: sicche' la valutazione dell'eccesso, o
del difetto, nell'esercizio della delega,  va  compiuta  in  rapporto
proprio alla ratio della delega medesima, onde stabilire se la  norma
delegata sia coerente (sentenza n. 119 del 2013)  o  compatibile  con
quella delegante. 
    E', tuttavia, del pari evidente che, ove - come nella  situazione
di  specie  -  si  discuta  della  predisposizione,  da   parte   del
legislatore delegato, di un meccanismo di tipo sanzionatorio privo di
espressa  indicazione  nell'ambito  della  delega,  lo  scrutinio  di
"conformita'" tra le discipline appare particolarmente delicato.  Non
puo', infatti, presupporsi che, in una direttiva intesa  a  conferire
al legislatore delegato il compito di prevedere come obbligatoria una
determinata condotta,  sia  necessariamente  ricompresa  -  sempre  e
comunque - anche  la  facolta'  di  stabilire  eventuali  correlative
sanzioni per l'inosservanza di quest'obbligo, posto che, in linea  di
principio,  la  sanzione  non  rappresenta  affatto  l'indispensabile
corollario di una prescrizione e che quest'ultima  puo'  naturalmente
svolgere,  di  per  se',  una   propria   autosufficiente   funzione,
richiedendo e ottenendo un'esauriente ed efficace osservanza. 
    Ne' potranno risultare trascurabili, nella vicenda  normativa  in
esame, alcuni ulteriori rilievi. La  previsione  della  sanzione  per
l'omessa comunicazione dei compensi corrisposti  a  dipendenti  delle
pubbliche amministrazioni per incarichi non  previamente  autorizzati
finisce per  risultare  particolarmente  vessatoria,  atteso  che  la
sanzione si duplica rispetto a quella gia' prevista -  nella  stessa,
grave  misura  -  per   il   conferimento   degli   incarichi   senza
autorizzazione,  con  un  effetto  moltiplicativo  raccordato  ad  un
inadempimento di carattere formale. 
    La sanzione, in altri termini, per la violazione  di  un  obbligo
che appare del tutto  "servente"  rispetto  a  quello  relativo  alla
comunicazione del conferimento di un incarico - previsto in  funzione
delle esigenze conoscitive della pubblica amministrazione,  connesse,
come si e' piu' volte sottolineato, al funzionamento  della  anagrafe
delle prestazioni,  tenuto  anche  conto  delle  modifiche  apportate
all'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 ad opera  dell'art.  1,  comma
42, della  legge  6  novembre  2012,  n.  190  (Disposizioni  per  la
prevenzione e la  repressione  della  corruzione  e  dell'illegalita'
nella   pubblica   amministrazione)    -    viene    a    sovrapporsi
irragionevolmente  -  perequando  fra  loro  situazioni   del   tutto
differenziate, per gravita' e natura  -  a  quella  prevista  per  la
violazione di un obbligo di carattere sostanziale. 
    Il che, fra l'altro, conferisce alla sanzione "accessoria" di cui
qui si discute - posta a carico, per di piu', di un soggetto comunque
terzo rispetto al rapporto di servizio tra pubblica amministrazione e
dipendente - un carattere di automatismo e di non  graduabilita'  non
poco contrastante con i principi di proporzionalita'  ed  adeguatezza
che  devono,  in  linea  generale,  essere  osservati   anche   nella
disciplina delle sanzioni amministrative. 
    In quanto adottata in contrasto con gli artt. 3 e  76  Cost.,  la
disposizione   censurata   deve,    pertanto,    essere    dichiarata
costituzionalmente  illegittima,  restando  assorbiti  i  profili  di
censura relativi agli altri parametri evocati.